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Autore: Elisa_Pintusiana_Snape    28/01/2018    1 recensioni
Le storie di cui vado a raccontare sono quelle di persone comuni che, come tutti, hanno vissuto e affrontato la vita con i suoi drammi e le sue gioie. Persone con storie diverse , che condividono gomito a gomito le loro esistenze.
Genere: Commedia, Generale, Introspettivo | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Slash
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Capitolo 2

"Fra i rumori della folla ce ne stiamo noi due,
felici di essere insieme,
parlando piano,
 forse nemmeno una parola"  
-Walt Withman




“Il signor Morrison verrà a cena da noi” così aveva detto suo padre e Marco, che aveva interrotto lo studio solo per scendere in cucina e bersi un bicchiere d’ acqua, si era ritrovato davanti all’ armadio, indeciso su cosa indossare come una quindicenne al primo appuntamento. A risolvere il quesito si era presentata sua madre che, entrata in camera, aveva frettolosamente tirato fuori dall’ armadio un completo decisamente elegante “Mamma, è solo una cena a casa..” “Una cena col signor Morrison”- aveva detto sua madre –“Ordini di papà” e Marco aveva eseguito in silenzio, come sempre. Non capiva il perché di tanta agitazione, in quella villa erano passate diverse persone importanti, eppure attorno a Morrison sembrava essere presente una sorta di aura di onnipotenza, un’ aura che lo rendeva intoccabile. Morrison riusciva a rendere nervoso persino suo padre, il Conte dallo sguardo in grado di fulminare all’ istante, il genio della finanza, persino lui si aggirava per la villa pieno di agitazione, allentando la cravatta di tanto in tanto che sembrava soffocarlo.

Quando il campanello suonò, il maggiordomo corse ad aprire e scortò Morrison nel salotto principale dove tutta la famiglia era perfettamente disposta come se stessero posando per un dipinto, nel tentativo, fallimentare, di mostrare naturalezza. La villa del Conte era davvero sublime: decorata in ogni suo minimo dettaglio con raffinatezza ed eleganza. Essendo una delle ville della famiglia, di quelle che i nobili si trasmettevano da generazioni, era molto antica e possedeva tutto il fascino dei vecchi palazzi del 1700. Entrandovi ci si ritrovava catapultati in un’ altra epoca, quasi ci si potesse aspettare di veder scendere dalle scale una nobile dama col il suo abito a la francaise degno della corte di Luigi XV.
 Perso lo sguardo per un momento nella bellezza della villa, questo cadde immediatamente su Marco che sembrava essere l’ unico non disposto a sottostare a quel teatrino, non si sentiva inferiore a James, non dopo che avevano parlato insieme a cuore aperto. Pietro, in quanto capo della famiglia, si alzò per primo fingendo una sorta di stupore nel vedere il signor Morrison nel suo salotto, gli strinse la mano e lo fece accomodare a tavola. “Questa è Maria, mia moglie” James, con grande classe e stile inglese baciò la mano della donna “Incantato” sussurrò, “Questi sono i miei figli, Marco, che ha già avuto il piacere di parlare con lei ed  il minore: Andrea”, gli occhi di James però scrutavano Marco da cima a fondo, senza quasi considerare tutto il resto. Se lo era ritrovato davanti così, nella sua eleganza così giovane e un po’ ribelle, nella compostezza di un ragazzo pieno di misteri e passioni. Non poteva fare a meno di immaginarselo fuori da quell’ ambiente di false lusinghe e lusso smanioso, non che James ripudiasse il lusso, anzi, ma avrebbe tanto voluto vedere Marco fuori da quegli schemi così rigidi e impostati, vederlo essere realmente sé stesso, umano, scomposto e felice, come quella sera in cui avevano a lungo parlato.

Iniziarono a mangiare mentre James conversava principalmente col padrone di casa, lanciando di tanto in tanto sguardi verso Marco che, educatamente, mangiava gli antipasti appena serviti. James non poté fare a meno di notare quanta timidezza, quasi riserva, avesse Marco nel compiere il semplice atto di mangiare. “…Il mio ragazzo qui ha però deciso di laurearsi in letteratura” disse Pietro alla fine di un discorso del quale James si era perso l’ inizio e accompagnò la frase finale con una forte pacca sulla spalla, una di quelle pacche che i padri tirano ai propri figli per trasmettere il loro orgoglio, il classico gesto d’ amore fra padre e figlio. Quella semplice pacca, in realtà, trasmetteva più rancore che orgoglio, Marco se ne era accorto dall’ insolita intensità del colpo. “Trovo che sia delizioso” esordì James sorseggiando del pregiato vino e rivolgendo lo sguardo verso Marco che se ne stava a capo chino aspettando le battute del padre sull’ inutilità della letteratura e delle scienze umanistiche nella vita reale. Invece suo padre tacque e Marco alzò lo sguardo ritrovandosi di fronte le iridi chiarissime di James “Trovo” – proseguì l’ uomo –“ Che sia oltremodo lodevole un tale ardire nella realizzazione dei propri desideri. Trovo affascinante qualsivoglia forma artistica, ma ciò che mi affascina di più è la capacità di seguire le proprie vocazioni, non è da tutti” e concluse regalando un sorriso a Marco.

La serata proseguì tra argomenti di economia estera, commenti su qualche azione politica, tutto nell’ interesse di coinvolgere Mr. Morrison e farlo partecipare attivamente alla discussione in un campo di cui il Conte fosse estremamente pratico. Dal canto suo Marco tendeva soltanto qua e là l’ orecchio per ascoltare ciò che veniva detto a tavola; trovava la conversazione poco stimolante poiché tutto sembrava detto per assecondare le idee di Morrison. Fortunatamente la cena si concluse e il signor Conte decise che avrebbe lasciato James e Marco soli al piano di sotto “So che avevate desiderio di parlare nuovamente con mio figlio” –aveva detto alzandosi “Non andiamo di sopra” e detto questo strinse la mano di Morrison per congedarsi, seguito dalla moglie e dal secondogenito.
Rimasero lì a fissarsi per una manciata di secondi, sommersi da un silenzio che per Marco era assolutamente imbarazzante “Non starebbe a te” –esordì James –“Fare gli onori di casa?” Marco si risvegliò dal suo momentaneo torpore senza però abbandonare la sua rigidità e si alzò velocemente “Ehm… Certo, desidera da qualcosa, signor Morrison?” James sorrise constatando quanto Marco assomigliasse più ad un maggiordomo inesperto piuttosto che ad un ricco conte ereditario che intrattiene un ospite “Desidero che tu la smetta di chiamarmi signore” –disse James sorridendo –“E del whisky, grazie”. Marco sorrise mentre le sue guance si coloravano di rosso e iniziò a versare il liquido ambrato all’ interno di un bicchiere. Lo porse a James e si sedette in una poltrona vicino alla sua, osservò James sorseggiare con grazia il distillato “Sei così  particolare, Marco” disse James guardando davanti a se “C..Come?” “Non fraintendermi, è una cosa che ammiro” Marco arrossì ancora di più, se possibile “Non ho niente degno di nota” “Credimi” –rispose James svuotado il bicchiere – “Sei vero, ti pare poco?” Marco in tutta risposta sorrise “Ecco!” –esclamò James facendo sobbalzare Marco –“Dovresti sempre sorridere invece di rimanere serio” e Marco inevitabilmente sorrise di nuovo.

Passarono così almeno due ore tra alcool e risate nel tentativo di darsi un tono, ma senza volerlo davvero fare: stavano bene così, sbrigliati da ogni etichetta.
Data l’ ora il signor Conte discese le scale e propose a Morrison di fermarsi per la notte. Lui accettò la proposta di buon grado e si alzò dalla comoda poltrona per seguire il maggiordomo, Alberto, a cui era stato poco prima ordinato di preparare una stanza. Salì le sontuose scale e seguì Alberto che gli indicò la sua stanza: inutile dire quanto fosse sontuosa e quanto le sue decorazioni ricordassero la camera di una reggia. Poco dietro di loro c’ era Marco e James notò con piacere che le loro camere fossero una di fronte all’ altra. Lo vide strofinarsi gli occhi e scompigliarsi i capelli, evidentemente molto stanco “Non mi dai la buonanotte?” domandò James senza pensare nemmeno a cosa stesse facendo, Marco sorrise dolcemente e si avvicinò verso la camera dell’ uomo che lo trascinò dentro chiudendosi la porta alle spalle. Marco lo guardò inizialmente perplesso, ma poi scoppiò a ridere e, udendo quel suoni, le pupille di James si allargarono e sentì il cuore mancare un battito, forse anche due. La risata di Marco era semplicemente sublime, cristallina, viva, un’ esplosione nel silenzio assordante della sua stanza e della sua anima. Guardando gli occhi lucidi del ragazzo che si trovava di fronte, James si promise che avrebbe fatto di tutto per riascoltare quel suono, che avrebbe fatto qualsiasi cosa si sarebbe rivelata necessaria per poter di nuovo provare la gioia di ascoltare la sua risata freschissima. Fresca, sì, come l’ improvvisa folata di vento che ti fa tramare… “Ch’ ella mi fa tremar le vene e i polsi” pensò istintivamente James, come se quello fosse il momento di pensare a Dante. Forse lo era, forse era proprio in quei momenti che la letteratura accorre in tuo soccorso, nel momento in cui grandi autori sanno esprimere ciò che senti ed esprimerlo al posto tuo. “Dannazione” sussurrò James “Perché non ridi sempre così?” Marco sorrise “Non trovo le persone giuste”. James lo cinse per i fianchi, poggiando la testa su una spalla del ragazzo che non temeva o respingeva il suo corpo, ma lo accoglieva in un dolce abbraccio “Fammi essere una delle persone giuste” disse James, quasi implorando, come se fosse impegnato nella preghiera più intensa della sua vita. Appoggiarono le fronti e sorrisero “Lo sei già” “Dio, ridillo” sussurrò James socchiudendo gli occhi senza smettere di sorridere e Marco scoppiò a ridere, regalando a James un altro idilliaco momento.


“Voglio sentirti ridere così per tutta la vita, Marco”

  
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