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Autore: StewyT    06/02/2018    1 recensioni
1625 Inghilterra: Carlo I vuole ottenere la supremazia su tutte le terre in territorio Inglese, ma Robert Lightwood, Re di Scozia non accetterà mai di cedere a quello che si dichiara unico vero re del Regno Unito con un’unica religione, e l'unica possibilità che gli resta è il Re Magnuspossessore del più grande esercito conosciuto al mondo, a cui promette la mano di sua figlia Isabelle.
Magnus Bane, il più ricco possidente terriero conosciuto al mondo, regna nelle calde isole indonesiane e in Scozia non ci metterebbe mai piede se non fosse che tempo prima, lì ci ha lasciato la donna che credeva di amare: Camille Belcourt.
Arrivato in Scozia, però, tutto quello che Magnus aveva in mente scompare con un soffio di vento dagli occhi blu e i capelli neri. Magnus, infatti, allettato all’idea di conoscere Isabelle, viene totalmente colpito da Alexander, fratello maggiore di quest’ultima, e timido ragazzo dal carattere forte chiuso in sé stesso.
Riuscirà la magia che scorre nelle vene di Magnus ad avvolgere il cuore freddo e cinico di Alec e a salvare Isabelle da un matrimonio obbligato? L'amore, in fondo, è in grado di compiere grandi magie.
Genere: Fluff, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het, Slash | Personaggi: Alec Lightwood, Izzy Lightwood, Magnus Bane, Simon Lewis, Un po' tutti
Note: AU, OOC | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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One day, baby, we will be.
Clary guardava quell’uomo dai grandi occhi azzurri con le lacrime che gli colavano sulle guance, incredula e scossa da quello che le stava dicendo. Jace sostava qualche passo dietro di lei, le spalle che si toccavano di tanto in tano, lo sentiva freddo e cinico. Stava provando ad alzare quel muro di forza che nei giorni Clary era riuscita a demolire perché uno dei due doveva dare coraggio all’altra. Il biondo la guardava così piccola e fragile eppure così tanto piena di forza, la grande voglia di stringerla tra le proprie braccia.
Lucian Graymark la guardava dalla sua grande altezza con i capelli brizzolati e gli occhi azzurri liquidi, la voce roca di lacrime, il cuore di chi non aveva potuto amare chi avrebbe voluto amare.
“Era fidanzata con il mio migliore amico” sussurrò “Ma io la amavo e l’ho aiutata a nascondersi da Valentine. Magnus Bane ci ha aiutati, è stato da subito gentile con tua madre perché lei è stata gentile con lui. Nessuno fa nulla per niente ma Magnus Bane ti ha portata con lui e ti ha cresciuta solo in nome di quella donna che gli aveva fatto scoprire un inganno, nulla di più. Tua madre deve la tua vita a lui”.
Clary annuì, sentendo subito il bisogno di dover abbracciare quell’uomo nella cui voce riusciva a sentire il rimorso di chi crede di non aver fatto a sufficienza.
“Le aveva promesso di non dirmi mai il suo nome…” sussurrò lei trattenendo altre lacrime e Lucian annuì.
“Temeva che decidendo di venire qui potessi incappare nella rete di tuo padre” si massaggiò le tempie “Ma hai scampato questo pericolo per il momento. ValentineMorgenstern, tuo padre, è stato un traditore. Ha tradito la corona e ora serve l’Inghilterra. È anche per questo in parte che Robert ha intenzione di muovere guerra all’Inghilterra e vuole necessariamente vincerla. Per dimostrare al nostro amico d’adolescenza chi comanda davvero” scosse la testa “Ma entrambi hanno perso il percorso della retta via”.
Jace strinse una spalla a Clary e la invogliò a fare quella domanda che le premeva le labbra stringendole forte la mano stesa lungo i fianchi; lei lo guardò e si tranquillizzò ritrovandosi quei piccoli profondi pozzi di miele e quel leggero sorriso sul suo viso.
“Lucian, lei chi è e dove è?” chiese, finalmente, ma l’espressione che vide sul viso dell’uomo le fece venire nuovamente voglia di piangere. Lucian arretrò di qualche passo fino a sedersi su una sedia di legno, si portò entrambe le mani agli occhi e scosse la testa “Speravo di non dovertelo mai dire” gemette stringendo nei palmi il bordo del tavolo al quale era seduto. “Il suo nome era Jocelyn Fairchild. Era la donna più fiera e forte che avessi mai conosciuto. Mi innamorai subito di lei e lei mi abbandonò subito dopo di aver capito di amarmi, che quel bambino che portava in grembo sarebbe dovuto essere mio e non di quell’uomo che l’aveva condotta alla morte”. E così aveva ritrovato sua madre ma lei non c’era più. Sua madre era morta.
Clary sentì il mondo girarle attorno, vide le stoviglie di porcellana cadere dalla mensola di legno che si scardinava dal muro, vide la sedia volare in aria portandosi dietro Lucian, vide il tavolo alzarsi e colpire direttamente Jace in pieno viso: tutto le girava vorticosamente attorno e lei aveva solo voglia di vomitare.
“Mi dispiace Clarissa” sussurrò Lucian “Vorrei che fosse andata diversamente”.
Ma lei già non stava più ascoltando: correva più velocemente di quanto avesse mai fatto in vita propria.
Sentiva il vento schiaffeggiarla, i capelli volare in aria e i vestiti attaccarglisi alla pelle a causa della pioggia che scendeva imperterrita da grossi nuvoloni sulla sua testa.
Jace la guardò andare via preoccupato dal fatto che potesse perdersi tra le stradine della cittadina o peggio ancora percorsi fangosi della foresta ma Lucian lo fermò e lo pregò di darle una lettera scritta sua madre quando si fosse calmata; il biondo annuì e lo ringraziò, dopodiché corse più veloce del vento pronto a riacciuffare Clary tra le proprie braccia.
 
*^*^*^*^*^*
 
Isabelle seduta sul suo letto lo guardava con disapprovazione come se fosse stato lui a cacciare il fratello l’ultima volta da camera propria, come se avesse voluto far accadere lui quello che era successo.
Ma di sicuro non era stato lui a chiedergli di evitarlo per una settimana; era da troppo ormai che Alec non gli rivolgeva neanche uno sguardo. All’inizio aveva provato a provocarlo guardandolo, parlandogli persino in pubblico, seguendolo, ma poi si era arreso. Non si può rincorrere per sempre qualcuno che non vuole essere raggiunto e Alec non voleva affatto essere raggiunto da lui. Dunque lo aveva lasciato a sé stesso e si era dedicato al motivo per il quale aveva davvero deciso di arrivare in quelle maledette lande fredde che rischiavano di gelargli persino il cuore. Fortunatamente a riscaldarglielo di tanto in tanto c’era Isabelle che aveva iniziato a trascorrere più tempo del dovuto, forse, con lui. Tanto da far lamentare persino di Robert!
Non erano ancora arrivati ad una conclusione per la sua situazione con Simon, ma a breve il ragazzo sarebbe partito per un paesino molto vicino dove era stata avvistata l’ultima volta Camille con la speranza di poterla trovare e poter riavere da lei quello che gli apparteneva.
La ragazza lo guardava dal basso e scuoteva la testa, lui la guardava frastornata, non riuscendo a capire quello di cui lo accusava.
“Quindi davvero decidi di arrenderti?” chiese per l’ennesima volta e Magnus si alzò dalla propria sedia per avvicinarla, un vasetto di cristallo tra le mani contenete un siero all’oro proveniente direttamente dal suo regno; quanto gli mancava, non vedeva l’ora di partire e tornare a sentire la sensazione di calore regalata dal sole, il fresco elargito dal mare e l’odore di cocco che si sprigionava ovunque.
“Prendine un po’ e saggiane la consistenza, mia Isabelle” disse con voce seducente il Re, ma lei scosse la testa infastidita “Non mi incanterai con un po’ d’oro, Magnus”. Magnus alzò gli occhi al cielo e si avvicinò nuovamente al mobile da toletta d’oro che si era portato direttamente dall’Indonesia; aprì un piccolo scrigno poggiato sulla tavoletta e vi fece scivolare le dita dentro fino a quando non fu soddisfatto del risultato e dunque le si avvicinò nuovamente “Ne sei proprio certa, mia cara?” chiese nuovamente mostrandole un paio di orecchini d’oro bianco con delle pietre rosse incastonante a goccia che le sarebbero stati benissimo valorizzando la sua mascella pronunciata e le labbra che portava sempre rosse.
“Avanti, ti stanno d’incanto” le sussurrò mettendogliene uno ed alzando un piccolo specchio per farle ammirare quel capolavoro rosso e oro che andavano a creare con il suo incarnato.
“Potresti salutare così il tuo Simon prima della partenza: con solo questi pendenti addosso” le sorrise e Isabelle arrossì leggermente, divertita. Quindi gli prese l’altro orecchino dalla mano e se lo mise, poi si alzò di scatto e incrociò le braccia al petto “Grazie per questo meraviglioso dono, mio Re” rise “Ma non mi distrarrai dal mio discorso” gli puntò un dito contro “Vuoi davvero arrenderti così?” Magnus sbuffò e aprì la bocca per rispondere, ma un paggio vestito di tutto punto aprì la porta di camera e li avvisò che stava per essere servita la cena, dunque Magnus rallegrato lo seguì e Isabelle minacciandolo che lo avrebbe pressato fino a quando non gli avrebbe fatto cambiare idea, gli andò dietro.
 
*^*^*^*^*
Magnus sorrise fintamente ad una battuta di Robert, e ritornò ad osservare in silenzio il proprio piatto, poi a parlare con Isabelle e a ridacchiare su Simon che faceva di tutto per non arrossire, essendosi accorto che parlavano di lui, ed infine si chiuse in una piccola bolla privata con Clary che due giorni prima aveva scoperto finalmente il nome della madre ma era venuta anche a conoscenza della sua morte; Magnus era dispiaciuto, soffriva vedendola sofferente. Avrebbe voluto avere la forza di poterla aiutare, di poter servire a qualcosa, ma non sapeva cosa fare. La sua mente era annebbiata, non riusciva a pensare ad altro che salpare sulla nave e arrivare lontano da quel posto, lontano da Alexander che quella sera aveva deciso di tornare a perforargli l’anima con i suoi due occhi blu notte. Magnus bevve un sorso di vino e strinse una mano di Clary “Credo” disse facendo finta di ignorare il principe “Di essere d’accordo con Jace per la prima ed ultima volta” Jace rise e alzò un bicchiere come per brindare alla sua salute “Dovresti aprire quella lettera, Clarissa” la accarezzò con più dolcezza e si avvicinò al suo viso “Devi farlo” le diede un bacio e alla fine esausto dagli sguardi di Alec, dalla voglia che sentiva nascergli dal petto e dalla sua stessa voglia di ignorarlo, si alzò da tavola chiedendo ancora una volta le sue scuse, diede un bacio sulla guancia di Isabelle e si ritirò in camera. Sentì dei passi dietro le spalle ma fece finta di nulla, prese a camminare più veloce, quasi sentiva il cuore salirgli in gola, si ritrovò a correre e a sbattersi la porta alle spalle: era al sicuro.
Si guardò allo specchio e sbuffò non riconoscendosi nell’immagine di un uomo senza coraggio che provava a scappare da qualcun altro, forse stava semplicemente scappando dall’ennesima delusione che non avrebbe potuto sopportare. Isabelle gli chiedeva come poteva farlo, la sua risposta al momento, era che doveva farlo. Era arrivato ad un certo traguardo della sua vita: quello in cui si capisce che chiunque ami verrà comunque dopo di te, dunque dovrai fare sempre di tutto per preservare prima te e poi gli altri.
Un po’ di sano egoismo serve per difenderti e salvarti, e il suo egoismo consisteva nel fare i suoi bagagli.
Si tolse il manto di pelliccia regalatogli da Isabelle e lo poggiò sulla sedia avanti la toeletta, sbuffò e si avvicinò ad uno dei grandi bauli ormai vuoti, dunque aprì l’armadio che aveva ormai riempito di sui vestiti ed iniziò a prenderli uno ad uno; era così esageratamente geloso delle sue stoffe da preferire piegarle di sua mano piuttosto che lasciarlo fare a qualcuno. L’unica altra persona a cui dava la possibilità di toccare i suoi vestiti era Catarina. Sbuffò piegando dei pantaloni di seta, lasciandosi trasportare da quel loro colore azzurrino proprio come quello degli occhi di quella fantastica donna dalla pelle scura e gli occhi azzurri come il cielo che ormai non vedeva da troppo tempo. Gli mancava. Così come gli mancavano Raphael e Ragnor, i suoi più grandi e stupidi amici. Chissà cosa avrebbero pensato della brutta situazione in cui si trovava?
Posò nel baule più grande il pantalone che aveva appena piegato, dunque prese la lunga casacca azzurra intarsiata di pietre rosse e blu e la piegò allo stesso modo e la posò. Quando si girò verso l’armadio per prendere un altro indumento scorse con la coda dell’occhio Alec poggiato alla porta, le gote rosse e il petto ansimante. Magnus alzò gli occhi al cielo e si massaggiò le tempie.
“Di cosa ha bisogno, principe Alexander?” chiese scocciato rigirandosi nuovamente verso il baule per posare una veste lunga e rossa come la tinta che spesso colorava le labbra di Isabelle.
“È vero…?” chiese Alec puntando un dito contro il baule. Magnus alzò un sopracciglio “Che sono un Re ordinato che odia schiavizzare? Certo” sbottò prendendo dei pantaloni neri di velluto, quelli che aveva dovuto commissionare in quel posto orribile per poter sopravvivere ai giorni più gelati e alle cavalcate più fredde. “No, che vuoi andare via!” borbottò Alec allontanandosi dalla porta per avvicinarglisi.
Magnus lo guardò come se fosse stato un estraneo, cosa che non era più da tempo, ormai.
“Prima o poi sarebbe dovuto succedere, no? Che non avessi intenzione di sposare sua sorella la principessa lo aveva capito già, Principe Alexander, no?”.
Alec deglutì a fatica sentendosi un groppo sullo stomaco: odiava la freddezza con cui gli stava parlando.
Aveva sbagliato, si era comportato da stupido ragazzino egoista, ma perché non riusciva a comprendere che si sentiva sbagliato? Che si odiava e quello era solo l’ennesimo modo per punirsi? Perché quella volta non lo capiva neanche Isabelle?
Allungò una mano verso la spalla di Magnus che si mosse agilmente per scacciarla via senza preoccuparsi di risultare scontroso, quindi la lasciò cadere in aria. “Cosa stai facendo?” chiese, ma di sicuro non si riferiva ai bauli. “Riempio i bauli” rispose ovviamente il Re facendo spallucce. “Perché?” chiese dunque Alec, Magnus lo guardò di traverso e alzò gli occhi al cielo così come aveva imparato da lui.
“Perché non mi piace schiavizzare chi lavora per me e perché sono estremamente geloso dei miei capi d’abbigliamento, non voglio che nessuno li tocchi”. Alec si leccò le labbra e scosse la testa.
“Puoi almeno…” si morse l’interno della guancia. Cosa? Considerarlo? Poteva davvero chiedergli di considerarlo dopo averlo baciato, essere scappato via ed averlo ignorato fino a quel momento?
“Isabelle ha bisogno del tuo aiuto” gracchiò, quindi. Ma in realtà tra i due era lui quello a necessitare Magnus. “Non andrò via di qui prima di averla aiutata” rispose lui “D’altronde richiede parecchio tempo preparare tutto per un viaggio così lungo, quindi troverò il modo di aiutarla”.
Alec annuì. “E me? Aiuterai anche me?” chiese. Magnus lo guardò per un secondo, deglutì obbligandosi a non guardargli gli occhi, a non cedere. Ma lo fece. Lo guardò e desiderò di baciarlo.
“Non posso aiutare chi non vuole essere aiutato” sospirò prendendo una sciarpa di seta color sabbia, quanto gli mancava quel colore, la sensazione di calore bollente sotto i piedi.
Vide Alec sbattere le ante del suo armadio e strappargli la fascia dalle mani per poi girare il suo volto verso il proprio “Puoi almeno considerarmi?” gli urlò contro, Magnus scosse la testa.
“Credevo avessimo smesso di considerarci qualche giorno fa, no?” ribattette incrociando le braccia al petto, non sapendo cosa farsene e in parte per la voglia di tenerle lontane da Alec che gli stava accarezzando una guancia. “Mi dispiace” provò a dire il bruno ma Magnus scosse la testa “E non rifilarmi il solto mi dispiace” disse forzando Alec ad allontanarsi. Non gli piaceva quella situazione. Alec sembrava esattamente l’Alec di qualche giorno prima, quello che lo aveva baciato eliminando la distanza tra le loro labbra, ma era qualcun altro, non era più lui. Quell’Alec era esistito solo in pochi momenti: solo quando gli aveva parlato del castello, solo quando lo aveva portato in giro in perlustrazione, solo quando era andato a fare una passeggiata con lui, solo quando lo aveva portato nel suo posto preferito, solo quando lo aveva baciato.
E poi? E poi era scomparso. E lui non aveva bisogno di qualcuno che scomparisse dalla sua vita velocemente così come era arrivato. Doveva proteggersi.
“Magnus” mormorò Alec prendendogli un braccio con forza, quella volta non lo strattonò via, si girò e lo guardò curioso di quello che avrebbe avuto da dirgli. “Non andare via” lo implorò, quasi. Magnus rise e scosse la testa “Perché non dovrei farlo? Non ho motivo per restare qui e il mio regno ha bisogno di me” si leccò il labbro inferiore “E a dire il vero ho bisogno anche io del mio regno” disse facendo spallucce.
Alec deglutì le lacrime e lo trattenne con più forza “Io però ho bisogno di te” disse, quasi piangendo.
Le lacrime gli punsero di nuovo gli occhi all’espressione divertita ma anche piena di rabbia di Magnus che fece per allontanarsi, ma non glielo permise. Si spinse sulle sue labbra e quella volta non gli avrebbe detto che gli dispiaceva, affatto.
Magnus però lo allontanò con forza, lo spinse leggermente e mise una grande distanza tra loro, lo guardò come aspettandosi l’ennesima scusa ma non arrivò.
“Non puoi fare così” gli disse puntandogli un dito contro “Non puoi sconvolgere tutti i miei piani”.
E non intendeva solo quelli legati alla sua partenza, tutt’altro. Si riferiva anche alla promessa di non amare più nessuno che come aveva fatto anni prima in quello stesso posto.
“Anche tu hai sconvolto i miei, però” sussurrò Alec avvicinandoglisi nuovamente “Avevo pianificato di non innamorarmi mai nella mia fredda e cinica vita e invece sei arrivato tu e hai distrutto il muro di indifferenza che mi ero costruito attorno”. Magnus lo guardò a bocca aperta, deciso a mandarlo via.
Ma come poteva fare? Quel ragazzo lo rendeva nervoso, eccitato, felice, innamorato.
“Non ci si innamora in così poco tempo, Alexander” asserì burbero Magnus, ma Alec gli prese la mano e dunque il Re le guardò intrecciarsi in un insieme di caramello e bianco latte che si sposavano a meraviglia: due mani morbie, lunghe ed eleganti che si muovevano assieme, stringendosi ed amandosi.
“Allora io sono stato fortunato” sussurrò talmente vicino che Magnus riusciva a distinguere le pagliuzze nere nei suoi occhi “Perché sono maledettamente innamorato di te, Magnus Bane e non ti lascerò andare via. Non ora, almeno” bisbigliò quasi sulle sue labbra. “Dovrò andare via prima o poi, Alexander e cosa faremo allora? Ci crogioleremo nei ricordi? Preferisco non averne piuttosto che piangerci su” disse lui, cercando di restare freddo, ma Alec sorrise “Un Re molto saggio una volta mi ha detto che ci vuole molto più coraggio ad amarsi che a rinnegarsi, Magnus. Credo che dovremmo provare ad amarci, non lo pensi anche tu?” mormorò e Magnus sospirò, ormai conscio di aver perso quella piccola battaglia.
Dunque si abbandonò tra quelle braccia che lo strinsero e plasmarono come vetro caldo, tra quelle labbra che lo arroventarono come ferro cocente che viene modellato a formare la migliore spada esistente al mondo, da quegli occhi capaci di penetrargli nell’anima e renderla diversa.
In fondo, Magnus, era sempre stato quello più disposto tra i due ad amare, dunque, perché tirarsi indietro?
*^*^*^*^*
 
Ti prego, mia amata bambina, non pensare che non ti abbia amata a sufficienza.
Ti amo, ti ho amata per tutti questi lunghi nove mesi e non so se riuscirò a vederti, ma se dovesse andare qualcosa storto e dovessimo perderci, voglio che tu sappia che sono andata avanti solo per te, che sei la ragione della mia vita, che ti amo, Clarissa. Ti amo più di qualsiasi cosa abbia mai amato.
Questo mondo è corrotto per questo ti prego di andare via, di non restare, di non tornare; stai alla larga dalla Scozia, dalla famiglia Reale e da tutto quello che la riguarda. Spero che tuo padre non ti trovi mai.
Ti amerò sempre, e ti augurerò sempre tutto il bene di questo universo.
Mamma.
 
Clary rilesse nuovamente quelle parole così distanti eppure così vicine; immaginò quasi per un momento una donna che le somigliava, con delle lunghe trecce rosse che ricadevano sulle spalle, tante lentiggini sul volto chiaro, gli occhi verdi come due prati, restare seduta alla sua scrivania e versare su quel piccolo foglio bianco tutte le sue paure, i suoi desideri, il suo amore. Aveva sempre sperato di conoscere sua madre, di poter essere amata e capire perché avesse deciso di abbandonarla. Al momento capiva il perché e la ringraziava, ma non riusciva a capire perché gli Dei, Dio o qualsiasi altra entità esistente avesse dovuto portargliela via così presto, prima che lei avesse persino emesso il suo primo vagito.
Non dovrebbe avere forse, il diritto di sentire il calore delle braccia materne ogni neonato appena messo al mondo?
Provò ad asciugarsi le guance ma copiose lacrime continuavano a scenderle e lei non sapeva come fermarle: era triste, si sentiva vuota, come se avesse avuto un mulinello nel petto che continuava a girare deprivandola dell’aria, del battito cardiaco, di tutto.
Sentì un familiare calore alle sue spalle ma non si voltò, piuttosto provò ad asciugarsi di nuovo le lacrime, ma Jace, la fonte del familiare calore, le voltò con delicatezza il volto verso il suo e avvicinò le labbra al suo viso; con dolcezza le poggiò prima sulle lacrime cadute sulle guance, poi su entrambi gli occhi ed in fine lentamente, molto lentamente, scese sulle sue labbra. Era così vicino che le sarebbe bastato respirare a bocca aperta per baciarlo, ma Clary preferì restare immobile e guardarlo negli occhi, perché quegli occhi luminosi con il sole la rendevano più tranquilla, calmavano quel mare in tempesta che aveva dentro, quell’odio che le faceva venire voglia di cercare Valentine ed ucciderlo con le sue mani.
Jace la guardò negli occhi, poi le guardò le labbra e le sorrise; come a dargli il permesso Clary sorrise a sua volta e dunque il biondo eliminò completamente la distanza e la baciò.
Fu un bacio casto e dolce, uno di quelli che Clary non si sarebbe mai aspettata di ricevere da quel fiero principe. Fu un bacio restauratore che le fece capire che forse poteva ancora capire cosa fosse davvero l’amore. Che forse Jace si era insinuato sul suo percorso per un motivo e forse quel motivo non era unicamente farle ritrovare la madre. Forse il motivo era legato al suo cuore.
Forse Jace avrebbe potuto farle conoscere davvero il suo cuore.
 
*^*^*^*
 
Isabelle sorrise quando Simon si chiuse la porta alle spalle, si alzò dal letto e gli si avvicinò, prendendolo per le spalle “È tutto pronto?” chiese, ansiosa. Simon annuì, leccandosi e labbra. Il cavallo era stato sellato, all’alba sarebbe partito, ma prima avrebbe passato la notte con lei, stringendola tra le sue braccia.
Assaporò il calore ed il tepore del passare un’altra notte con lei e sorrise a sua volta felice.
“Il cavallo è pronto” rise, accarezzando le mani lisce di Isabelle sulle sue spalle.
“E tu?” chiese lei ridacchiando, al che fece scendere lentamente le sue dolci mani lungo le sue spalle e poi sul suo sedere sodo, Simon rise buttando la testa indietro, sulla sua spalla, e Isabelle colse la palla al balzo per mordicchiargli il lobo dell’orecchio e sussurrargli che lo voleva.
Simon si voltò lentamente nel cerchio delle sue braccia e si abbassò per baciarla, lei quindi portò le mani sulla camicia di Simon e disfece il fiocco che gliela legava al collo, dunque la alzò e con il suo aiuto gliela sfilò, dopodiché la fece cader sul pavimento; passò poi con tocco sicuro ai pantaloni, sbottonando prima la cintura di cuoio e poi il fiocco che li teneva su, per poi farli scendere lungo le cosce assieme alle lunghe mutande bianche che portava; Simon rise quando Isabelle si inginocchiò e se lo avvicinò, poggiando le labbra sul basso ventre. Quelle labbra erano come fuoco, capaci di incendiarlo completamente, di trasformarlo in cenere, di farlo impazzire. “Izzy” sussurrò alzandola leggermente per poi spingerla delicatamente contro il proprio petto. Isabelle rise, notando nei suoi gesti una forte urgenza; Simon aveva iniziato a staccare filo dopo filo il vestito blu scuro che portava quella sera, e quando finalmente se ne fu liberata fu il turno di quell’orribile bustino che contribuiva a renderle la vita più complicata ma anche il seno molto più alto. Simon prese a staccare bottone dopo bottone con le mani tremanti e a lasciare lunghe scie di baci sul suo collo candido, macchiato solo da qualche succhiotto lasciato la notte scorsa.
“Ti amo, Isabelle” le sussurrò all’orecchio e lei sorrise, girandosi finalmente nuda; lo abbracciò, facendo aderire i seni sodi al petto caldo di Simon. “Anche io, Simon” gli lasciò un bacio sulla guancia “Non amerò mai nessuno come amo te” disse e Simon le diede un pizzicotto, sorridendo “E non ce ne sarà bisogno perché Magnus ci aiuterà a stare per sempre assieme” Isabelle annuì e gli diede un bacio a stampo, Simon la guardò quasi deluso ma anche divertito mentre si allontanava e saltava, completamente nuda, sul letto; si poggiò ai cuscini lasciando cadere la testa sulle braccia e lo guardò, con quelle lunghe ciglia nere che rendevano il suo sguardo ancora più ammaliante “A proposito di Magnus, questi sono il suo regalo per noi” gli mostrò gli orecchini che aveva all’orecchio “Apprezzi?” chiese ridendo “Mi ha detto esplicitamente di non indossare altro oltre a questi e così saresti stato felice” Simon scoppiò a ridere e salì a carponi sul letto “Magnus mi sta sempre più simpatico” sussurrò posizionandosi tra le sue gambe-
Le alzò la gamba destra e prese a lasciare piccoli morsetti sul suo inguine, Isabelle gemette ma lo issò su con forza, portando il viso all’altezza del suo “Simon” sussurrò prendendo il suo viso tra le mani
“Devi promettermi che farai attenzione” disse con voce apprensiva e sguardo liquido, quasi stesse per piangere “Che non ti butterai irrazionalmente in questa cosa come fai sempre” gli diede un bacio a stampo “E che penserai a me” altro bacio “Al fatto che ora abbiamo un futuro assicurato” altro bacio “E che devi tornare da me, ci siamo intesi?”. Simon le sorrise e asciugò le lacrime silenziose che gli erano scese sulle labbra, poi la baciò e la strinse tra le proprie braccia “Ci siamo intesi, amore mio” le disse e Isabelle sorrise spingendolo poi sul letto “Bene” mormorò “E ora dimmi arrivederci nel modo migliore che conosci” Simon rise e le permise di sedersi a cavalcioni su di lui, il suo membro che sfiorava le sue cosce, il seno di lei che sfiorava il suo petto solleticandolo, le labbra di lei che iniziavano a torturargli il collo mentre le sue mani iniziavano a torturare i capezzoli già turgidi di lei .
“Amo dirti arrivederci in questo modo” gemette lei, buttando la testa all’indietro quando Simon scese con le mani lungo i suoi fianchi e la prese con forza, entrandole dentro. Isabelle socchiuse gli occhi e lo guardò mentre con le guance rosse sorrideva, iniziando a muoversi dentro di lei.
“Oh Isabelle” mormorò lui, sentendo il suo calore avvolgerlo, dunque Isabelle prese a muoversi con movimenti uguali e contrari ai suoi, portandoli entrambi a gemere ed abbracciarsi, amandosi.
“Un giorno” sussurrò Simon stringendola e spingendo più forte, facendola quasi piangere dal piacere
“Ti sposerò, mia Isabelle” Izzy rise e gli tirò una ciocca di capelli, annuendo.
Un giorno sarebbero stati liberi di amarsi liberamente, senza vincoli o paure.

 
  
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