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Autore: BabaYagaIsBack    22/01/2018    1 recensioni
Re Salomone: colto, magnanimo, bello, curioso, umano.
Alchimista.
In una fredda notte, in quella che ora chiameremmo Gerusalemme, stringe tra le braccia il corpo di Levi, come se fosse il tesoro più grande che potesse mai avere. Lo stringe e giura che non lascerà alla morte, il privilegio di portarsi via l'unico e vero amico che ha. Chiama a raccolta il coraggio e tutto ciò che ha imparato sulle leggi che governano quel mondo sporcato dal sangue ed una sorta di magia e, per la prima volta, riporta in vita un uomo. Il primo di sette. Il primo tra le chimere.
Muovendosi lungo la linea del tempo, Salomone diventa padrone di quell'arte, abbandona un corpo per infilarsi in un altro e restare vivo, in eterno. E continuare a proteggere le sue fedeli creature; finchè un giorno, una delle sue morti, sembra essere l'ultima. Le chimere restano sole in un mondo di ombre che dà loro la caccia e tutto quello che possono fare, è fingersi umani, ancora. Ma se Salomone non fosse realmente morto?
Genere: Avventura, Sentimentale, Sovrannaturale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Slash, FemSlash
Note: Lemon | Avvertimenti: Contenuti forti, Violenza
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"Give me a sign
Come back to the end
The shepherd of the damned
I can feel you falling away

No longer the lost
No longer the same

And I can see you starting to break
I'll keep you alive
If you show me the way
Forever and ever
The scars will remain"

Breaking Benjamin, Give me a sign

Sia nello scendere le scale, sia nell'avanzare lungo i marciapiedi umidi di Vienna, Zenas non era riuscito a distogliere lo sguardo dalla testolina sbiadita di Alexandria, dalle sue spalle fin troppo dritte e quel modo di camminare eccessivamente sicuro, simile all'incedere di una belva a caccia. C'era qualcosa di particolarmente insolito in lei, nel fatto che avesse cercato di opporsi a Levi, così, soprattutto per quest'ultimo motivo, non aveva obiettato di fronte all'ordine del fratello di allontanarla dall'appartamento di Noah. Comprendeva fin troppo bene la preoccupazione di Nakhaš nei confronti dell'Hagufah e, soprattutto, di Z'èv, ma loro sorella non era affatto una stolta, non avrebbe fatto nulla che potesse compromettere la momentanea tranquillità in cui si trovavano, anche se qualcosa, in quel suo atteggiamento, suggeriva persino a lui di non abbassare la guardia - ma perché? Cosa diamine le stava succedendo? Possibile che l'incidente avuto poco prima l'avesse scombussolata tanto da dargli l'impressione che fosse su di giri, come succube di una qualche droga?
Per tutto il tragitto, e poi anche seduti al pub, avrebbe voluto cedere al formicolio nelle proprie mani, afferrarla, scuoterla e chiederle spiegazioni, ma si trattenne. In qualche angolo recondito di sé temeva le conseguenze di quell'azione, quasi il suo sesto senso volesse avvertirlo di un possibile pericolo. Così, fingendosi meno preoccupato di quanto non fosse in realtà, Akràv aveva risposto a ogni sguardo della Contessa con un sorriso a labbra strette; l'aveva dunque scrutata infilarsi in un locale a molte straßen di distanza da casa di Noah e lì, a intermittenza irregolare, sporgersi oltre il bancone per sollecitare al barista "eine weitere Runde!", un altro giro. Chiunque non avesse assistito a ciò che era successo, a quella sorta di involontario tentativo d'omicidio, avrebbe potuto supporre che la sesta Chimera stesse festeggiando qualche avvenimento particolare - cosa che, ad essere onesti, aveva pensato anche lui nel vederla sorridere e flirtare con tutti quegli sconosciuti -, peccato che in quel momento ci fosse gran poco di cui essere felici.
Sì, Noah aveva dimostrato ancora una volta di essere Salomone, smentendo in definitiva i sospetti di Z'èv, ma purtroppo nel farlo aveva anche dato prova di essere una sorta di mina vagante. Sarebbe bastato mettere un piede nel punto sbagliato e... puff! sarebbero saltati tutti in aria, esattamente come era quasi capitato alla ragazza accanto a lui. E in effetti il fatto che lei fosse sopravvissuta a quella quasi esplosione si poteva considerare un motivo di celebrazione; peccato che nel suo caso risultasse un comportamento terribilmente forzato.

Così Zenas, per evitare di mandare in frantumi quella calma apparente, si era fatto ombra accanto a lei, restando a fissarla in un silenzio intervallato solo da poche e fugaci parole in un tedesco grezzo. Mordendosi la lingua si era concesso il fastidioso piacere di guardare come gli insegnamenti di Colette e Willhelmina, la terza e quinta Chimera, avessero plasmato la contessina ungherese cresciuta nella castità cattolica tanto in voga nel diciottesimo secolo, segnando i confini tra l'umana del passato e il mutaforma a cui Salomone aveva dato vita. Morire equivaleva a cambiare, si ricordò a un certo punto spostando lo sguardo dalla sorella alla propria pinta, e quella era una certezza. Non solo fisicamente, come poteva sembrare di loro a una prima occhiata, ma soprattutto più in profondità. Era un po' come per Alice che attraversa lo specchio: la bambina che torna a casa dopo essere stata nel Paese delle Meraviglie non è la stessa che ci è entrata quella stessa mattina, come dice persino Lewis Carroll. È cresciuta, sì, ma non solo. Qualcosa in lei, quando rimette piede nella realtà, viene brutalizzato. Forse la sua spensieratezza, forse la sua innocenza, forse tutto ciò che era stato seviziato anche nella loro anima nel momento del lakhazor.

Con un sospiro Akràv aveva poi bevuto ciò che era rimasto nel suo boccale e per scacciare quei nauseanti pensieri aveva chiesto: «Andiamo?»
In un'altra circostanza, con meno preoccupazioni addosso, probabilmente sarebbe rimasto in quel pub con Z'èv fino al mattino successivo, ma il suo sesto senso non aveva smesso per un solo istante di dargli il tormento: era certo che qualcosa, quella sera, sarebbe andata male. Non sapeva cosa, se una discussione, una rissa o altro, ma stava di fatto che più restava fermo a guardare la sorella e i suoi insoliti modi di fare, più la coscienza batteva i pugni e sbraitava, dicendogli che abbassare la guardia sarebbe stata la loro fine.

Alex volse il capo: «Di già?» Non era chiaro se fosse infastidita da quella richiesta, men che meno se stesse provando una qualsivoglia emozione; d'un tratto sembrò che nel rivolgersi a lui si fosse levata di dosso una maschera, rivelando la vera sé - apatica, forse svogliata. Della persona che fino a un paio di istanti prima stava amabilmente fraternizzando con sconosciuti non c'era più traccia.
«Zeh messukann lehiterakheq mi malekenu. (E' pericoloso stare lontano dal nostro Re)»
E in risposta una risata le sfuggì di bocca: «Strano, avrei detto tutto il contrario...» ma a quanto parve fu l'unica a trovare la cosa divertente.
«Alex...» Zenas scosse la testa, sempre più stanco. Possibile che nonostante lo scorrere delle ore sua sorella sembrasse ancora fuori di sé? «Al titegareh ett hassavelanutt sheli. (Non sfidare la mia pazienza)» suggerì poi con uno sbuffo esasperato, portandosi la mano al portafogli ed estraendo una banconota di grosso taglio - una delle ultime rimastegli, viste le spese di quei giorni. «Uvakhenn,» allungando una mano nella sua direzione, l'uomo corrugò le sopracciglia, cercando di apparire più minaccioso del solito: «bo nelekhe. (bene, andiamocene)»
Ci furono alcuni istanti di silenzio, uno sguardo poco convinto e, alla fine, il cedimento. Z'èv inaspettatamente non fece alcun tipo di resistenza, abbandonando il proprio boccale per intrecciare le dita con quelle del fratello e, saltando giù dallo sgabello su cui era rimasta appollaiata per tutto il tempo trascorso lì, si fece condurre verso l'uscita al pari di una bambina. Con la mano di Alex stretta alla sua, Akràv si sentì improvvisamente invadere da una dolcezza che, negli anni trascorsi in solitudine, gli era mancata tanto da fargli rimpiangere di non aver combattuto a sufficienza per tenere insieme la loro famiglia. Tutti quei gesti innocenti erano diventati fantasmi, lo avevano assillato giorno dopo giorno e, adesso, percepire nuovamente il calore di quella mano esile e al contempo brutale addolcì senza preavviso la durezza di poco prima. Appena i loro piedi ebbero varcato l'uscita del pub attirò a sé la sorella, poggiandole il braccio sulle spalle e cingendola in una sorta di abbraccio.

«Stai bene?»
Lei alzò il capo, corrugando le sopracciglia. «Non dovrei?»
«Ti ha quasi uccisa. Puoi raccontarmi tutte le palle che vuoi, ma non ci si riprende così da una cosa del genere» nemmeno per un istante i suoi occhi calarono in quelli della Contessa, certo che nell'osservarli avrebbe finito con l'intenerirsi maggiormente.
Z'èv sospirò, forse riportando anche lei lo sguardo sulla strada: «E come ci si riprende, akh? Quella di oggi non era la prima volta, non sarà nemmeno l'ultima... tanto vale fingere che non sia mai successa, esattamente come in passato.»
«Quelle erano altre circostanze.»
«Hayu nissuyey (erano esperimenti)» ancora un sospiro: «Lo so.»
Zenas si morse l'interno guancia, provando a scacciare i ricordi di quei momenti prima ancora che potessero far capolino nella memoria. C'era stato un tempo in cui tutti loro, oltre che sudditi, soldati, fratelli e mostri erano stati cavie. Ciò però non aveva mai abbassato Salomone al livello del Cultus, non lo aveva mai reso simile a quei degenerati, no. Lui aveva compiuto quelle pratiche solo per poter salvaguardare le Chimere, per renderle più forti, più autonome, meno... nemmeno Akràv avrebbe saputo come definire sé stesso e i suoi fratelli, ma stava di fatto che gli altri, quei mezzi alchimisti da quattro soldi, con le loro membra avrebbero fatto ben altro, avrebbero perseguito gli scopi peggiori - e se da un lato al loro Re avevano permesso di fargli qualsiasi cosa, a simile feccia mai.

«In quei casi eri, eravamo consapevoli. Stavolta no. Stavolta ti ha presa in contropiede e -»
«E' stato meglio di qualsiasi altra volta prima» lo zittì. Gli occhi dell'uomo si fecero grandi di stupore e per un attimo, uno solo, non riuscì a capire. Di che diamine stava parlando? Le si era davvero fritto il cervello?
Alexandria scosse la testa: «Dio, sembro una di quei feticisti a cui piace farsi maltrattare se dico così» poi rise piano, seppur in quel suo modo contagioso che gli fece tendere gli angoli della bocca nonostante la confusione del momento. «Intendo dire che non ho provato dolore. Non del tutto, quantomeno. Ma ho rivisto il passato, sai? Per quei pochi minuti sono tornata a Innsbruck, alla sera in cui ho ballato con lui e poi sono morta.»
«Per fortuna non volevi passare per una masochis- coff!» Zenas quasi sputò. La gomitata della sorella era arrivata inaspettatamente, mozzandogli il fiato e facendolo piegare in avanti con il sorriso ancora stampato sulla faccia. Non aveva avvertito alcun dolore, come sempre del resto, ma i muscoli si erano comunque contratti per l'impatto.

«Guarda che nonostante tutto è un bel ricordo, akh!» Bofonchiò prima di svoltare in una delle traverse secondarie trascinandolo con sé e, tossendo ancora un paio di volte, Zenas cercò di recuperare un minimo di contegno: «Sfido chiunque a non trovare bello il ricordo del proprio assassinio, sai?» Un'altra risata, stavolta seguita a ruota da quella di lei.
«Ideyott (idiota)!» Lo apostrofò accorciando il passo e obbligandolo a rallentare, come se non volesse far finire il momento - e sentendo la dolcezza di poco prima farsi più densa, concreta, Zenas non si oppose, rallentando. Beandosi di quell'andamento pacato, della brezza frizzantina che sfiorandogli il viso si contrapponeva al calore del corpo di Alexandria, l'uomo si mise a osservare la città, o quantomeno l'angolo di essa in cui si trovavano. Poche auto si intervallavano a un silenzio interrotto, di tanto in tanto, da qualche tv accesa oltre le finestre dei palazzi; gatti randagi saltellavano da un punto all'altro dei marciapiedi alla ricerca di cibo; piccoli gruppi di amici, di tanto in tanto, facevano la loro comparsa per sparire nelle vie di Vienna poco dopo, dando l'idea di non essere mai passati di lì - eppure, in quella normalità, qualcosa gli diede l'idea di stonare. In effetti, più si allontanavano dall'area commerciale, dove pub, kebabbari e negozi vari facevano capolino tra un edificio e l'altro animando la sera, più il silenzio gli diede l'impressione di essere innaturale.

Involontariamente strinse la mano di Z'èv, tanto da farla voltare con espressione corrucciata. I suoi passi si fecero ancora più lenti, la sua postura rigida. C'era una vibrazione, nell'aria, qualcosa di elettrico che d'un tratto mise in allerta i suoi sensi - ma cosa? Non avrebbe saputo dirlo. Con circospezione lanciò occhiate in ogni direzione senza mai fermarsi, temendo le conseguenze di un simile gesto.

«Che st-» strizzando maggiormente le dita della sorella la fece zittire.
«Sefatt hazott betokhe lo (non in questa lingua).»

Alexandria parve capire. Esattamente come ogni volta, seppur in silenzio, si parlarono. La tensione di uno divenne quella dell'altra e Zenas allungò il passo.
«Mashehu tazehir sheatah, akhòt? (avverti qualcosa, sorella?)»
Ma al posto di ricevere una risposta, Akràv si ritrovò tirato in un vicolo buio e schiacciato contro il muro dell'edificio che fino a pochi istanti prima avevano costeggiato. Il freddo della parete lo fece rabbrividire più di quel gesto. Che le era saltato in mente?
Con il cuore in gola e la sorella premuta contro di sé, tentò di capire cosa stesse succedendo. Abbassando lo sguardo sulla testolina sbiadita di lei, l'uomo fece per aprir bocca, inutilmente.

«Sssht! Ani shome'a ulay 'akheshayv (adesso forse li sento).»

Zenas allora tacque, lasciando alla sorella la quiete necessaria per cogliere ciò che lui non sarebbe mai stato in grado di udire. Nonostante fossero entrambi predatori, Z'év apparteneva a una specie diversa; lei sentiva tutto, dallo zampettio di un ratto sulle scale lì vicino al boato di una granata a chilometri di distanza. Più volte aveva dimostrato la sua superiorità. Uno scorpione poteva percepire le vibrazioni, i cambiamenti del tempo, ma un lupo poteva vantare orecchie sopraffine. 

«Dei passi» stabilì Alex dopo qualche secondo. 
Di fronte a quell'affermazione chiunque avrebbe tirato un sospiro di sollievo, dopotutto poteva trattarsi di chiunque, magari qualcuno dei ragazzi incrociati in precedenza, eppure né lui né lei parvero farlo. Era chiaro che d'improvviso avessero entrambi i sensi in allerta, ma da come il sesto senso lo stava mettendo in guardia, Akràv era certo ci fosse ben poco di rassicurante in chicchessia stesse arrivando. 

«Hem shehenn atah khoshev? (pensi che siano loro?)»
Un'insolita tensione strinse le viscere dell'uomo, forse facendogli persino tremare involontariamente le mani visto che Z'èv si volse verso di lui con un cipiglio preoccupato in viso. La vide mordersi appena il labbro inferiore prima di rimettersi in ascolto - ma stavolta di bocca gli sfuggì un'imprecazione.
Merda! Come avevano fatto a non accorgersi prima della loro presenza? Da quanto erano alle loro calcagna? E Noah? Erano anche lui e Levi in pericolo? Avrebbe voluto estrarre dalla tasca un cellulare, chiamare il Generale e assicurarsi che stessero bene, avvertirli di ciò che stava succedendo, ma non poteva. Non ne aveva i mezzi e, soprattutto, se qualcuno lo avesse sentito sarebbero stati guai ancora più grossi.
Mordendosi la lingua, Zenas tirò Alexandria a sé: «Hem lehate'ott anakhenu tserikhim (dobbiamo depistarli)» le sussurrò poi, cercando il suo sguardo.
«Mah zott omerett? (che vuoi dire?)»
Senza risponderle prese a camminare nella direzione opposta all'entrata del vicolo. Imboccandone uno per volta forse sarebbero riusciti a rimettere piede in un'area più viva della città e disperdersi tra la gente evitando lo scontro - perché anche se non voleva ammetterlo, come tutti loro non era più la Chimera di una volta. La sua corazza di pelle non avrebbe sopportato la medesima quantità di colpi, il pungiglione non avrebbe prodotto la stessa quantità di veleno e, ancor meno, la sua velocità di guarigione sarebbe stata la stessa di trent'anni prima. Non potendo fare affidamento sull'Ars di Salomone per possibili cure post scontro, il decidere di affrontare i membri del Cultus a viso aperto sarebbe stata una follia, ne era fin troppo consapevole; inoltre, non aver subito più alcun teqes (rito) per quasi tre decadi aveva lasciato su quel corpo segni visibili e non dubitava fosse altrettanto per la sorella. Erano in svantaggio, lo sapeva prima ancora di conoscere il numero dei loro inseguitori.

«Lehitemoded itam anakhenu lo yekholim (non possiamo affrontarli)» ammise infine, rivelando parte dei suoi timori. Se solo avesse avuto le ɛvɛn, se avesse quantomeno potuto contare su quel briciolo di Ars...
Un contraccolpo lo fece fermare. Con il braccio teso dietro alla propria schiena e la Contessa Varàdi attaccata all'estremità opposta, Akràv sgranò gli occhi, incapace di dare un senso a quel gesto. Allora il suo cervello aveva davvero smesso di funzionare!
«Lo mishum? (perchè no?)»
Spaventato dall'idea che qualcuno potesse notarli spinse Z'èv contro il muro, afferrandola per le spalle: «Be khissaronn anakhenu mishum! (Perché siamo in svantaggio!)»
«Raq hamissepari. (solo numerico) Nissayonn yesh lanu hem lehavedil, akh. (a differenza loro abbiamo l'esperienza, fratello)»
«Ma non la forza! Non l'Ars!» Ringhiò, premendo le dita con sempre più veemenza. Non avevano speranze.

«Noi siamo l'Ars» e nel pronunciare quelle parole i canini le si fecero affilati, lame di osso avorio pronte a dilaniare la carne. «Abbiamo affrontato nemici più pericolosi, akh. Siamo sopravvissuti a vere e proprie cacce, a guerre... e sinceramente se cinque stronzi rischiano di mettere a repentaglio la vita del mio Re sono disposta a perdere qualche arto» la decisione nel suo sguardo lo fece vacillare: «Dopo di noi cercheranno Levi. Sanno che è vivo e non possiamo permetterci che gli saltino alla gola, non ora. Noah non deve restare solo
D'improvviso un brivido colse Zenas alla sprovvista, facendogli allentare la presa e retrocedere di un passo.

Alexandria aveva ragione. Il loro Re doveva essere salvaguardato sopra ogni cosa e, per farlo, doveva restare con Levi - quindi, degli alchimisti avrebbero dovuto occuparsene loro.

«Beseder (va bene). Sbarazziamocene.»



Yaga:

 

Tanti cambiamenti per un singolo capitolo (che praticamente ho quasi riscritto da capo T.T).
Ma bando alle ciance, mie piccole Chimere lettrici: che ve ne pare di questa svolta? E cosa diamine è successo a Z'èv? Improvvisamente Noah è diventato il suo Re? Oppure c'è sotto qualcos'altro? Sarebbe bello saperlo.

Oltre a questo ho un ulteriore quesito per voi: che ne pensate delle traduzioni direttamente accanto alle battute/parole in quello che dovrebbe essere ebraico? Ho usato la tecnica che si può trovare anche in Miss Bahun: caccia ai vampiri ; ho pensato che potesse essere più funzionale del glossario a fine capitolo. Datemi una vostra opinione a riguardo e, intanto, vi auguro un caloroso proseguimento di serata!

XoXo,

La vostra amichevole BabaYaga di quartiere.

 

   
 
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