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Autore: Ghillyam    21/01/2018    0 recensioni
[Si tratta di una raccolta di OS su Callie, avevo in mente già da un po' di fare qualcosa del genere ed è giunto il momento di far salpare queste fan fiction in porto da troppo tempo.]
1- La fine della tempesta - Calzona
2- It doesn't mean badass - Callie/Eva (Crossover)
3- Realize - Mallie
4- La volta buona - Cadie
[Dal testo]
«Che ne dici della mora vicina al bancone?» chiese Callie.
Mark si voltò leggermente per capire di chi stesse parlando l'amica.
«Troppo sciatta, meglio la rossa là in fondo.» ribatté Sloan, facendo un cenno in direzione di una donna dai corti capelli ramati che stava giocando a freccette.
«Mmm... preferisco la bionda a quel tavolo.»
«Carina.» commentò l'altro, lanciando un'occhiata interessata alla ragazza indicata da Callie.
«Ehi! – esclamò la latina – Non pensarci neanche, l'ho vista prima io.»
Genere: Introspettivo, Romantico, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, FemSlash, Crack Pairing | Personaggi: Arizona Robbins, Callie Torres, Erica Hahn, Mark Sloan
Note: Cross-over, Lime, What if? | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Più stagioni, Contesto generale/vago
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It also means BI




 
 
 
Era per giornate come quella che Seattle si era presa la nomea di città costantemente umida e ventosa.
La pioggia batteva con insistenza sui tettucci delle auto imbottigliate nel traffico e sulle finestre di appartamenti e vari palazzi, per non parlare degli ombrelli dei poveri passanti, incappati sfortunatamente in quella bufera, che rischiavano di volare via da un momento all’altro.
 
Anche il Grey Sloan Memorial non era immune agli effetti del temporale e, come ogni volta, il pronto soccorso era nel caos più di quanto non lo fosse di solito. Pazienti più o meno gravi – senza contare chi di grave non aveva niente – si aggiravano tra le barelle mandando nel panico sia medici che infermieri.
 
«Scommetto che in questo momento le mancherà il caldo sole della Florida.»
 
«Non mi dispiace bagnarmi un po’. E poi, era il cambiamento che stavo cercando.»
 
«Be’, buon per lei e meglio per noi: fanno sempre comodo due mani in più.»
 
Il dottor Hunt stava attraversando lo E.R. – stetoscopio, camice e cartelle cliniche al seguito – in compagnia di una giovane dottoressa dai capelli scuri e lo sguardo attento, che aveva da poco fatto il suo ingresso nello staff dell’ospedale. Un’aggiunta preziosa per il reparto di traumatologia.
 
«Sono felice di aiutare.» rispose la mora, firmando la cartella di dimissioni di un paziente con una grafia ordinata: Eva Zambrano risaltava sul fondo bianco della pagina.
 
«Grandioso. Più tardi la presenterò al resto degli strutturati.»
 
E dopo un saluto veloce, Owen venne risucchiato dalla folle routine che qualsiasi chirurgo dovrebbe conoscere.
 
*
 
Otto ore dopo il temporale si era placato e anche il via vai tra una sala operatoria e l’altra aveva cominciato a diminuire.
Eva, tolti camice sterile e guanti, si concesse un momento per distendere i muscoli e gustarsi la soddisfazione che solo un’operazione andata a buon fine può dare. Anche il suo stomaco sembrava in vena di festeggiamenti perché un sonoro brontolio la ridestò dal suo stato di momentanea pace, ricordandole che sarebbe stato il caso di mettere qualcosa sotto i denti.
 
Felice di assecondarlo si mise alla ricerca di una delle macchinette che aveva incrociato durante i primi giri dell’ospedale, sicuramente più facili da trovare della caffetteria. Per sua fortuna fu davvero così.
I biscotti al cioccolato sembrarono chiamarla da dietro al vetro, e lei non se lo fece ripetere.
 
«Maledetto affare.!» borbottò quando la sua cena rimase incastrata nell’erogatore. Era la storia della sua vita.
 
Con insistenza iniziò a battere sul vetro, ben conscia che non sarebbe servito a niente in ogni caso; provare, però, non le sarebbe costato nulla.
Da quel punto di vista trovò che Seattle e Miami fossero più simili di quanto pensasse.
 
«Sono sicura che abbia una valida spiegazione, io aspetterei a prenderlo a calci così.»
 
Callie Torres si avvicinò divertita a quel singolare duo e colpì con moderata delicatezza un punto a metà del distributore, liberando lo snack dalla sua trappola.
 
«Ecco a te.» disse sorridendo e porgendolo alla collega.
 
«Io… uhm, grazie. Scusa, ma esco ora da un intervento.»
 
«Non preoccuparti, è successo a tutti almeno una volta.»
 
«Grazie lo stesso. Dottoressa Zambrano, piacere.»
 
«Callie Torres. Sei la nuova traumatologa di Hunt, vero?»
 
«Sì. Sarei dovuta venire a presentarmi, ma il caos dilagava.»
 
«Rimedio io, vieni con me: ti offro un pasto vero. Si fa per dire.»
 
Callie afferrò Eva sottobraccio e si diresse verso la caffetteria, approfittando del tragitto per indicare alla cubana luoghi e medici che le sarebbe stato utile conoscere – sia in negativo che in positivo.
Eva ascoltò divertita i commenti sarcastici del chirurgo ortopedico e si rallegrò nel constatare che fino a quel momento i suoi colleghi si erano dimostrati persone affabili e competenti. Aveva fatto bene a scegliere quell’ospedale come meta, soprattutto dopo aver appurato i miglioramenti apportati al pronto soccorso.
 
«E questa è la caffetteria, è qui che devi venire se ti interessano i pettegolezzi.» annunciò Callie, aprendo la porta. Medici, infermieri e parenti dei pazienti erano seduti ai vari tavoli o in fila al bancone e ognuno di loro aveva dipinta in viso un’ espressione più o meno distrutta, ma a quell’ora della giornata non ci si poteva aspettare niente di diverso.
 
«Di solito preferisco concentrarmi sul lavoro.» replicò Eva, il cui sguardo venne subito attirato dalla vetrina dove erano esposti i diversi tipi di sandwich e panini. Il suo stomaco brontolò nuovamente e anche la latina se ne accorse.
 
«C’è sempre tempo, e comunque ora staranno tutti parlando di te quindi il problema non si pone.» scherzò l’ortopedico prima di trascinare la collega verso il bancone dove entrambe finalmente poterono ordinare la loro cena, sempre che tale si potesse definire.
Dopo aver saldato il conto, Callie puntò verso il tavolo dove aveva individuato le figure di Karev e di April Kepner, a cui in quel momento si aggiunsero anche Cristina e Arizona.
Nel vedere la bionda ebbe un attimo di esitazione: non era ancora pronta a parlarle come se tra di loro andasse tutto bene, ma sapeva che non poteva continuare ad evitarla in eterno. Inoltre, a quel punto, sarebbe parso strano se avesse fatto dietro front e fosse fuggita da lì come una criminale.
 
Si costrinse a sorridere e con un tono di voce più alto del normale disse «Ragazzi, vi presento il nostro nuovo acquisto: la dottoressa Eva Zambrano.»
 
Leggermente imbarazzata Eva fece un cenno con la mano per poi sedersi sulla sedia che Callie aveva appena rubato da un altro tavolo. Strinse la mano che April le stava porgendo e le rivolse un sorriso timido «Sei di traumatologia anche tu, giusto? Hunt ci ha presentate stamattina.»
 
«Sì, sono io – rispose la rossa con il suo solito tono squillante – Ho visto come riesci a gestire le situazioni critiche, sei molto brava!»
 
«Grazie. Anche tu non sei affatto male: hai intubato e portato in sala operatoria quel tipo nel giro di due minuti.» ricambiò la bruna, che aveva avuto modo di osservarla quella mattina.
 
«Sì, ma ricordiamoci chi gli ha salvato la vita; intervento perfetto non c’è che dire. Cristina Yang, cardiochirurgo.»
 
Ad Eva per un attimo parve di essere di nuovo di fronte al suo vecchio collega, Chris Deleo. Anche lui aveva la tendenza ad esagerare sulle sue capacità chirurgiche e lei spesso l’aveva preso in giro per questo sebbene sapesse quanto in realtà fosse bravo. Su Cristina ancora non poteva pronunciarsi, ma dagli sguardi che gli amici stavano rivolgendo all’asiatica capì che la situazione non doveva essere poi tanto diversa.
 
«Chiudi la bocca, Yang.» la riprese l’unico uomo seduto al tavolo, che senza alcun tipo di pudore stava masticando a bocca spalancata l’ultimo pezzo della fetta di pizza che aveva nel piatto.
 
«Chiudila tu, Karev – intervenne Callie – Lui è Alex e lei è Arizona Robbins, sono i nostri migliori chirurghi pediatrici.»
 
«Anche se spesso e volentieri è lui a comportarsi da bambino.» disse la bionda, dando una lieve sberla sulla nuca del suo protetto.
I suoi occhi incontrarono quelli della latina e nello stesso istante tutte due distolsero lo sguardo, quasi come se si fossero scottate. Tutti al tavolo parvero accorgersi dell’improvvisa tensione creatasi e delle occhiate veloci corsero tra i presenti.
 
April tentò di rompere il silenzio imbarazzante fingendo di ridere alla battuta di Arizona, ma il risultato non fu quello sperato e anche lei tornò a concentrarsi sulla sua insalata.
Alex infossò la testa tra le spalle e Cristina finse di controllare i messaggi sul cellulare. Eva addentò il suo panino e aspettò che fosse qualcun altro a parlare, non riusciva a capire cosa fosse appena successo.
 
«Be’, io ora devo andare. Sapete, i piccoli umani.»
 
«Già, anche io devo controllare una cosa nel… coso. Di nuovo, ben arrivata.»
 
Ed entrambe le dottoresse si dileguarono, dirigendosi in due direzioni opposte.
La Zambrano osservò incuriosita i suoi nuovi colleghi, chiedendo una muta spiegazione. Non voleva apparire troppo invadente ma non pensava ci fosse niente di male nel voler sapere quale strana dinamica intercorresse tra Callie e Arizona.
 
«Sì, ecco, sono sposate.» spiegò Alex, rubando una patatina dal piatto di Cristina.
 
«Oh, e come mai…?»
 
«La Robbins l’ha tradita.»
 
Già, Miami e Seattle erano decisamente più simili di quanto pensasse.
 
*
 
Callie abbassò il volume della radio e spense la macchina, i tergicristallo si bloccarono al centro del parabrezza.
Stava ancora piovendo – era da quasi tre giorni che andava avanti così – e dai nuvoloni grigi che continuavano ad accumularsi non sembrava avesse intenzione di smettere tanto presto; la latina appoggiò la testa contro al sedile e per qualche breve minuto si lasciò cullare dall’immagine della baia soleggiata di Miami, dove da ragazza aveva trascorso pomeriggi interi.
Ora che ci pensava forse sarebbe stato il caso di telefonare a suo padre, era da tempo che non lo sentiva e le loro chiacchierate le mancavano, specie da quando aveva cacciato Arizona di casa.
 
Un violente colpo al finestrino del passeggero la fece sobbalzare, rischiando di farle prendere un infarto. Per sua fortuna era nel parcheggio di un ospedale che si trovava.
Tentò di capire cosa si fosse appena schiantato contro la sua auto, ma con il vetro appannato era impossibile vedere qualcosa. Afferrò la borsa dal sedile posteriore e scese dalla macchina; il vento freddo la colpì dritta in faccia, facendole volare i capelli sugli occhi e in bocca.
Un po’ impacciatamente riuscì a ottenere un aspetto moderatamente dignitoso e sporgendosi da dietro il cofano vide un ammasso nero e informe, che prima doveva essere stato un ombrello, giacere sull’asfalto. Doveva essere volato via dalle mani di qualcuno, del resto con quel tempo non c’era nulla di più facile.
 
La conferma la ebbe quando vide arrivare verso di lei una donna che stava tentando in tutti i modi di coprirsi con un misero giubbotto di pelle, sebbene ormai fosse fradicia.
 
«Ehi – la salutò la dottoressa Zambrano, trovando rifugio sotto al suo ombrello – Temo di aver perso l’appuntamento con l’arca di Noè.»
 
«Non fa niente, prenderai la prossima.»
 
Senza indugiare oltre le due si avviarono verso l’entrata del Grey Sloan il cui riscaldamento fece tirare ad entrambe un sospiro di sollievo.
Eva era bagnata da capo a piedi e i corti capelli corvini le ricadevano lungo il viso in ciocche disordinate e appiccicaticce. Come se non bastasse, ad ogni suo passo le scarpe producevano dei ciak imbarazzanti.
 
«Il lato positivo è che non avrò bisogno di lavarmi per entrare in sala operatoria.» ci rise su la cubana, seguita a ruota da Callie che suggerì di andare a cambiarsi.
 
«Diluvio a parte, come ti sembra Seattle finora? Anche io mi sono trasferita da Miami quindi capisco perfettamente il disagio, credimi.» disse, appendendo il cappotto nell’armadietto.
 
«Mi piace, è fantastica. E l’ospedale è fenomenale.»
 
«Già, dopo la tempesta non pensavamo di riuscire a ricostruire tutto.»
 
«Be’, pare che abbiate fatto un ottimo lavoro.» si complimentò Eva, legandosi i capelli in una coda improvvisata e togliendosi i jeans, che adesso erano di una sfumatura molto più scura del normale a causa dell’acqua che li aveva infradiciati.
Callie non riuscì a trattenersi dal lanciare un’occhiata sbieca alle gambe della bruna, mentre questa si infilava pantaloni e camice. Rimase a guardarla più di quanto volesse e dovette simulare un attacco di tosse improvvisa per distogliere l’attenzione dai suoi sguardi inopportuni quando la bruna si voltò verso di lei.
 
«Andiamo?» propose la latina, accennando un sorriso imbarazzato.
 
«Certo! Ho fissato un intervento insieme alla Yang per oggi pomeriggio, dimmi, è così brava come sostiene?» rise la bruna, cui non era sfuggito il pavoneggiarsi del cardiochirurgo.
 
«Oh sì, è molto brava. Ma tu non dirglielo e non badare a quello che dice, lo fa da quando è una specializzanda.»
 
«Ci sono abituata, avevo un collega così.»
 
«Davvero?» indagò Callie con interesse.
 
«Già… Immagino che sarà uno spasso rimanere cinque ore in sala operatoria con lei.»
 
«Puoi giurarci.»
 
Entrambe si misero a ridere e insieme varcarono la porta del pronto soccorso, che per quella mattina sembrava essere ancora piuttosto tranquillo, soprattutto considerati gli standard dei giorni precedenti: un susseguirsi infinito di incidenti, traumi e ossa rotte dovuti alla pioggia perenne.
Per qualche strano motivo sembrava che le persone diventassero più maldestre e pericolose – per se stesse e per gli altri – non appena il sole venisse coperto da qualche nube nera in più. E in una città come Seattle non poteva che essere un guaio serio.
 
Dietro al banco vicino all’ingresso un’indaffarata Jo Wilson stava compilando alcune cartelle. A quanto pareva, quel giorno era suo il compito di occuparsi del pronto soccorso, mansione spiacevole per qualunque specializzando.
 
«È in arrivo qualcosa?» domandò Callie, dopo che la ragazza ebbe risposto al telefono che aveva appena squillato.
 
«Niente di grave: solo un ragazzo caduto dalla bici.»
 
«Ma si può essere tanto idioti? Già che c’era poteva buttarsi sotto un’auto.» sospirò la Torres contrariata.
 
«Sarà lo spirito dell’avventura.» scherzò insieme a lei Eva, che stava iniziando ad abituarsi piacevolmente al carattere solare e spigliato dell’ortopedico. Le piaceva parecchio.
 
«Che ne dici di un caffè? Sono in debito per il panino dell’altra sera.»
 
«Ci sto.»
 
Quella volta il distributore non le tradì e pochi minuti dopo stavano gustando un caffè caldo e… be’, non esattamente delizioso ma perlomeno era accettabile.
 
«Eva, raccontami qualcosa di te – disse Callie, rompendo il ghiaccio: aveva resistito ma la curiosità di sapere qualcosa di nuovo sulla collega bussava frenetica – Non voglio sembrarti un’impicciona, ma mi farebbe piacere conoscerti meglio.»
 
«Mi sembra giusto. Dunque: vengo da Cuba e sono arrivata qui quando avevo cinque anni; ho un padre fantastico, è grazie a lui che ho potuto studiare per diventare medico, e sono bisessuale.»
 
La naturalezza con cui pronunciò quelle ultime parole lasciò la latina interdetta per qualche istante. Non che per lei fosse un problema dirlo – dopo aver superato lo scoglio della sua prima volta non aveva avuto problemi ad affermarlo – ma non si aspettava di sentirlo da Eva; forse il suo gay radar non funzionava a dovere o, forse, per averlo occorreva essere gay al cento per cento. Se non fosse stata ad un passo dall’odiarla probabilmente l’avrebbe chiesto ad Arizona.
 
Il silenzio calato dopo l’affermazione del chirurgo d’urgenza si stava protraendo decisamente troppo a lungo e Callie si costrinse a dire qualcosa.
 
«Da Cuba eh? – quel misero tentativo di evitare una figuraccia fece pena persino a lei stessa – Sai, conosco un tipo che…»
 
«Ma perché reagiscono tutti così? Insomma, tu non dovresti avere problemi.» si lasciò sfuggire Eva, memore delle parole di Karev riguardo la donna.
 
Questa volta la risposta fu facile per Callie da trovare «Nessun problema, davvero. È solo che… insomma, nessuno dice “Sono etero” se gli si chiede di parlare di sé. Non so, è come se dovessimo far presente che siamo diverse. Non ti sembra retrograda la cosa?»
 
«Hai ragione, sono assolutamente d’accordo. Però, be’, sapevo di te.»
 
La dichiarazione della bruna lasciò aperti tanti sottintesi che il primo istinto dell’ortopedico fu quello di fingere una chiamata urgente al cercapersone – in che modo non lo sapeva, ma il tempo per trovare una spiegazione lo avrebbe avuto in seguito – per andarsene da lì. Per sua fortuna, però, ci pensò Eva a continuare il discorso.
 
«Mi dispiace per il tuo matrimonio.»
 
Forse avrebbe preferito un argomento che non vertesse su quell’ultima umiliazione. Due matrimoni finiti erano troppi, sotto ogni punto di vista.
Le tornarono in mente le scene di una vecchia sitcom*: mai più avrebbe riso per le prese in giro ad uno dei protagonisti, con ben tre divorzi a perseguitarlo.
 
«Grazie. Ma, sai, credo che a un certo punto sia giusto andare avanti. No?»
 
«Immagino di sì.»
 
Lo sguardo di Eva si incupì: era quello il motivo per cui si era trasferita dalla parte opposta del paese, eppure, nonostante i 5000 kilometri di distanza, le sembrava di essere rimasta allo stesso punto. Dopo Serena, era stata un’impresa tornare al lavoro e il risultato finale si era dimostrato anche peggiore di quanto non pensasse; sperava che al Grey Sloan le carte in tavola sarebbero cambiate completamente, ma non riusciva a togliersi la sensazione che i guai l’avessero seguita fino a lì.
 
«Oh merda!»
 
L’esclamazione di Callie la fece tornare coi piedi per terra.
 
«Ho un intervento tra cinque minuti, la Grey mi uccide se arrivo in ritardo. Vieni da Joe stasera, è il bar qui di fronte; è una specie di tradizione per noi. Ora scappo, a più tardi.!»
 
E in men che non si dica la Torres scomparve, inghiottita dai meandri dell’ospedale.
 
*
 
Anche quella sera il bar di Joe si era popolato di medici – e numerose altre persone – che tra le freccette e la pista da ballo si divertivano ad animare il locale con risate e sbronze a non finire. Come ogni sabato sera, erano già molte le chiavi che il barista aveva dovuto sottrarre alla custodia dei proprietari; era una routine necessaria se non si voleva assistere ad incidenti a cui poi avrebbero dovuto porre rimedio gli stessi dottori che proprio in quell’istante stavano dando prova di una maturità pressoché inesistente.
Diversi tra gli strutturati dell’ospedale erano radunati attorno ad un tavolo, dove numerosi bicchieri da shot giacevano vuoti sulla superficie lignea. Dopo tutti quegli anni Joe si era abituato alle serate in cui erano i poveri specializzandi a sorbirsi il turno di notte, lasciando il via libera ai loro capi, e aveva imparato a gestirli.
 
Un coro di scherni e battute si levò dal gruppo quando Alex e Avery ingaggiarono una gara di rutti che coinvolse anche Owen, decisamente ubriaco.
Tutti e tre ricevettero in premio una sonora sberla di rimprovero da parte delle donne al loro fianco.
 
«Quando pensi che finalmente siano cresciuti, ecco che ti deludono di nuovo.» commentò sarcastica Meredith, ingoiando un sorso di tequila.
 
«Tu non puoi lamentarti: hai un maritino perfetto che fa il babysitter perché tu possa distruggerti il fegato.» la riprese subito Callie con voce leggermente strascicata. Sofia quella sera era da Arizona e una volta tanto la cosa non le dispiacque.
 
«Dio quanto è vero, siete così noiosi voi due. Gli Stranamore, bleah.»
 
Il commento di Cristina si perse nell’ondata di improperi che seguirono la vittoria di Jackson a braccio di ferro. Il suo stato terribile offriva a Karev un’ottima scusa che giustificasse la sua sconfitta, ma il chirurgo plastico non sembrava disposto ad accettarla.
Ci pensò Callie a porre fine alla diatriba e a dichiarare nulla la sfida.
 
Leggermente in disparte, Eva osservava divertita ogni singolo momento, combattendo per non farsi attanagliare dalla nostalgia che imperterrita le ricordava come anche lei e i suoi colleghi fossero soliti trascorrere le serate in quel modo. Frammenti di scene le scorrevano davanti agli occhi: lei e Chris, lei e Serena, loro tre insieme.
 
«Non ti stai divertendo affatto, vero? Mi dispiace, dovevo pensare che sarebbe stato un delirio.» si scusò la latina, avvicinandosi all’orecchio della traumatologa per farsi sentire meglio sopra la musica sparata a tutto volume dalle casse.
 
«Non serve scusarsi – la tranquillizzò Eva – È un bel posto.»
 
«Purtroppo credo sia la compagnia il tasto dolente.»
 
«Niente affatto.»
 
Gli occhi di Eva si incatenarono a quelli di Callie e un campanello d’allarme risuonò nelle orecchie di entrambe. Segnale che tutte e due ignorarono.
 
«Ti va una partita a freccette?»
 
«Assolutamente sì.»
 
Un secondo dopo che ebbero lasciato il tavolo, Cristina diede il via alle scommesse su quanto ci avrebbero messo a finire a letto insieme. Nessuno di loro gli diede più di due ore.
 
«Allora, ad ogni tiro quella che si avvicinerà di più al centro potrà fare all’altra la domanda che preferisce, ci stai?» propose l’ortopedico, lanciando uno sguardo di sfida alla collega.
 
«Certo che sì, sono una maestra del tiro a freccette.»
 
Il testa a testa che seguì quell’affermazione provocò una sequenza di racconti imbarazzanti da parte dei due chirurghi che le persone attorno a loro iniziarono a fulminarle con lo sguardo a causa delle risate fin troppo sonore.
A Callie ci erano voluti tre minuti buoni per riprendersi dall’immagine di Eva svegliatasi nuda nel letto del suo superiore senza che si ricordasse come ci fosse finita, solo per scoprire poi che era troppo ubriaca per poter tornare a casa da sola e lui l’aveva ospitata.
 
«E piantala di prendermi in giro, sarà capitato anche a te!» esclamò il chirurgo d’urgenza, bevendo l’ultimo sorso del suo drink. Non era ben sicura di cosa contenesse, ma di certo era forte.
 
«Be’, una volta sono entrata mezza nuda nel bagno delle coinquiline del mio ragazzo. Mentre loro erano dentro. Vale?»
 
«Direi di… sì, ahahah. E che hai fatto dopo?»
 
«Oh, ecco, io e George ci siamo sposati e lui è morto. Prima però mi ha tradita.»
 
Eva venne presa in contropiede da quella confessione, senza sapere cosa dire. Il viso di Callie si rabbuiò per un attimo: pensare a George era sempre un duro colpo, ma dopo tanti anni aveva imparato a ricordarlo con il sorriso perciò scosse la testa e disse «Sembra terribile, lo è stato, ma lui era un ragazzo fantastico e sarebbe stato un grande chirurgo.»
 
*«Se ti può consolare, anche io non sono messa bene in fatto di relazioni – la bruna si interruppe un attimo: aveva deciso di non parlarne più e di dimenticare senza fare marcia indietro, ma sentendo le storie di Callie si rese conto che, forse, lei avrebbe potuto capirla. O tirarle il suo drink in faccia – Stavo insieme a un mio collega, Chris, e le cose sono andate bene… per un po’. Eravamo in tre: io, lui e Serena, inseparabili quasi quanto voi. Insomma, sembrava tutto perfetto, ma, ecco, Serena era davvero stupenda.»
 
Callie iniziò a capire dove il discorso sarebbe andato a parare.
 
«Ho avuto delle ragazze, anche al liceo, ma con lei, non so, abbiamo lavorato insieme parecchio e non era mai scattato niente. Nessuna di noi due era di turno quella sera e siamo andate a mangiare insieme, non so cosa mi sia preso, ma dopo averla accompagnata a casa l’ho baciata e… è stato come se fosse amore al primo bacio. Per me, almeno.»
 
La latina le si avvicinò, poggiandole una mano sulla spalla. Riusciva a sentire quanto per Eva fosse stato difficile, ma non riuscì a trattenersi dal chiedere «E Chris?»
 
«L’ho lasciato. Mi starai odiando adesso e non posso biasimarti, ma non potevo controllare quello che sentivo per lei.»
 
La cubana dovette trattenersi per non far scendere le lacrime, mentre si azzardava a incontrare lo sguardo di Callie. Si stupì quando vi scorse della comprensione.
Di nuovo qualcosa le suggerì che sarebbe stato meglio troncare immediatamente qualunque rapporto si stesse instaurando tra loro, c’era una chimica che si riusciva chiaramente a percepire, ma non poteva che portare ad un nuovo disastro. Eppure non riusciva a sottrarsi al tocco confortante della latina sul suo braccio.
 
«Per me e Arizona è stato diverso – disse Callie – E almeno tu hai fatto chiarezza in ciò che sentivi. Mi dispiace, immagino che il lavoro sia diventato un inferno.»
 
«Perlomeno mi ha permesso di venire qui.»
 
Una nuova serie di parole sottaciute intercorse tra di loro e il danno divenne inevitabile.
Come se qualcuno ve l’avesse spinta, Callie fece unire le sue labbra a quelle di Eva, prendendosi dei lunghi secondi per assaporarle e godersele nella loro morbidezza e sensualità.
La reazione di Eva fu immediata e le braccia prima stese lungo il busto le avvolse attorno al collo di Callie, mentre sentiva le sue mani poggiarsi sui suoi fianchi. I pochi centimetri di differenza tra loro, la costrinsero ad alzare leggermente il mento permettendole finalmente di gustare appieno quel bacio.
 
Dal tavolo dove erano ancora seduti gli altri si alzò la voce di Jackson «Fuori i soldi gente, ho vinto io!»
 
*
 
I pochi metri che separavano il bar da casa di Callie erano stati una tortura e non appena avevano varcato la porta i vestiti di entrambe erano finiti sul pavimento, e loro sul divano. La camera da letto era troppo lontana.
Combatterono contro la foga e il desiderio che le aveva accese non appena le loro labbra si erano incontrate e si concessero di studiare e conoscere l’una il corpo dell’altra nei minimi dettagli, facendo scorrere le loro mani e lingue in ogni punto raggiungibile, sentendo i fremiti e i gemiti che le scuotevano andare ad aumentare l’eccitazione.
 
Non doveva andare così, nessuna delle due lo aveva pianificato e, forse, proprio perché fin dal primo momento si erano inconsciamente imposte di non permettere che i sentimenti si intromettessero in quel nuovo rapporto, che doveva rimanere puramente professionale, che invece quelli si erano insinuati tra loro, tentando di ricucire ferite che dopo molto tempo avrebbero potuto finalmente trovare la cura giusta.
 
 
 
*la serie TV citata è F.R.I.E.N.D.S, sitcom degli anni ’90, e il personaggio in questione è Ross Geller
*il racconto di Eva sulla sua storia con Chris e Serena così come il fatto che sia bisessuale è puramente inventata da me, mentre il resto dei fatti che fanno riferimento alla serie originale sono veri.
 
 
NdA: cosa vi devo dire? È da questa estate che avevo in mente un crossover tra Grey’s e Miami Medical – serie conosciuta da me e da altri quattro sfigati probabilmente – visto e considerato che Sara Ramirez e Lana Parrilla sono due delle donne più sexy che esistano, cosa che per altro va seriamente a nuocere alla mia salute mentale.
A parte questo, sono davvero contenta di essere riuscita a riprendere in mano questa raccolta e ho già più o meno pronte altre due OS che mi auguro di pubblicare presto.
Grazie a chi a letto, a chi si ricorda ancora di questa raccolta e a chi ha recensito la storia precedente, grazie mille!
   
 
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