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Autore: _Kalika_    07/02/2018    1 recensioni
La storia non tiene conto dei fatti ne "Le Sfide di Apollo"
Will è in preda ai sintomi di una terribile malattia, una maledizione che colpisce alcuni figli di Apollo… le possibilità di sopravvivenza sembrano scarse, ma Nico non intende perderlo. Riuscirà il figlio di Ade a superare le prove proposte, compreso lo scontro con un odiato nemico?
*
*
*
«Che intendi dire?» Nico strinse il Ferro dello Stige, alternando lo sguardo tra la figura che si dimenava debole e l’ombra.
«Ti sarà richiesto soltanto un sacrificio. Devi scegliere tu se sei disposto ad accettare»
«Di cosa stai parlando?» Chiese ancora, irritato. L’ombra non rispose. Si mosse appena, poi scomparve con un risucchio nel terreno.
*
*
«Sono ancora uno stupido, Raggio di Sole?»
Il figlio di Ade sbuffò, riappoggiando il capo sulla maglietta arancione del biondo. «Sì, moltissimo. Anche se non è stata tutta colpa tua.»
«Ah, no?»
«No. Probabilmente gli dei avevano già deciso che avresti fatto la stupida azione che hai fatto.»
«Mh. Quindi ti sei sbagliato a darmi uno schiaffo, prima.»
«No, non sto dicend…»
«E ti devi far perdonare.»
«Non…»
«Facciamo così: se farai un’azione più stupida della mia, allora potrò restituirti il torto.»
Genere: Avventura, Fantasy, Generale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Cupido, Eros/Cupido, Nico di Angelo, Nico/Will, Nuovo personaggio, Will Solace
Note: nessuna | Avvertimenti: Spoiler!, Tematiche delicate, Violenza
Capitoli:
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Il Frutto del Sacrificio – Cap 5
 
 

Fu come se gli avessero tappato le orecchie e poi gliele avessero liberate all’improvviso. Nico si ritrovò disteso su un terreno caldo e sabbioso, con gli organi interni sottosopra, un fischio nelle orecchie ed una gran voglia di vomitare.
I suoi compagni non sembravano messi tanto meglio di lui. I due si misero seduti mugugnando, mentre il figlio di Ade rimase disteso a pancia in su, spolverandosi la sabbia dai vestiti e cercando di schermarsi il viso dal sole accecante. «Dove siamo?»
«In un deserto, credo. Non vedo edifici o piante, solo sabbia.» Rispose la voce incerta di Helen.
Nico tirò a sedere di scatto per guardarsi attorno, e ci mise un istante di troppo a capire che non era stata una buona idea. Mentre la vista gli si riempiva di pallini neri crollò su un fianco, sentendo subito dopo la consistenza granulosa della sabbia inondargli la bocca. Qualcuno lo rimise eretto e gli fece sputare la sabbia, e nel giro di pochi istanti il dolce sapore del nettare gli inondò la bocca. Quando sbattè le palpebre, la vista tornò normale. Borbottò un ringraziamento a Will che stava rimettendo la bottiglia di nettare fra le provviste.
«Nico, cosa ti è…» «Aspetta» interruppe Helen con la mano «Prima dobbiamo decidere cosa fare.»
Si alzarono in piedi. Will indicò una direzione con fare ovvio. «Di là.»
«Cosa? Perché?»
Il biondo si girò verso la sorella: «Tu non lo vedi?»
«Vedere cosa?»
«Una… una sorta di scia. E laggiù in fondo c’è un luccichio.»
Il figlio di Ade gli si affiancò, stringendo gli occhi per cercare di vedere, inutilmente, ciò che l’altro gli stava descrivendo. «Cioè… vedi la strada da seguire e la profezia è da qualche parte nella sabbia?»
Will si accigliò, inclinando la testa. «No, non… non credo che sia nella sabbia.» Si levò il piumino e la felpa che indossava, mettendoli nello zaino e venendo presto imitato dagli altri due semidei. «Penso piuttosto che sia in qualche edificio, forse una rocca o simile. Non è che lo vedo il bagliore, io lo sento… uhm.. è difficile da spiegare.»
Helen si arrotolò i pantaloni fino alle ginocchia, poi si legò i capelli con aria pensierosa. «E se fosse una trappola del vecchio? Ci ha spediti lui qua.»
Nico sospirò. «Abbiamo altra scelta? Meglio cadere in una trappola e combattere che morire di stenti in un deserto. E poi, se gli interessa davvero ottenere quella profezia, potrebbe starci aiutando.»
Helen storse il naso, non del tutto convinta, ma si mise a seguire Will che si era appena incamminato. Il fratello invece fischiò vagamente divertito, avvicinandosi al figlio di Ade: «Da quando tutto questo ottimismo, Raggio di Sole?»
Nico si limitò a sbuffare. Dopo quello che aveva deciso con Eros, l’ottimismo era l’unica chance di non uscire di senno.
 
Camminarono per tutto il resto del giorno. Nico approfittò del tempo per descrivere ai figli di Apollo i suoi dubbi riguardo l’anziano che li aveva portati in quel deserto. Parlò della sensazione che aveva provato quando il vecchio si era arrabbiato e al fatto che quanto aveva detto era vero: i figli di Ade erano realmente più sensibili dal punto di vista energetico. «La magia che percepivo però non proveniva dal negozio, ma da lui stesso, ed era al contempo incredibilmente potente ed eccellentemente occultata. Con tutte le probabilità questo mio malore è dovuto proprio a ciò.» Concluse.
Non incontrarono anima viva. Poco prima di sera raggiunsero una sorta di torre. Nonostante l’aspetto decadente e pieno di sabbia, la struttura sembrava stabile. Cosa più importante, Will avvisò che la traccia che seguivano finiva dentro l’edificio. Precisamente, calpestando le ultime scie, si spegneva all’inizio di un corridoio che si concludeva in due porte.
«La lastra sarà dentro una di queste stanze.» Suppose Nico «Will, non riesci a vedere in quale delle due?»
Il biondo scosse la testa. «Prima vedevo il bagliore, ma adesso si è spento. Non percepisco niente.»
«Io invece sì» Rispose il figlio di Ade. «da entrambe le porte ci sono delle fonti di grande energia.» Si allontanò di qualche passo. «Probabilmente sarà pericoloso. Non siamo nelle condizioni adatte.»
 
Decisero che sarebbero entrati la mattina dopo, divisi in due gruppi per ottimizzare il tempo perso con il riposo: Nico nella stanza a sinistra, Helen e Will in quella a destra.
Accesero alcune torce che disposero nelle zone più importanti della torre: non erano molte, visto che oltre ad un sabbioso ingresso l’edificio era composto solo da un altro paio di corridoi che si intrecciavano e probabilmente cingevano le due stanze che avrebbero visitato il mattino dopo.
I ragazzi si accamparono in un angolo dell’ingresso attorno ad un falò. Will si offrì di fare la guardia, volendo approfittare del tempo in cui si trovava ancora in salute.
I figli di Apollo tirarono fuori dai loro zaini delle coperte. «Siamo in un deserto, probabilmente l’escursione termica sarà molto forte.» spiegò Helen. Non immaginava quanto avrebbe avuto ragione.
Mentre il sole tramontava e la temperatura scendeva, Nico si addormentò dolcemente.
 
«Jason, sinceramente il suo comportamento non mi stupisce più di tanto. Se si è davvero innamorato di questo ragazzo, sappiamo bene entrambi che farebbe qualsiasi cosa per non farlo andare negli inferi. È in gamba.» Reyna parlava con la voce immersa nei ricordi del suo viaggio con l’Athena Parthenos, mentre al di là del messaggio-iride il figlio di Giove la ascoltava.
«Lo so Reyna, lo so, ma qui siamo tutti in pensiero. Gli avevo detto che avrei appoggiato la sua decisione qualunque fosse stata, ed è così, ma pensavo che mi avrebbe avvisato se fosse scappato! Per di più con Will ed una sua sorella…»
«Hai provato a mandargli un messaggio-iride?»
«Certo, ma è come se le comunicazioni con lui fossero bloccate. Immagino sia lo stesso per te.»
Reyna si limitò ad annuire sospirando. «Tuttavia, se il suo è davvero uno scontro con Cupido, dubito che vorrà che lo cerchiamo. Deve essere un confronto diretto, e deve uscirne vincitore. Non so se Chirone lo capirebbe.»
Jason annuì mordicchiandosi la cicatrice sul labbro, mentre Reyna continuava: «Se fosse in pericolo, troverebbe un modo per dircelo. Non ho dubbi.»
«Questo lo so anch’io, ma resto preoccupato. In ogni caso, cercherò di evitare che dei semidei vengano mandati inutilmente nel mondo mortale. Chirone sta programmando delle squadre di ricerca, ma per ora forse riesco a rallentare la decisione finale.»
I due romani si salutarono, e Nico si svegliò dal suo sogno.
 
La prima cosa che notò fu che aveva cambiato posizione in cui dormiva. Inoltre, la coperta che prima aveva usato per non stare a contatto con la sabbia adesso gli copriva il corpo. Delle braccia non sue gli cingevano i fianchi, e la sua schiena messa quasi in posizione eretta premeva contro una superficie morbida.
Espirò, e dalla sua bocca uscì una nuvoletta di vapore. Si rese conto solo in quel momento di quanto facesse freddo. Tremava, le sue dita erano violacee e la sabbia su cui era seduto era gelata. Ci mise qualche altro secondo ad accorgersi che Will era dietro di lui. Anzi, più precisamente, il figlio di Ade era seduto fra le gambe del biondo, che stringeva la coperta attorno a loro cercando di scaldarsi.
Se la temperatura gliel’avesse permesso, probabilmente sarebbe avvampato. Invece alzò la testa per guardare il volto livido del figlio di Apollo, che sorrise leggermente: «S-Scusa se ti ho svegliato con i m-miei movimenti. R-Rischiavamo entrambe l-l’ipotermia.»
«N-Non pensavo fa-facesse c-così freddo» rispose Nico rabbrividendo e rannicchiandosi contro il petto del biondo, che posava comodamente la schiena contro una delle pareti della stanza. «He-Helen?»
«S-Sta facendo l-la guardia a-all’esterno, c-c-con l-le altre c-coperte.» Will accennò con il mento al portone aperto che dava sull’esterno, dal quale si intravedeva il bagliore di un fuoco acceso. «Lei sop-porta meglio d-di me l-le temperature, qui-quindi qualche ora fa s-si è offerta d-di fare il c-cambio qualche ora f-fa.» Spiegò ancora il ragazzo stringendosi contro il corpo esile di Nico.
«Ho i-il naso e le m-mani fredde» si lamentò il figlio di Ade. Will gli prese sbuffando il volto tra le mani, studiandolo con occhio critico. Poi fece la stessa cosa con le dita delle mani del corvino, che stavano assumendo un colorito bluastro. Coprì queste ultime con i propri palmi e mormorò a mezza voce un incantesimo. Nico vide subito la pelle iniziare a tornare di un colore normale e la sensazione di gelo affievolirsi. «F-freddo è dire poco» commentò scaldandogli ancora le mani sfregandole tra le sue «Qua-qualche altra ora così, e avrei d-dovuto amputartele.»
Nico non rispose, sospirando esausto dai brividi ed infossando il viso nel maglione del figlio di Apollo per scaldarsi il naso.
«Stai bene?»
Il figlio di Ade mugugnò. «Ho freddo.»
«M-Ma non mi d-dire.»
«S-Sei tu che m-mi hai fatto una d-domanda stupida.» Tremò, e Will gli accarezzò piano la schiena da sotto la coperta, scaldandolo appena con il suo tipico calore da figlio di Apollo.
Nico ormai prossimo ad addormentarsi allungò il collo e baciò il ragazzo. Avevano entrambi le labbra screpolate e sanguinante a causa del freddo, ma questo non impedì a Will di far passare delicatamente la sua lingua fra i denti del moro, intrecciandola con l’altra in un gesto che infuse a tutti e due un po’ di calore. Poi il figlio di Ade riappoggiò la sua testa sulla spalla del biondo. «P-Posso addormentarmi o r-rischio il c-congelamento?»
L’altro rispose un po’ teso. «Dormi p-pure, c-così non dovremmo avere p-problemi.»
«Dormi a-anche tu, p-però. Ordini… ordini del r-ragazzo del dot-dottore.»
Will ridacchiò appena, stringendosi il ragazzo a sé e mugugnando una risposta, e Nico si riaddormentò in un sonno questa volta senza sogni.
 
Quando si risvegliò, la temperatura era già salita ed erano tutti e tre piuttosto riposati. Il freddo, alla fine, non aveva impedito neanche a Will di dormire.
Come d’accordo, si divisero. Arrivati davanti alle porte, Nico riferì: «Percepisco ancora una forte energia. Sarà molto pericoloso, state attenti.»
«Potremmo essere in pericolo di vita?» Chiese Helen. Nico la squadrò insieme al fratello. Se escludeva le battaglie contro i Titani e Gea, erano entrambi alla loro prima missione fuori dal Campo Mezzosangue. Certo, erano addestrati a combattere, si allenavano da anni, ma restava la loro prima esperienza vera e propria. Non erano come Nico: lui sapeva che nelle imprese si rischiava la vita in ogni istante, che non bisognava mai abbassare la guardia, ma soprattutto sapeva come mantenere il sangue freddo pur con quella consapevolezza. Cercò di evitare lo sguardo di Will, inutilmente. «Non ne ho la certezza, ma… sì, temo di sì.»
Il figlio di Apollo si avvicinò, facendo per prendergli le mani ma poi ritraendosi. Nico sentì lo stomaco contrarsi in uno spasmo alla vista del suo sguardo, non avrebbe saputo dire se per pena o per paura di fronte alla sua inesperienza. «Sei sicuro di voler andare da solo?»
«Io… sì. Voi due sarete più al sicuro insieme.» Rispose. Poi, sotto gli occhi di Helen, si alzò sulle punte e baciò Will, che ricambiò accarezzandogli piano il viso. «Non farti ammazzare, Raggio di Sole. Mi devi raccontare cosa c’è dietro la tua porta.»
Si separarono con quelle parole.
 
Nico aprì la porta della sua stanza. Fece appena un passo, e questa si richiuse con un boato, facendolo trasalire. Ma non per il rumore. Sul lato interno la porta era coperta di frecce, molte delle quali probabilmente vecchie di decenni o addirittura secoli, con il legno della stecca ammuffita e mangiata dalle termiti.
Non c’era nessuno scheletro attaccato alla porta, quindi Nico pensò che si trattasse di una trappola mal funzionane.
Facendo vagare lo sguardo per la stanza, che si rivelò di dimensioni superiori a quelle che si era aspettato, notò alcune fiaccole accese. Ne prese una ed illuminò anche intorno a lui. L’aria era calda ma non soffocante, ed il terreno era coperto di sabbia.
Sui muri, a differenti livelli di altezza dal terreno, c’erano come dei trespoli per uccelli.  Erano grandi, molto più del normale, e Nico li osservò chiedendosene la funzione.
Attraversò piano la sala. Temeva che ci fossero delle trappole nella stanza, il che avrebbe spiegato la notevole quantità di frecce che puntellavano non solo la porta d’ingresso ma anche buona parte dei muri. Alcune di esse erano addirittura conficcate nella sabbia.
Si era aspettato un tavolo, dell’arredamento o quanto meno una schiera di nemici contro cui combattere; invece era da solo e la sala era spoglia, eccezion fatta per quegli strani spuntoni. Nico era sul punto di mettersi a scavare nella sabbia alla ricerca di una minuscola lastra di bronzo celeste, quando qualcosa scintillò in fondo alla sala.
Si avvicinò tenendo in mano la fiaccola, ed illuminò una porta in bronzo celeste. Si distingueva rispetto alle pareti, che erano in pietra. Quest’ultima era decorata da greche e figure geometriche per l’intero perimetro della stanza, tranne che alla sinistra della porta: lì c’era un grande bassorilievo raffigurante una figura umana vagamente simile ad un’arpia a cui Nico non prestò attenzione.
Si avvicinò guardino alla porta. Ne sfiorò le incisioni con la mano non occupata dalla fiaccola, i muscoli pronti a scattare nel caso si fosse attivata una trappola. Non parve succedere nulla, ed il figlio di Ade posò l’intero palmo sulla superficie alla ricerca di una maniglia che risaltasse sulla complicata intarsiatura.
Riuscì a trovarla rapidamente; sotto di essa c’era un chiavistello la cui chiave era mancante. Nico provò comunque ad abbassare la maniglia e spingere la porta, e con sua grande sorpresa la sentì muoversi un poco.
Il tempo avrà bloccato i cardini, realizzò. Si accostò alla porta ed iniziò a spingere con la spalla. Sentendo cedere lentamente il blocco di bronzo, iniziò ad imprimerci sempre maggiore forza.
Gli sarebbe stato utile avere Hazel lì con lui. Con appena un gesto della mano, avrebbe spostato la porta e rivelato cosa si celava dietro di essa.
L’unico motivo per cui era reticente a fare un viaggio nell’ombra, infatti, era che non aveva la minima idea di cosa si trovasse in quel luogo. Quelle stanze erano talmente traboccanti di energia che ne era stordito e non riusciva minimamente a percepire che genere di ostilità potesse trovarsi dall’altra parte. Sarebbe potuto apparire nel bel mezzo di un covo di dracene, magari, e per di più indebolito dal viaggio ombra. Oppure si sarebbe trovato in una sala piena di punte acuminate pronte a farlo fuori, o ancora in un baratro che lo avrebbe riportato dritto dritto fra gli orrori del Tartaro?
Forse fu proprio quel senso d’inquietudine che lo costringeva a non abbassare mai la guardia che gli salvò la vita. Sentì uno scricchiolio alle sue spalle. All’inizio pensò di esserselo immaginato, ma poi lo risentì ed il sangue gli ribollì nelle orecchie non appena capì di essere in pericolo.
Scartò di lato, addossandosi alla parete. Non riuscì a girarsi però, e dopo pochi istanti un dolore lancinante gli esplose sulla spalla sinistra. Sentì come dei lunghi aculei lacerargli la pelle sopra la scapola e poi affondare più giù, muovendosi confusamente accompagnati da un ansito poco umano.
Nico gridò, stordito dal dolore, ed iniziò a scalciare indietro. La fiaccola cadde a terra, e davanti a lui tutto divenne buio. Dopo qualche secondo riuscì ad acquistare un minimo di lucidità e sguainò il Ferro dello Stige con il braccio destro. Menò colpi alla ceca dietro di lui finché non gli sembrò di colpire qualcosa.
Udì un verso indispettito accanto al suo orecchio, poi con uno strano gorgoglio gli aculei si ritrassero lentamente.
Il dolore allucinante non si attenuò di molto, ma il figlio di Ade ebbe la prontezza necessaria per addossarsi alla parete con la schiena e brandire il Ferro dello Stige in avanti. Ora che le fiaccole ai muri glielo permettevano, riuscì a vedere il nemico, e sussultò di sorpresa quando si accorse che davanti a lui c’era la statua, adesso viva, che prima aveva visto sul bassorilievo accanto alla porta. Con uno scatto d’occhi ed un impeto di incredulità, constatò che sul muro non c’era più nessuna figura.
Riportò lo sguardo sul nemico. Sembrava un’arpia, piuttosto giovane, tutto però in lei aveva l’aria di essere troppo allungato. Dalle scapole le partivano due ali membranose, grandi ma all’apparenza non troppo resistenti, di un color rosso cupo; aveva la carnagione pallida esattamente come quella di Ella, ma differentemente da lei possedeva anche un paio di braccia affusolate, che certamente servivano ad usare l’arco che teneva sulle spalle.
Aprì la bocca come in uno sbadiglio, e Nico capì che gli aculei che gli avevano trapassato la spalla altri non erano che i denti affilati di quell’essere, ora sporchi del suo sangue. L’arpia zampettò sul posto, ed il semidio notò solo allora le sue gambe muscolose, simili a quelle di un uccello, con delle striature più scure che sembravano accentuarne la lunghezza. Al posto dei piedi aveva gli artigli di un rapace.
«Complimenti» iniziò l’essere, osservando divertita il volto contratto dal dolore di Nico «Di solito chi viene qua è talmente preso dall’aprire la porta che non si accorge di me e muore al primo colpo.» Aveva una voce melodiosa, anche se parlava con uno strano accento sconnesso. «Io sono Lisayne. Spesso non riesco neanche a presentarmi, perché dopo aver ucciso la vittima il padrone mi fa ritornare statua. È così noioso!» Fissò dritto negli occhi il figlio di Ade, che ricambiò e vide due iridi di colore diverso: una nera come il Tartaro, la sinistra, l’altra verde talmente chiaro da essere innaturale. Il viso era contornato da lisci capelli biondi acconciati in un caschetto da cui dipartivano diverse ciocche di colore viola. Un paio di corna arricciate le spuntavano dalla testa.
«E, a proposito, quella porta è incantata. Per aprirla ti serve la chiave!»
Nico acquisì le informazioni, guardando intanto l’abbigliamento di Lisayne. Se fosse stata umana, avrebbe fatto invidia a certe figlie di Afrodite sempre alla moda e superficiali: indossava solo uno scollato top nero con la scritta “HARPY”, aveva un tatuaggio raffigurante un cuore in fiamme sul fianco e un paio di grossi orecchini dorati a forma di anello, insieme ad innumerevoli piercing, che le decoravano le orecchie a punta. Il lungo collo era decorato da una sorta di collarino di pizzo nero.
Sembrava proprio una di quelle ochette vanitose che Nico aveva avuto modo di osservare nel breve tempo passato nel mondo mortale dopo l’Hotel Lotus, e qualcosa gli diceva anche che non fosse particolarmente sveglia di cervello. Senz’altro era tutto fuorché taciturna, ed il figlio di Ade aveva intenzione di farla parlare il più possibile.
«Cosa c’è dietro quella porta, Lisayne?»
«Ah!» Gracchiò quella, saltellando sulle zampe. «C’è la tua seconda prova!»
«Seconda prova? In che senso?»
«Vuoi prendere il tuo pezzo di profezia, giusto?» Domandò lei sbattendo lentamente le ciglia allungate da una grossa quantità di mascara. «Prima c’è la prova fisica, quindi io… poi c’è la prova psichica! Stessa cosa nell’altra stanza. Sai, il mio padrone ci tiene a queste cose.»
«Il… il tuo padrone?» Un terribile presentimento si installò nella mente di Nico, ma aveva troppe cose in testa. In un istante, il suo pensiero volò altrove. «Aspetta… anche nell’altra stanza c’è una… cosa sei, una sorta di arpia?» Si girò bruscamente verso Lisayne, e la spalla gli inflisse una stilettata di dolore che gli mozzò il fiato. Lentamente, evitando ogni genere di movimento improvviso, si infilò una mano in tasca.
«Non so se c’è un mio simile anche di là.» Rispondeva intanto l’altra borbottando. «Forse ci son… che stai facendo?!» Si bloccò infuriata puntando la mano di Nico ancora nella sua tasca. Stava cercando di prendere dell’ambrosia, ma si bloccò alla vista del volto trasfigurato dalla rabbia di Lisayne. «Certi trucchi non valgono!»
Gli si avventò contro come una furia. Nico sentì solo delle mani con delle unghie aguzze che lo prendevano con forza inaudita alle spalle, poi si ritrovò spalmato per terra con l’arpia a cavalcioni su di lui che gracchiava: «No, no! Imbroglione!»
Gli strappò di mano l’ambrosia, tutta quella che aveva, e la trangugiò in un sol boccone. Per un attimo Nico sperò che l’eccessiva medicina potesse bruciarla viva, ma nulla accadde.
«Cosa… sei?» Biascicò con occhi sgranati mentre un’altra stilettata di dolore gli ottenebrava i pensieri.
Lisayne ridacchiò maliziosa. «Non importa…» Gli posò un dito sulle labbra. Poi scese dolcemente verso il basso, fino a che la sua mano non coprì la gola del figlio di Ade.
Iniziò a stringere. Nel giro di poco tempo, i sensi di Nico si offuscarono. Tutto diventò nero.
«…perché non uscirai vivo da questa sala…»
 

“Non farti ammazzare, Raggio di Sole.” La frase gli rimbombò in testa mentre, sorpreso, osservava l’interno della sala.
«I figli di Atena impazzirebbero» Mormorò, e non si riferiva alle ragnatele che coprivano il corrimano a cui si teneva.
Quella in cui erano entrati era chiaramente la torre dell’edificio. Le immense pareti della rocca, tanto alte da non vederne la fine, erano tappezzate di pergamene, libri e tavolette di tutte le epoche.
Era tutto illuminato a giorno, nonostante non ci fosse quasi nessuna finestra, grazie ad un ingegnoso sistema di specchi e pareti bianche interposte fra i libri. Tuttavia una parte restava buia, come vittima di un incantesimo.
Mentre infatti lungo le pareti si arrampicava una scalinata a chiocciola larga appena un paio di metri che saliva verso il cielo, al centro del perimetro c’era un vero e proprio baratro, buio e dall’aspetto minaccioso.
Will istintivamente si allontanò. Poi alzò la testa, ed il suo sguardo fu colpito da un bagliore.
«Saliamo» decise girandosi verso la sorella ed alzando un dito verso un punto imprecisato della scala. «Sento di nuovo la profezia.»
 «Allora andiamo a chiamare Nico, prima che si allontani!» Helen si fiondò sulla porta, ma la trovò chiusa. Per quanto tirasse o spingesse, non si smuoveva di un millimetro.
Will le si avvicinò piano, cercando di attingere alla sua riserva di sangue freddo. «Potrebbe essere un incantesimo.» Minimizzò «Comunque c’è qualcosa di strano nel luccichio che vedo. Come se fosse solo una parte.»
La semidea si spostò finalmente dalla porta, volgendo lo sguardo prima verso l’alto, non vedendo niente, poi verso il fratello: «Dici che l’altra metà della profezia si trova nella stanza di Nico?»
Will si strinse nelle spalle. «Non lo so. Però penso che prima saliamo, meglio è.»
Proseguirono diligentemente. Non c’era traccia di anima viva, ma comunque Will impugnò l’arco, e ogni tanto si voltava a controllare.
Era difficile resistere al fascino di quell’immensa libreria. In quanto figli di Apollo, sia Helen che il fratello erano attratti dalla letteratura, dalle poesie, dalla scrittura in generale, e la tentazione di fermarsi a sfogliare qualche libro era forte. Ogni tanto si ritrovarono davanti agli occhi delle profezie greche e latine incise su lastre di bronzo, e quando ne riconoscevano alcune l’ansia aumentava.
Sembrava che non ci fosse un preciso metodo di categorizzazione, visto che in un breve tratto di parete Helen aveva scorto un rotolo di pergamena greca, un racconto horror ed un manuale di cucina.
A mano a mano che salivano, il baratro sembrava sempre più scuro, mentre verso l’alto sembrava che ci fosse il cielo di una tiepida giornata primaverile.
Ogni tanto dalle pareti spuntavano delle porte che portavano ad altre sale, anch’esse piene di volumi scritti, ma nella loro avanzata i figli di Apollo non entrarono in nessuna di esse.
Dopo interminabili minuti di cammino, Will si fermò di colpo, facendo arrestare la sorella dietro di lui. Mentre lei stava per domandare che problema ci fosse, si piegò in due ed iniziò a tossire convulsamente. Helen immediatamente gli si mise accanto, mentre come si aspettava il biondo boccheggiava inginocchiato a terra, del sangue che gli colava dalle labbra e dal naso.
La semidea lo fece sedere con la schiena poggiata alla parete, recuperando l’arco caduto per terra e tenendo intanto una mano sulla fronte di Will. «Hai la febbre? Perché non me l’hai detto?»
«N-no…» rispose ansimando quando terminò la crisi. «Ora sto bene, sorellina.» Non stava mentendo. Nonostante avesse la fronte imperlata di sudore ed il fiatone, era certo di non avere neanche una linea di febbre. Era lucido, con la gola in fiamme ma perfettamente cosciente.
Helen gli passò una borraccia, e non appena bevve il fratello riconobbe l’aroma intenso di una tisana allo zenzero. Come si aspettava la gola iniziò a bruciargli, ma se non altro questa volta era a causa di un effetto benefico. Accostò le labbra alla bottiglia per un altro sorso, sentendo la dolcezza del miele lenirgli un po’ il bruciore, poi chiuse gli occhi ed appoggiò la testa alla libreria con un sorriso appena accennato. «Mi stupisco che non sia una bevanda magica. Questa roba fa miracoli.»
Helen lo ignorò. «Sta finendo l’effetto della cura?»
Will bofonchiò una risposta poco chiara, stringendo le labbra come faceva sempre quando non voleva parlare. Fece per rialzarsi in piedi, ma la sorella lo bloccò ponendogli una mano sul petto. «Aspetta. Almeno riposati un attimo. Non ha senso riprendere a camminare se hai ancora il fiatone.»
Will si riappoggiò al muro, cercando di seguire il consiglio della sorella e posando la testa sulla sua spalla.
Rimasero in silenzio, fermi, diversi minuti. Fu allora che lo sentirono.
Si trattò dapprima di una melodia soffusa, che entrò nei loro timpani quasi senza che se ne accorgessero; era dolcissima, familiare, e li attirò come fa una luce con le falene.
Helen si alzò, seguita da Will, e lentamente si diresse verso la fonte del suono. Sentiva come un’energia chiamarla, e qualcosa dentro che le diceva di seguirla. Si fece condurre lungo le scale, salendo verso l’alto.
A mano a mano che si avvicinava, riusciva a distinguere delle parole nella canzone: erano vibranti, difficili da intercettare, ma al contempo le sibilavano nella mente.
Arrivarono ad una porta. Come in trance, Helen la aprì ed entrò.
La musica offuscò ogni altro rumore esterno, e una voce sussurrò nelle orecchie di entrambi i figli di Apollo: «…Qual è la vostra più grande ambizione?»
 
 
 
 
 
***Angolo dell’Autrice***
Scusate tantissimo per il ritardo. Come avevo accennato nella nota dello scorso capitolo, tra problemi di tempo (non potete capire quanto sia stressante organizzare i corsi per l’autogestione della scuola…) e mancanza di ispirazione, questo capitolo è arrivato per miracolo.
E temo che anche il sesto, e forse il settimo capitolo, potrebbero avere lo stesso destino.
MA c’è un ma, perché mentre faticavo per ciò che avete appena letto (che, tra l’altro, è venuto pure un po’ più lungo del solito, spero ne siate felici), mi sono organizzata per fare una sorta di regalino ai lettori: aggiungete come in una pozione la mia voglia di disegnare, il personaggio di Lisayne, un’amica che al contrario mio disegna benissimo e un pizzico di fortuna… ebbene, questa mia amica può fare un disegno di Lisayne!
Non so quando sarà pronto perché lei ha molto lavoro da fare oltre a questo mio capriccio, ma so che non mi deluderà! Quindi, spero il prima possibile, potrete vedere una bellissima illustrazione di Lisayne.
E riguardo questo personaggio, devo ringraziare anche un’altra mia amica, Chiara, che invece di ripassare per l’interrogazione di arte mi ha aiutato a trovare il nome per la lunatica arpia. ❤
Sempre parlando di Lisayne, per chi se n’è accorto, volevo precisare che è parzialmente ispirata al personaggio di Monet di One Piece.
 
E visto che sono po' vanitosa, vi lascio la foto del disegno che ho tentato di fare io di Lisayne, o almeno ci provo perché non sono molto brava con i codici html. Spero di non spaventarvi. Gli schizzi a penna, che valgono più del resto del disegno, sono un minuscolo accenno di ciò che la mia amica farà, e non chiedetemi cosa sia quello scarabocchio alla sinistra di Lisayne perché non ne ho la più pallida idea..

Prima di finire, per festeggiare la (circa, credo, presumibilmente) prima metà della storia che ho raggiunto pubblicando questo capitolo, volevo esporvi un mio progetti che ho già spiegato in un post su Instagram, nel caso qualcuno mi seguisse da lì: voglio creare una serie di storie incentrate su Nico, di cui farà parte anche Il Frutto del Sacrificio, che parleranno un po' di tutto ciò che vorremmo sul bel figlio di Ade e che Zio Rick non ci ha ancora concesso: un po' di angst per Bianca, tanto tanto fangirlamento con tonnellate di Solangelo, i tre giorni in infermeria e, ispirazione permettendo, anche qualcosa riguardo l'Albania! Spero vorrete appoggiare la mia idea.
Penso di aver finito per oggi, spero che il ritardo nell’aggiornamento sia stato equamente ricompensato! Alla prossima,
 
_Kalika_
   
 
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