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Autore: Yoshiko    01/02/2018    6 recensioni
È trascorso molto tempo dal viaggio dei ragazzi a Kyoto. Era autunno, la città li aveva accolti nella sua splendida cornice di aceri rossi, promettendo un soggiorno piacevole tra visite ai giardini e ai templi, colloqui per nuovi ingaggi e prove per uno spot televisivo. La spensieratezza di quei giorni si era infranta di colpo e gli strascichi di quei tragici avvenimenti continuano tuttora a segnare le loro vite.
Holly e Patty sono a Barcellona, Benji ad Amburgo, Mark è atterrato in Italia inaspettatamente accompagnato, e il resto del gruppo si trova in Giappone finché un’amichevole contro l’Italia di Salvatore Gentile e Dario Belli li riunisce tutti, ancora una volta.
Rain è il sequel di Leaves che a sua volta è il continuo di Snow. Per capire la storia e seguirne l’andamento è consigliabile avere un po’ di pazienza e cominciare dall’inizio, anche per la presenza di personaggi out of character, già presentati nelle precedenti fanfiction.
Genere: Commedia, Drammatico, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Genzo Wakabayashi/Benji, Hikaru Matsuyama/Philip Callaghan, Kojiro Hyuga/Mark, Salvatore Gentile, Yoshiko Fujisawa/Jenny
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Time'
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La pubblicazione di Rain è stata possibile solo grazie al sostegno e all’incoraggiamento di Kiki S autrice anche lei su EFP, di cui ormai non posso più fare a meno. Senza la sua preziosa amicizia, la sua immensa pazienza, l’aiuto per la correzione dei testi ma soprattutto le idee e i ragionamenti, i consigli e le riflessioni portate avanti in centinaia di email, non sarei mai riuscita ad arrivare, dopo tanti anni, al capitolo finale della terza parte della serie di Time.


Prologo

 
Ogni volta che partiva per l’Italia era la stessa solfa e Mark era davvero stufo di tutte le sue fan. Lui non era Ross, non aveva la pazienza di sopportarle. Le loro attenzioni non lo lusingavano. Piuttosto i loro starnazzi lo urtavano, gli ferivano le orecchie e gli arrivavano dritti al cervello. Fitte dolorose si propagavano da lì verso la nuca e lungo la schiena, peggiorando il mal di testa che lo assillava dalla mattina. Si affrettò verso l’entrata dei gate scortato dagli addetti alla sicurezza dell’aeroporto Internazionale di Narita. Una volta attraversate le porte a vetri sarebbe stato al sicuro… e al silenzio. Lanciò un’occhiata ai due uomini che lo accompagnavano. Li odiava, li detestava. Non sopportava il semplice fatto di avere bisogno di quei tizi per raggiungere il proprio volo. Lui non era una femminuccia debole e indifesa, Dio quanto non tollerava tutto ciò! Le sue fan gli toglievano il piacere di tornare in Giappone. Per non parlare poi dei giornalisti appostati lì sul marciapiede, pronti ad assalirlo non appena era sceso dal taxi. Detestava le loro stupide domande, la loro curiosità. “Come si sente a partire di nuovo per l’Italia?” bene, si sentiva, se non fosse stato costretto a subire il loro assillo ogni volta. “Pensa che anche quest’anno la Juventus vincerà il campionato di Serie A?” “Secondo lei quale sarà l’incontro più impegnativo?” “E la squadra più forte?” neanche avesse la palla di vetro. “Crede che scenderà in campo ad ogni incontro?” sì, lo pensava. Altrimenti che andava a fare dall'altra parte del mondo? “È in buoni rapporti con i suoi compagni di squadra?” “E con il capitano?” pessimi. “Salvatore Gentile le ha perdonato il pugno?” erano forse affari loro? “Sua madre deve essere orgogliosa di lei…” quando poi mettevano in mezzo la sua famiglia andava fuori di testa, raggiungendo in un attimo il limite della sopportazione. A quel punto si doveva censurare.
-Mark!-
Una voce si alzò sopra le altre, una voce che gli sembrò di riconoscere e che lo fece trasalire. Si volse verso le ragazze che continuavano a starnazzare come oche ma non riuscì a capire da dove provenisse quel grido. Si avvicinò alle transenne e si sporse nella calca. Era una voce che gli era fin troppo nota. Quasi familiare. Tese le orecchie tra tanta confusione, chiedendosi come avesse fatto a notarla. O forse se l’era semplicemente sognata. Non la udiva più. Non scorse nessun volto conosciuto e mancò pochissimo che una giovane fan riuscisse ad afferrargli la maglia. Si tirò indietro con un balzo e si volse per proseguire.
-Mark!-
Si bloccò di nuovo, a chiedersi incredulo se quel grido fosse frutto della sua immaginazione o addirittura non fosse un effetto collaterale del mal di testa. Riprese a guardarsi intorno, a scandagliare le facce che lo circondavano. D’un tratto alla sua sinistra, dietro un gruppo di giovani, riuscì a scorgere una testa che svettava di parecchio sopra le sue fan urlanti. Era Ed Warner. Che accidenti ci faceva lì? Si erano già salutati il giorno prima. Si rivolse alla scorta.
-Quello laggiù è un mio amico.-
Uno degli uomini annuì, scavalcò la balaustra e raggiunse l’ex portiere della Toho, attualmente nel  Nagoya Grampus, una squadra della J-League. Le oche si fecero indietro tra starnazzi di protesta, soprattutto quelle che, lì ormai da ore, erano riuscite ad accaparrarsi i posti migliori addosso alle transenne. Ed riuscì ad avvicinarsi. Stringeva in una mano una valigia di un tenue color lilla e trascinava con sé qualcuno che cercava di nascondersi dietro la sua schiena per sfuggire all’interesse di tutta quella gente riunita lì.
-Parti anche tu, Ed?- domandò Mark quando il portiere gli porse la valigia. Lui la prese e la depositò ai propri piedi.
Warner si lasciò sfuggire un sorrisetto e spinse davanti a sé chi lo seguiva. La ragazza si sbilanciò contro le transenne, urtando il torace di Mark con la visiera di un cappellino ben calcato sul capo a nasconderle il volto. Lui scattò indietro sorpreso e chinò la testa per capire chi avesse davanti. Quando la riconobbe, la fissò incredulo.
-Jenny? Che accidenti ci fai qui?-
-Parto.-
-Davvero? E dove vai?-
-Possiamo parlarne dopo?- si guardò intorno intimorita, fin troppo consapevole che quello non era né il momento delle domande, né quello delle spiegazioni. Si era avvicinata a Mark sotto gli occhi delle ragazze accalcate lì per lui e i loro sguardi le trapassavano la schiena, trasmettendole una sensazione per niente piacevole. Poi le udì.
-Chi è quella? La conosci?-
-Mai vista! Ma se vuoi il mio parere, la trovo piuttosto ordinaria.-
-Come osa stare così vicino a Mark?-
-Non sarà la sua fidanzata!-
-Scherzi? Se avesse la fidanzata lo sapremmo!-
-Se non si allontana da lui l’ammazzo!-
-Ti do volentieri una mano!-
Poco lontano si sparlava di Jenny. Si sentivano le frasi, i mormorii arrivavano fino a loro. Chi era per accaparrarsi Mark? Come osava imporre accanto a lui la sua presenza? L’uomo della sicurezza si accostò.
-Non è il caso di indugiare ancora.-
Landers si riscosse e annuì. Aiutò Jenny a scavalcare le transenne e la spinse davanti a sé per cercare di proteggerla dagli sguardi malevoli puntati su di lei. Le ragazze non apprezzarono la sua preoccupazione e un mormorio contrariato si levò dalla folla. Jenny lo udì chiaramente e si accostò di più a Mark, aumentandone suo malgrado l’intensità. Chinò il viso a terra, si strinse addosso la borsa che portava a tracolla e procedette svelta. Non si era mai trovata in una situazione simile e non le piaceva. Compatì con tutta se stessa Amy, che momenti simili era costretta ad affrontarli in continuazione. Lanciò un’occhiata rapida da sotto la visiera del cappellino, più di tutto temeva gli obiettivi dei giornalisti. Ne aveva visti così tanti, fuori, e nessuno doveva sapere che era lì. Assolutamente nessuno.
Ed le si affiancò dall’altra parte, trascinandosi dietro il trolley lilla che aveva ripreso in mano.
-Riuscire a raggiungerti è stata un’impresa, Mark.-
-Per salutarmi?-
Il portiere rise di cuore.
-Anche.-
Landers abbassò sull’amica uno sguardo curioso. Non la vedeva da più di un anno. L’aveva sentita sporadicamente al telefono, ma dopo quella volta a Furano, non si erano più incontrati. Il cappellino le nascondeva gran parte del viso ma gli era bastato lanciarle un’occhiata veloce per accorgersi che Jenny era cambiata. Era dimagrita molto, anche troppo. Così tanto che sotto la mano che le teneva sulla spalla, sotto strati di vestiti e sotto il giacchetto, sentiva l’omero sporgere appuntito. Era diventata sottile come un’alice, talmente sottile che un colpo di vento se la sarebbe portata via in un attimo. Non si era truccata, o almeno non molto, e la sua pelle risaltava pallida contro i capelli scuri che le incorniciavano il viso, sotto la visiera. Ciocche scomposte e disordinate spuntavano qua e là dal cappello che doveva essersi infilata in fretta e furia per proteggersi dall’interesse della gente. Si fermarono al sicuro dietro le porte a vetri dell’accoglienza della Business Class, dove né giornalisti né fan potevano più raggiungerli. Tirando un sospiro di sollievo per averla scampata, Mark diede voce alla sua curiosità.
-Dov’è che stai andando? Dai tuoi?-
Lei si tolse il cappellino e una cascata di capelli scuri cadde giù fino a metà schiena. Erano lunghi, molto più lunghi di come li portava di solito. Lisci e profumati. Quando li liberò, una piacevole fragranza di shampoo ai fiori gli arrivò alle narici. Gli venne voglia di toccarli, di scostarglieli dal viso prima che lo facesse lei. Si trattenne per pochissimo.
Jenny tolse di mezzo il cappellino ficcandolo nella borsa e legò rapida i capelli in una coda. Poi lo fissò dritto negli occhi.
-Vengo con te, Mark.-
-Con me dove?-
-In Italia, a Torino.- sostenne il suo sguardo sgomento senza fare una piega. Frugò nella borsa e ne tirò fuori il biglietto dell’aereo. Glielo sbandierò sotto gli occhi -Vedi? Sono sul tuo stesso volo… Anche se tu sei in prima classe e io in seconda.-
-Stai scherzando?-
-Per niente. Non avevo abbastanza soldi per la prima classe. A me il viaggio non lo paga la Juventus.- si accorse che Ed sorrideva, allora fissò Mark e le sembrò che fosse esageratamente sconvolto -Se vuoi posso far finta di non conoscerti.- e lanciò un’occhiata vaga in direzione delle porte a vetri oltre le quali le fan stavano cominciando a disperdersi.
-Non è per loro, non è per la seconda classe…- il giovane si guardò intorno -Che fine ha fatto Philip?-
Jenny sapeva che prima o poi quella domanda sarebbe arrivata ed era pronta ad affrontarla. Nonostante ciò i suoi occhi si schiusero di fastidio.
-Non c’è. Cosa c’entra?-
-C’entra Jenny, c’entra moltissimo. Sono sicuro al cento per cento che non vuole che vieni in Italia. Con me poi. Figuriamoci.- lanciò un’occhiata a Ed che si limitò ad alzare le spalle -Cos’è? Avete litigato?-
-Ci siamo lasciati.- lo disse tenendo il volto abbassato, non ebbe il coraggio neppure di guardarlo.
Lui la fissò incredulo.
-Impossibile.- aspettò invano quasi un minuto che si smentisse. E invece lei non fece una piega, non gli disse che era uno scherzo, neppure tirò su gli occhi -Quando? Non ne sapevo niente.- continuò ad osservarla scettico -Ho capito. È uno dei vostri soliti litigi. Discutete sempre, non fate altro.-
Jenny tirò su il viso di scatto, gli occhi brillarono di amarezza.
-Non abbiamo litigato, ci siamo lasciati. Non stiamo più insieme.-
Mark diede un’occhiata a Ed che continuava ad assistere al loro dialogo in silenzio.
-Fatico a crederlo.-
-Non crederci, per me fa lo stesso. Ora andiamo?-
Landers annuì.
-Io vado, tu rimani. Anzi, torni a Furano a far pace col tuo ragazzo.-
Jenny lo fissò seria. Era già abbastanza doloroso così, senza che Mark facesse tutte quelle storie.
-Smettila per favore, non ho voglia di scherzare.-
-Sto parlando sul serio.-
-Anch’io.- la giovane gli sbandierò di nuovo il biglietto sotto gli occhi -Vengo con te. Oltretutto l’ho pagato una fortuna.-
Mark respirò un paio di volte, totalmente incapace di gestire la situazione. Non poteva impedire in nessun modo che Jenny salisse sul suo stesso aereo. Solo Philip poteva farlo e, sfortuna delle sfortune, in quel momento non era lì. Chissà che fine aveva fatto quel cretino! Che si fossero lasciati davvero? Maledetto bastardo e maledetta testarda. Incrociò lo sguardo di Ed e all’improvviso si chiese cosa ci facesse anche lui lì. Ed e Jenny si erano incontrati per caso oppure il portiere era suo complice? Gli rifilò uno sguardo seccato, poi si rese conto che non poteva perdere l’aereo per le paturnie di quei due. Sospirò rassegnato. Avrebbe avuto tutto il tempo di pensare, una volta in Italia, a cosa dire a Callaghan se e quando si fossero sentiti, se e quando l’amico avesse scoperto dov’era finita la sua ragazza. E poi magari, dopo un paio di settimane, con un po’ di buona volontà da parte di lei, sarebbe riuscito a rispedirla a casa. Si volse a guardare Ed, fece per dirgli qualcosa ma lui lo prevenne.
-Buon viaggio.- indietreggiò di un passo -E fatti sentire ogni tanto.- “in bocca al lupo”, avrebbe voluto aggiungere, ma poi pensò fosse meglio non infierire. Salutò anche Jenny e se ne tornò a casa.
L’aereo decollò, il segnale luminoso che obbligava a tenere le cinture allacciate si spense e Mark se ne liberò. Un secondo dopo una hostess molto giovane e graziosa si avvicinò per chiedergli se voleva bere qualcosa.
-Una coca-cola.- rispose distratto, poi la richiamò -Questo posto è libero?- le indicò la comoda poltrona extra confortevole accanto alla sua, dalla parte del finestrino.
-Sì.-
Mark respirò rapido un paio di volte, fissandola negli occhi così profondamente da immobilizzarla dov’era. Non si rese neppure conto dell’imbarazzo della donna, non capì che non era la sua occhiata burbera ma il suo fascino ombroso ad impietrirla in mezzo al corridoio. Mark stava riflettendo, stava cercando una soluzione ad un problema che lo assillava e che voleva risolvere all’istante. Pensando bene alle conseguenze di ciò che avrebbe detto, si buttò a capofitto in una delle più grandi balle che la sua mente avesse mai partorito.
-Mentre salivo sull’aereo ho visto un’amica in seconda classe. È possibile farla sedere qui?- fece una pausa e tirò un altro respiro prima di continuare -È incinta e vorrei che facesse il viaggio in Business.-
-Attenda un secondo, vado a chiedere.-
Mark la inchiodò dov’era con un’occhiata.
-L’ultima volta che ha viaggiato in quelle condizioni, la mia amica ha vomitato sui pantaloni del vicino… che gli era troppo vicino. Qui invece c’è spazio, non soffrirà di claustrofobia come le succede di solito.- sperò che fosse un incentivo sufficiente a convincere l’equipaggio dell’aereo a mettergliela accanto -È nel posto 24D. Sono pronto a pagare la differenza, se necessario.- fece il gesto di sfilarsi il portafoglio dalla tasca posteriore dei pantaloni.
La donna annuì seria e raggiunse le tendine tirate, dove i suoi colleghi si affaccendavano pronti a servire bevande e snack.
Mark abbassò gli occhi sul portafoglio che aveva finito per prendere in mano. Lo fissò incredulo. La frottola era stata geniale, credibile, perfetta, ma come cazzo gli era venuto in mente di aggiungere che era disposto a pagare la differenza? Se davvero a fine viaggio gli avessero portato il conto, avrebbe dovuto pagare sul serio. Accidenti a Jenny! La sua testardaggine gli sarebbe costata quanto un mese di stipendio di sua madre! Si affrettò a rinfilarsi il portafoglio in tasca e a farlo sparire.
Lanciò un’occhiata nervosa agli altri passeggeri, sperando che nessuno avesse udito le sue parole. Se non c’erano testimoni, all’arrivo in Italia avrebbe potuto ritrattare. La Business Class era pressoché deserta. Un uomo, due posti avanti a lui, già dormiva spaparanzato sul sedile reclinato. Altri due ospiti sulla sinistra erano così presi a smanettare lo schermo touchscreen incassato davanti a loro, da non fare caso a lui. Sicuramente nessun altro aveva sentito. Si volse a fissare l’oblò e posò gli occhi su terra e oceano inframmezzati da filamenti nubiformi. Il sole era già basso. Lo avrebbero inseguito verso occidente arrivando in Italia poco prima del tramonto.
Jenny arrivò pochi minuti dopo dietro la hostess, stringendo tra le mani un bicchiere d’acqua, la borsa e una rivista. Aveva l’espressione confusa e si guardava intorno. Quando lo individuò, lo fissò interrogativamente.
-Che succede?-
-Succede che viaggi qui con me. Lì dietro non ti ci lascio, da sola.- replicò brusco mentre lei spalancava gli occhi sgomenta.
La hostess posò il cuscino e la coperta della giovane sulla poltrona accanto a Mark.
-Si accomodi.-
Jenny non si mosse, la guardava impietrita. La donna le sorrise, poi si allontanò per tornare al proprio lavoro. Allora assalì Mark restando in piedi, senza fare un passo verso quel lussuoso posto.
-Sei impazzito? Non ho i soldi per pagarlo!-
-Non lo paghi tu.-
Jenny cambiò colore.
-Paga la Juventus?-
-No, pago io.-
-Non voglio!-
-Allora faremo metà per uno.- la liquidò con un gesto brusco della mano. Era già stufo di lei e di tutte le sue storie -Adesso siediti, sei d’intralcio.-
Continuando a stringere al petto il proprio bagaglio, Jenny vide la hostess tornare spingendo il carrello delle bevande. Si scostò per farla passare e si lasciò cadere sul sedile, sconvolta.
-Non ci posso credere…-
-Neanch’io posso credere che tu sia su questo aereo. è totalmente assurdo!- Mark le lanciò un’occhiata di fuoco -E ora che siamo partiti, puoi anche vuotare il sacco!-
Lei finse di non capire e perse tempo a sistemarsi intorno le proprie cose.
-Che sacco?-
-Cos’è successo con Callaghan? Perché avete litigato?-
-Non è successo nulla, è finita e basta.- gli lanciò un’occhiata e capì che lui continuava a non crederle.
-E da quando?-
-Parecchio.-
La hostess tornò verso di loro.
-Desidera qualcosa da bere?-
Jenny scosse la testa. Il trasferimento dalla seconda alla prima classe, la preoccupazione di quanto le sarebbe costato quel posto, il comportamento assurdo di Mark e il pensiero di Philip le avevano chiuso lo stomaco. Non aveva voglia di niente.
-Se ha bisogno di qualcosa siamo a disposizione.- insistette la donna solerte.
La giovane annuì con condiscendenza, sperando che si togliesse di torno alla svelta. Voleva dire a Mark che non aveva bisogno della business, né di tutte quelle attenzioni. Ma quando furono di nuovo soli, lui l’anticipò.
-Circa un mese fa ho parlato con Philip al telefono e non mi ha detto niente. Gli ho persino chiesto di salutarti…- ricordava perfettamente la telefonata. La ricordava soprattutto perché l’amico gli era sembrato non freddo ma glaciale. Certo non avrebbe mai pensato che lui e Jenny si fossero lasciati. Gli aveva persino chiesto quando si sarebbero sposati. Ora che ci pensava, Philip aveva sviato la domanda così abilmente che Mark si era dimenticato di insistere. Tornò a guardare l’amica -Dove pensa che stai andando? Dai tuoi?-
-Non pensa nulla, Mark. Non ci sentiamo più.-
La fissò dubbioso, immaginando la faccia di Philip nel momento esatto in cui sarebbe venuto a sapere della fuga della fidanzata in Italia. Era certo che l’amico non l’avrebbe perdonato tanto facilmente di averla portata con sé. Non poté fare a meno di sorridere, poi si volse di nuovo verso Jenny che lo fissava stizzita.
-Cosa c’è di divertente?-
Lui fece spallucce.
-Sarà pur vero che vi siete lasciati, ma scommetto quello che ti pare che quando Callaghan verrà a sapere dove sei e con chi, s’incazzerà da matti.-
Jenny scosse la testa. Mark continuava a confondere la loro separazione con un semplice litigio. Fece per farglielo presente ma lui la precedette ancora una volta. Aveva troppe cose da chiederle.
-Come sei riuscita a prenotare il mio stesso volo?-
-Ho chiamato Ed e mi sono fatta dare giorno e orario di partenza.-
-Dove hai trovato il numero di telefono di Ed?-
Jenny distolse gli occhi.
-Me lo ha dato lui al ryokan. Ricordi? Avevo chiesto il numero a tutti.-
Mark annuì, ricordava perfettamente che lo aveva fatto per poter rintracciare Philip in ogni momento durante i ritiri della nazionale.
-E perché accidenti avresti deciso di venire proprio in Italia?-
I suoi occhi si colmarono di amarezza.
-Perché non so dove altro andare.-
Mark ammutolì, il dolore di Jenny trasudò dalle sue parole anche se lei cercò di sorridere per nascondere l’angoscia che aveva dentro.
-Dai tuoi nonni?-
Lei scosse la testa, mentre un’altra staffilata di sofferenza le trapassava il petto.
-Il ryokan è di David… Non riesco a starci…- mormorò con un filo di voce.
Mark la guardò mentre il dolore dell’amica diveniva quasi palpabile. Si affrettò a continuare, per non lasciare che quel maledetto nome seguitasse ad aleggiare tra loro.
-Non hai pensato ad andare in America dai tuoi?-
-Preferisco te all’assillo dei miei genitori.- riuscì a dare un timbro più sicuro alla sua voce tremante, quasi sorrise -Dovresti esserne contento.-
-E dove pensi di stare?-
-Magari a casa tua?- tentò speranzosa -Ovviamente solo finché non riesco a trovare una sistemazione migliore.- se Mark avesse rifiutato di ospitarla sarebbe stata la fine. Non aveva abbastanza soldi per vivere per giorni in un hotel.
Lui si aspettava che lo avrebbe detto, ma scosse lo stesso la testa, sconcertato e infastidito.
-Ti sei organizzata bene, a quanto pare. E senza neppure avvertirmi.-
-Se te lo avessi detto ti saresti rifiutato.- lo guardò e poiché la sua espressione non le piacque, cercò di sdrammatizzare -Hai paura che rovini la tua reputazione di single?-
-Ho paura che quando verrà a saperlo il tuo ragazzo…- cominciò a dire e si corresse vedendola aggrottare la fronte -Il tuo ex ragazzo… mi ucciderà.-
Jenny sbuffò seccata. Come poteva fargli entrare nella zucca che si erano lasciati? Perché continuava a non crederle? Poi ripensò a tutte quelle fan che erano andate a salutarlo all’aeroporto. Forse altrettante lo aspettavano in Italia. Le venne un dubbio e fu presa dal panico. Impallidì e si tese, terrorizzata.
-Mark, hai la ragazza a Torino? Sto venendo a disturbarti?-
Lui sorrise dei suoi timori e le fece cenno di no. Non aveva la ragazza in Italia e Jenny non sarebbe mai stata un disturbo. Una preoccupazione in più sì, ma un disturbo assolutamente no.
-Meno male.- la morsa allo stomaco si allentò e lei tirò un sospiro di sollievo.
-Meno male un corno! Dove lo trovo il tempo per starti dietro?-
-Non mi serve una balia! Ho bisogno soltanto che mi ospiti per qualche giorno… nient’altro! Non avevo neppure bisogno che mi facessi venire qui.- indicò la  Business Class con un gesto della mano.
-Te l’ho già detto. Là dietro in mezzo a tutta quella gente non ti ci lascio!-
-Cosa pensi che possa succedermi? Siamo su un aereo!- un brivido le corse su per la schiena. Mark aveva intenzione di starle così addosso anche in Italia?
Lui non le rispose e restò a guardarla pensieroso. Nella sua casa di Torino c’era un viavai continuo. I compagni della Juventus si presentavano spesso da lui senza neppure avvisare, organizzando tornei di playstation che andavano avanti anche tutta la notte, fino alla mattina. Dal Giappone riportava sempre le ultime novità e loro aspettavano frementi il suo ritorno. Era stato un buon metodo, quello dei videogiochi, per farsi amici i compagni di squadra, immancabilmente diffidenti nei confronti di ogni nuovo arrivato. La playstation lo aveva salvato, o meglio lo aveva aiutato a integrarsi in modo rapido e indolore. E ora, la prima cosa da fare una volta a Torino, sarebbe stata allontanare proprio quegli amici da casa sua.
Jenny si volse e i loro occhi s’incrociarono. Lei percepì preoccupazione nel suo sguardo e l’ansia l’assalì.
-Mi ospiterai?- gli chiese ancora, quasi supplichevole.
-Solo finché non troveremo una sistemazione migliore.-
Jenny gli sorrise così sollevata e così riconoscente che Mark ebbe una stretta al cuore, tornando immancabilmente a chiedersi che accidenti fosse successo tra lei e Philip. Possibile che si fossero davvero lasciati? Più lo pensava e meno riusciva a crederci. Quei due erano nati per stare insieme, come poteva essere finito tutto da un giorno all’altro? E la cosa che lo sconcertava di più era che la notizia non gli era arrivata. Possibile che nessuno lo sapesse? Neppure Bruce, nemmeno Evelyn? La guardò sospirando piano. Se Jenny non aveva intenzione di parlarne, congetturare su di loro non lo avrebbe portato a niente e non avrebbe certo risolto il problema della sua presenza lì. Visto che ormai era sull’aereo insieme a lui, avrebbe fatto bene a rassegnarsi in fretta. Smise di pensare a ciò che lo aspettava una volta a Torino, il viaggio era troppo lungo per cominciare già ad angustiarsi. Si chinò a frugare nello zaino che teneva tra i piedi e ne tirò fuori un paio di riviste acquistate all’aeroporto.
Quando cominciò a sfogliarle, Jenny gli lanciò un’occhiata distratta, poi si volse verso il finestrino e rimase a guardare il cielo azzurro e le nuvole che si accalcavano sotto l’aereo, ammucchiate una sull’altra come tanti cumuli di ovatta. Sembravano così morbide che veniva voglia di toccarle. Per l’ennesima volta si chiese se non avesse preso la decisione sbagliata. Aveva fatto bene ad andarsene? A lasciare Furano, la casa, gli amici? Non aveva avvertito Grace, neanche Patty o Amy. Non l’aveva detto neppure ai suoi genitori, a cui pensava di telefonare dall’Italia. Del resto aveva esitato fino all’ultimo, fino alla mattina in cui si era svegliata piangendo nella sua camera del ryokan dei nonni, un dolore sordo nel petto, il cuore che batteva all’impazzata. Aveva sognato in un’unica notte la violenza di David e l’ultima discussione con Philip nei corridoi dello stadio di Sapporo, le parole precise che si erano rivolti, il suo sguardo di fuoco, la sua espressione adirata. Aveva rivissuto di nuovo la scena, quasi al rallentatore, e finalmente, quella mattina, aveva preso atto di essere rimasta sola. Aprendo gli occhi su quell’incubo, aveva realizzato che Philip l’aveva davvero lasciata.
E allora, disperata, aveva mollato anche i nonni. Se n’era andata persino da loro, perché mettere piede nella cucina dove lei e Philip avevano fatto spensieratamente colazione decine di volte, la faceva star male. Osservare l’ala moderna del ryokan, la grande vetrata che dava sul giardino e tutte le costose modifiche fatte dai McFay le toglieva il respiro. Non era riuscita a trovare in nessun luogo, in Giappone, un conforto al suo cuore spezzato. Prima di Shintoku aveva provato a raggiungere i suoi a New York, ma era stata incauta. Un giorno sua madre l’aveva pescata a piangere e lei, ingenua, le aveva confidato che con Philip si erano lasciati. La mamma ne era stata addolorata, ma suo padre non aveva trovato niente di meglio da fare che cercarle un marito. Una mossa che lei non aveva capito subito. Era successo durante l’ennesima e noiosissima cena con gli amici dei suoi, quando un avvocato trentenne le si era avvicinato e le aveva fatto delle avance fin troppo esplicite. Era già la terza volta che succedeva in due settimane, e lei aveva intuito di colpo quali fossero i progetti di suo padre. Il giorno dopo aveva discusso furiosamente con lui mentre sua madre restava da una parte, in silenzio, a guardarli spaventata, incapace di intervenire in difesa della figlia. Aveva resistito da loro ancora un mese, poi aveva fatto le valigie ed era tornata in Giappone per rifugiarsi dai nonni. A Shintoku non aveva retto più di quindici giorni e aveva scelto l’unica alternativa che le era venuta in mente. Seguire Mark in Italia. Lì sarebbe stata tranquilla perché era sicura che dopo quel terzo grado sull’aereo, lui si sarebbe stancato di fare domande. In fondo, come le aveva chiaramente detto a Shintoku un paio di anni prima, non gliene fregava niente né di Philip né dei loro litigi.
Si volse di scatto quando lo sentì soffocare un insulto. Si volse, incrociò il suo sguardo sgomento e lo vide chiudere di colpo il giornale. Si sporse verso di lui.
-Cos’hai?-
Mark strinse la rivista tra le dita poi la infilò svelto sotto le altre, ammucchiate sul tavolinetto aperto. Le lanciò un’occhiata inquieta. Lei non capì il motivo di quel bizzarro comportamento e continuò a fissarlo. Il giovane accennò un sorrisetto tirato, che gli incurvò solo un angolo della bocca. Prese un’altra rivista e si agitò a disagio sul sedile, cercando una posizione comoda.
La curiosità si scatenò bruciante. Jenny si sporse nel corridoio, allungò una mano e cercò di afferrare la rivista che Mark aveva così bruscamente accantonato. Lui scattò in avanti e posò con violenza il palmo della mano sui giornali, impedendole di prenderla.
-Cosa c’è?-
Il ragazzo afferrò tutto il mucchio e lo tirò indietro.
-Niente.-
-Mark, fai vedere…-
Landers strinse le riviste tra le dita e la fissò negli occhi, sgomento. Era vero, accidenti! Quei due si erano lasciati sul serio!
-Fa’ vedere, Mark!- era sicura che si trattasse di qualcosa che la riguardava e ciò le fece paura. Cosa poteva esserci di tanto terribile su quel giornale, se l’amico le impediva di metterci sopra gli occhi? Quando lui scosse la testa, Jenny si alzò e si piazzò al centro del corridoio.
-Non essere assurdo! A costo di farmi mandare dalla nonna una copia di ogni rivista che hai acquistato, vedrò quello che mi stai nascondendo!-
Mark la fissò a bocca aperta. Non poteva assolutamente permettere che Jenny mettesse gli occhi su ciò che aveva visto lui. Forse c’era un errore, magari aveva guardato male. Del resto, non appena aveva posato lo sguardo sulla foto e gli era sfuggito l’insulto, aveva richiuso la pagina all’istante. Forse non si trattava di Callaghan… Continuò a fissarla negli occhi. Se lui c’era rimasto di merda, come avrebbe reagito Jenny? Magari bene, visto che ormai doveva essersi abituata all’idea di essere tornata single, dopo tanti anni… Merda, stentava ancora a crederci! Abbassò lo sguardo sulle sue mani tese verso di lui. L’anello di Philip era sparito. Le dita di Jenny erano sottili, scosse da un leggero tremito, e così pallide che le vene azzurrine risaltavano in trasparenza.
Capitolò, tanto non poteva fare altro. Le porse in silenzio il giornale. Non c’era bisogno che la nonna le mandasse un bel niente. Dovevano restare su quell’aereo ancora dieci ore, non avrebbe potuto tenerglielo nascosto per tutto il viaggio. Appena si fosse addormentato, o fosse andato in bagno, Jenny avrebbe frugato nello zaino e avrebbe sfogliato ogni pagina fino a trovare ciò che cercava.
Lei strinse convulsamente la rivista spiegazzando la copertina. Tornò al suo posto e la sfogliò rapidamente, voltata verso l’oblò. Non aveva idea di ciò che avrebbe trovato e preferì dargli le spalle. Fece bene. La foto che Mark avrebbe voluto tenerle nascosta le scatenò dentro un dolore incontenibile. Philip era stato fotografato a baciare una ragazza. Li osservò, tutti e due, mentre una sofferenza immensa le trafiggeva il cuore. Fu un dolore quasi fisico, deglutì a vuoto e lottò per ricacciare indietro le lacrime finché il groppo che le era salito in gola si sciolse. Riuscì a rimandare l’aria nei polmoni, mentre la foto le si stampava a fuoco nella testa. Si volse verso Mark, il suo volto era una maschera impassibile mentre gli restituiva la rivista.
-La riconosci?- lui scosse la testa e lei proseguì -Era negli studi televisivi di Kyoto. È Julie Pilar, la modella in costume.- su quelle ultime parole la sua voce si incrinò e non poté farci niente. Ingoiò l’aria e riuscì a continuare.
Landers si sporse nel corridoio e le tolse il giornale dalle mani, gli occhi sgomenti sulla foto. Jenny aveva ragione, era proprio lei. Sollevò di nuovo lo sguardo verso l’amica, mentre l’ira contro Callaghan gli scoppiava dentro. Avrebbe dirottato l’aereo per poter tornare in Giappone e prenderlo a pugni. Come aveva potuto farlo? Dopo tutti quegli anni, dopo tutto quello che avevano condiviso e sofferto insieme, come aveva potuto lasciarla? E per chi?
-Mi dispiace.- riuscì a dirle soltanto.
Lei scosse la testa, mentre le lacrime le riempivano gli occhi. Si volse verso il finestrino, verso il cielo, e cercò di non pensare a niente. Non voleva pensare a niente. Si passò una mano sugli occhi e li premette per frenare le lacrime. Che senso aveva adesso piangere? Per cosa poi? Lei e Philip si erano lasciati mesi prima, era normale che lui frequentasse un’altra ragazza. O pensava forse che sarebbe rimasto fedele al suo ricordo? Quale ricordo? Quello dei loro ultimi litigi? Delle incomprensioni, dei silenzi, delle cose non dette che avevano allargato il baratro scavato da David? I sentimenti che provavano l’uno per l’altra erano sprofondati nella sfiducia e nell’incomprensione, in un altalenante alternarsi di confusione e sofferenza, fino all’ultimo giorno in cui si erano rivolti la parola. Jenny si passò una mano sul viso mentre le lacrime le salivano di nuovo agli occhi. Le scacciò con uno sforzo e tornò a fissare fuori dal vetro. Il cielo si stava tingendo d’arancio e quello spettacolo di nubi dai profili dorati sarebbe stato bellissimo se non fosse stato offuscato da tanta sofferenza.
   
 
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