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Autore: queenjane    21/01/2018    0 recensioni
Riprendendo spunto da una mia vecchia storia, Beloved Immortal, ecco il ritorno di due amati personaggi, due sorelle, la loro storia, nella storia, sotto altre angolazioni. Le vicende sullo sfondo tormentato e sontuoso del regime zarista.. Dedicato alle assenze.. Dal prologo .." Il 15 novembre del 1895, la popolazione aspettava i 300 festosi scampanii previsti per la nascita dell’erede al trono, invece ve ne furono solo 101.. "
Era nata solo una bambina, ovvero te..
Chiamata Olga come una delle sorelle del poema di Puskin, Onegin ..
La prima figlia dello zar.
Io discendeva da un audace bastardo, il figlio illegittimo di un marchese, Felipe de Moguer, nato in Spagna, che alla corte di Caterina II acquistò titoli e fama, diventando principe Rostov e Raulov. Io come lui combattei contro la sorte, diventando baro e spia, una principessa rovesciata. Sono Catherine e questa è la mia storia." Catherine dalle iridi cangianti, le sue guerre, l'appassionata storia con Andres dei Fuentes, principe, baro e spia, picador senza timore, gli eroi di un mondo al crepuscolo" .... non avevamo idea,,, Il plotone di esecuzione...
Occhi di onice.
Occhi di zaffiro."
"Let those who remember me, know that I love them" Grand Duchess Olga Nikolaevna.
Genere: Storico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Periodo Zarista
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'The Dragon, the Phoenix and the Rose'
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Ti propongo un breve precetto: ama, e fa ciò che vuoi. 
Se tu taci, taci per amore: se tu parli, parla per amore; 
se tu correggi, correggi per amore; se tu perdoni, perdona per amore. Sia in te la radice dell'amore; e da questa radice non può derivare se non il bene.
Sant'Agostino”  Olga segnò quella citazione nel quaderno azzurro, quello che mi aveva regalato Alessio per i miei 22 anni, cercai di farne tesoro.  

Le sue letture erano lucide, poliedriche, di rara potenza, sempre mi spiazzava. Il coraggio dei vecchi tempi dorati, ricordo che un pomeriggio ci facemmo fuori un vassoio di pasticcini, come ai trascorsi e gloriosi bei tempi “ A te fa bene, che allatti, io ti faccio compagnia, non sia mai che ti mangi tutto da sola “ Tea time e risate, sempre noi eravamo, lisce come raso, una vena pulsante di allegria e naufragio.



“Fai una foto, Catherine” obbedii, cercando di rimanere impassibile. Tutte e quattro le granduchesse perdevano capelli a ciocche intere dopo la malattia e avevano deciso di rasarsi la testa. Andando fuori, vestivano sciarpe e cappelli, tranne che, a un cenno di Olga, rimossero il tutto, le teste calve sotto il sole, una dettagliata, esaustiva malinconia. Una sfida e un sorriso contro lo stupore di Gilliard e la sorpresa indignata dei loro genitori “E’ un cattivo segno, di malaugurio”Alessandra.
“E’ una cosa spiritosa” intervenne Olga, scrollando la testa, i piccoli orecchini con le perle che parevano annuire con lei.
“A me parete un coro di cantori, o un gruppo di tartari, entrambi usano rasarsi” glissai io, evitando di osservare che anche per i carcerati vigeva quell’uso.
“O di reclute, anche loro si rasano a zero” annotò Aleksey. Io mi ero ritrovata direttamente con i capelli rapati quando avevo il morbillo, tagliandoli poi quando ero diventata un soldato ed una spia, adesso si erano allungati e le ciocche vibravano sotto il sole, riflessi di mogano e rame. E  riuscivo a comporre uno chignon che, alla prima occasione Aleksey smontava, una abitudine di quando era piccolo, che riappariva a rate, ormai ne ridevo, i problemi non erano quelli.  Sempre meglio di quando pretendeva di fare il barbiere, ci erano voluti gli argani dal dissuaderlo da quella sortita, che tagliava dappertutto e male, i suoi marinai-tate avevano avuto il piacere, come il precettore di inglese, Gibbes.
“E ora una noi”Tata si rimise il cappello, strinse Felipe tra le braccia, venne salutata con uno sbadiglio, scattai, rimanendo basita di come lui fosse tranquillo con lei, tranquillo lo era in generale, e pareva adorare Tanik, peraltro ricambiato con zelo e trasporto. “ Lo vizi, Tata, appena caccia uno strillo lo sollevi, sempre che le tue sorelle non le intercettino, fate i turni ..” io ero giusto la fonte di nutrimento e tacqui, sarebbe stato da egoista possessiva, e cercavo di non esserlo, me lo ero tenuto in grembo solo nove mesi, lottando con mal di schiena, insonnia, gonfiore e starnuti. E mi davano una pausa, in mani migliori non lo potevo lasciare. “E’ delizioso, davvero, sarà un conquistatore.. “ lei l’aveva accalappiata subito. “E’ tranquillo”
“E’ servito e riverito, mangia ogni tre ore, appena caccia uno strilletto viene preso in braccio..dicevo di Alessio, che era viziato, avrei fatto male a tacere”
“E’ bellissimo” le strinse un dito con le manine, una reciproca conquista.
“Ti ricordi a marzo, aprile quando dormivamo tutti e quattro insieme” lui nel pancione, io in mezzo ad Olga e Tata, prima che rientrasse Andres, un conforto, una vicinanza
“Sarebbe bello tenerlo… ma come si fa? “ Tata lo sollevò tra le braccia, le gambette oscillavano, se lo raccolse addosso, erano belli e fragili, una miniatura orientale.
“Dici con te e Olga? “ Si tenevano occupati con le lezioni, la cura dell’orto, e tanto..il tempo non passava. Avevano lavorato come infermiere, erano state  patronesse di molti comitati, attualmente erano solo le ex granduchesse, figlie di una tiranno e di una meretrice, che cercavano di occupare il tempo nell’attesa  dell’esilio, di rincominciare“Di notte?”
“Ma deve mangiare, lo allatti tu” e mio figlio sbadigliava e gorgogliava “Ne ho per tre” posai il palmo contro il seno dolorante, mi toglievo il latte e lo mettevo in un biberon, se all’una e alle quattro di notte,  giravo la testa sul cuscino e non mi alzavo, provvedeva Andres, che dire, l’eroe della calle Mayor, il picador era una costante sorpresa..
Maneggio le armi, ne ho fatte tante e non so gestire mio figlio, via su, Catherine, dormi. Se gli combino qualcosa so che mi torci il collo e io sono un padre diciamo moderno. E tanto dormi con un occhio solo, come i gatti, su .. Gli dava il biberon, lo teneva sulla spalla per il ruttino, sapeva fargli il bagnetto, cambiarlo,  che volevo? Avesse potuto lo avrebbe allattato lui, talmente era preso, era delicato, preciso, meglio di una tata.  E io ronfavo, anche se con un occhio solo, scattavo appena sentivo uno strilletto anche se, in apparenza, ero nel sonno più profondo, senza stelle o sogni.  Riflessi da mamma, altro che storie. Andres era un out sider, quando voleva, dei presunti usi e costumi in quell’ambito se ne fregava bellamente, come su altri fronti. Seguiva  le sue regole personali, aveva aspettato una vita intera prima di avere un altro  figlio, ora se lo voleva godere, ed era un uomo, un vero uomo.  In molti campi aveva le sue idee, quello era quanto, sbattendosene bellamente delle cosiddette convenzioni del mondo.
“Dopo le dieci, salvo variazioni, mangia all’una e alle quattro.. Lo vorresti tenere con te e Olga ? avete più pazienza di me”
“…pensi che saremo in grado? Ti fidi?” stupita, come se fosse un regalo che non ritentava di meritare, e dai.
“Il latte me lo tiro a prescindere”ero una latteria ambulante, appunto, tra le perdite alle tette e nelle parti intime, alle volte, mi sentivo una mucca. È normale, diceva l’ostetrico, in genere sono sei settimane, di perdite, passate potete riprendere i rapporti (non vedevamo l’ora). “Se non mi fidassi, non lo toccheresti nemmeno con un dito, senza offesa”
“Benissimo, e ci concedi questo permesso lo vorranno tenere anche Marie e Anastasia”
“Ora non ci sbilanciamo troppo, vedremo, prima vediamo con voi due” E glielo concessi, dopo la metà di luglio, chiariamo.


“Una specie di gioco” anche Alessio si era voluto tagliare i capelli, per solidarietà con le sue sorelle, spuntavano cinque teste rasate da sopra il divano della playroom. Macabro, parevano cinque grandi bambole. E sorrisi, cercando di non coltivare il malaugurio e i cattivi presagi.  Quel giorno aveva avuto la soddisfazione di buttarmi vestita dentro il laghetto, lo avevo acchiappato al volo, quindi mi ero stesa sul dorso, galleggiando, una minima nuotata “Brava, hai mantenuto”
“Se posso, sempre”
“Mi manca il mare, di quando eravamo in Crimea” tra le mani avevo una foto di noi sulla spiaggia, l’estate del 1912, prima di Spala “O le crociere sui fiordi in Finlandia, passeggiate, i picnic..”
“Nuotare.. Anche se ti svaghi nel laghetto ”Aleksey rotolò sulla schiena, sottile e fiero come un giovane salice, era un afoso pomeriggio di fine giugno, a occhio mi pareva cresciuto ancora di statura, le orecchie rimanevano buffe e tenere, nel viso abbronzato i suoi occhi parevano ancora più grandi ed azzurri “Sono stanco, credo che farò un pisolino ..”battendo un colpetto sul divano, un invito a fargli compagnia.
“Beh..chiudi gli occhi” la fronte era fresca, non aveva febbre o dolori, almeno non me lo aveva detto,  mi stesi vicino a lui, la sua testa si incastrò contro la mia spalla, pace se era caldo, lo cinsi tra le braccia, mi tirò un calcio affettuoso sui polpacci, come ai bei tempi “..che ne dici se mandiamo il nostro amico cavaliere a cavalcare sulla spiaggia..prendendo spunto da quello che mi hai detto” un mormorio di assenso “…il mare pare tutto uno con il cielo, azzurro e grigio, l’orizzonte quasi non si vede e il ragazzo cavalca con il baio sulla risacca, saltando tra i marosi che muoiono  a riva, il viso si impiastra di sale.. Fa una gara con i gabbiani, che volano sopra di lui, si specchia  nelle pozze d’acqua, ride e si diverte.. Come mi divertivo io a farlo” lo cinsi con delicatezza “E’ bello passeggiare a filo d’acqua” riaprì gli occhi “A volte correvo filato da te, e mi prendevi in braccio” “ E sorridevi” magari aveva voglia di fare due parole, altro che sonno, era una scusa “ Già” si irrigidì cosa partoriva la sua mente irrequieta e saltellante“Che succede? Aleksey, che hai”gli sfiorai le tempie, contenta che fosse in modalità affettuosa, per una volta.
“Perché hai usato il mio nome..non volevo, anche se è il secondo appellativo”
“Perché mi piaceva, Felipe, amante dei cavalli,  il tuo nome .. colui che protegge, Alexander, il figlio del sogno è una bella carrellata. Chi te lo ha detto?” mica rispose “Perché non volevi, Alessio, seriamente? Non voglio farti arrabbiare, spiegami”
“Perché lui non deve essere come me, in nessun modo”
“EH?” una sola sillaba interrogativa, la mia “Visto che sei così intelligente, arrivaci, avanti” non sospirai per la frustrazione, che pensava? Era geloso, un capriccio, una pensata estemporanea.  O no?  Una sfida e.. “Che vuoi dire, lui è un neonato di manco un mese, tu un ragazzo grande ”
“Come ero da piccolo?” ora iniziavamo con i nostri dialoghi a morsi, spizzichi e bocconi, che potevano durare a ore intere. E non era per irritarmi, magnanimo, mi concedeva un indizio.
“Bellissimo, paffuto e sorridente…” sul filo dei ricordi.  “Sembravi una bambola, e davi soddisfazione, cioè se ti mollavo ti mettevi a piangere, sorridevi e gorgogliavi, un vero rubacuori, se non ricomparivo la bizza era assicurata “gli baciai il polso, ridacchiò, il birbante “ Ed eri talmente bello e..” Oddio.
A sei settimane,  aveva cominciato a sanguinargli l’ombelico, il flusso era durato  per ore e il sangue non coagulava.
Era la sua prima emorragia.
Era emofiliaco.
Il giorno avanti mi aveva sorriso per la prima volta.

La consapevolezza mi investì, una dolorosa staffilata. Se avevo capito.

“Tesoro, Felipe non è come te,  per quello” le prime parole, quando ripresi fiato, riferendomi all’emofilia, capire finalmente il motivo era come ricevere un pugno nello stomaco. Almeno nella mia famiglia non vi erano precedenti  “E chi lo dice?” una nuova sfida, mia e sua, trattenni il fiato, mi imposi di evitare vuote formule rassicuranti.
“Io e .. non è una balla per rassicurarti, lo so. Per  sbaglio tre giorni fa gli ho appuntato la manina con l’orologio, mentre lo cambiavo ed è uscito del sangue, un taglietto. Ha pianto, perché mi sono spaventata e.. ha coagulato subito,  Aleksey, era una piccola abrasione” lo dicevo per me e per lui, era stato un dramma, ero sua madre e lo facevo piangere. Inutile che Andres mi avesse rassicurato, poteva succedere, era uno sbaglio, avevo pianto come una fontana o forse era lo stress di quegli ultimi mesi, a volte mi chiedevo dove attingere la forza di non essere isterica. Retoriche domande, ammetto ora, mi bastava un momento come quello per ricordarmi di non cedere.  Una crudele e malinconica assenza, che tornava a rate
“Voglio vederlo, dopo, te lo dico io se non coagula o meno, sono esperto” una pausa straziante, sentii il sottile rilievo della sua stretta “Aleksey.. io ..” averlo potuto tenere al sicuro, sempre, lui che si illudeva che io lo tenessi al riparo, lo proteggessi “Mica è colpa tua se sono così, quindi non dirlo, mi spiace” le dita sulle labbra “Non lo auguro a nessuno, di rischiare la morte per un urto di troppo”ripresi le parole di una sera lontana, di novembre, di  quando era venuto nel mio alloggio, dopo un infelice soggiorno dalla zarina madre, che lo aveva definito un impiastro e una rovina, uno sfogo.
“Sì ..ma ti ha reso sensibile, empatico verso chi soffre, quando sai che ci sono dei problemi agisci da subito per risolvere, no? Sarai saggio, accorto.. , lo sei già, rettifico. E hai imparato a stare attento, e fatto cose che non ritenevi possibili, no? Le armi e andare su Castore, che spettacolo” Un cavallo baio, superbo, di squisita bellezza, su cui avevo cavalcato il vento “E cerchi di stare bene, sempre, ami la vita, Aleksey, sei un esempio”mi diede un bacio all’angolo delle labbra, rapido, approfittando, che in genere non volevo, mai, da sempre, avevo ceduto solo da poco, in circostanze speciali. Sorrisi, posai la guancia  sulla sua. “Lo strappo, eh.. che la regola è quella, io non sono tua madre, questi gesti sono per lei, non per me” sorvolando sulle sorelle..
“ E sei un lottatore, non molli mai, come Achille” Seria. “Mi hai dato l’esempio, ripeto, di non arrendermi, il mio guerriero”
“Convinta te,  se mi riuscisse a crescere, avere dei figli, sarebbero come..”
“No, niente emofilia” pronunciai sottovoce la parola proibita, tacendo che il morbo passa di madre in figlia e che le nostre sorelle avrebbero potuto generare a dead walking child. A loved, frail baby boy. Il morbo mortale passa di madre in figlio, generi un maschio e gli dai la morte, se ha il morbo, alle volte era un miracolo che Alessio fosse arrivato al traguardo dei 13 anni, in genere gli emofiliaci morivano nella prima infanzia “ E non lo affermo per farti contento, Alessio, lo dice la scienza, non io.”
“Va bene” mi abbracciò ancora, aveva percepito il mio tono netto, deciso, senza repliche. “Rimaniamo un poco così” mi baciò sulla fronte, delicato “Grazie, Cat” scrollai le spalle, non ti inventare le cose, zarevic, che non ci siamo. Solitudine, candore, eravamo sempre noi. E Alessio percepì tutto l’amore che avevo, se ne rivestì come uno scudo, una protezione. “Forza.. appoggia la testa contro il mio gomito, stiamo insieme”
“Io e te, come prima” vide la mia replica sul punto di sgorgare “Lo so che non è come prima, hai un  figlio, e mi vuoi bene, però mi fa piacere, che tu stia con me, Cat, alcune cose restano sempre uguali, mi vuoi bene, me ne hai sempre voluto, come io a te”
Gli massaggiai le mani, palmo su palmo, tacendo per non rovinare tutto. Era bello, malinconico, come un giorno d’autunno.
Cat, portami via.. Tienimi stretto, per sempre, non mi lasciare. 
   
 
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