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Autore: Son of Jericho    21/01/2018    2 recensioni
Sequel di "How can I know you, if I don't know myself?"
Sono trascorsi due anni da quando il sipario è calato sullo spettacolo alla Hollywood Arts. La vita per i ragazzi sta andando avanti, tante cose sono cambiate, e sta arrivando per tutti il momento di affrontare responsabilità, problemi e sorprese.
E mentre impareranno cosa significa crescere, si troveranno faccia a faccia con il tormento più profondo: i sentimenti.
Genere: Introspettivo, Romantico, Slice of life | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Andre Harris, Beck Oliver, Cat Valentine, Jade West, Tori Vega
Note: Cross-over | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Bade - Cuori tra le fiamme'
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XVII – Corporate Dinner

 

 

- Insomma, che cosa speravi sarebbe successo? –

Un sospiro. Gli occhi di Carly lo stavano scrutando attraverso lo schermo.

- Non lo so. Forse cercavo di recuperare il tempo perduto. –

- Non funziona sempre così. –

- Te lo ripeto, non lo so. Pensavo che… -

- No, tu non hai pensato, è questo il problema. Sei stato impulsivo e, per dirla tutta, anche un po’ stupido. –

Gli sfuggì un triste sorriso. – Già, non sei la prima a farmelo notare. –

- Magari allora sei tu l’unico che non l’ha capito. Ecco perché sono rimasta sorpresa. Non è da te, Freddie. –

C’era aria di rimprovero, nella voce seppur comprensiva della sua migliore amica.

Ma lui non replicò. Inutile negare che avesse ragione.

- Le voglio bene. –

- Lo capisco. -

Il buffering di Skype gli impedì di sentire la frase che seguì. - Come hai detto? –

- Non posso criticarti, non ne ho alcun diritto. Però ci conosciamo da quando eravamo bambini, pensavi davvero che lei fosse cambiata? –

- Sinceramente? No. Era proprio la stessa ragazza, che volevo ritrovare. –

Carly sembrò inseguire un’idea. – Non ci credo che ti sia dimenticato di cosa vi siete detti nell’ascensore, quel giorno. –

Lo sguardo di Freddie si adombrò. – Non l’ho fatto. Ero solo stanco di aspettare che uno di noi diventasse più simile all’altro. Avrebbe potuto trascorrere un’eternità. –

- Tu sei rimasto laggiù. – scosse lentamente il capo. – Eri e sei ancora convinto che tu e Sam siate fatti per stare insieme. –

- Sì. –

- Bene, ma il fatto che tu sia corso da lei non lo rende più reale. Non lo eravate allora, e francamente, non sono sicura che potrete mai esserlo. –

Lui afferrò risentito il mouse. Non sapeva se avercela di più con Carly, con Sam o con se stesso. Forse con tutti e con nessuno.

- So che anche tra voi non è più come prima, ma mi dispiace, stavolta non sono d’accordo. –

- Ok, come ti pare. Sappi che per quanto mi riguarda, come tua migliore amica, spero sul serio che tu non stia commettendo un errore. –

Freddie annuì in maniera impercettibile. In ogni caso, non lo avrebbe mai ammesso.

Carly cercò di addolcire lo sguardo.

- Vorrei che almeno ti ricordassi questo vecchio detto: “La vera anima gemella è sempre nella tua vita. Se la chiami, che sia dall’altra parte della stanza o dall’altra parte del mondo, lei troverà il modo di risponderti.” –

 

*****

 

- Yo, Fred! –

- Ciao, Clark, che succede? –

- Per la cena di stasera, sto facendo un giro di telefonate. Ci sarai, vero? –

- Certo. Per che ora hanno fissato? –

- Mi pare per le 20.30. Vuoi uno strappo? Accompagno anche un altro paio di ragazzi, ma ho ancora un posto in macchina. –

- Ti ringrazio, ma avevo già deciso di venire con la mia. Se non altro, sarò libero di andarmene quando voglio. –

- D’accordo, bello. L’indirizzo te lo ricordi? –

- Già segnato sul navigatore. –

- A più tardi, allora. Puntuale, mi raccomando. –

- Ci vediamo là. –

 

****

 

- Beck, scusa se ti disturbo mentre sei al lavoro. Posso chiederti una cosa? –

- Dimmi pure. –

- Ti ricordi come si chiama il locale dove lavora il ragazzo di Sam? –

- Gabriel? In una steakhouse fuori città… Burglar’s Meat, se non sbaglio. Non ci sono mai stato, però. –

- Grazie al cielo. –

- In che senso? –

- Stasera ho la mia prima cena aziendale, e l’ultima cosa che voglio è ritrovarmi davanti Gabriel, e magari farmi servire al tavolo da lui… ma per fortuna è un altro posto. Pericolo scampato. -

- Meglio così. Ci sarebbe stato da ridere, altrimenti. –

- Già, da sentirsi male. –

- Buona serata, Freddie. –

- Grazie. –

 

*****

 

Erano le 20.10, quando Freddie raggiunse la “Tana del goloso”.

Un cartello giallo e polveroso, parzialmente occultato dalle frasche, lo avvertì che mancavano appena duecento metri a destinazione.

Svoltando a sinistra, le gomme abbandonarono il comodo asfalto per la ghiaia di una stradina dissestata. Questa conduceva al parcheggio, uno spiazzato sterrato delimitato da due staccionate basse e rinforzate.

Freddie fermò la macchina accanto a una Jeep e spense i fari. Doveva essere uno dei primi arrivati, perché molti posti risultavano ancora vuoti.

Il ristorante era situato sulle colline sopra Los Angeles, a circa seicento metri di altitudine. Circondato da una folta schiera di alberi, esteticamente richiamava un’accogliente baita di montagna. Dall’esterno sembrava costruito quasi interamente in legno, a parte il comignolo di sfiato che, nonostante il buio, doveva essere fatto di cemento.

Freddie lanciò un’occhiata fuori dal finestrino.

Solo il capo di un’azienda avrebbe potuto prenotare in un luogo del genere. Lontano e isolato, nascosto e poco illuminato. Se non avesse saputo di dover andare lì, non lo avrebbe mai trovato.

Scese, inalando una profonda boccata d’aria fresca, e si incamminò verso l’ingresso. Iniziò a giocherellare con le chiavi. C’era qualcosa, in quella serata, che lo rendeva nervoso.

- Ehi, Freddie! –

Si voltò in direzione della voce. Un gruppetto stava prendendo un aperitivo al tavolino sotto il portico, e nell’attesa, rideva e scherzava. Tra tutti, riconobbe soltanto Clark.

Il collega informatico alzò il braccio e lo invitò ad avvicinarsi. – Benson! Insomma, quando ti deciderai a presentarti con un mezzo un po’ più elegante? -

Freddie gli resse il gioco. Dall’atteggiamento, era chiaro che Clark stesse cercando di farsi bello agli occhi di un paio di ragazze. – Quel carretto sfida i limiti della decenza, non è in linea con il decoro dell’azienda! –

Freddie sorrise e si girò a riguardare la sua vecchia utilitaria.

- L’ho appena comprata, perché dovrei già liberarmene? –

 

*****

 

Due settimane prima

 

- Quanto hai in tasca? –

- Vediamo un po’… - aveva frugato nei pantaloni. – 18 dollari. Anzi 17, uno è canadese. –

- Beck ne sarà contento. Vuoi passare all’ATM? –

- Sì, e secondo te, se avessi avuto una carta di credito adesso sarei qui con te? –

- Irrispettoso ma legittimo. Ok, escludiamo il pagamento in contanti. – ci aveva pensato un attimo. - Firmagli un assegno, non dovrebbe fare troppe storie. –

Freddie aveva scrollato le spalle e, con Andre al suo fianco, aveva varcato il cancello d’entrata.

Aveva aggrottato la fronte, contro il sole e la perplessità. C’erano almeno una decina di cartelli, ognuno sul suo piedistallo di ferro, sparsi per il piazzale. Tutti identici all’insegna sulla strada, tutti riportanti un nome: AL’s.

Non lo aveva preso come un buon segno.

Subito oltre il cancello, cominciava una distesa di sabbia che si estendeva per un centinaio di metri, fino ad un gabbiotto bianco in PVC.

Disseminate come foglie su un vialetto, senza soluzione di continuità, erano esposte le vetture in vendita. Un cartoncino scritto a pennarello, incastrato sul parabrezza, sotto la spazzola del tergicristallo, ne recitava il prezzo.

Freddie si era messo a dare qualche rapida occhiata.

Era giunto il momento di comprare un’auto propria, o perlomeno qualcosa che avesse un volante. Era stanco di chiedere passaggi, di dover fare il tragitto casa-lavoro sempre in autobus, o di dover girare Hollywood in taxi.

Sarebbe stato un altro passo verso l’indipendenza. Un piccolo passo, per la verità, considerando le disponibilità economiche alquanto ristrette.

- Ripetimi perché mi sono lasciato accompagnare da te e non da Beck. –

- Perché Beck ti avrebbe convinto ad acquistare una Camaro, una Plymouth, o qualche altro bolide decappottabile e super costoso. Invece, con me, puoi sentirti libero di acquistare un bel rottame arrugginito. –

- Quindi, per lo stesso principio, se ad accompagnarmi fosse stata Cat, sarei tornato a casa con un pony? –

- Probabile. –

- Sei un grande, Andre, lo sai? –

- Sì, me lo dicono in tanti. E poi, non dimenticarti che conosco Al da quando avevo cinque anni. Ha sicuramente quello che fa per te. –

- Tipo una bicicletta? Perché non credo di potermi permettere molto di più. –

- Aspetta a dirlo. –

In quel momento, era uscito dal gabbiotto un ragazzo di colore, alto e allampanato. Indossava dei jeans di almeno due taglie più grandi, stretti in vita da una cintura di tela, una canottiera bianca e una bandana rossa. Aveva squadrato i due ragazzi da lontano per un istante, proteggendosi, con il palmo, la fronte dal sole.

Appena riconosciuto Andre, si era lanciato in uno scatto per raggiungerli. E scivolando con le suole, aveva frenato proprio davanti a loro.

- Il mitico Harris! – aveva esclamato. – E’ da un po’ che non ti si vede in giro, come te la passi? –

- Ho ancora tutti i denti, per cui non mi posso lamentare. – gli aveva dato il cinque. – Ero in zona, ti volevo presentare il mio amico Freddie. –

Si erano stretti la mano. – Tu devi essere Al. –

- Scherzi? Magari! Al è mio padre, questa è tutta roba sua. Io sono Tyrone, sto semplicemente imparando il mestiere e racimolando qualche dollaro. –

- Bene. – fece Andre. – Perché potremmo aver bisogno del tuo aiuto. Vedi, il qui presente Freddie è alla disperata ricerca di quattro ruote. –

Tyrone si era strofinato le mani sui jeans e aveva annuito. – Allora non ti sei fermato solo per salutare. Bravo, Harris, mi hai addirittura portato un cliente! –

Da venditore provetto, non aveva perso tempo e li aveva portati a fare il giro completo della rimessa. Aveva mostrato loro tutti i modelli che c’erano, soffermandosi ovviamente su quelli più interessanti e, per lui, più redditizi.

Alla fine, si era fermato di fronte alla porta dell’ufficio e si era rivolto a Freddie. – Visto qualcosa che ti piace? –

Il giovane Benson si era passato le dita tra i capelli, lievemente imbarazzato. – A dire il vero, mi piacerebbe qualcosa con uno zero di meno nel prezzo. -

L’altro, senza fare una piega, aveva risposto con un gesto eloquente. – In questo caso, seguitemi. –

Avevano fatto il giro del gabbiotto ed erano andati sul retro, nell’area in cui veniva relegato tutto ciò che era a un passo dallo sfasciacarrozze.

Andre aveva fatto schizzare in alto un sopracciglio, mentre Tyrone presentava le ultime macchine della lista.

A un tratto, Freddie aveva puntato il dito. – Quella. –

- Sicuro? –

- E’ lei. –

Design old-school, assetto vagamente sportivo, tinta rosso fuoco, l’aria di aver percorso un’infinità di chilometri. - La prendo. -

Una Dodge Neon del 1998.

 

*****

 

- Ciao, ragazzi! –

Ore 20.35. Un’altra voce lo fece voltare di nuovo verso il parcheggio, che nel frattempo si era riempito quasi del tutto.

E stavolta, dovette posare il bicchiere con il drink sul tavolino.

Era stata una ragazza a salutarli. Capelli corvini e occhiali da vista, piuttosto bassa di statura, la riconobbe subito come impiegata dell’ufficio marketing.

E dietro di lei, c’era Sam.

Freddie deglutì a fatica, mentre le dita stringevano ancora il vetro. Per quanto provasse, non riusciva a distogliere lo sguardo. Al tenue bagliore delle lanterne del portico, la ragazza splendeva di luce propria.

Si odiò per questo, per la sua debolezza.

Odiava se stesso, ma non era in grado di odiare lei.

Era bellissima, quella sera. Un filo di trucco accentuava la profondità degli occhi, le labbra erano di un rosso carnoso e vivo. I capelli, lisci per l’occasione, le addolcivano il viso e ricadevano elegantemente fino alle scapole. Sotto il piumino blu brillante spuntava una camicetta bianca di seta, che, insieme ai pantaloni attillati, non faceva nulla per nascondere le sue forme procaci. Le scarpe, con un tacco non eccessivamente alto, le conferivano una postura e una camminata da diva.

Freddie, al solo vederla, provò una pulsione maschia.

Ingollò il resto dell’aperitivo come deterrente, ma non servì a molto.

Aspettò che lei gli andasse incontro. I loro sguardi si incrociarono per un istante. Eppure, appena gli fu abbastanza vicina, ebbe l’impressione che Sam ostentasse indifferenza nei suoi confronti.

Erano rimasti dove si erano lasciati.

Un odio che non sarebbe mai sparito tra loro. Ma nonostante tutto, nonostante fosse ancora convinto di avere ragione, qualcosa lo spinse a fare il primo passo. Un assurdo senso di colpa, l’incapacità di rimanere arrabbiato con lei. Dopotutto, era sempre stato lui quello più debole.

- Ciao, Sam. – era poco più di un sussurro in mezzo alle chiacchiere, ma bastò per attirare la sua attenzione.

La risposta fu fredda. - Ehi. –

Freddie scese dal portico e si portò vicino a lei. – Non ti ho vista né a lavoro né al bar per giorni, pensavo non saresti venuta neanche stasera. Tutto ok? –

Sam scrollò le spalle e annuì.

- Bel posticino, vero? Un po’ fuori mano, magari, ma… –

- Già. –

- Non ti pare un po’ piccolo, però, per tutti i dipendenti? –

Finalmente Sam incanalò una risposta che superasse la sillaba. - Proprio per questo hanno prenotato l’intero salone a nome della Crystal-Tech. – il tono non era cambiato, si era fatto quasi polemico, ma almeno adesso una conversazione suonava possibile. – L’unica cosa è che, da quanto ho sentito, i capi sembrano intenzionati a dividere i tavoli tra “uffici” e “officina”. –

- Non ci credo, sarebbe una vergogna. –

- Concordo, battaglie per l’uguaglianza un corno. –

Lui tentò di abbozzare un sorriso. – Secondo te, gli informatici in che categoria rientrano? –

- A casa. –

- Non so se finiremo a sedere vicini, ma, a proposito… - prese fiato. – Mi aspettavo di vedere Gabriel, con te. –

– Non ce l’ha fatta, purtroppo. Ha il turno di sera, stacca più tardi. Per questo mi sono fatta accompagnare da Peyton. Gabriel verrà a riprendermi dopo. –

Freddie lanciò un’occhiata prima all’orologio, e poi all’interno del ristorante. Le 20.45, i capi stavano cominciando a prendere posto.

Tra l’altro, sentiva anche una certa fame. – Vogliamo entrare? –

 

*****

 

Anche a cena, l’unica cosa capace di attrarre il suo sguardo era lei.

Sebbene fossero lontani almeno sei metri, con diversi altri colleghi nel mezzo, gli occhi di Freddie, come calamitati, finivano sistematicamente per posarsi su Sam. In maniera discreta, senza farsi notare, la stava praticamente spogliando con la fantasia.

Davanti a sé, il piatto emanava un profumo davvero intenso. La bistecca alla brace, fumante e con le inconfondibili scie della griglia, era accompagnata da una montagna di patate al forno e, accanto, da un ciotolino di salsa barbeque. Dopo i primi bocconi, le sue papille gustative erano andate già in estasi.

Doveva ricordarsi di quel posto, perché, era una promessa, ci sarebbe tornato in compagnia dei ragazzi. Andre e Beck lo avrebbero adorato, e anche se non lo avessero fatto, ce li avrebbe trascinati con la forza. Senza dubbio, meglio quello del sandwich del Franklin.

Il pettegolezzo che aveva sentito da Sam si era rivelato giusto: da una parte si erano seduti gli impiegati, dall’altra gli operai. Alla fine, però, tornavano tutti uguali davanti a una carne tanto buona.

Per quanto riguardava le sistemazioni, aveva avuto la fortuna di capitare di fronte a Clark. Di fortuna si era trattata, perché l’altro collega dell’ufficio informatico sedeva dalla parte opposta, e intorno, Freddie vedeva solo facce che non aveva mai visto se non di sfuggita. Già non si sentiva a suo agio, figuriamoci se avesse dovuto rinunciare anche a quel minimo di conversazione per tutta la sera.

Come aveva detto Beck: “Ci sarebbe stato da ridere, altrimenti.”

A un certo punto, l’uomo sulla quarantina di fianco a lui decise di rivolgergli la parola. – Da quanto lavori alla Crystal-Tech? –

Freddie buttò giù un altro pezzo di bistecca, prima di rispondere. – Poche settimane. –

- Fresco, io sono quattordici anni che non mi muovo dalla contabilità. Sei con l’agenzia? –

Il ragazzo si assicurò che i capi non fossero abbastanza vicini da sentirlo. Farsi beccare a criticare il proprio contratto non era esattamente un comportamento da “impiegato del mese”.

- A progetto, camuffato da tempo determinato. E poi, la prospettiva di un altro tempo determinato. –

L’uomo rise e scosse il capo. – Fottuto governo, non hanno fatto proprio un accidente per i giovani. –

Anche Clark si sentì chiamato in causa e sorrise divertito. – Sante parole! –

- Dimmi una cosa. – proseguì il signore, sporgendosi un po’ verso sinistra. – Sai già cosa vuoi fare da grande? –

Freddie lo fissò stranito. – Che intendi? –

- Non penserai mica di rimanere qui fino alla pensione, vero? –

Un sopracciglio balzò in alto. – Non dovrei? –

- Nessuno vuole restare alla Crystal-Tech tanto a lungo. –

- Tu l’hai fatto. –

- Lo so, e ho sbagliato. Mi sono adagiato e ho permesso alla corrente di portarmi via. Ma questo posto finisce per inglobarti nel suo mondo e succhiarti via ogni goccia di vita sociale. – gli fece un cenno col mento. – Pensaci. –

D’istinto, Freddie si girò nuovamente verso Sam. Stavolta più a lungo, quasi avesse bisogno di lei.

Fu allora che si rese conto di un inquietante dettaglio. Doveva ammetterlo, ma da quando si era messo a tavola, non aveva ancora visto Sam posare il bicchiere di vino. Troppo lontano dai suoi occhi luccicanti, dalle sue labbra accese, dalle sue amabili risate, era comunque sicuro che avesse bevuto troppo.

La cosa lo disturbò. Pregò che lei non perdesse il controllo, che i capi non si accorgessero di nulla. Non seppe spiegarsi il perché, ma si sentì in dovere di prendersene cura.

E la voce di Beck tornò prepotentemente a farsi viva.

Tu stai cercando a tutti i costi una ragione per restare a Los Angeles.”

 

*****

 

Fuori dal ristorante, Sam faticava persino a camminare dritta.

Freddie la osservò dal parcheggio, appoggiato con la schiena allo sportello della sua Dodge Neon. Era stata una delle ultime ad uscire, ma lui l’aveva aspettata.

“Ha esagerato, come sempre”, pensò amareggiato.

A pochi metri, sotto la veranda, Clark si stava intrattenendo con due ragazze. Tuttavia, queste sembravano del tutto immuni al suo fascino, e ben presto abbandonarono la conversazione per lanciarsi verso la macchina. Il collega incrociò lo sguardo di Freddie, lo salutò e, sorridendo per l’ennesimo fallimento, gli andò incontro.

L’attenzione del giovane Benson, però, era ancora tutta su Sam.

Stava scendendo a piccoli passi dal portico, in equilibrio precario sui tacchi. Si era fermata, aveva posato una mano sullo steccato. Aveva iniziato a guardarsi intorno spaesata.

Dopo alcuni secondi, aveva estratto lo smartphone dalla borsa e si era messa a digitare, con ogni probabilità, un messaggio.

Attese, fissando lo schermo, finché il cellulare nella sua mano non iniziò a squillare. Si scostò i capelli e se lo portò all’orecchio.

Freddie era troppo distante per sentire, ma dall’espressione, non dovevano essere buone notizie.

Clark, intanto, l’aveva raggiunto. – Che succede? –

Freddie mosse il capo in direzione della bionda.

- Carina, è vero. Perché ti interessa tanto? –

- E’ arrivata qui con una collega, che ormai se ne sarà già andata. – sospirò. - Il suo ragazzo sarebbe dovuto venire a riprenderla, dopo la cena. Ma ho l’impressione che ci sia qualcosa che non va. –

Difficile non avere ragione. Sam aveva gettato con violenza lo smartphone nella borsetta, e si era accovacciata sugli scalini con la testa tra le mani.

- Non verrà. – sentenziò alla fine.

Con i sassolini che saltavano al suo passaggio, si incamminò verso di lei, armato di coraggio.

- Sam? – la richiamò, appena giunto al portico. Il tono pacato, a voler dimostrare di essere lì quasi per caso.

Non ottenne risposta, e nemmeno un movimento dalla ragazza.

– Sam. – ripeté, afferrandola delicatamente sotto il braccio e tirandola su.

Scossa, lei aprì gli occhi e si ritrovò a fissarlo intensamente. Ma fu solo una breve sensazione, perché quello sguardo era tanto vuoto e annebbiato, che forse non lo aveva neanche riconosciuto.

Freddie, tenendola stretta a se, la sorresse quel tanto che bastava per portarla alla macchina. Aprì lo sportello del passeggero e la fece accomodare, quasi adagiandola, sul sedile.

Richiuse la portiera. Sam teneva la testa piegata di lato e le palpebre socchiuse.

- E’ nei guai, eh? – fece Clark.

- La riaccompagno a casa. –

- Se per te è un problema, posso farlo io. –

Freddie gli lanciò un’occhiataccia. – Non sei esattamente di strada. Certo, se lei fosse in grado di parlare, sceglierebbe senza dubbio di tornare con te. Ma me ne occupo io. –

- Come ti pare. Ci vediamo lunedì. –

Aspettò che Clark fosse ripartito, prima di salire in auto.

Accese i fari. Eccolo lì, di nuovo solo con Sam.

Avviò il motore e tolse il freno a mano. Aveva ancora quell’effetto su di lui.

Ingranò la prima e imboccò a ritroso il sentiero sterrato. Disagio.

Teneva gli occhi fissi sull’asfalto, e le mani strette come una morsa sul volante. La strada era buia e tortuosa, e nonostante gli abbaglianti, se non fosse stato attento, avrebbe potuto rivelarsi molto pericolosa.

Rinunciò a voltarsi verso la compagna di viaggio. Dal profondo respiro, capì che si era addormentata.

Sicuro di quello che stava per fare, iniziò a pensare ad alta voce. Sarebbe stato l’unico modo per esprimere ciò che aveva in mente. La mattina successiva, in ogni caso, lei non si sarebbe ricordata di niente.

- Sai, credevo che non sarei più finito così. A parlare di me, dei miei sentimenti, a vergognarmi di ciò che sto dicendo. Magari è meglio che tu non mi senta, tanto in fin dei conti non ti è mai importato. Avrei voluto rispondere, prima, a… non mi ricordo come si chiamava… quel tizio della contabilità, insomma. Mi ha chiesto se avessi intenzione di mettere le tende alla Crystal-Tech, di commettere il suo stesso errore o di scappare finché ne avessi avuta l’opportunità. E’ stato un bel dubbio. Mi ha fatto riflettere, su quella che per me è, è stata fin dal primo giorno e continua purtroppo a essere, la parte migliore di questo lavoro. Quella che tutte le mattine mi convince a mettere piede in ufficio, ad accettare la posizione di ultima ruota del carro, a non dare peso ai rimproveri o alle prediche di chiunque mi stia intorno. Quella per cui, addirittura, sto rischiando di non avere un futuro. Scoppieresti a ridere, se dicessi che sei tu. Eppure, non hai idea di quanto mi faccia incazzare questa cosa. Mi fa incazzare non capire che accidenti sto provando per te. Mi fa incazzare vedere Gabriel, e arrivare ad invidiare quello che ha. Mi fa incazzare sapere che è sbagliato. E mi fa incazzare vedere come è andata a finire tra noi. Ed è in serate come queste, che capisco tutto il tempo che ho perso, nel bene o nel male. –

Si sentiva nient’altro che uno stupido.

Mentre guidava, inspiegabilmente, gli tornò alla memoria una vecchia poesia francese, che aveva letto a scuola molti anni prima. Parlava di rimpianti, di occasioni perdute, di come un uomo non sia altro che una comparsa, un passante, nella vita di ogni donna.

Stavolta trovò il coraggio di guardarla.

Il suo sogno. La sua dipendenza. La sua malattia. La sua condanna.

 

*****

 

Arrivò sotto casa di Sam a mezzanotte e quaranta. L’auto di Gabriel non c’era.

Freddie imboccò appena il muso della sua Neon nel vialetto che portava al cancello, e spense il motore. Sam dormiva ancora pesantemente.

Le lanciò un’occhiata, mantenendo le mani sul volante. C’erano tante emozioni contrastanti in lui, ma forse, quella predominante, era un senso di rabbia e di impotenza.

Si era domandato tante volte perché continuasse a seguirla, a preoccuparsi per lei, quando lei stessa era la prima a fregarsene di tutto ciò che aveva intorno.

L’esempio dell’appartamento in affitto era stato lampante, e in qualsiasi altra situazione, avrebbe potuto fare da spartiacque.

Ma loro non erano due persone qualsiasi. Erano destinate a sopportarsi fino all’ultimo giorno. I loro litigi non sarebbero mai scomparsi, e forse, non importava come, lui l’avrebbe seguita per sempre.

Si maledisse, perché sapeva che sarebbe andata così.

Si avvicinò lentamente al volto di Sam, tanto da poter percepire l’alone di alcol nel suo respiro.

Le sue labbra erano a pochi centimetri, e non avrebbero opposto resistenza. Avrebbe dato tutto per poter dormire accanto a lei.

La tentazione di assaporare la sua pelle era logorante.

Eppure, ripensando a tutto ciò che avevano passato, non riuscì a fare altro che stamparle un morbido bacio sulla guancia.

Scese, fece il giro della macchina e, rassegnato, si portò dal lato del passeggero.

Aprì lo sportello e, nel silenzio di una città coricata al caldo, aiutò Sam a rientrare a casa.

Che rogna, essere sempre il più saggio.

 
   
 
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