IL RUMORE DELLA CADUTA
Il rumore della caduta;
quando scivolo, la testa penduta
verso il basso,
la paura di aver commesso un passo
falso,
il timore
provocato dalla consapevolezza
dell’errore
commesso,
concesso,
spietato,
spiritato.
Caduto, mi fan male i ginocchi,
ai piedi legati dei blocchi
di cemento che m’impediscono di
rialzarmi;
provo dolore, ma devo arrangiarmi,
nessuna mano amica ad aiutarmi,
soffoco e sopprimo un ardore
inconsueto,
generato da un dolore profondo e
pacato,
in qualche modo educato,
che nel mio cuore tanto spazio si è
procurato.
Cado, e in bocca mi sembra di avere
una manciata di sale,
dal tanto che provo disgusto e male,
male dentro,
male al centro
del petto, soffuso,
che si espande, generoso,
in un cuore tenebroso.
Non voglio ricordare il passato;
esso mi ha già plagiato,
condizionato,
se ricordo sto ancora peggio,
scivolo lungo il malevolo pendio,
se lo faccio sono spacciato,
ne esco devastato.
Meglio non ricordare,
e dal presente lasciarsi trasportare.
Allora sì,
così,
mi par di poter pensare meglio al
futuro
e il mondo sembra meno duro.
Quindi mi rialzo,
con un balzo,
sono di nuovo in piedi
e non mi limito ad affrontare pesi
medi,
vado sul tosto, sono pronto a tornare
per sfidare ogni genere di sfide
amare.
Quando cado, però, non è sempre
facile
rialzarmi da terra,
amabile,
un cervello chiuso in una serra,
nella sua umidità profonda,
da culla antica, rotonda,
cammino quasi fossi di ronda,
in trincea per combattere una lontana
guerra.
E se provassi a resistere?
A non cadere?
A cercare di lottare,
di dire no a ciò che mi fa star male?
No, un no a quel che mi fa soffrire,
un no a ciò che il fondo mi fa
sfiorare
con le dita delle mani,
dai miei polpastrelli vani,
dai sogni infranti
in una marea di sguardi sognanti.
Il rumore di una caduta
è pari all’effetto di qualche sorso
di cicuta;
a volte, un no può salvare una
giornata,
può donare un sorriso per una
mattinata,
può non lasciarci ferire,
marcire,
infliggere pene pari al flagello,
che nel cuore poi genera peso e
fardello.
Non voglio più cadere,
sono stanco di cadere,
il fondo è lì,
sì,
ad un passo,
ad un dito,
pare così inflitto,
colpo basso,
proibito;
e pensare che è come un panino
farcito,
non si sa mai quel che ci potrà
riservare,
non lo si può immaginare,
per comprenderlo bisogna soffrire,
prestarsi al suo gioco e al suo
aggredire
costante,
mutante,
senza timore
di essere mordace, di fare rumore,
perché la caduta stessa è rumore,
rumore interiore,
e quando a nulla si crede più,
ecco che si cade definitivamente giù.
NOTA DELL’AUTORE
Piccola poesia scritta puramente per svago, non porta alcun
significato importante con sé, è solo una sorta di descrizione di quel che
provo quando, a volte, deluso da qualcosa, mi sembra di toccare il fondo.
Grazie per l’attenzione, come sempre ^^