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Autore: Dimea    25/01/2018    4 recensioni
"Chat si accomoda su una sedia, mentre cerco la teiera in ghisa di mia madre. Guai ad avere un bollitore in casa mia, finirei diseredata anche solo per averlo pensato.
-Sai, nella mia classe si sta parlando di un viaggio a Londra. Ho sempre voluto vederla, quindi temo che ti toccherà sopportare qualche serata senza la mia compagnia-
Improvvisamente mi cinge la vita con le sue braccia, appoggiando il viso sulla mia spalla. Sento il suo respiro sul collo - Ma Chère , ammettilo che sentirai la mia mancanza- sussurra al mio orecchio, dopo avermi spostato i capelli con la punta del naso. Chat Noir ha la capacità di farmi irrigidire e sbottare senza difficoltà: possiede questa innata sfacciataggine e quel carisma tale, che non mi stupisco come possa avere un fan club, prettamente al femminile e con gli ormoni impazziti.
-Gattaccio! Non farmi prendere lo spruzzino come la volta scorsa!- lo vedo scoppiare a ridere mentre il mio indice tremante ed inquisitore sta ancora sospeso a mezz'aria. Ma la strigliata ottiene l'effetto sperato ed il gatto torna al suo posto senza troppe cerimonie. Eppure senza smettere di ridere."
quinto capitolo Aggiunto !!
Genere: Commedia, Introspettivo, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Adrien Agreste/Chat Noir, Marinette Dupain-Cheng/Ladybug, Un po' tutti
Note: Lemon, Lime | Avvertimenti: Spoiler!
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II
Rewrite

Adrien PoV

Non so dire come sia arrivato a casa, forse le mie gambe hanno percorso troppe volte quei tetti. Forse la mia mente conosce quel tragitto a memoria.
Eppure sono arrivato in camera mia e meccanicamente sono riuscito ad accasciarmi sul letto. Come un automa, quasi ho scordato come si respira e le tempie continuano a pulsarmi.
I pensieri e le immagini ritornano come uno tsunami e sono costretto a rialzarmi di scatto, mentre le mai tremano.
Misuro, a grandi falcate, la stanza, cercando di riordinare le idee.

Cosa diavolo mi è successo?
Come ho mantenuto la calma?
Se l'anello non  avesse richiamato l'attenzione, avrei potuto fare una danno! 
E l'ho quasi baciata...
Certo che lei ha un tempismo incredibile... Me lo dici così? Ti sto praticamente dicendo che mi piaci e tu mi dici il nome del ragazzo per cui hai una cotta da anni... e sono io.
Oddio, SONO IO. Certo che sono io... ma non l'io che si stava dichiarando!
Dio, Sto vaneggiando!
Mi passo una mano sul volto, ignorando la voce gracchiante di Plagg, sospirando. Non mi capacito dell'accaduto, eppure non è una tragedia.
-Potresti ascoltarmi, sai?-  cantilena il mio Kwami, prima di ingurgitare un quarto di camembert -Non capisco perché tu sia sconvolto. Davvero, non me ne capacito- scrolla le orecchie
-Non me lo aspettavo- bofonchio, svestendomi - forse non così, oppure non ora- alzo le spalle poco prima di essere raggiunto. Resto immobile, fissando Plagg negli occhi, alzando appena un sopracciglio -Ora cosa c'è?-
-E me lo chiedi?!?  Hai passato gli ultimi anni a presentarti alla sua finestra, quasi ogni sera. Quella ragazza ti piace davvero!- Si agita concitato il mio compagno di sventure -E lo hai dimostrato poco fa: Adrien, da quando ti conosco, non hai mai detto frasi di circostanza. Ti sei dichiarato in piena regola-
-Non Adrien, Plagg! Chat Noir si è aperto, non io!- Sbuffo -Non posso cambiare comportamento con Marinette, dall'oggi al domani...-
-E tu non farlo, testone!-
Certo, direi che è più facile a dirsi che a farsi!
Ciò non toglie che il mio Kwami ha tremendamente ragione, oramai sono anni che sto affondando con tutte le scarpe.

Dopo il rifiuto di Ladybug, avevo iniziato a presentarmi alla finestra di Marinette nella speranza di sfuggire dalla monotonia della mia gabbia di cristallo.

Non abitiamo distanti, e con lei mi sono sempre sentito a mio agio, forse per questo mi era venuto spontaneo avvicinarla. Ciò che mi ha colpito sin da subito, fu il suo dimostrarsi esattamente la sbadata dal cuore d'oro che trovavo ogni mattina tra i banchi, quella con il sorriso pronto e l'avvampamento avanzato e rapido.
Non avevamo mai parlato molto, prima di quella sera di quattro anni fa, quindi non avevo mai avuto la possibilità di vederla tutt'altro che impacciata e balbettante... nonostante questa sua reazione la rendesse tenera ai miei occhi. Eppure, ciecamente,la reputavo solo una ragazza timida.
Provai ad avvicinarmi un passo alla volta, come si fa con i cerbiatti per non spaventarli, sia come Chat che senza maschera. Iniziai, così, a darle un aiuto ogni martedì, ricordo che mi aveva pregato di spiegarle la grammatica Inglese -Davvero, è più forte di me, non riesco a farmela entrare in testa- mi aveva detto quella mattina. Sorrideva nervosamente e torturava il dorso del suo quaderno, con le dita. Non trovai una ragione per dirle di no. Ma Marinette arrossisce e si distrae facilmente, quando le sto accanto.
Eppure cominciò ad incuriosirmi. Come un astronauta, volevo vedere l'altro lato della Luna.
Quando iniziò a lasciarmi la finestra socchiusa oppure ad aspettarmi sulla terrazza, pronta a preparare una tazza di tea e ad offrirmi qualche biscotto, non mi fu difficile vederla come la mia migliore amica. Parlavamo di cose senza senso ed ogni tanto mi scherniva, dicendomi che non sembravo poi così selvatico e che, da lì a poco, mi avrebbe regalato una medaglietta. Poi rideva. Dio come rideva. Lo faceva di cuore, finché non le si arrossavano le gote o finché non lacrimava.
Poeticamente, vorrei fingere di non ricordare il giorno esatto in cui mi resi conto di essere in una condizione irreversibile, ma sono i piccoli dettagli che lo hanno reso indimenticabile: fu il Natale di tre anni fa. Ogni secondo è impresso nella mia mente, quasi marchiato a fuoco.
Era un martedì e, nonostante fossimo in vacanza, Marinette aveva insistito perché ci vedessimo sotto l'albero addobbato, davanti a Notre Dame, alle 16 in punto -non un minuto prima- aveva ridacchiato al telefono.
Indossava un cappotto rosso, una sciarpa spessa in lana color grigio topo e, per la prima volta, portava i capelli sciolti. Ricordo che rimasi stupito nel constatare quanto fossero lunghi e di come le incorniciassero il volto o di come le stesse particolarmente bene quel cappotto, sotto alle luci bluastre.
L'aria profumava di mandorle caramellate e legna bruciata, eppure riuscivo a riconoscere il suo profumo tipico, quello di croissant al burro e
Sorrideva, porgendomi un pacchetto confezionato maniacalmente, solo ora posso immaginare quanta cura ci abbia messo anche solo nell'involucro.
Sbirciava in punta di pedi, arricciando le labbra dal nervosismo, mentre scartavo la sciarpa che doveva aver confezionato con molta cura.
Così come non potrò mai scordarmi il suo sorriso davanti all'album da disegno rilegato in cuoio nero che avevo scelto appositamente per lei. Ma fu il lampo nei suoi occhi, quella luce che le illuminò il volto, quando le confessai che l'avevo osservata mentre disegnava sugli angoli dei quaderni, in classe.
Quella sera, mio padre si trovava in Italia, alla ricerca di non so più qual tessuto fuori produzione. L'ennesimo Natale solitario... o forse no.
Sgattaiolai fuori dalla finestra, indossando quella che oramai rappresenta la mia seconda pelle, ed in pochi balzi mi ritrovai sul suo balcone.
Appena uditi i passi sul legno, uscì di corsa stringendo un minuscolo pacchetto, anch'esso maniacalmente incartato. Aveva la dimensione di un piccolo scrigno, di quelli per gli anelli. Non aggiunse una parola, si limitò a sorridere porgendomi il regalo.
Una medaglietta. Chaton.
Scoppiammo a ridere entrambi, prima che mi infilasse malamente un maglione verde bottiglia bofonchiando qualcosa a proposito del freddo e che dovevo smetterla di coprirmi poco o mi sarei ammalato.
Si preoccupava. Era la prima.
Che fossi Chat Noir o Adrien, a lei non è mai importato, Si è sempre preoccupata allo stesso modo...
L'unica a cui importasse realmente di me. Non del modello, non del supereroe ma di me.
Cominciai a cercare il contatto fisico, ad abbracciarla mentre guardavamo le luci sulla Senna o semlicemente a pizziccarle il fianco ma la situazione cominciò a divenire controprodrucente. Decisamente controprodrucente.
Come quella stramaledettissima volta che lei decise di indossare una canotta ricavata da una maglietta, di almeno tre taglie più grandi, di Jagged Stone. Decisamente scollata, a causa del collo a barca tagliato al vivo. Durante l'abbraccio, lei si mise a strofinare la testa sulla mia spalla, complice il sonno, e la scollatura decise di lasciare ben poco spazio alla mia imaginazione. Davvero poco.
Dovetti fingere un'urgenza e, sotto lo sguardo incredulo e divertito di Marinette, mi defilai prima che potesse avvenire un incidente diplomatico... sfortunatamente le tute di pelle non aiutano in questi casi.
Quando accennò al fantomatico ragazzo che dimorava nei suoi più reconditi pensieri, devo ammetterlo, cominciai a provare una punta di gelosia.
Perché lui sì, ed io no?
Sentire Marinette dire il mio nome ed ammettere di provare qualcosa, beh... mi sarei sfilato il Miracolos anche subito. Ehi, sono qui! Lo sono stato per tutto questo tempo! E invece la felicità è durata ben poco.
Non me lo aspettavo. No.
Che fare ora?
Farmi avanti, così senza preavviso? Rischierei di risultare quasi sospetto...
-Plagg, consigli?- affondo la testa tra le mani, nella speranza di un'illuminazione.
-Se non erro, lei ha nominato un viaggio a Londra...- ridacchia il mio Kwami, lasciandosi affondare sul guanciale sinistro -Non è tra un paio di mesi? Direi che hai il tempo per far evolvere la situazione"-
-E con Ladybug?- sospiro
-Ne abbiamo già parlato...-

To be Continued...



Pour Parler:
Finalmente abbiamo gettato le fondamenta.
Come avrete già facilmente intuito, ho scelto di tenere come base tutto quello che è accaduto fino alla decima puntata, dunque i Kwami sanno delle rispettive identità ma , grazie al cielo, si sono morsi la lingua.
Adrien si è dato per vinto con Ladybug dopo il rifiuto sul balcone ecc...
I capitoli alterneranno i punti di vista di entrambi e capirete le mie motivazioni più avanti.
Per ora vi lascio.
Ci Leggiamo presto
Miss D.
   
 
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