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Autore: Marauder Juggernaut    19/01/2018    2 recensioni
Il Marauder è l'asse ordinatore dell'universo. La sua sola esistenza nell'universo ne equilibra i sistemi.
Lo Jabberwock è il protettore del Marauder. Un'anima astrale il cui compito è quello di proteggere il Marauder da chiunque e qualunque cosa, obbedendo ai suoi ordini, qualunque essi siano. È così che deve essere ed è così che sarà sempre.
[ Seconda classificata al contest “È nella mia natura...” indetto da Nirvana_04 sul forum di Efp. ]
Genere: Angst, Sovrannaturale | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: Contenuti forti, Violenza
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Nome(Efp e Forum): Marauder Juggernaut 
Nome del contest: "è nella mia natura..."
Titolo: Zenit
Genere: Fantasy, sovrannaturale, Angst
Rating: Arancione
N.d.A: Questa storia la sto covando da tantissimo tempo e i personaggi, di cui uno è il motivo del mio nick name, li ho creati molti anni fa. Purtroppo questa one shot non è quella che avevo immaginato e non mi soddisfa nemmeno molto. Ma magari a qualcuno piace... 
M.J.




ZENIT
 
 
 
NON C’È NESSUNO
SENZA COMPASSIONE.
E SE C’È, NON È UMANO.
 
 
La vecchia donna baciò riconoscente una, due, più volte le mani calde di Kemizeqati, balbettando parole sconnesse. Sul volto grinzoso e corroso dal freddo si dipinse una maschera di gratitudine, i suoi occhi neri brillarono per un istante mentre riprendeva tra le mani gelate quel bicchiere colmo di latte bollente. Lo portò avida alla bocca, gustando quel dolce calore scendere per la gola secca, scaldarla dall’interno e ripararla per alcuni secondi dal freddo tagliente. In quei pochi secondi d’attesa, il giovane si accucciò nella neve, rivolgendole un sorriso quasi affettuoso, seminascosto dai lembi della sciarpa che indossava per ripararsi in quegli anni colmi di gelo.
L’anziana gli regalò un sorriso sporco di latte e uno sguardo vivo e intenso, che si macchiò di lacrime quando il ragazzino che aveva di fronte si riprese il bicchiere di latta e fece scivolare alcune monete tra le sue dita dure di calli e geloni. La donna appoggiò la fronte contro la sua mano, strofinandola senza saper trattenere un pianto di gioia davanti a tanta bontà di cuore.
« Che le stelle vi proteggano… » sussurrò piano, tra i singhiozzi. Kemizeqati sbatté le palpebre più volte - sorpreso per quell’augurio -  prima di sciogliersi in un sorriso intenerito. Ancora accucciato nella neve, il ragazzino voltò piano la testa, finché nel suo campo visivo non comparve il suo Jabberwock: Polaris se ne stava appoggiato al muro della locanda da cui il giovane era appena uscito, intabarrato nella sua pelliccia nera che lo faceva sembrare un orso. Lo sguardo vigile dell’uomo incontrò quello del suo padrone, ancora chinato di fronte alla donna. Dopo solo un istante, quegli occhi plumbei tornarono ad ispezionare silenziosi quelle strade piene di neve e vuote di persone, se non pochi mendicanti che chiedevano la carità, la mano già pronta su quel moschetto vecchio stampo che teneva sotto il mantello.
Kemizeqati non smise di fissarlo con stima per quella sua dedizione a proteggerlo ogni secondo di quella vita.
« Già lo fanno… ».
 
 


Kemizeqati si strinse di più nella coperta che aveva portato lì sul tetto con sé.
Nel deserto, il caldo torrido delle ore di sole veniva spazzato via dalla notte che riusciva a far scendere la temperatura di oltre venti gradi. Uno spiffero di vento penetrò in quella fortezza di stoffa facendo rabbrividire il ragazzo. Si affrettò a voltare la clessidra quando si rese conto che tutti i granelli di sabbia erano passati oltre il piccolo foro tra i bulbi di vetro; si diede mentalmente dello stupido per non averlo notato prima. Non sapeva da quanto tempo si era fermata, ma di certo mancava poco meno di una mezz’ora alla mezzanotte del nuovo cambio universale.
Kemizeqati alzò di nuovo gli occhi al cielo, con un largo sorriso. La notte portava freddo, la notte portava silenzio, ma regalava anche immensi campi di stelle. Non c’erano i rumori del mercato o l’insensato vociare della folla, ma solo la quiete siderale che si estendeva a perdita d’occhio sopra di lui. Amava osservare il cielo e domandarsi chi sarebbe stato il prossimo a proteggerlo, quella notte più che mai. Tracciò con le pupille i contorni e lo zigzagare delle costellazioni, riconoscendole una dopo l’altra: il Leone, i Gemelli, il Gran Carro con Polaris - Kemizeqati lo aveva abbandonato almeno tre passaggi prima…
A dire il vero ne mancava una.
No, eccola.
Il giovane sospirò, senza distaccare lo sguardo dalla volta celeste.
« Stavo pensando proprio a te, Antares… ». Con un passo inudibile, lo Jabberwock raggiunse il proprio padrone, sedendosi accanto a lui sul tetto ancora tiepido del calore che il giorno aveva portato con sé. A quella vicinanza con lo Jabberwock, Kemizeqati sentì il Cuore del Marauder – installato al centro del petto – irradiare un piacevole calore e una tenue luce ambrata da sotto i vestiti leggeri.
Lo Jabberwock si sfilò la scimitarra dalla cinta, prima di guardarlo e dedicargli così tutta la sua attenzione. Gli occhi castani del protettore si velarono di un alone di nostalgia nel vedere il proprio padrone così cresciuto. Quando era riuscito a trovarlo, Kemizeqati non aveva che tre anni, ma nelle iridi possedeva già tutta la saggezza e i ricordi dei millenni addietro già vissuti.
« Spero che pensassi qualcosa di bello… ». Il Marauder rise piano, solo un mormorio soffice prima di fissare Antares con gli occhi all’apparenza sull’orlo del pianto: ci aveva impiegato circa dieci anni per convincere lo Jabberwock a dargli del “tu”, poiché alla fine non c’era alcuna legge che l’obbligava a quella formale riverenza. Ma lo Jabberwock era servile per natura nei confronti del Marauder e nulla nell’universo avrebbe cambiato quel fatto. Kemizeqati sorrise soddisfatto di ciò.
« Pensavo al fatto che questi saranno gli ultimi minuti che passeremo insieme… ». Antares non rispose; gli era rimasto accanto per ogni istante di quella vita, sin da quel momento in cui l’aveva trovato che vagava in un’anonima città durante il giorno di mercato. Lo aveva osservato crescere, standogli costantemente alle spalle per poterlo controllare e proteggere. Lo aveva visto splendere come un sole e lo aveva sostenuto nei momenti bui, in cui era più fragile. Kemizeqati era stato come un figlio per lui e, col tempo, un amico fidato. Lo Jabberwock sentì un groppo alla gola nel ricordare che in pochi minuti al massimo tutti i ricordi che aveva conservato dell’altro sarebbero spariti, dissolti come il vento o la polvere. Antares chiuse gli occhi, facendo un profondo respiro.
« È così che deve andare ». Quelle parole marcarono una sentenza assoluta: quello era il modo in cui funzionava l’universo e non poteva accadere diversamente, per quanto potesse essere miserabile e doloroso.
Il Marauder annuì, abbassando lo sguardo. Rimasero in silenzio per alcuni minuti, ascoltando il fruscio del vento che non li aveva mai lasciati soli, insieme alle stelle che in qualche modo apparivano più vicine in quel momento.
« Antares … mi ripeti qual è il ruolo del Marauder? ».
A quella domanda, lo Jabberwock spalancò gli occhi, voltandosi incerto verso il proprio padrone. Lo sguardo di Kemizeqati era serio, ma comunque in trepidante attesa di una risposta concreta ed esaustiva. Dopo alcuni secondi di spaesamento, Antares sorrise conciliante: probabilmente il Marauder aveva bisogno di un promemoria per ricordare il motivo per cui portare avanti quell’ingrato compito che gli spettava, un dovere assurdamente immenso per un corpo esile e piccolo come il suo.
Lo Jabberwock si strinse nelle spalle, ignorando gli sbuffi di vento freddo che quel deserto portava con sé.
« Il Marauder è il portatore de “il Cuore del Marauder”, l’asse ordinatore dell’universo. Con la sua sola presenza in un determinato universo, ristabilisce gli equilibri cosmici. Il suo compito è della durata di diciotto anni… ». Quelle parole gli uscirono naturali dalla bocca; era una lezione insita nella sua mente dai tempi più remoti, uno dei pochi lasciti che gli era concesso di ricordare per l’eternità.
Kemizeqati lo guardò ancora, sporgendosi un poco verso di lui: la risposta non era ancora completa. Antares fece un altro profondo respiro, tornando a osservare le stelle: da lì a pochi minuti avrebbe ripreso il proprio posto in cielo.
« A ogni cambio spaziale il Marauder rinasce su un diverso pianeta, ma il cuore del Marauder gli conferisce la possibilità di conservare la memoria di tutte le vite e gli universi precedentemente vissuti, in modo che la giovane età non risulti un ostacolo per compiere il proprio dovere. Allo scadere dei diciotto anni di vita, il Marauder abbandona l’universo in cui esiste, scomparendo nel vortice dello Zenit. » e nel dire ciò, Antares puntò il proprio sguardo nel punto esatto sopra la propria testa, là dove il cielo era nero come il petrolio. Le varie costellazioni visibili sembravano allontanarsi l’una dall’altra per far posto a uno spazio assolutamente oscuro: il passaggio per il vortice dello Zenit era quasi pronto per il trasferimento.
« Quando il Marauder se ne andrà da questo universo, ogni persona o essere che abbia mai avuto memoria di lui dimenticherà improvvisamente della sua esistenza, come se fosse stato unicamente un passante incontrato in una strada affollata: si ha incrociato lo sguardo con lui per solo un secondo e l’istante dopo non se ne conserva più il ricordo. È così che deve essere ed è così che sarà sempre. » concluse grave, abbassando gli occhi sulla tiepida pietra ocra del tetto, grigia in quel momento a causa dell’oscurità dilagante.
Percepì il movimento di Kemizeqati accanto a sé, avvertì la morbida consistenza della stoffa accostarsi alla pelle nuda del proprio braccio. Sentì la presenza del Marauder accanto a sé e già immaginava i suoi occhi grigi guardarlo tanto da vicino da poter vedere le minuscole imprecisioni del viso. Da quella distanza il suo padrone avrebbe potuto notare le minuscole cicatrici, l’accenno di barba scura tagliata da poco, le iridi nere colme di sogni e saggezza.
Ma gli occhi di Kemizeqati sarebbero stati ancora più pieni di sapienza, di quell’esperienza di mondi lontani e vite compiute di cui avrebbe portato con sé il ricordo, finché non sarebbe scomparsa per sempre l’idea di “tutto”; non bastava la sparizione di un universo per mettere fine all’esistenza del Marauder: c’era bisogno del completo annullamento di quel qualcosa che andava ben oltre la limitata comprensione di tutti gli esseri che abitavano ogni cosmo possibile.
« Anche tu ti dimenticherai di me, vero, Antares? ».
Lo Jabberwock annuì lentamente: « È così che deve essere ed è così che sarà sempre ». Si poteva gridare l’ingiustizia per tutta l’eternità, ma c’erano leggi a cui nemmeno l’asse ordinatore degli universi avrebbe potuto trasgredire. Antares guardò finalmente negli occhi il Marauder, così vicino a lui come lo aveva creduto. I suoi occhi grigi brillavano più delle stelle.
La sabbia della clessidra era per metà in un bulbo e per metà in un altro: ancora quindici minuti – forse meno – prima che Kemizeqati sparisse per sempre. L’avrebbe ritrovato, in realtà, nel nuovo universo, ma non avrebbe mai conservato alcun ricordo di lui, condannato a rincontrarlo sempre come se fosse la prima volta.
« Antares … mi ripeti qual è il ruolo dello Jabberwock? ». A volte il Marauder, con poche parole, sembrava poter esprimere un candore indicibile.
« Lo Jabberwock è l’anima astrale. » disse, alzando ancora gli occhi al cielo. Il vortice dello Zenit si sarebbe aperto da un momento all’altro.
« Esso prende forma dalle stelle non appena il Marauder giunge in un nuovo universo e riesce a percepirne la presenza, in modo da poterlo ritrovare il prima possibile. Conserva l’esperienza delle stelle dell’universo, ma non potrà mai ricordare quanto avvenuto nelle vite precedenti, in modo che nessun ripensamento intralci la sua missione… ». Kemizeqati spostò il peso da una parte all’altra del corpo, stringendosi di più nella sua coperta: probabilmente era stato raggiunto da un altro brivido di freddo.
« E qual è la sua missione? »
« Proteggere il Marauder da chiunque a qualunque costo. Ed eseguire ogni suo ordine, indipendentemente da ciò che gli è stato comandato. È così che deve essere ed è così che sarà sempre. »
« Perfetto. » sospirò l’altro « Allora ucciditi ».
Antares trattenne il respiro, voltandosi di scatto verso il proprio padrone, sicuro di non aver capito le sue ultime parole. Ciò che vide lo terrorizzò: lo sguardo di Kemizeqati, prima dolce e ingenuo, era gelido come il ghiaccio; il suo sorriso – di solito una curva gentile – era diventato un ghigno malefico colmo di cattiveria. Nei tratti del suo volto non c’era nulla che potesse ricordare quel portamento candido che lo aveva sempre caratterizzato; il viso del Marauder pareva deformato da quel sogghigno diabolico, come se con quelle zanne ferine stesse promettendo unicamente di strappargli la carne dalla gola.
« Co … cosa? Ho … fatto qualcosa di male? Vi ho scontentato in qualche modo? ». Lo Jabberwock scattò in piedi, tenendo stretta la propria scimitarra, nemmeno rendendosi conto di essere tornato ad usare il “voi” per rivolgersi al proprio padrone, dopo anni che aveva perso quell’abitudine. Antares era solo esterrefatto per ciò che il Marauder gli aveva ordinato.
Questi scosse le spalle con fare annoiato, alzandosi in piedi anche lui, ma continuando a tenere la coperta sulle spalle. « Affatto! In questi quindici anni hai fatto un lavoro a dir poco esemplare. Però, ora esegui gli ordini, avanti. » lo esortò con un casuale movimento delle mani, mentre lo Jabberwock ancora non smetteva di fissarlo con la bocca spalancata, nel vano tentativo di comprendere la motivazione.
« Perché? ».
Kemizeqati scrollò le spalle di nuovo, ricambiando il suo sguardo con assoluta tranquillità: « Perché è divertente! ».
Antares sentì il vuoto farsi strada nel suo petto, come se all’improvviso avesse perso tutta l’aria che aveva nei polmoni. Sentiva un gran bisogno di riprendere fiato, ma non riusciva a coordinare quell’ordine spontaneo con le azioni: la sua mente si era ingarbugliata nel seguire la trama  di quegli ultimi istanti, cercando un filo logico che non c’era.
« Come? ». Kemizeqati spostò il peso da un piede all’altro, cominciando poi una lenta marcia sul tetto, avanti e indietro, come se cercasse qualcosa da fare nel frattempo in cui spiegava il motivo di tale, ultimo ordine.
Il cielo si stava facendo sempre più buio.
« Io sono il Marauder. La mia sola esistenza in un universo ne equilibra i sistemi. » rispose con calma, fermandosi all’improvviso e voltandosi verso lo Jabberwock. Quella lunga stoffa sulla schiena faceva somigliare Kemizeqati a una qualche sorta di grande sovrano, fasciato in un mantello regale. Un re spietato.
« La mia stessa vita deve proseguire in equilibrio, senza alcun tipo di eccessi, altrimenti io in persona potrei causare dei danni al bilanciamento cosmico … e questo sarebbe un gran problema… ».
Il Marauder riprese il proprio incedere, non degnando più di alcuna attenzione lo Jabberwock che, istintivamente, portò la mano all’impugnatura della propria spada. Il ferro celeste dell’arma parve sfrigolare sotto una presa così ferrea.
« Una vita simile, ripetuta all’infinito, è quanto di più noioso ci sia. Ma, in effetti, un divertimento mi è stato concesso… » e con un gesto plateale, Kemizeqati indicò con entrambe le mani Antares e sorrise estasiato « Sei tu, Jabberwock! Tu non sei un essere limitato e fragile come quelli che popolano questi mondi, la tua anima è trascendentale come me! Per tua natura sei obbligato a eseguire tutti i miei comandi e io posso ordinarti di tutto! Ed è tremendamente divertente vedere come non puoi tirarti indietro in alcun modo! ».
Le gambe di Antares cedettero e lo Jabberwock si ritrovò inginocchiato e inerme sotto il peso di quelle parole. Quelle frasi non potevano essere state pronunciate da quel bambino che aveva visto crescere finché non era diventato un giovane uomo; che aveva visto dare monete ai poveri e accudire gli ammalati; che gli aveva sempre rivolto parole gentili. Sentiva le lacrime premere agli angoli degli occhi, speranzose di uscire e dare sfogo a quella frustrazione, a quella rabbia, a quell’incredulità che sentiva.
« Chi sei tu? Che ne è del Marauder? ».
« Immagino che ti farà male al cuore sapere che è sempre stato questo, il tuo meraviglioso protetto Marauder … in ogni caso, sbaglio o ti avevo dato un ordine? » non c’era altro che un freddo distacco nelle sue parole, mescolato a quell’acida punta di derisione che si poteva intravedere anche nei suoi gesti e nei suoi occhi. Antares non riusciva nemmeno a guardarlo, non era in grado di associare tale comportamento a quel corpo così esile e fragile che aveva il dovere di proteggere, che aveva imparato ad amare.
Poco distante, la sabbia nella clessidra stava ancora cadendo oltre il foro nel vetro. Mancavano poco meno di dieci minuti.
Lo Jabberwock serrò la mandibola, come un cane rabbioso, stringendo i pugni e sibilando, colto da un’improvvisa ondata d’ira che lo aveva travolto come una tempesta di sabbia nel deserto. La sua voce fu il sibilo di un rettile: « Quante..? ». Kemizeqati si avvicinò con uno sguardo perplesso: « Come, scusa? ».
Antares scattò in piedi, sfoderando la scimitarra con un rapido movimento e puntandola dritta contro il Cuore del Marauder. La luce di questo si fece più sfavillante e insistente.
Gli occhi dello Jabberwock erano due orbite vuote, nere come il cielo sopra di loro, la sua voce profonda e distorta, quasi demoniaca, urlò: « Quante volte hai dato questo ordine allo Jabberwock?! ».
Kemizeqati non si fece impressionare da quel grido, né dalla minaccia della lama a pochi centimetri dal suo corpo; semplicemente alzò le mani come un gesto di resa, per nulla sentito, facendo un nuovo ghigno beffardo.
« Quante? Tu sei il duecentosedicesimo, Antares. E la cosa bella è che posso continuare all’infinito, perché ogni volta l’anima dello Jabberwock dimentica cosa è avvenuto nell’universo precedente! La prossima volta continuerai a proteggermi perché non ricorderai nulla di quanto è avvenuto su questo tetto! ». Il Marauder rise. Una risata sguaiata e diabolica, imperniata di quel sadico divertimento che stava portando avanti sotto lo sguardo sempre più agghiacciato, rassegnato e deluso del protettore.
Il Marauder fece un profondo respiro, dopo la crisi di risate. « Quando sei stato Altair, ti sei suicidato lanciandoti da una torre; da Rotanev ti sei legato un masso al piede e ti sei gettato in un fiume … E Regulus! Ti ho torturato per ore! Stavo scoppiando dal ridere quando ti ho incontrato nell’universo successivo come Deneb e ti ho visto così servizie- ». Kemizeqati batté la testa quando Antares si gettò contro di lui; il cranio batté contro la pietrosa consistenza del tetto. Il Marauder strinse gli occhi per il dolore, cercando di respirare per far tornare ossigeno al cervello, ma le mani callose dello Jabberwock si strinsero attorno al suo tenero collo. Gli occhi di Antares erano ancora due profondi pozzi neri, la sclera coperta da quello strato color carbone pieno di odio e rabbia. Digrignò i denti, mostrando anche lui quelle fauci sul punto di sbranare la preda sotto di sé. Serrò di più le dita, avvertendo il respiro di Kemizeqati spezzarsi con un rantolo, vedendo le sue pupille restringersi, la sua bocca sorridere.
Sorridere.
« Avanti, spezzami il collo, cosa aspetti? Non cerco altro… ». La sua voce melliflua era piena di scherno anche a un passo dalla morte … a un passo dalla morte?
No…
Antares aumentò la stretta, alcuni ossicini parvero scricchiolare, ma c’era qualcosa che gli impediva di portare a termine quell’improvvisata vendetta. Sentiva le braccia intorpidite, le dita non rispondevano ai suoi comandi e la forza esercitata dalle sue mani contro la trachea del Marauder non era nemmeno la metà di quella che aveva davvero volontà di usare. Tentò ancora di imprimere la propria energia contro quel collo così esile che sarebbe dovuto andare in frantumi con nulla.
Kemizeqati non smetteva di sorridere.
« Ti ho sottovalutato, Antares. Probabilmente la costellazione dello Scorpione ha più forza di carattere di molte altre che ti hanno portato semplicemente a eseguire gli ordini che ti ho dato … in ogni caso, non mi ucciderai… ». A quelle parole, lo Jabberwock tentò di stringere ancora di più le dita, mentre lacrime di frustrazione scendevano dagli angoli dei suoi occhi. Dalla bocca digrignata per lo sforzo iniziavano a fuoriuscire goccioline di saliva, mentre i denti contratti erano sul punto di frantumarsi come ceramica.
Lontano più in alto, lo squarcio di cielo dal quale tutte le stelle si erano allontanate cominciò a fratturarsi. Striature biancastre e luminose nacquero dal nulla, percorrendo la cupola di buio assoluto come lampi che venavano le nubi gonfie di temporale.
La sabbia della clessidra era quasi completamente passata dall’altra parte. Lo scivolare di quei granelli era ipnotico. Kemizeqati non smise di sorridere, scrutando la volta celeste oltre il volto iracondo dello Jabberwock.
« Sai, Antares? Anche quando eri Polaris avevi quasi tentato di uccidermi: mi avevi puntato il tuo moschetto alla testa… » riprese a raccontare vago, guardando verso lo Jabberwock, ma non vedendolo davvero, concentrato piuttosto sul cielo dietro di lui « Ma non mi hai ucciso. Anzi, ti sei poi messo la canna del fucile in bocca e hai premuto il grilletto. Non ho dubbi che anche stavolta accadrà qualcosa di simile… » affermò sicuro il Marauder, degnando finalmente di attenzione quegli occhi vuoti, regalandogli un nuovo ghigno beffardo.
« È tutto da vedere… ».
« Fa’ come credi. » ribatté pronto Kemizeqati, chiudendo gli occhi e lasciando carta bianca alle azioni dello Jabberwock.
Antares lo odiò. Lo odiò come mai avrebbe creduto di fare. Sentì i propri canini spezzarsi sotto la pressione della mascella, mentre tentava ancora con tutte le forze di strangolarlo, di fargli patire ogni atrocità che l’altro gli aveva raccontato compiere su di lui. Sentiva la gola secca per lo sforzo e l’incredulità, mentre le lacrime non smettevano di scendere lungo i suoi zigomi e cadere sulla stoffa della coperta che il Marauder indossava ancora. Le dita si flessero contro la carne, sotto i polpastrelli avvertiva la rotonda consistenza delle vertebre sotto il cranio. Strinse di nuovo, ma i muscoli delle braccia parvero cedere, il fiato si fece più pesante e rumoroso mentre entrava e usciva dalla sua bocca. Portò tutto il proprio peso sopra le braccia, nella speranza di far collassare per la pressione sia trachea che laringe; nella speranza di sentire il fiato abbandonare il corpo dell’asse ordinatore dell’universo. Nemmeno gli importava del danno che la morte del Marauder avrebbe comportato, non dopo quanto gli aveva riferito.
Aveva giocato con lui. Per quindici lunghi anni lo aveva preso in giro, lo aveva ingannato con quel candore e quella leggerezza del tutto falsi, solo per dargli alla fine quell’ordine insensato, dettato da un sadico e malato divertimento. Aveva deriso con noncuranza uno degli esseri più fedeli e devoti dell’universo.
Strinse ancora di più, sentendo il suo respiro farsi più spezzato.
I muscoli del collo parvero farsi più molli e malleabili sotto le callose dita dello Jabberwock.
Le striature del cielo si fecero più grandi. Non importava: il Marauder non avrebbe visto il prossimo universo…
Kemizeqati spalancò gli occhi quando sentì le mani di Antares abbandonare il proprio collo e il suo corpo spostarsi di lato.
Il protettore gridò di frustrazione quando si rese conto che non sarebbe mai stato in grado di uccidere colui che aveva il compito proteggere da chiunque, anche da se stesso se necessario. Urlò per quella sua natura immutabile di cui il Marauder si faceva beffa ogni volta; di cui in quello stesso momento stava ridendo, sebbene ancora steso a terra e con il fiato mozzato.
La sabbia della clessidra era colata del tutto.
Antares urlò ancora, brandendo la spada e lanciandosi contro Kemizeqati che si stava rimettendo in piedi, senza smettere di ridere. La lama della scimitarra si fermò a pochi centimetri dal suo volto, incapace di portare a termine l’omicidio. Gli occhi dello Jabberwock erano lo specchio stesso dell’odio, della rabbia, della disperazione.
Il Marauder lo derise con lo sguardo prima di alzare gli occhi al cielo, là dove il vortice dello Zenit si era ormai creato. La mano sinistra dell’asse ordinatore dell’universo si dissolse come bruma all’alba, diventando minuscole particelle di luce che salirono verso il passaggio universale.
« Capisci adesso perché è divertente, Antares? Perché questa è la tua natura… È così che deve essere ed è così che sarà sempre ». Lo Jabberwock gridò ancora, con tutto il fiato che aveva in corpo, fino a sentire la gola scorticarsi per quanto forte aveva lanciato quell’urlo che voleva unicamente una vendetta che non avrebbe mai avuto. I suoi polmoni si contraevano e si rilassavano sfiniti per tutta l’umiliazione che sentiva il bisogno di esternare.
La mano destra, la gamba sinistra, il cuore del Marauder di Kemizeqati si dissolsero in luce.
« Ci vediamo, Jabberwock. E non dimenticare che ti ho dato un ordine! A presto! » lo salutò con malefico entusiasmo, diretto verso il cuore di un altro universo.
Antares lo insultò, lo maledì invano. Nulla in quell’universo era superiore alla volontà del Marauder. Nulla gli avrebbe fatto scontare quei peccati immondi, nulla gli avrebbe fatto pagare di aver abusato della missione della pura anima astrale.
Pianse, ormai rimasto solo, mentre la luce del Marauder veniva risucchiata in un altro universo.
Le lacrime crollarono sulla pelle delle gambe e sul tetto. Si morse le labbra con i denti spezzati, sentendo il sangue sgorgare dalla bocca. Piangeva mentre cercava di impedirsi di stringere le dita intorno all’elsa della spada come prima aveva fatto con il collo del suo padrone. Il ferro celeste era freddo nelle sue mani bollenti. La spada sferragliò come la catena di un carcerato, come le manette di un condannato a morte. Era il proprio stesso boia. Non seppe impedirselo.
Obbedire agli ordini del Marauder, qualunque essi fossero; era quella la sua natura.
Mai prima di allora aveva odiato tanto se stesso.
Anche contro il proprio ventre il ferro celeste era freddo.
 
Lontano più in alto, sul confine tra un universo e l’altro, il Marauder abbassò lo sguardo sul tetto che aveva abbandonato solo pochi secondi prima. La visione dello Jabberwock piegato su se stesso, accartocciato agonizzante contro la propria stessa lama, lo fece sorridere.
 
 
 
 
La folla camminava in tutte le direzioni, troppo impegnata a seguire il filo logico delle proprie preoccupazioni per accorgersi del bambino di due anni che passeggiava da solo. Magari qualche donna, se lo avesse notato, si sarebbe chinata su di lui chiedendogli apprensiva dove fossero la mamma e il papà. Ma nessuno era abbastanza attento per notare quel bimbo che da sotto i vestiti leggeri irradiava un tenue calore e una luce ambrata a stento percepibile. Solo una ragazza lo vide, ma era normale: lo stava cercando. Il Marauder fu preso alla sprovvista e l’unica cosa che riuscì a vedere all’inizio fu solo quella cascata di boccoli neri cadere quasi a terra quando la giovane si inginocchiò di fronte a lui, senza osare alzare lo sguardo dalla punta dei propri piedi.
« Il mio nome è Aldebaran, di Taurus. Il mio compito è proteggere il Marauder da chiunque a qualunque costo. Ed eseguire ogni suo ordine, indipendentemente da ciò che gli è stato comandato ».
Una lezione imparata a memoria da ripetere e tenere a mente per l’eternità, una gestualità che mostrava l’assoluta riverenza verso il proprio padrone e i propri compiti.
Con gli occhi puntati al terreno, con il brusio delle persone accanto a loro che li osservavano straniti e sconcertati, lo Jabberwock non poté notare il sorriso gelido e maligno che si era dipinto sulla bocca del bambino di fronte a lei. Era uno spettacolo grottesco, così assurdo e impossibile da immaginare.
Fu solo per un istante.
« Alza gli occhi, Aldebaran di Taurus. Il mio nome è Kemizeqati … e non è necessaria tutta questa formalità! » disse candidamente il Marauder con un sorriso. La ragazza sollevò gli occhi, sbattendo un paio di volte le lunghe ciglia, sorpresa da tanta leggerezza. Accennò un sorriso di fronte a quella tranquillità.
« Se lo ordinate voi, Marauder… » tentennò, osando alzarsi dalla genuflessione.
« Ho detto basta con la formalità e dammi del tu! Ho solo due anni, è strano! » esclamò il Marauder ridendo, prendendo per mano lo Jabberwock come fosse stata sua sorella maggiore. Aldebaran si sorprese, ma strinse comunque quei ditini paffuti.
Kemizeqati sorrise: valeva la pena mentire tutti quegli anni per il gran finale.
   
 
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