II.
Giorno
Giorno
Un paio di bambini corrono sui sampietrini; riecheggiano nella via le risate spensierate e scambi di battute tra i passanti distratti che, attraversando la strada, si dirigono al bar-gelateria di una certa signora Marisa - un nome che pare dire molto agli abitanti del quartiere.
Illya osserva la scena silenzioso, rimane seduto su una delle tante panchine del piccolo parco e non si muove, quasi trattiene il respiro, mentre assiste a quel semplice momento di vita quotidiana.
Il sole di mezzogiorno riscalda il suo viso, la coppola che è solito indossare è lì, dimenticata al suo fianco, come a voler scacciare qualsiasi potenziale compagno di conversazione.
Si considera più un invisibile osservatore; ha imparato a non lasciarsi sfuggire nessun dettaglio, abilità perfezionata per lavoro, ed è così che apprezza con consapevolezza anche la più rara perla dell'incantevole Roma.
I profumi, i suoni, i volti degli sconosciuti sostituiscono, anche se solo per pochi attimi, i ricordi della sua Madre Russia, i dolorosi frammenti di memoria di suo padre, ma anche le gioie – seppur lontane – che lo hanno reso come uno di quei giovani davanti a sé.
«Vuoi anche tu un gelato, sor...?»
Uno squittìo timido attira l'attenzione del sovietico, è un mormorio quasi impercettibile, un suono che riesce però a riportarlo alla realtà.
Abbassa lo sguardo sul viso paffutello che lo accoglie con un sorriso, le labbra sporche di quello che dovrebbe essere cioccolato e due occhi del medesimo colore ad osservarlo curiosi.
«Non è troppo presto per gelato?»
La risposta dell'uomo irrigidisce il piccolo, una smorfia ingenua occupa ora il suo volto e il modo in cui corruccia la fronte diverte Illya, anche se rimane impassibile come suo solito.
«E che te frega, il gelato è sempre buono da mangiare.»
Il cucchiaio affonda nella coppa per poi scomparire nella bocca del ragazzino che, nel gustarsi il suo dolce, non si allontana fino a quanto non riceve un qualsiasi segno di conferma.
«Va bene, prendi un plombir.»
Quando gli porge un paio di lire la nota subito, l'espressione confusa alle sue parole, ed è solo in quel momento che Illya si rende conto di ciò che ha appena detto.
«Ah, intendevo crema, gelato alla crema.»
E il bambino scompare, ritornando solo pochi minuti più tardi con una coppetta.
Illya osserva la scena silenzioso, rimane seduto su una delle tante panchine del piccolo parco e non si muove, quasi trattiene il respiro, mentre assiste a quel semplice momento di vita quotidiana.
Il sole di mezzogiorno riscalda il suo viso, la coppola che è solito indossare è lì, dimenticata al suo fianco, come a voler scacciare qualsiasi potenziale compagno di conversazione.
Si considera più un invisibile osservatore; ha imparato a non lasciarsi sfuggire nessun dettaglio, abilità perfezionata per lavoro, ed è così che apprezza con consapevolezza anche la più rara perla dell'incantevole Roma.
I profumi, i suoni, i volti degli sconosciuti sostituiscono, anche se solo per pochi attimi, i ricordi della sua Madre Russia, i dolorosi frammenti di memoria di suo padre, ma anche le gioie – seppur lontane – che lo hanno reso come uno di quei giovani davanti a sé.
«Vuoi anche tu un gelato, sor...?»
Uno squittìo timido attira l'attenzione del sovietico, è un mormorio quasi impercettibile, un suono che riesce però a riportarlo alla realtà.
Abbassa lo sguardo sul viso paffutello che lo accoglie con un sorriso, le labbra sporche di quello che dovrebbe essere cioccolato e due occhi del medesimo colore ad osservarlo curiosi.
«Non è troppo presto per gelato?»
La risposta dell'uomo irrigidisce il piccolo, una smorfia ingenua occupa ora il suo volto e il modo in cui corruccia la fronte diverte Illya, anche se rimane impassibile come suo solito.
«E che te frega, il gelato è sempre buono da mangiare.»
Il cucchiaio affonda nella coppa per poi scomparire nella bocca del ragazzino che, nel gustarsi il suo dolce, non si allontana fino a quanto non riceve un qualsiasi segno di conferma.
«Va bene, prendi un plombir.»
Quando gli porge un paio di lire la nota subito, l'espressione confusa alle sue parole, ed è solo in quel momento che Illya si rende conto di ciò che ha appena detto.
«Ah, intendevo crema, gelato alla crema.»
E il bambino scompare, ritornando solo pochi minuti più tardi con una coppetta.
Quello russo è più buono, però.
Angolo dell'autrice:
Sor dovrebbe essere signore in romano, presumo? Ho lasciato i punti di sospensione perché il bimbo non conosce il nome dell'uomo con cui parla.
Il Plombir è un gelato russo che nell'URSS andava parecchio (e a quanto pare costava pure), ispirato dal francese plombière che risale all'epoca di Napoleone III.
Lo dico perché non so se il plombir sia diventato famoso in URSS negli anni '70-'80 o già prima, quindi potrebbe essere del tutto sbagliato.
Ho fatto questo calcolo: il padre di Illya è stato vittima delle purghe staliniane e lui aveva 8 anni, significa che la sua data di nascita è 1930/1931, nell'URSS i gelati sono della metà del '40, ma non se il plombir è tra questi.
Il senso è che Illya potrebbe aver provato il suo primo gelato a 13-15 anni? Boh.
Prendetela così com'è.