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Autore: tatagma_    20/01/2018    3 recensioni
Park Jimin lavora come cameriere in uno dei ristoranti più ambiti di tutta Seoul. La sua è una vita stabile, circondata da amici, divertimento ed un grande sogno nel cassetto: quello di diventare un ballerino professionista. Tutto cambia quando incontra Jeon Jungkook, figlio di un importante avvocato, ribelle, trasgressivo e con un forte desiderio di libertà. [Jikook _ accenni Namjin _ surprise!]
Genere: Angst, Fluff, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Jeon Jeongguk/ Jungkook, Jung Hoseok/ J-Hope, Kim Seokjin/ Jin, Park Jimin
Note: Lemon, Lime | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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There for you
 

“Ti ricordi la prima volta in cui ci siamo visti ?” chiese Namjoon a Jin mentre guardavano scorrere veloci i titoli di coda di un film appena visto insieme: una commedia divertente e di poco spessore in cui la protagonista, giovane e di bell’aspetto, trascorreva la sua intera vita a rincorrere per amore il volto di un uomo sognato, per poi ritrovarlo, anni a seguire, attraverso una serie di paradossali ed assurde coincidenze seduto accanto a sé al tavolino di un bar di periferia. Jin era disteso sul divano con la testa poggiata sulla sua spalla, le braccia possenti cinte intorno al suo addome rilassato. “Eravamo all’aeroporto” rispose accennando un sorriso, “Mi chiedesti disperatamente di aiutarti a cercare il numero del tuo gate perché ti eri perso”.

“Non mi ero perso!” precisò Namjoon, “Lo sai che all’Incheon c’è sempre troppa confusione. Le persone urlano, corrono, quasi non riesco a pensare”. 

“Perché non ammetti invece che il tuo senso dell’orientamento non è mai stato dei migliori ?” Jin sollevò il viso per osservare al meglio le labbra piene del suo ragazzo piegarsi in un adorabile broncio, il solito che lui metteva quando fingeva di essere offeso. Namjoon possedeva una bellezza disarmante, a tratti, persino invidiabile: dal fisico asciutto e tonico, i capelli ondulati – ora – di un tenue castano chiaro ad incorniciare i lineamenti del viso perfettamente proporzionato. I suoi occhi erano neri come il buio della notte, di una forma ondulata di cui Jin non riuscì mai a trovarne l’aggettivo perfetto che potesse descrivere appieno la loro lucentezza.

“Va bene, confesso: potrei avere qualche problema ad afferrare le giuste direzioni” assentì “Ma non puoi negare di esserti comportato come un pazzo quel giorno”.

Le mani del maggiore giunsero sul viso a coprirsi gli occhi e le guance rosee di imbarazzo nascente. Jin era sempre stato un ragazzo impulsivo ed avventato, uno che non pensava mai alle conseguenze delle sue azioni, che amava invece sentire il brivido del rischio - e l’adrenalina - rizzargli ad uno ad uno i peli della nuca; se avesse abbassato le palpebre e lasciato trasportare anni addietro, attraverso i cassetti della memoria, Jin riusciva ancora a sentire in lontananza la gracile voce di sua nonna sgridarlo per tutte le volte che da bambino era tornato a casa con delle orribili e sanguinanti sbucciature sulle ginocchia, soltanto perché una vocina nella sua testa gli aveva suggerito che arrampicarsi fino alla cima di quel grosso albero e guardare dall’alto il suo piccolo quartiere illuminarsi all’imbrunire di tante luci colorate, sarebbe stato divertente.

“Sei sempre il solito Seokjin!”

In realtà a Jin, un ragazzo dalla risata fragorosa e tanto contagiosa, poco importava di agire secondo le regole, di seguire il giusto o lo sbagliato, il bianco o il nero. Lui andava laddove portava la curiosità, lungo la strada dettatagli dal cuore, e quando quella volta in aeroporto aveva incrociato - per puro caso - lo sguardo caldo di Namjoon e sentito il suo muscolo palpitante fare nel petto un triplo salto carpiato, Jin riconobbe di essersi spinto al di là dei suoi stessi limiti. Una scelta folle, presa così su due piedi, ma che sapeva non avrebbe mai rimpianto. “Non appena avevi scoperto che il tuo aereo sarebbe partito nel giro di quindici minuti, sei corso via come un fulmine. Ti ho cercato ovunque, guardato negli occhi di tutte le persone che incontravo nella speranza di rivederti. Ho perso un volo per Tokyo solo per sapere il tuo nome”

Namjoon scosse la testa divertito, “Non ci sei riuscito”.

“No, non ce l’ho fatta” sospirò lui, “In un attimo ho perso te, il viaggio in Giappone  e – forse – anche l’occasione della mia vita. Ma poi ci siamo rincontrati dopo due mesi proprio qui, a Seoul, come i due ragazzi nel film. Ti ho guardato a lungo seduto su quella banchina dell’autobus e non sai quanto ho pregato Joon affinché tu mi riconoscessi”.

“Eri completamente diverso da allora. Portavi gli occhiali, e i tuoi capelli erano tinti di biondo. Ho riconosciuto il tuo sguardo Jin, quello non avrei potuto dimenticarlo per niente al mondo. Ti è bastato un cenno, un segnale da parte mia, quando hai visto che ero rimasto paralizzato tanto quanto te, mi hai urlato dall’altro capo della strada “Hey ti va una cioccolata calda ?” Lì ho pensato sul serio ti mancasse qualche rotella”.

“E’ vero, sarò sembrato completamente fuori di testa” rise Jin tra le guance rosse “Ma mi ami anche per questo”

“Soprattutto per questo” rispose Namjoon posandogli un bacio sulle labbra.

Un avvicinarsi di passi familiari provenienti dal corridoio indusse i due hyung a staccarsi e ad accogliere nel salone la figura di un ansioso e fibrillante Jimin, già vestito di tutto punto per l’evidente appuntamento a cui a breve sarebbe dovuto andare. “Avete per caso visto il mio portafogli ?”, chiese guardandosi intorno e tastandosi le tasche dei jeans stretti.

“Lo hai lasciato sulla libreria in camera mia” rispose Jin. Il biondo sparì nuovamente dirigendosi laddove indicato. “Vai a pranzo con il tuo amico di letto ?”

Namjoon storse il naso guardando in viso il maggiore, “Per quale motivo lo chiami in quel modo ?” sussurrò.

“Perché l’ultima volta che l’ho chiamato ‘il suo ragazzo’ mi è arrivato un cuscino sulla faccia” 

“Perché appunto – “ Jimin tornò nel salone con il portafogli stretto in una mano  “–  Jungkook non è il mio ragazzo. Ci stiamo solo frequentando”. 

“Con il tuo normalissimo frequentante – “ iniziò Jin mimando delle virgolette con le dita “ – ci fai due chiacchiere davanti ad una coppa di gelato, non trascorri la notte a casa sua, non ti fai prestare i vestiti e soprattutto non gli prepari i miei splendidi pancakes. Quella si chiama ‘relazione’, luce dei miei occhi”. 

Jimin sospirò, saturo di sentirsi ripetere quella frase da giorni ormai, “Hyung non ho idea di cosa siamo okay ? È tutto così naturale fra noi che non ne abbiamo neanche mai parlato. So solo che usciamo, ci divertiamo, che sto dannatamente bene e --”

“ – e che fate sesso!”

“Sì Jin, facciamo del sesso grandioso e godo pure un mondo se proprio vuoi saperlo!” strepitò lui, voltandogli le spalle per nascondere il viso arrossato e dirigendosi nella camera da letto per recuperare gli ultimi dettagli.

“Sei solo troppo testardo per ammettere che ti sei innamorato!” urlò il maggiore.

“Io non sono innamorato!” rispose Jimin con il medesimo tono.

Seokjin alzò gli occhi al cielo e lo scimmiottò con una smorfia, “No dico, ma lo senti ?” domandò a Namjoon, cercando approvazione ma bloccandosi di colpo quando vide i suoi occhi scrutarli con lo sguardo di chi era pronto a sferrargli un rimprovero. “Che c’è ? Perché mi guardi in quel modo ?”

“Stai facendo la suocera, Hyung —” rispose lui con un sospiro tollerato. “ – di nuovo”. 

“Non provare a darmi della suocera Namjoon, hai capito ?” lo raccomandò puntandogli un dito contro “Sta correndo troppo e ho solo timore che possa farsi male. Chi si prenderà cura di lui se non sono io a farlo ?”

“Non è un bambino Jin, Jimin è adulto e vaccinato e sarà in grado di gestire qualsiasi cosa stia vivendo anche senza il tuo aiuto”

“Voglio solo proteggerlo. E’ speciale e non merita di avere il cuore spezzato” mormorò Seokjin assumendo un’espressione corrucciata.

Jimin avvertì il cuore stringersi nel petto non appena ascoltò di sottecchi le parole tenere e sincere pronunciate dal suo Hyung. I due litigavano in continuazione, giorno dopo giorno il biondo era sempre soggetto ai suoi tanti rimproveri, ma con quel suo modo di fare Jin non perdeva mai attimo per ricordargli quanto invece fosse importante per lui la sua persona. Jimin non l’aveva mai ringraziato, per mancata occasione o forse soltanto perché l’imbarazzo gli aveva impedito ogni volta di formulare quella magica parola, ma sapeva che - a sua insaputa - Jin gli aveva salvato la vita. Era apparso, così come fanno gli angeli custodi, in un periodo in cui nella vita di Jimin non esisteva altro colore se non il grigio. Jin, con i suoi modi di fare tutt’altro che tranquilla e sobri, aveva portato in quell’appartamento un intero arcobaleno, facendo riscoprire - pian piano - al minore tutte le innumerevoli sfumature del mondo. 

Jimin si allacciò così le scarpe, infilò il giubbotto ed, una volta tornato nel salone, si avvicinò al divano posando un bacio sulla fronte del suo hyung, “Ti voglio bene Jinnie, ci vediamo più tardi”.

“Ti voglio bene, Jimin-ah !” gridò Seokjin prima che lui potesse chiudere la porta.

Il biondo trotterellò giù per le scale avvertendo solo allora, scalino dopo scalino, lo stomaco in subbuglio e la tensione crescergli dentro in maniera esponenziale. Non avrebbe mai fatto abitudine a quell’incredibile sbigottimento che violento anticipava le ore a seguire: l’adrenalina che scorreva rapida nelle vene, una morsa d’acciaio serrata forte nel suo addome. Jimin aveva perso il conto di quanti baci si erano scambiati lui e Jungkook, in pubblico, di soppiatto, rubati, sfiorati; di quante volte aveva desiderato morire sulle sue labbra, di dormirci insieme abbracciato e inspirare a fondo il profumo naturale della sua pelle. Il pensiero di rivederlo, di guardare il suo sorriso rivolto, lo destabilizzava ogni volta in maniera sempre maggiore. Jimin non aveva mentito a Jin raccontagli una bugia bella e buona. Quello che lo Hyung aveva illustrato era una situazione a lui fin troppo banale, un termine troppo poco specifico e povero per descrivere la tempesta che invece lo scuoteva: perché in realtà Jimin non era semplicemente innamorato di Jeon Jungkook, ma completamente pazzo di lui.

Jungkook lo stava difatti aspettando sul marciapiede opposto, poggiato morbido alla sua auto, le mani sprofondate nelle calde tasche del suo cappotto di cashmere. Non appena lo vide uscire dal portone e scendere quei pochi gradini che li separavano, le sue labbra si piegarono all’insù in un enorme e raggiante sorriso che fece tremare tutt’uno le ginocchia di Jimin. Il giovane avvocato aveva il volto stanco, come di chi non aveva affatto dormito negli ultimi due giorni, un accenno di barba sul suo mento e gli occhi segnati da forti occhiaie violacee. Jimin avvertì quasi il senso di colpa logorarlo vedendolo in quello stato, sapeva che quando aveva casi difficili su cui lavorare Jungkook era capace di trascorrere allerto intere notti bianche, ed avrebbe voluto di gran lunga tornasse a casa per concedersi invece una rigorosa dormita. 

Ma Jungkook era bello, così bello che dinanzi a lui, lo sguardo magnetico e quel sorriso dannato, Jimin perse completamente il dono della parola.

“Ciao splendore” ammiccò lui piegando il capo. 

“Ciao” rispose il biondo arrossendo.

I due restarono impalati a sorridersi scioccamente, scoppiando poi a ridere imbarazzati come se quella fosse in assoluto la loro prima uscita insieme. Jungkook aprì lui la portiera facendolo accomodare nell’abitacolo, raggiungendo poi in maniera opposta il lato del conducente. Non appena entrò, il moro non ebbe tempo di dire nulla che Jimin lo afferrò per il collo della giacca prendendo possesso delle sue labbra e stampandogli sulle curve carnose un bacio affamato. Le mani di Jungkook scivolarono una sui fianchi e l’altra sul suo viso delicato, assecondando famelico i movimenti implacabili della sua bocca. Non avrebbe mai dichiarato resa a quel contatto, stufarsi della sua stessa fonte di dolcezza; baciare qualcuno, prima di allora, non era mai stato così bello ed appagante. Sfiorare le labbra di Jimin era paragonabile ad un’entrata in paradiso. Straordinario. Sconvolgente. Un vortice che lo risucchiava integro ogni volta, al punto tale da renderlo schiavo, dipendente, fino all’ultimo residuo di aria che i suoi polmoni contenevano.

Quando si staccarono, Jungkook sorrise sulle sue labbra ancora schiuse, “Mi sei mancato”

Jimin accarezzò il naso con il suo, “Anche tu, non immagini neanche quanto” rispose piano prima di mollargli un ultimo bacio sulla guancia e sprofondare nel sedile di morbida pelle per allacciare la cintura di sicurezza. “Hai fame ?”

“Da matti” rispose minore portandosi una mano sullo stomaco brontolante, “Sono stufo di mangiare ramen d’asporto tra le pareti del mio ufficio, conosco un locale carino a pochi isolati da qui”

“Ti prego Jungkook, nulla di sfarzoso stavolta!” lo ammonì Jimin ricordando al moro la loro ultima cena insieme, a lume di candela, trascorsa sulla terrazza di un prestigioso grattacielo. 

“Mh …” sorrise lui colpevole “Troppo tardi” infine rispose infilando la chiave della macchina nel quadro di accensione.

Per tutta la durata del tragitto, Jungkook guidò con le dita di una mano intrecciate fra quelle piccole di Jimin, baciandole di tanto in tanto - fermo al semaforo - dal palmo fin sopra le punte arrotondate. Il locale presso cui si recarono era fin troppo raffinato per i gusti del biondo, moderato invece per quelli di Jungkook; dalle pareti rosse e tavoli appartati, grandi vetrate panoramiche incorniciavano armoniose la visione del fiume Han donando luminosità a quell’ambiente decisamente romantico ai loro occhi. Non appena uno dei camerieri li vide all’ingresso, con un cenno di capo d’assenso da parte di Jungkook, i due furono scortati verso una zona riservata che - Jimin capì - il minore aveva già prenotato a suo nome. Il biondo si guardò attorno con lieve disagio, osservando disattento le fotografie incorniciate della città di Kyoto poste sui muri decorati; quel tentativo di sorpresa e tutta quell’eleganza circondarlo, non faceva altro che evidenziare maggiormente - nella sua già poco preoccupata mente - quanto in realtà i loro mondi, il suo e quello di Jungkook, fossero diversi ed equidistanti. Jimin si sentiva come una macchia nera messa in risalto su una tela bianca, e Jungkook al suo opposto quasi avvertì nell’aria la tensione sprigionarvi, allungando una mano accanto sul tavolo per accarezzare con dolcezza il dorso della sua. “Ho esagerato, vero ? Vuoi andare via ?” domandò preoccupato. 

Jimin scosse la testa, “No, è okay” rispose abbozzando un flebile sorriso.

Jungkook afferrò così i menù scritti in elegante calligrafia, consultando insieme al biondo una grande verità di primi piatti. “Ah non mangio il Dakgalbi da anni” mormorò con un ghigno quasi assaporando sulla lingua l’agrodolce gusto  della salsa di soia “Mia nonna lo preparava ogni settimana quando abitavo ancora a Busan, sapeva che fra tutti quello era il mio piatto preferito”

Jimin poggiò una mano sotto al mento, reggendosi il viso ed ascoltando con meraviglia i malinconici ricordi che come fiabe fuoriuscivano raccontati dalla memoria di Jungkook. “Ti manca mai Busan ?” chiese dopo un po’, inarcando la bocca all’insù e portando le guance piene a riempire gli zigomi definiti.

Il moro annuì, “Mi manca la spiaggia di Haeundae. Io e la mia famiglia …” sussurrò inumidendosi le labbra per quella parola, nel suo unitario significato, difficile da pronunciare “… ci andavamo sempre durante l’estate”. 

“Manca anche a me” rispose il maggiore, “Jin adora i dolcetti al limone del chiosco di Jongro!”

“Il tuo coinquilino …” confessò Jungkook tra le risa, “Un po’ mi spaventa, sai ?” 

“Stai scherzando ? Jin è solo molto protettivo, non farebbe del male ad una mosca!”

“Non mi sembrava molto di buon umore quando ti ho riaccompagnato a casa la scorsa notte, mi sono sentito come colto in flagrante dai miei stessi genitori”

“Mi hai letteralmente sbattuto contro la porta d’ingresso Jungkook”

“E avrei fatto anche di più se solo me l’avessi permesso” mormorò il moro con voce roca e fare sensuale, sporgendosi verso di lui per posare un bacio sul suo collo. 

Jimin voltò il viso in sua direzione e approfittò di quel breve e caldo momento per catturare quelle stesse labbra tra le sue, succhiandole con malizia e guardando le pupille degli occhi scuri di Jungkook dilatarsi non appena un principio di contatto fra lingue umide prese possesso. Jimin avvertì indistintamente una mano ruvida poggiarsi sulla sua guancia in fiamme e i denti del moro giocherellare, con piccoli morsi, sulla pienezza del suo labbro inferiore.“Sai che che c’è il bagno lì ? A soli pochi passi…” sussurrò indicando una porta poco lontano le loro spalle.

Il biondo rise imbarazzato,  “E quindi ?” 

“E quindi … potremmo divertirci un po’ nell’attesa che arrivino le nostre portate”

“Offerta allettante, avvocato Jeon, ma non faremo sesso in questo locale” 

“Davvero un peccato, oggi indosso dei pantaloni davvero facili da sfilare” 

“Significa che più tardi mi toccherà scoprirlo” ammiccò il biondo.

“Non vedo l’ora” ribatté Jungkook, avvicinandosi alle labbra di Jimin con un sorriso divertito. Lussuria e malizia erano evidenti nei suoi gesti, sufficienti ad eccitarlo e librare nel suo stomaco ancora vuoto sciami di farfalle sbattenti. Jungkook desiderava averlo lì esattamente come la notte precedente tra le lenzuola calde del suo letto, ed era certo che l’avrebbe desiderato - a piccoli pezzi - ogni giorno sempre di più. Quello seguente e quello dopo ancora. Jimin percepì chiaramente il dolce suono della sua risata e le sue grandi mani poggiarsi ai lati del viso disegnati, sollevandogli il mento ad incontrare nuovamente la fessura rovente delle sue labbra. Il biondo lo baciò ancora, beccandolo a piccoli schiocchi, armonizzando il loro bisogno alla necessaria delicatezza del momento appena creato, tenendogli le dita tra i capelli che pian piano scendevano ad accarezzare la nuca - Jimin sapeva - sensibile. 

Quando l’ambiente attorno a loro si scaldò, percepibile forse dalla sola temperatura bollente raggiunta dai loro corpi, Jungkook insinuò furtivamente una mano al di sotto della maglia di Jimin tastandone la pelle morbida e pallida che tanto avrebbe voluto marchiare di viola con i suoi soli morsi e baci reclamati. Jimin gemette appena, quasi rivalutando la proposta del moro di librare i suoi istinti e gettarsi con lui nel primo bagno disponibile, baciandolo con foga, inseguendo incantato i movimenti famelici della sua bocca e azzerando i pensieri prematuramente interrotti dal richiamo di una voce familiare alle sue spalle.

"Jimin-ah ?" chiamò una voce familiare alle sue spalle, schiarendosi timida e riportando il biondo ad infrangere velocemente quella bolla di sapone, quel piccolo microcosmo, che solo lui e Jungkook erano in grado di costruire. 

Jimin si staccò dalle labbra del moro per voltarsi e guardare al di là della sua schiena il palesarsi di un sorriso enigmatico e seducente su un viso a lui conosciuto, occhi resi profondi da un colorito blu mare del tutto contraffatto. "Taemin Hyung!" esclamò il biondo sorpreso, alzandosi in piedi quasi in imbarazzo per il tempismo del momento poco adatto.

"Ero incerto fossi davvero tu" stuzzicò appena Taemin mostrando sulle labbra piene la migliore delle sue curve. "Ma so che non confonderei questa testa bionda per niente al mondo!"

"Già, vedi che buffa coincidenza" rispose Jimin arrossendo "Sei ... qui per lavoro ?" 

"In realtà no, mia sorella Misun è appena tornata dalla Cina. La mia famiglia ha pensato fosse carino trascorrere una giornata tutti insieme"

"Questa è ... davvero un'ottima idea" 

"Sono contento di averti visto" sorrise Taemin, facendo curioso slalom di sguardi tra Jimin e il ragazzo seduto di compagnia al suo tavolo "A momenti ci incontriamo più al di fuori che fra le pareti delle nostre stesse aule"

"È vero" balbettò il biondo visibilmente in imbarazzo. "I nostri orari in accademia non coincidono quasi mai" 

"Davvero inusuale, mi devi ancora un allenamento Jimin-ah ... e un pranzo"

All'udire di quelle parole, dettate e percepite con una punta di malizia, la voce di Jungkook si schiarì alle loro spalle riuscendo nell'intento finale di catturare indisturbato l'attenzione dei due. Taemin lo guardò in viso, a tratti sfidandolo, dipingendo fra le sopracciglia aggrottate un'espressione di finta sorpresa "Cielo, non mi sono neanche presentato, che maleducato" disse porgendogli una mano "Sono Lee Taemin, il partner di danza di Jimin"

"Jeon" limitò a rispondere il moro. "Jungkook"

"Lui ..." accennò Jimin imbarazzato, non sapendo se quello che stava per dire fosse nel contesto una buona scelta di parole "Lui è ... il mio ragazzo" 

"Oh!" esclamò il giovane ballerino "Oh mi dispiace ... sento ... di esser stato inopportuno magari e aver interrotto il vostro appuntamento, sono desolato, congratulazioni Jimin-ah!" disse Taemin con gentilezza. "Sono davvero felice per te ... per voi"

"Grazie Hyung" disse il biondo fra le guance rosse "Ci vediamo in accademia quanto prima, te lo prometto"  

"Ci conto!" rispose il maggiore voltandosi verso il moro prima di raggiungere il resto della sua famiglia "È stato un piacere conoscerti ... Jungkook" 

"Piacere mio" rispose con un sorriso falso. "Taemin"

Quando Taemin fu fuori dal loro campo visivo, i due si accomodarono al loro tavolo consultando la grossa varietà di piatti che il menù aveva da offrire, ordinando i loro preferiti senza tralasciare le immancabili pietanze che tanto richiamavano i sapori di casa poco prima accennati. Non appena queste arrivarono, Jungkook cercò di mettere il biondo a suo agio, lasciando lo imboccasse fra una risata ed una sciocca presa in giro. Vederlo ridere così apertamente era la cosa più raggiante che il moro avesse mai osservato, più alto del sole a mezzogiorno. Chiunque li avrebbe visti da fuori non sarebbe stato in grado di dire quale strano incantesimo ci fosse tra loro: Jungkook e Jimin erano completamente gli opposti, come la luce e il buio, il bianco e nero, ma fra tutte quelle diversità nessuno aveva sancito che due mondi paralleli non sarebbero potuti coesistere.

"Quindi ..." cominciò Jungkook guardando Jimin con la lingua pronunciata al di sotto della guancia, "Sono ... il tuo ragazzo ?" stuzzicò vincitore. 

Jimin arrossì portandosi le mani a coprire le gote in fiamme, "Smettila Jungkook! Non sapevo cosa dire" 

"Che sono un amico ... forse un collega ..." L'avvocato si sporse ad accarezzargli l'orecchio con le labbra, "Ma sono lieto che tu sia il mio ragazzo, non mi piace che quel tipo flirti con te in modo così sfacciato" 

"Taemin è il mio partner in danza contemporanea, non stava affatto flirtando con me!"

Il cellulare di Jungkook prese così a squillare d'improvviso, il minore lo sfilò dal taschino della giacca controllando chi fosse, rifiutando la chiamata dopo aver abbozzato un'espressione incupita.

"Ti vedo provato", disse Jimin portandosi del cibo alla bocca . 

"Sono solo un po' stanco" rispose lui accennando un sorriso forzato, "Questo mese allo studio è un inferno, sono sommerso di lavoro"

Jungkook stanco si sentiva per davvero, ma non era il lavoro la vera causa del suo malessere bensì un'impacciata testa calda dal nome Taehyung. La mattina dopo quella violenta discussione, il minore si era risvegliato sul letto senza di lui. Aveva setacciato le stanze di quell'enorme appartamento una per una ma nulla trovò se non la vestaglia da notte che il castano indossava la sera prima, gettata alla rinfusa sui cuscini del divano. Jungkook l'aveva presa tra le mani, inspirato a fondo il suo odore inconfondibile di cannella, odiandosi per quanto male gli avesse fatto e per quanto dolore Taehyung avesse provato nel sentirsi dire in faccia nient'altro che l'amara verità.  Jungkook era stato onesto, limpido, sincero con lui ma specialmente con se stesso; riusciva a sentirsi in colpa per tante cose ma non per aver ascolto al suo cuore ed essersi innamorato di un viso angelico che in quel momento aveva davanti a sé. 

Taehyung se n'era andato. Senza un messaggio sul cellulare, quell'adorabile e colorato post-it a forma di cuore che era solito lasciargli sul frigorifero. Jungkook aveva tentato ovunque: dai suoi genitori, a casa di Yoongi, per poi capire che, in realtà, lui non voleva affatto essere cercato. Aveva trascorso le ultime due notti insonne con il cellulare stretto tra le dita e con il continuo terrore che Taehyung, instabile com'era, potesse fare qualcosa di stupido. Alla fine dei conti, il moro aveva deciso di rispettare il suo volere. Lasciò che si prendesse il suo tempo, smise di cercarlo ma non di sperare.

La suoneria basica del suo cellulare trillò nuovamente. Jimin lesse, con un'occhiata fugace sul display illuminato, che a reclamare con così tanta urgenza la sua attenzione non era altro che suo padre. Jungkook sospirò infastidito ed imprecò qualcosa prima di rifiutare la telefonata ancora una volta. Il biondo si schiarì così la voce tentando un approccio in un mar di squali, "Perché non ci parli ?" chiese con discrezione,  "Con tuo padre ... intendo".

Quella domanda lo prese totalmente in contropiede. Jungkook si sollevò su con la schiena, come un gatto quando rizzava il pelo per porsi attento sulla difensiva. "Abbiamo delle divergenze" si limitò a rispondere.

Jimin capì quanto l'argomento fosse scomodo per lui, ma volle provare a smuoverlo, a far sì che trovasse in sé una persona fidata con cui aprirsi. "Dovresti provarci".

"A far cosa ?"

"Ad ascoltarlo, è pur sempre tuo padre Jungkook".

Jungkook strinse la presa intorno alle posate fino a che le nocche non gli diventarono bianche. "Non provare a dirmi cosa devo fare con mio padre, Jimin. Tu non sai niente di me, di noi".

Jimin si sentì così trafitto, abbassando lo sguardo mortificato. "Non volevo, mi dispiace io ..."

"Non dovevi neanche provarci" smorzò lui, "Questi non sono affari che ti riguardano" 

Un muro di ghiaccio si innalzò così tra loro, freddo ed impenetrabile, l'aria attorno divenne improvvisamente tesa. I due finirono di pranzare nel silenzio più totale, evitando ognuno di incrociare lo sguardo dell'altro. Una volta pagato il conto ed usciti fuori, se Jimin cercava ormai quasi in automatico il contatto con la sua mano, quella volta tenne le dita impazienti sepolte nelle tasche del suo giubbotto. Avrebbe preferito che gli facesse una sfuriata, che si arrabbiasse e gettasse fuori tutto il suo disappunto ma Jungkook invece preferì giocare la carta del silenzio, quella che fra tutte lo avrebbe ucciso più lentamente. Il biondo lo guardò con la coda dell'occhio e si morse internamente una guancia maledicendosi per la sua dannata curiosità. 

 "Non riesci mai a stare zitto, stupido Jimin, stupido, stupido".

Camminarono per qualche minuto verso l'unico posto appartato nei dintorni, un piccolo parco nel centro di Seoul, tranquillo, laddove avrebbero potuto parlare con ordine lontano da occhi indiscreti. Jimin si sollevò su di un muretto e catturò Jungkook tra le sue gambe, allacciandogli i fianchi con le ginocchia strette. "Guardami", sussurrò lui.

Jungkook obbedì e lo fissò negli occhi – ora – posti alla sua stessa altezza. Il biondo si sporse in avanti prendendogli il labbro inferiore in un bacio a cui il minore non rispose. Restò impassibile, con la mascella contratta ed un'espressione arcigna dipinta sul volto. Jimin provò di nuovo, stavolta intensificandone la pressione e la bomba che sembrava tanto voler scoppiare tutt'ad un tratto si disinnescò. Jimin lo sentì sciogliersi come miele, la bocca muoversi e danzare vorace con la sua. Le loro labbra divennero una cosa sola e le loro lingue si toccarono, accarezzandosi, un febbrile contatto di cui entrambi avevano un disperato bisogno.

"Che diavolo stiamo facendo ?", mormorò Jungkook ad occhi chiusi, la fronte poggiata sulla sua.

"Litighiamo – ", rispose Jimin baciandolo ancora " – e facciamo pace".

"Non voglio farlo mai più" disse lui. Jungkook giocherellò con le ciocche dei suoi capelli e avanzò un ultimo bacio prima di poggiare il viso sulle sue clavicole e lasciare che Jimin lo abbracciasse stretto, ancora più forte.

"Mi dispiace" mormorò il biondo baciandogli la testa, i capelli del minore che profumavano di ciliegia. "Per essermi spinto oltre ... verso il tuo privato, la tua famiglia ..."

"Tu non c'entri. È tutta colpa mia, non avrei dovuto reagire in quel modo"

"Vorrei solo che tu non mi vedessi come un ulteriore nemico. Voglio esserci per te ... per qualsiasi cosa. Io non vado via Jungkook. Per nessuna ragione al mondo".

Jungkook sprofondò il viso nel suo collo inspirandone a pieno il suo odore "Ho così tanta paura di perderti, Jimin".

"Perché dovresti perdermi ?"

"Perché quando si è felici si ha sempre timore di perdere ciò che ci fa stare bene"

Un abbraccio lungo e silenzioso ricostruì per intero il loro piccolo mondo. Jungkook giurò di non essersi mai sentito protetto ed al sicuro tra le braccia alcune così come allora. Sapeva di non essere capace di arrabbiarsi con quel viso ancora un po' bambino, forse nessuno lo era. Jimin era per lui effetto di acqua gettata sul fuoco, la migliore delle sue cure, ma anche la peggiore da cui ne dipese.

Jimin gli sollevò il mento ad incontrare le sue labbra stavolta in un bacio di pura lussuria e malizia, portando le mani a scivolare sul suo volto, allacciando la lingua alla sua e mordicchiando con i denti la pienezza dell'inferiore. "Voglio fare l'amore con te", sussurrò in un orecchio. All'udire di quelle parole uscire fievoli dalle sue labbra, Jungkook avvertì il suo corpo sospeso a mezz'aria, mancare il respiro come se un pugile gli avesse appena sferrato un pugno nello stomaco. Il moro prese per mano, facendolo scendere dal muretto, e insieme tornarono indietro fino a raggiungere laddove la macchina era parcheggiata. Risalirono, senza parlare per l'intero tragitto, scambiandosi soltanto carezze gentili e sguardi colmi di quella cosa che tutti forse avrebbero chiamato amore.

Non appena arrivarono a casa, Jungkook notò un auto nera con i finestrini altrettanto scuri ferma dinanzi il cancello della sua abitazione. L'avrebbe riconosciuta fra mille e suo padre sapeva che non doveva mai presentarsi a casa sua senza prima avvisare, quella era la prima regola che gli aveva dettato non appena quell'appartamento era stato comprato. Jungkook cercò di interrogarsi sul perché fosse lì e subito ripensò alle telefonate non risposte, stringendo forte le mani al volante ed inspirando nervosamente fra un accenno di panico e di stizza. Jimin guardò il suo corpo tendersi, la sua fronte corrugarsi e subito capì. Gli prese il volto fra le sue piccole e graziose mani e gli impose la calma, respirando piano assieme a lui. "Andrà tutto bene" lo spronò.

Jungkook annuì, prese le chiavi di casa dalla tasca posteriore dei pantaloni e gliele porse, "Aspettami dentro, non ci metterò molto". Prima che potesse andare però Jimin lo baciò con estrema passione, un piccolo assaggio di quello che sarebbe accaduto dopo tra loro. Jungkook scese dalla sua macchina ed avvicinò l'auto di suo padre battendo un dito contro il finestrino ed aspettando che questo si abbassasse.

"Quante volte ti ho detto di non cercarmi qui ?", domandò infastidito.

Suo padre, dall'aspetto sempre così solennemente elegante, lo guardò con pazienza "Non ho avuto altra scelta dal momento che parlare con te è diventato impossibile"

"Che hai da dirmi con così tanta urgenza ?"

"Sali figliolo, è una questione delicata e non voglio parlarne qui fuori"

"Papà non ho alcuna voglia di ascoltare le tue inutili chiacchiere"

"Jungkook, sali" lo implorò. "Non sarei qui se non fosse importante".

Il tono gli sembrò serio e – a tratti – estremamente sincero. Il moro fece il giro della vettura e salì dal lato passeggero, venendo investito subito, non appena entrato, dall'odore acre dei suoi sigari preferiti. Suo padre lo guardò di profilo, il naso leggermente pronunciato, le labbra sottili come l'orizzonte distese ora in un'espressione nervosa. "Somigli sempre più a tua madre, ogni giorno che passa. Hai i suoi stessi occhi".

"E la tua stessa sfrontatezza"

"Quello è il marchio Jeon" rise lui "Sei stato così fin da piccolo: impertinente, audace e sempre con la risposta pronta".

"Non cercare di addolcirmi, lo so che stai per darmi una delle tue belle notizie", rispose il minore ponendosi una mano sulla fronte. "Non sono più un ragazzino, papà"

"No, hai ragione, non lo sei più ... sei un uomo adesso" disse suo padre con un velo di malinconia "Ti abbiamo sempre caricato di mille responsabilità, io e tua madre. La scuola, l'università, adesso il lavoro"

"Non che avessi scelta"

"Non che lo sapessimo" controbatté , "Non ci hai mai reso partecipe dei tuoi progetti. Abbiamo sempre creduto tu volessi soltanto il meglio per te stesso".

"Il meglio per voi", sottolineò con una punta di acidità sulla lingua "Un figlio avvocato era il tuo sogno, non il mio. E se proprio ti va di andare indietro di ricordi papà, non mi pare tu mi abbia dato molte alternative".

"Sto solo cercando di dirti che sei ancora in tempo per cambiare direzione, Jungkook, crearti una vita da capo"

Quell'affermazione, suonata in modo così ambiguo, fece scattare in Jungkook una scintilla. "Vai al dunque", disse deciso "Dimmi che diavolo sta succedendo"

L'uomo sospirò forte, ponendo lo sguardo fisso in quello specchio di iridi nere "Io e tua madre abbiamo iniziato l'iter per la separazione".

Quelle parole risuonarono nell'aria come i rintocchi di una campana. Jungkook si prese un attimo per elaborare quanto suo padre aveva detto, scoppiando poi a ridere isterico, "Lo sapevo ..."

"Ne abbiamo parlato a lungo prima di farlo Jungkook, voglio solo che tu capisca che è stata una scelta di entrambi, presa con la totale serenità. Non c'è assolutamente astio fra di noi".

"Perché ?" domandò infuriato "Perché adesso ?"

"Ci siamo ... soltanto resi conto che i nostri sentimenti non erano più gli stessi già da molto tempo"

"Smettila di raccontarmi stronzate e abbi il coraggio di dirmi la verità" il breve e folle delirio di Jungkook si trasformò presto in rabbia funesta, "Ti ho visto papà ..." tremò "Nove anni fa ... ero venuto a cercarti al lavoro per farti vedere il trofeo che la mia squadra di baseball aveva appena vinto e ti ho visto ... ti ho visto tradire la mamma, ti ho visto mentre baciavi ..." un groppo di disprezzo gli si formò in gola, " ... quell'uomo".

Suo padre trascorse nervoso una mano fra i capelli, "Jungkook io non credevo che – "

" Cosa ? Che lo sapessi ?" domandò cupo. "Altrimenti che avresti fatto ? Me l'avresti detto ?". Dinanzi al suo silenzio, Jungkook rise "Certo che no, che stupido".

"Se non l'ho fatto, era soltanto per il tuo bene"

"IO l'ho fatto per il tuo bene papà!" urlò puntandosi un dito contro il petto "Ti ho protetto per tutta la vita! Ho mentito alla mamma per tutto questo tempo, ti ho controllato, coperto le spalle, ho fatto sì che i giornali non parlassero mai di te!"

"Non sarei dovuto essere il tuo sporco segreto Jungkook, avresti potuto parlarmene"

"Per sentirmi dire cosa ?" dichiarò "Altre bugie ? Non le avrei rette. Sono stato solo egoista nello sperare che la nostra famiglia potesse tornare ad essere unita"

"La nostra famiglia è unita, Jungkook", l'uomo gli prese le mani, un contatto duro, caritatevole a cui il moro non si ritrasse "Non immagini neanche quanto noi Jeon siamo forti insieme, nonostante tutto. Tua madre è stata l'amore della mia vita, mi ha dato te, e sarà sempre la mia più grande amica".

Jungkook tirò su col naso "La cosa che odio di più sai qual è ? Che tu dici che somiglio tanto a lei ma in realtà sono esattamente il tuo riflesso, sono esattamente come te, tutto ciò che quel giorno giurai di non diventare mai!"

"Sono disposto a prendermi le colpe di tutti i tuoi sfoghi, di tutte le tue azioni. Ma non puoi incolparmi per esserti scoperto, figliolo, per esserti innamorato. Perché ti sei nascosto? Perché non me l'hai detto ?"

"Perché hai sempre cercato in me la perfezione, desideravi che seguissi i tuoi passi, che portassi avanti la famiglia ... Non volevo deluderti".

"Non mi importa nulla del cognome Jungkook", disse lui "Voglio solo che tu volti pagina, come abbiamo fatto io e tua madre, che vivi la vita come e con chi preferisci".

Jungkook annuì, lasciando che una lacrima unica e piena gli solcasse la guancia. Se avesse saputo che parlare avrebbe – non sistemato – ma chiarito le cose, lo avrebbe fatto anni ed anni addietro. Non l'avrebbe perdonato per averlo tenuto all'oscuro da questioni così delicate, per averlo fatto soffrire e privato della sua spensieratezza bambina, ma si rese però conto che tutto quell'odio che aveva coltivato si era dimostrato pressoché inutile e contro producente. Suo padre non era cambiato di una virgola, era sempre stato quel solito uomo che gli rimboccava le coperte quando tornava da lavoro e che non perdeva mai nessuna delle sue partite; era vigliacco, temerario, ma poteva continuare ad essere il suo eroe anche così, con un'altra persona accanto diversa da sua madre.

"L'ho visto sai ?" chiese l'uomo indicando la casa. "Lui è il tuo ragazzo ?"

Jungkook si lasciò sfuggire un ghigno ed aprì la portiera "Non credere che adesso parlerò di queste cose con te", rispose.

"Figliolo –", suo padre si sporse dall'auto un'ultima volta " – Chiamami se ne hai bisogno".

Lui assentì con un accenno di sorriso sulle labbra e, non appena l'auto fu via dal suo campo visivo, Jungkook corse all'interno della casa, salendo i gradini a due a due ed aprendo la porta con il fiato così breve che avrebbe temuto di poter svenire.

"Jimin ?", lo chiamò a gran voce cercandolo "Jimin-ah ?"

"Sono qui", rispose il biondo alzandosi dal divano del salotto, facendo scendere Maru comodo dalle sue gambe. "Stai bene ?"

Jungkook si avvicinò a lui a grosse falcate, prendendogli violentemente il viso tra le mani. Jimin gli tolse con foga il cappotto facendolo cadere sul pavimento e subito avvertì il contatto fra le sue spalle e la superficie fredda della parete, assecondando le sue voglie e seguendo quelle labbra con tale trasporto nemmeno stesse alimentando in sé un principio d'incendio. 

"Ti amo" sussurrò Jungkook ansimante tra un bacio e l'altro.

Jimin si staccò guardandolo ad occhi sbarrati e bianco in viso, "Che ... che hai detto ?"

Il moro poggiò la fronte sulla sua, "Ho detto ... che ti amo".

   
 
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