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Autore: Afaneia    09/02/2018    3 recensioni
In seguito agli eventi narrati nell'Episodio Delta di Pokémon Rubino Omega, Max ha deciso di sciogliere il Team Magma e di ritirarsi a vita privata, recidendo volontariamente ogni rapporto con tutti coloro che hanno fatto parte del suo piano per servirsi di Groudon. Persino un uomo della sua genialità non è più sicuro di sapere come reinventarsi, dopo aver scoperto di aver inseguito una chimera per quasi tutta la sua vita.
Forse Ivan non ha scelto esattamente il momento più adatto per rivelargli di avere una figlia.
Genere: Angst, Drammatico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Yaoi | Personaggi: Ivan, Max (Team Magma), Nuovo personaggio
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Videogioco
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Lista delle cose belle di una vita

Capitolo XI –Lista delle cose belle di una vita.

 

Certe volte, la sera, prima di addormentarsi, Max recita a se stesso la

 

LISTA DELLE COSE BELLE DI UNA VITA

guadagnate in tanto tempo (in ordine casuale).

 

·         Aver insegnato a Ivan a preparare una torta.

È stato mostruosamente divertente. Non c’è bisogno di aggiungere altro, a proposito di questa voce. (Per la verità, Max ha imparato proprio mentre lo insegnava a Ivan, ma questo non vale neppure la pena di ricordarlo. Dopotutto, aver impiegato anni a costruirsi la fama e l’immagine di un uomo posato ed esperto deve pur comportare qualche vantaggio.)

·         Donare regolarmente sangue ed emocomponenti, ed esser conosciuto all’ospedale per questo. Fa sempre piacere.

·         Aver visto Hyra stracciare Ottavio a dama, dopo ch’egli le aveva appena insegnato a giocare.

Max non si convincerà mai fino in fondo che Ottavio l’abbia cortesemente lasciata vincere in virtù della sua giovane età, malgrado tutte le sue rassicurazioni in merito.

·         Aver parlato per telefono a Rossella.

È stato Ottavio a incoraggiarlo, e lei gli è parsa serena. Spera che potranno rivedersi un giorno, chiacchierare un po’ e provare a confrontarsi l’uno con l’altra, e forse non è ancora il momento adatto, ma è certo che un giorno questo sarà possibile; e chissà, se Rossella sarà d’accordo, forse sarà possibile coinvolgerla nella sua nuova vita, quel giorno.

·         Aver coinvolto Ivan nella questione degli aghi. Ah, sì, e aver scoperto che ha paura degli aghi.

Una paura fottuta degli aghi.

Oh, Max si è divertito, quella volta, a maggior ragione dato che Ivan si è sempre ostinatamente rifiutato di ammetterlo. Sta di fatto che, in seguito, Ivan si è sempre dimostrato alquanto restio alle sue proposte di donare, e che si è sempre rifiutato anche solo di pensare di poter donare il midollo, dopo che gliene è stato illustrato il procedimento.

·         La volta che Ivan gli ha detto, per scherzare, che in fin dei conti si potrebbero pure sposare.

Questa minaccia non avrà mai alcun seguito, ovviamente, e per fortuna, ma è piacevole venire a sapere così, semplicemente, a mezzo di una battuta e senza troppe smancerie, che nonostante tutto Ivan è ancora contento di aver scelto lui. Che nonostante tutti i loro difetti (che, accumulati insieme, sono davvero un bel numero e considerevolmente grossi), questa vita che hanno vissuto insieme Ivan sarebbe pronto a riviverla, e che l’abitudine, ormai, tra di loro non c’entra niente.

·         Hyra. Chi l’avrebbe mai detto, in quel giorno ormai lontanissimo in cui Ivan gliel’ha confessato, che avere una figliastra gli sarebbe piaciuto tanto?

Max non vorrebbe mai essere considerato o attribuirsi i diritti o i doveri di un padre nei confronti di Hyra, ma in compenso essere il suo patrigno, o più semplicemente il compagno di suo padre, gli piace molto.

Hanno trovato una piccola intimità, loro due, che di certo non sarà mai neppure comparabile a quella che hanno lei e Ivan, ma la cui bellezza risiede proprio in questo: non deve esserlo. Hyra non è sua figlia né mai lo sarà, ma proprio questo gli concede una grande libertà di movimento.

A modo suo, gli piace condividere con lei dei momenti di cui Ivan non è partecipe, e non perché ci sia alcuna consapevole volontarietà di escluderlo, ma perché Hyra vive stabilmente con loro ormai da più di cinque anni, e Max si è reso conto a poco a poco di poter costituire per lei una figura autonoma e del tutto diversa da suo padre, e avere con lei un rapporto diverso e a modo suo complementare, e tutto sommato questo gli piace.

Per esempio, ci sono piccole cose che Hyra ha detto a lui soltanto, cautamente all’oscuro di Ivan, e su cui Max ha perlopiù mantenuto il silenzio senza tradire la sua fiducia. Per esempio, Ivan non saprà mai della gravissima insufficienza in matematica al suo primo anno delle scuole medie, e del resto, che motivo avrebbe di venirlo a sapere? Con il suo aiuto, Hyra ha recuperato, e per quel poco che Max ricorda del suo periodo scolastico, questo dovrebbe essere l’importante. No?

Ma poi, col passare del tempo, via via che Hyra è cresciuta, questi attimi di vicinanza si sono moltiplicati e variegati, e Max si è sorpreso a esserne soddisfatto. C’è una certa complicità tra di loro che Ivan nota, ma di cui non può necessariamente prendere parte, e che si manifesta in atti che non potrà mai avere chiari.

Esiste un patto non scritto tra lui e Hyra, per cui è sempre Max ad andarla a riprendere il sabato sera, ora che ha cominciato a uscire con qualche amica. Non che faccia molto tardi: si tratta perlopiù di una passeggiata in centro per mangiare un gelato, o al più di qualche film al cinema… il che, per la sua età, va più che bene, ed è oltretutto il massimo che le consenta la malcelata iperprotettività di Ivan.

Il patto non scritto consiste semplicemente nel fatto che Max le concede di star fuori un quarto d’ora in più ogni volta, più o meno regolarmente. Quando tornano a casa, e Ivan lo guarda con aria interrogativa, come a chiedergli solo aggrottando la fronte perché abbiano fatto tardi, Max gli mente molto seriamente spiegando con la massima naturalezza che si sono fermati sulla via del ritorno a guardare le stelle, o che hanno fatto una deviazione per vedere a che punto fossero i nuovi lavori al molo… una cosa così. Ivan non sospetta nulla, naturalmente, e Max non si sente minimamente in colpa, perché non è come se stesse mentendo veramente. Sa benissimo dov’è Hyra e con chi è e che va tutto bene, e Hyra gli è grata e complice e tutto il resto, perciò va bene così.

Oltretutto, Max non ha l’impressione di mentire anche per un altro motivo, e cioè perché tutte queste cose che lui inventa per Ivan, lui e Hyra le fanno veramente ogni tanto. A Hyra piace moltissimo farsi indicare le stelle e sentirsi dire i loro nomi, o deviare sulla strada di casa per passare dal molo e leggere i nomi delle grandi barche a motore che non vede l’ora di poter guidare, non appena avrà l’età per prendere la patente nautica…

Hyra per lui non è una figlia e non potrà esserlo mai, semplicemente perché di figli Max non ne ha voluti né cercati mai, o forse non ha mai avuto l’occasione di averne; ma c’è stato un momento della sua vita in cui questa figliastra inattesa è arrivata per conto suo, e Max l’ha voluta non solamente perché faceva parte della vita che Ivan portava con sé dal proprio passato, e dunque non si poteva avere Ivan senza accettare necessariamente anche Hyra, ma anche perché egli è arrivato a capire che nella sua vita c’era spazio anche per lei – e soprattutto che nell’economia della vita di Hyra c’era spazio anche per lui.

Forse non possiamo essere tutti padri a questo mondo, ma pare che di patrigni volenterosi ci sia ancora una cospicua richiesta.

Non che tutto questo sia stato facile, all’inizio, come suona facile ora a raccontarlo. Il primo anno dopo la morte di Aima è stato terribile, e Max lo ricorda ancora con angoscia. Se ora affermasse che è stato tutto facile, bello e divertente con una lieve punta di drammaticità come in quei film che danno la sera sul quinto canale, direbbe la peggiore bugia dell’universo. A questo equilibrio ci sono approdati, è vero, ma non è stato facile affatto.

Hyra ha reagito alla morte di sua madre in tutti i modi peggiori descritti nei manuali per l’infanzia: per mesi è stata intrattabile e aggressiva, e non è trascorsa una settimana in cui lui e Ivan non dovessero accorrere a scuola, richiamati dalla maestra per via di qualche rissa coi compagni. Ai loro rimproveri Hyra sembrava tanto insofferente e ribelle quanto ai loro tentativi di confortarla, e di punizioni materiali Ivan (ch’è sempre stato un po’ troppo propenso a viziare questa bambina per compensarla almeno un po’ della morte della madre, a onor del vero) non ha mai voluto neppure sentir parlare.

Quando ha smesso di essere aggressiva e di picchiare gli altri bambini, Hyra ha poi cominciato a bagnare il letto di notte. Forse questa è stata la fase peggiore, perché alla rabbia si è aggiunta l’umiliazione: Hyra è orgogliosa come suo padre, e svegliarsi in piena notte nel letto caldo e bagnato l’ha fatta piangere e inalberarsi d’intollerabile mortificazione, perché persino coi suoi nove anni di esperienza di vita sapeva perfettamente d’esser troppo grande per queste cose.

Trattandosi di un problema di natura fisiologica, Max ha deciso di trattarlo come un uomo di scienza, naturalmente, e ha perciò fatto ricordo alle più eminenti riviste di pedagogia e psicologia infantile, e in genere a qualsiasi articolo o monografia incentrata specificamente sull’enuresi. A saperle leggere con attenzione, era sicuro che ne sarebbero venute fuori un sacco di soluzioni applicabili.

Ma prima che Max riuscisse a cavarne fuori qualche cosa di concreto da usare nella vita quotidiana, all’ennesima volta che il pianto di Hyra proveniente dall’altra stanza li ha svegliati nel cuore della notte, Ivan gli ha detto in un modo estremamente esplicito e insieme incredibilmente sintetico dove potevano andare tutti gli psicologi e i pedagogisti del mondo e che cosa esattamente potevano fare con tutti i loro studi e i loro articoli e le loro riviste peer-reviewed. È andato nella camera di Hyra, l’ha consolata e fatta smettere di piangere e poi, ignorando i suoi occhi piccoli di sonno e la sua stanchezza e la sua confusione, l’ha fatta lavare e vestire e se l’è portata fuori senza dire una parola.

Sono stati fuori tutta la notte, tanto che Max, a un certo punto, ha capito che non valeva la pena di aspettarli ed è tornato a dormire. Sentiva che in qualche modo anche solo restare sveglio ad aspettarli sarebbe stato come intromettersi in un qualche momento privato e personale che doveva far parte della Storia raccontata da Ivan, non da lui. Quella notte poteva avere un solo punto di vista, e quello non era il suo.

In effetti ha saputo solo da pochi mesi che cosa è successo quella notte, e cioè che Ivan ha fatto l’unica cosa che la sua irruenza e la sua esasperazione gli abbiano suggerito. Ha portato Hyra al molo, le ha infilato un giubbino galleggiante allacciato stretto, l’ha caricata in barca e ha preso il largo. Hanno veleggiato fino al mattino, spingendosi sin quasi a Ciclamare, e Ivan le ha parlato ininterrottamente per tutto il tempo, senza neppure curarsi che sua figlia fosse del tutto sveglia. Tutto ciò che gli importava, in quel momento, era che Hyra sentisse la sua voce e sapesse che suo padre le stava parlando ed era con lei, e ci sarebbe stato sempre.

Quando Ivan gli ha raccontato tutto questo, a distanza di quattro anni da quando è accaduto, Max si è astenuto dal commentare che gli sembra un metodo assolutamente poco ortodosso e anche un po’ traumatico per risolvere il problema, non solo perché a questo punto non avrebbe più senso farlo presente, ma anche perché ricorda benissimo che il mattino seguente, quando ha visto Hyra a colazione, gli è parsa molto più calma che nei giorni precedenti. Dopo quella notte in barca ha continuato a bagnare il letto per un po’ di tempo, ma non si è sentita più così umiliata, e poi, alla fine, ha finito per smettere. Se questo sia stato merito della sola crescita e del superamento del trauma, o se davvero, quella notte, Ivan sia riuscito a dirle cose tanto importanti e confortanti da aiutarla, Max non saprebbe dirlo, ma non ha dubbi su quale sia l’ipotesi che gli piace di più.

Ottavio gli dice spesso che in parte è anche merito dell’influsso positivo esercitato da Hyra nella sua vita, oltre che naturalmente della presenza di Ivan al suo fianco, se è riuscito a uscire dal baratro di autodistruzione in cui il fallimento del suo progetto lo aveva sprofondato. Potrebbe anche darsi, naturalmente (Max non può sinceramente vantare una tale conoscenza della propria psicologia e delle proprie profondità da poterlo confutare con certezza); ma questo gli pare un modo assai banalizzante di vedere la cosa, e non sarebbe questa la chiave di lettura che sceglierebbe per una propria eventuale autobiografia, se mai gli venisse il ghiribizzo di produrne una.

Certo, nel percorso ch’egli ha compiuto, Ivan c’entra eccome, e allo stesso modo c’entra anche Hyra; ma la verità è che salvarsi richiede un atto di volontà talmente intenso, da escludere necessariamente ogni intervento esterno. È proprio come sfiancarsi a nuotare disperatamente controcorrente contro il mare che ci affoga, e sperare, prima o poi, di intravedere una riva: non si può fare che da soli. Ma Max è contento che, in tutto questo, Ivan gli abbia nuotato accanto, urlando e chiamandolo ogni volta che la forza avversa delle onde lo ricacciava sotto minacciando di annegarlo. A quella riva, dopo innumerevoli sforzi, Max ci è arrivato da solo, e non poteva essere altrimenti, perché se non avesse compiuto alcun cammino, se qualcuno semplicemente si fosse limitato a salvarlo, per quanto banale possa sembrare questa parola, forse non sarebbe annegato, certo, ma non ci sarebbe stata alcuna riva ad aspettarlo.

Purtroppo, o per fortuna, non ci si può salvare che da soli.

 

«Max, papà dice di andare a prepararti» lo ammonisce Hyra affacciandosi sulla porta del suo studio. Questa sera sono a cena da sua zia, come praticamente una volta a settimana per tutte le settimane negli ultimi cinque anni, ed effettivamente, pensa Max gettando un’occhiata all’orologio, si sta facendo un po’ tardi. (Oh, Max adora Samah, e non soltanto perché, avendo conosciuto Ivan quando aveva diciott’anni e avendolo sempre visto come un cognato piuttosto che come il boss di un Team eco terroristico, conosce su di lui gli aneddoti più meravigliosi dell’universo. È sicurissimo di adorarla anche per altri motivi, solo che ora non gli vengono in mente.)

«Dì a tuo padre che andrò a prepararmi quando lui avrà cominciato ad allacciarsi le scarpe, e che mi rimarrà comunque abbastanza tempo» risponde senza distogliere gli occhi dal computer, dove file di numeri e dati scorrono incessantemente fino a incrociarsi davanti ai suoi occhi. È da giorni che lui e Ottavio stanno cercando di preparare un articolo per una prestigiosa rivista scientifica, e Max ha la sensazione di non aver mai avuto tanto materiale su cui lavorare tutto in una volta. Naturalmente questa è la medesima sensazione che lo ha sempre accompagnato per tutta la vita, dagli esami universitari agli studi su Groudon, perciò, effettivamente, la cosa non vuol dire poi molto. Ottavio è dannatamente ottimista riguardo a questo articolo, e chissà che non abbia ragione. Quel ragazzo ha un intuito dannatamente premonitore.

«Papà dice che non devi lavorare così tanto perché ti stanchi gli occhi» lo rimprovera Hyra, appoggiandosi allo schienale della sua sedia per guardare il computer. «È sempre per quell’articolo?»

Max accenna un sorriso rapido mentre si sfila gli occhiali e si sgranchisce le braccia. Effettivamente è da diverse ore che lavora, e comincia a essere stanco. «Esatto, piccoletta. Quello che sto scrivendo con Ottavio.»

Hyra strizza un po’ gli occhi per cercare di leggere le lunghe file di numeri che si susseguono intabellandosi sullo schermo, e Max si sente un po’ a disagio. È la prima volta che Hyra si mostra tanto interessata agli aspetti tecnici del suo lavoro e che non si limita a bollarlo come qualcosa di troppo complicato e noioso da meritare un tale spreco di attenzione. È cresciuta così tanto da quando gli ha chiesto, una mattina di un secolo fa, se fosse uno di quei cattivi dei videogiochi che buttano per terra gli ingredienti delle torte?

«Che cosa dicono quelle tabelle?»

Le sue mani vorrebbero disperatamente chiudere tutti i file che sono aperti sullo schermo in questo momento, e mettere tutto da un lato e rifiutare di dirglielo; ma è uno stupido sentimento immaturo e iperprotettivo, questo, ed egli lo sa benissimo.

Reprimendo con forza nel fondo della sua coscienza questo sentimento, Max deglutisce un po’ più difficoltosamente del normale e ingrandisce gentilmente la tabella perché Hyra possa leggerla meglio.

«Beh, noi speriamo che documentino l’efficacia del trattamento che stiamo sperimentando per la soppressione delle cellule cancerogene» spiega con una voce molto più fioca di quella che ricordava di avere.

«Oh» risponde Hyra solamente, e i suoi occhi si velano di una profonda tristezza.

È diventata molto bella nella primavera dei suoi tredici anni, e forse assomiglia sempre di più a sua madre, se sua madre somigliava a sua zia anche solo una metà di quanto le somiglia lei. Ha gambe lunghe e slanciate e lunghi capelli neri e lucidi, e un volto ambrato ed esotico dagli zigomi alti e pieni, ma ingentilito dai liquidi occhi di Ivan, e forse Max guarda a lei con troppo orgoglio, ma è diventata davvero molto carina.

Per ora è ancora un po’ piccola, forse, ma c’è una certa voce dentro di lui che ci tiene molto a far presente che, tra qualche tempo, sicuramente farà la sua apparizione sulla scena il personaggio del fidanzatino. Di questa sua conclusione, di cui è assolutamente certo, Max non ha ancora fatto parola con Ivan, ma è alquanto certo che, nella sua qualità di padre, Ivan non accetterebbe molto volentieri questa prospettiva. Dal suo punto di vista, Hyra continuerà ad avere dieci anni ancora per i prossimi dieci anni, e continuerà a rimanere perfettamente asessuata di qui all’eternità. Ma la verità è che un giorno non troppo distante scopriranno che Hyra esce di nascosto con qualche ragazzo, e Ivan avrà con ogni probabilità un infarto, e Max non vuole perdersi tutto questo per nulla al mondo.

«Mi sarebbe tanto piaciuto salvare tua madre, Hyra.»

Era da così tanto tempo che voleva dirglielo, che Max si accorge d’improvviso che questa semplice confidenza pare sgravare il suo petto dello stesso peso di un’innominabile confessione.

Nella morte di Aima il risveglio di Archeo Groudon non ha avuto alcun ruolo, e per la propria innocenza Max non fa che ringraziare ancora il cielo, a distanza di cinque anni da quando è avvenuta; ma Max, che per un periodo molto lungo della sua vita avrebbe voluto poter salvare l’umanità, non ha mai perdonato a se stesso di non esser stato in grado di salvare una vita. La storia non è certo fatta di se, d’accordo; ma è davvero possibile smettere di domandarsi, un giorno, se le cose avrebbero potuto andare diversamente, se solo egli avesse perso meno tempo a cercare Groudon, e avesse capito un po’ prima qual era la strada giusta da percorrere?

La verità è che Max ha sempre aspettato che fosse Hyra a perdonarlo per non aver saputo salvare sua madre, e solo stasera, quando un lampo di comprensione le attraversa fugacemente gli occhi, e lei distoglie lo sguardo per un attimo, egli si rende conto per la prima volta che Hyra è finalmente diventata grande abbastanza da potergli dare l’assoluzione che egli da anni aspetta da lei.

«Lo so, Max» risponde senza guardarlo, con un piccolo sorriso triste. «Anche a me sarebbe piaciuto.»

E la sua risposta è tutta qui, ma neppure per un momento Max dubita che abbia capito, e che nel profondo della sua anima lo abbia perdonato per non esser stato grande abbastanza da salvare sua madre. Il Grande Max ha finito qui, finalmente, e ha finalmente ottenuto tutte le assoluzioni che cercava.

«Con questo puoi salvare le persone, quindi? Le persone con il cancro?»

Abbandonandosi contro lo schienale della sedia girevole, Max si prende un lungo attimo di silenzio prima di rispondere e incrocia pensierosamente le mani in grembo.

«È un po’ più complicato di così, ma… sì. Voglio dire, la speranza sarebbe quella.»

C’è un lampo di desiderio nello sguardo che Hyra getta allo schermo, adesso.

«Puoi spiegare anche a me come funziona?»

Max sorride pazientemente. «Non certo prima di andare a cena dalla zia. Domani, se vuoi.»

«Pensi che sarei in grado di studiare anch’io queste cose? Tipo all’università?»

«Oh, Hyra.» Quando già la sua mano sta per muoversi e assestarle un’affettuosa pacca sul capo, come quando era piccola, Max ci ripensa e si trattiene. Quella che ha di fronte è una piccola adulta, ed egli le farà il piacere di trattarla con tutto il rispetto che merita. «Tu sei in grado di fare tutto quello che vuoi.»

C’è tutto un dilemma che si agita e combatte in fondo agli occhi di Hyra e che lotta per venir fuori, e Hyra pare fare uno sforzo enorme per trovare le parole per esprimerlo.

«Non vorrei rinunciare ad allenare i Pokémon, però.»

Anche se sarebbe potuta partire tre anni fa, Hyra ha deciso di posticipare per continuare a studiare ancora un po’, ma quest’anno, a quanto pare, si è decisa. Ivan ha deciso di regalarle un Pokémon per il suo compleanno, e lui e Ada stanno praticamente vagliando tutti i mari di Hoenn alla ricerca di Quello Perfetto. Che poi, ovviamente, sarà un Carvanha, e questo lo hanno già previsto tutti, ma è ammirevole che Ivan stia almeno sforzandosi di provare a prendere in considerazione anche altri Pokémon.

«Beh» inizia lentamente Max «So che suona un po’ troppo autoreferenziale detto da me, ma nulla ti obbliga a rinunciare a niente. Io sono diventato un discreto allenatore e ho padroneggiato anche la Mega Evoluzione frequentando l’Università, e mi sono laureato con il massimo dei voti.»

Ci sarebbe anche quel dettaglio del team di malviventi di cui faceva parte a vent’anni, quando non doveva studiare, insieme a Ivan, ma sarebbe veramente troppo autoreferenziale… insomma, non vuole certo gravare Hyra del peso di un modello troppo difficile da seguire. No?

(E poi, diciamocelo, non lo rifarebbe. Studiare di pomeriggio e introdursi nei Centri Pokémon di notte e andare a letto con Ivan all’alba e litigare alle otto e presentarsi all’esame alle nove. No, no, era uno stile di vita decisamente troppo stressante.)

«Già, è vero» risponde Hyra, e dalla ritrovata luminosità dei suoi occhi è evidente che non ci aveva pensato, ma che quell’idea, tutto sommato, non le dispiace, e che potrebbe anche pensarci su.

«Certo che è vero, l’ho fatto io» conclude Max alzandosi. «E comunque hai un sacco di tempo per pensarci. Io invece devo andare a cambiarmi, prima che tuo padre venga di qua a uccidermi.»

«E che la zia si arrabbi» lo ammonisce Hyra in tono di rimprovero. «Anche lei dice che lavori troppo.»

Questo dev’essere un complotto. Com’è che quando si dava tanto da fare per distruggere Hoenn nessuno veniva mai a dirgli che stava lavorando troppo?

«E che la zia si arrabbi, giusto» concede Max pazientemente. «Vai a dire a Ivan che spengo il computer, va bene? Io arrivo subito.»

Ma dopo che Hyra ha lasciato la stanza per andare a riferire a suo padre, tutta gongolante, il frutto delle sue fatiche e della sua vittoria, Max indugia ancora un po’ di fronte a quelle interminabili file di numeri prima di spegnere il computer.

Quando inseguiva i grandi e terribili miracoli che la leggenda di Groudon gli prometteva, ed era convinto di poter ottenere tutto e tutto insieme con il minimo sforzo possibile, una parte di lui aveva dimenticato quanto incredibilmente lenti fossero i progressi della scienza, e di quanto frustrante potesse essere lavorare anni per ottenere quei miglioramenti di ordine infinitesimale di cui gli parlava Ottavio; eppure, quando guarda questa infinita serie di dati e risultati statistici, il cuore pare pulsargli in petto di un silenzioso battito di conforto. È la prima volta ch’egli sente davvero di star ottenendo qualcosa in questa vita che gli è stata restituita, e magari potrà pure non salvare l’umanità, ma gli piacerebbe così tanto che tutto il suo lavoro servisse a salvare una vita.

Ora che tutti i suoi errori hanno trovato rimedio e tutte le sue mancanze perdono, Max può fronteggiare il sole, finalmente, e salutarlo come un vecchio amico.

 

 

 

Il perdono è un atto troppo grande e difficile per una sola persona. Ne richiede due: chi ha tradito e chi è stato tradito.

Tu quale sei dei due?

 

Hannibal, Episodio 3x03: Secondo.

 

Fine.

 

 

 

 

A distanza di quasi tre anni da quando questa storia è stata concepita, finalmente, eccomi qui.

È stato un percorso meraviglioso, per me, perché per quanto ciò sia paradossale parlando di una fanfiction, questa storia ha una larga componente autobiografica. E anche perché mi ha permesso di valutare tante cose di me stessa: quanto io sia cambiata in questi tre anni e quanto no. Mi ha sorpresa accorgermi che un amore come quello di Ivan e di Max come l’ho raccontato in questa storia lo desidererei ancora, e anche quanto io sia riuscita ad attenermi perfettamente al progetto della storia come lo avevo fissato nel 2015. Questo capitolo finale potrà esser piaciuto o meno, ma ho usato esattamente le stesse parole che mi ero studiata anni fa, e che sono riuscita miracolosamente a ricordare senza annotarle da nessuna parte: persino la citazione di Hannibal è la stessa. Non sapevo di saper essere così coerente.

Le parole che conosco non possono bastare a ringraziare chi mi ha seguita con pazienza per tutti questi mesi, ripresentandosi a ogni mio saltuario aggiornamento: mi avete veramente commossa. Tutto quello che posso fare per il momento è ringraziare di cuore cristal_93, Persej Combe e StagTree per il loro continuo sostegno a questa storia, per me ha significato tantissimo.

Detto questo, potrei probabilmente continuare a scrivere per ore, ma non direi nient’altro che valga la pena leggere.

Un abbraccio enorme a tutti, e usate buone protezioni solari!

 

Afaneia

 

   
 
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