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Autore: Frulli_    09/02/2018    3 recensioni
Inghilterra, 1911. L'Europa sta attraversando un periodo di serenità e ricchezza, la "Belle Epoque". E se Parigi è il fulcro della moda e del divertimento, Londra certo non è da meno! Lo sanno bene i membri della famiglia Norton e dei suoi servitori, che per la Stagione londinese vengono catapultati in un mondo di divertimenti e finzione, dove tutti sono un pò "sottosopra", e rischiano di perdere di vista le cose vere e reali della vita, come i sentimenti e l'amicizia...
Genere: Romantico, Slice of life, Storico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Il Novecento
Capitoli:
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2. Snow & Custard Cream


 

Rose Castle, Norfolk, 26 Gennaio 1911


Quell'ultimo giovedì di Gennaio svegliò gli abitanti di Rose Castle in una giornata limpida e soleggiata, ma con la tenuta completamente avvolta dalla neve. Un manto bianco che ricopriva ogni superficie, azzerando tutti i suoni. Quando Ethel uscì fuori, riusciva a sentire solo il suo respiro: nessun animale, nessun essere vivente. Il tempo sembrava essersi arrestato. Si strinse bene nel cappotto, senza riuscire ad essere felice per quella nevicata a sorpresa: i suoi pensieri erano a Londra, al St'Mary's House, l'orfanotrofio di cui era direttrice. Non aveva ancora notizie dalla sua vice, sperava solo che non avesse nevicato nemmeno lì, o i bambini avrebbero sofferto particolarmente il freddo.
«Non ti preoccupare, sono sicuro che Londra è stata risparmiata da questa tempesta di neve» commentò George, raggiungendola. Come se il ragazzo potesse leggerle nel pensiero.
«Non lo so...lo spero, ovviamente. Ma spero anche che Miss Bridge non si faccia problemi ad avvisarmi: le ho espressamente chiesto di farlo ogni volta che fa troppo freddo o piove dal tetto. Sembra che le mie proteste al Council non siano servite a nulla, per la miseria!»
«Staranno bene, vedrai»
«Non puoi stare bene quando hai i geloni per il freddo, George»
«Non essere tragica»
«E tu non essere cinico»
Si sorrisero appena, finendo quel battibecco dopo essersi presi sottobraccio.
«Mancano meno di due settimane alla nostra partenza per Londra, e se Miss Bridge ti ha omesso dei problemi potrai controllare di persona»
«Questo è poco ma sicuro. Vai in città?»
«Si. Fra pochi giorni è tempo di paga e sai che non mi piace lasciare conti in sospeso con la servitù. E poi questa storia di Londra mette tutti in agitazione, sembra che dobbiamo andare a vivere in Africa»
Ethel ridacchiò appena, prima di mollare un bacio sulla guancia del fratello e lasciarlo andare. Lo vide salire sulla vettura, salutarla e partire, uscendo dal viale principale del castello. Una volta sparito, prese a camminare verso l'orangeria facendo attenzione a non scivolare sulla neve. Aprì la porta, salutando il giardiniere occupato a curare una pianta di limoni. Era difficile far crescere le piante durante l'inverno, soprattutto per il gelo, quindi erano state tutte riposte nell'orangeria, uno dei suoi posti preferiti lì a Rose Castle. C'era una temperatura perfetta, abbastanza calda da appendere il cappotto all'ingresso ma non troppo da morire. Fece un giro tra le piante, godendosi lo spettacolo di colori e odori, prima di avvicinarsi al giardiniere ed aiutarlo a cambiare la terra ad una pianta esotica.
Sorrise tra sè, pensando alla faccia che avrebbe potuto fare Daisy nel vederla lì, con le mani sporche di terra, dentro un'orangeria. Erano totalmente diverse, loro due: sua "cugina" era abituata a sentirsi bella, a stare al centro dell'attenzione, ad essere servita e riverita; Ethel, dal canto suo, veniva adulata solo per la sua bravura al pianoforte. Quando avevano ospiti Lady Maud le chiedeva di suonare: impressionava, faceva piangere, commuovere, riceveva applausi al limite della civiltà. Era quello il suo momento per stare sotto la luce della società, per essere notata, vista. Ma il resto della sua vita veniva trascorso in completo anonimato.
Non le dispiaceva, in fondo: le piaceva la sua vita semplice. Le piaceva aiutare gli orfani e i bisognosi, cosa che Daisy aborriva assolutamente, o trascorrere le giornate a leggere o chiacchierare con la servitù. Quei rari "momenti di gloria" erano più che bastevoli.
«Oh Dio mio, che schifo...» la voce sostenuta e stridula di Daisy s'intromise con sgarbo nei suoi pensieri e nel suo lavoro, costringendola a sollevare gli occhi su di lei.
«Ti sei svegliata di animo allegro, vedo» commentò ironica, pulendosi le mani interrate su uno straccio poggiato lì vicino. Daisy indossava uno splendido abito ad S, rosso fuoco, con uno scollo profondo ed una vita sottile. I capelli alla Gibson, un ciondolo d'oro e diamanti al collo. «Vai a sposarti?» le chiese, sorridendo appena.
«Simpatica, davvero» ribattè secca Daisy, prima di fare una giravolta «no, cara, è solo il mio abito nuovo. E' quello che indosserò alla prima serata a Londra. Sai, devo darmi un tono, sono una Contessa...»
Ethel sorrise, divertita. Quando Daisy voleva attaccarla nell'orgoglio faceva leva sul fatto che lei era Baronessa solo per Lady Maud.
«Oh si, certo, non oso nemmeno immaginare...» commentò Ethel fingendosi interessata. La verità era che a lei del titolo non le importava nulla, nè tantomeno quello di sistemarsi con un buon partito: i tempi delle speranze matrimoniali erano passati, ormai aveva ventotto anni e nessun rimorso nel non essersi creata una propria famiglia. A lei bastavano George e Lady Maud.
«E poi quest'anno devo assolutamente trovarmi un buon partito. Ho scritto a Candice, la fidanzata di Alfred, di portare con lei qualche suo amico o cugino. Qualcuno in cui poter sperare. Ma tu non puoi capire, d'altronde...»
«Figuriamoci» precisò Ethel, dandole retta mentre spruzzava l'acqua sulle foglie, lucidandole.
«Fingi pure di non essere interessata, Ethel, ma bada bene: mia madre non vivrò in eterno, e tutto questo un giorno...anche il tuo prezioso piano...saranno di mia proprietà»
Ethel sorrise gentile. «Tecnicamente saranno di Alfred, Daisy. Se vuoi sposarti devi rinfrescare la memoria sulle lezioni di economia domestica e diritto, santo cielo! Tu erediterai solo parte dei vostri possedimenti, mentre tuo marito borghese si effigerà del titolo di Conte, senza averne nessun diritto. Non è sempre quello che rinfacci a me e George?»
«Non è la stessa cosa...» precisò secca Daisy, incrociando le braccia al petto. La fissava irritata, gli occhi come due fessure. Sapeva che stava per scoppiare.
«Come dici tu...» precisò Ethel, scrollando le spalle. Fece cadere il discorso, consapevole che, se irritata davvero, Daisy poteva passare il giorno ad annoiare la servitù con le sue lamentele, e voleva evitare di assistere ad un massacro.
«Lasci che ti dica una cosa, razza di...»
«Miss?» la voce di Charlotte risuonò appena nell'orangeria.
«Che c'è!» gridò Daisy, scocciata nell'essere stata interrotta. La figura minuta di Charlotte sbucò da dietro una pianta, lo sguardo spaurito e una lettera chiusa in mano.
«Scusate l'interruzione, c'è posta per Miss Herbert, miss Norton...»
«Oh ma certo, la posta di Sua Eccellenza!» esclamò spazientita Daisy. Girò i tacchi e uscì via come una furia.
«Venite, Miss Murphy, lasciatela sbollire» annunciò pacata Ethel, porgendo la mani e sedendosi poi su una panchina di pietra.
«Perchè Miss Norton era qui vestita così elegante?» chiese Charlotte, non riuscendo a trattenere un tono ironico.
«Oh perchè non è consapevole di quanto ci si impieghi nel pulire un abito del genere, e perchè almeno una volta al giorno vuole...salutarmi. Sedete, sedete...» mormorò, indicando distratta la panchina dove sedeva, mentre lei apriva con ansia la lettera.


Londra, 24 Gennaio
Gentilissima Baronessa,
Vi scrivo direttamente dall'orfanotrofio avvisandovi di due grandi notizie, una fausta e l'altra infausta. Quest'ultima riguarda il clima qui a Londra: nevica da circa due giorni, e le tubature dell'acqua si sono ghiacciate. Dobbiamo raccogliere l'acqua nel vicino ristorante di Mr Adams, che gentilmente non ha sporto nessuna lamentela, ma la situazione non è eccellente. I bambini soffrono il freddo: ho dato a tutti una seconda coperta ma mi sarebbe di grande aiuto la vostra presenza qui in sede, se poteste giungermi quanto prima.
La notizia fausta, invece, mi riempie il cuore di gioia: ho giusto oggi ricevuto una lettera dalla Principessa del Galles, la quale vuole al più presto visitare il nostro orfanotrofio per visitare i bambini bisognosi. Sono onorata oltre ogni dire, ho già avvisato le altre ragazze ma, a maggior ragione, dobbiamo fare di tutto per sistemare questi problemi prima dell'arrivo di Sua Eccellenza.


Rimango a vostra disposizione,
Miss Bridge.


Ethel richiuse lentamente la lettera, sospirando. Povere creature. Riusciva a immaginarli, infreddoliti e tremanti, strette nelle loro coperte, il respiro condensato in una nuvola ghiaccio. E lei lì, al caldo e al riparo, incapace di fare nulla. Rilesse la lettera, e solo in quel momento si accorse di quella nobile che voleva far loro visita. Che scocciatura, le nobildonne non avevano altro da fare che fingere di occuparsi delle persone meno fortunate.
«Miss Murphy?»
«Si milady?»
«Chi...chi è attualmente la Principessa del Galles?» chiese Ethel, rileggendo il titolo sulla carta. La cameriera la fissò qualche istante, dubbiosa.
«Credo, milady, che si faccia riferimento a Sua Maestà Mary...la Regina, milady» insistette l'altra, pacata, quando si accorse di non aver spiegato bene alla sua padrona chi era la diretta interessata.
Ethel si portò una mano alla bocca prima di sbuffare una risatina.
«Sua Maestà, ma certo, che stupida...scusatemi, Miss Murphy. Pensavo all'orfanotrofio e non avevo capito che...che sbadata»
«Nulla di cui scusarsi, milady» precisò la cameriera, sorridendo quasi con divertimento.
«La futura Regina...in visita nel mio orfanotrofio, diavoli dell'Inferno...» mormorò Ethel, prima di alzarsi di colpo e recuperare al volo un pezzo di carta ed un carboncino, buttati lì in un angolo del tavolo. Rispose subito alla lettera, dato che non c'era tempo da perdere.


Cara Miss Bridge,
Vi ringrazio per avermi informato così velocemente. Partirò per Londra fra meno di due settimane e appena arrivata verrò a trovarvi. Nel frattempo ecco il dafarsi: chiamate immediatamente Mr Watson e la sua squadra, ditegli che deve sistemarci le tubature e che il denaro gli verrà dato a fine lavoro e solo quando vedremo un miglioramento. Non preoccupatevi per i soldi, li porterò io. Nel frattempo sistemate i bambini al meglio, magari in stanze più piccole in modo che possano riscaldarsi facilmente, e date loro zuppe calde e carne (se non ne avete, prendetela dal butcher e ditegli che passerò io a saldare il conto).
Mi fido di voi, Miss Bridge, e sono sicura che al mio arrivo avrete fatto ciò che vi sto chiedendo e, soprattutto, che penserete per primo al bene dei bambini.
A presto,
Ethel.


«Tenete, Miss Murphy, e fate in modo che venga spedita al più presto»
«Si Milady, lo faccio subito» precisò la cameriera, prendendo la lettera e, chinato il capo, fece per uscire.
«Miss Murphy?» la richiamò Ethel.
«Si?»
«Vi trovate bene qui da noi?»
Charlotte le sorrise sinceramente, annuendo. «Molto, Miss, sono tutti molto gentili con me, e comprensibili. Spero che mi terrete a lungo»
«Lo spero anche io, Charlotte» rispose la ragazza, sorridendole di rimando. Charlotte annuì, felice, ed uscì a passo svelto.
Ethel sospirò e lanciò un'occhiata alle piante: ormai aveva perso totalmente interesse e concentrazione per poter lavorarci su. Infilò velocemente il cappotto ed uscì dall'orangeria, diretta al castello.

 

31 Gennaio 1911
«E con queste fanno tre, Miss Murphy» annunciò sorridente George, porgendole la sua paga mensile «li riconti pure se vuole. Tutto bene?» chiese poi, osservandola da oltre la scrivania.
Charlotte fece un rapido conto ed aggrottò le sopracciglia, fissando il giovane.
«Mr Herbert, deve esserci un errore. E' più di quello che mi spetta...» precisò incerta, porgendo la paga indietro.
George sorrise gentile, inforcando gli occhiali sul naso e controllando il libro maestro.
«No, nessun errore. Ecco, sul registro leggo: "Charlotte Murphy, cameriera privata, 3 sterline mensili. Vedete? Nessun errore»
«Cameriera privata...?» sussurrò Charlotte, la voce tremante dall'emozione «ma...non ho svolto alcuna prova, non...»
«Non siamo in una caserma, Miss Murphy. Miss Freeman l'ha seguita per l'intero mese, siete brava, veloce, confidente...e a mia sorella siete simpatica, tanto ci basta. Cominciate da domani. Va bene?»
«Va bene? Certo, certo che va bene...» esclamò incerta Charlotte, saltando sulla sedia per il troppo entusiasmo. Tre sterline al mese. Era il doppio di quello che aveva mai guadagnato in tutta la sua vita.
«Può andare, Miss Murphy, e buona giornata»
«Grazie, grazie Mr Herbert!» esclamò l'altra, trattenendo a stento la gioia. Aprì la porta dello studio e la richiuse alle sue spalle, ritrovandosi davanti Marco, il pasticcere.
«Ciao, bambolina» la salutò il ragazzo, sorridendole gentile.
«Ciao, Marco» rispose lei, sorridente. Prendeva lezioni di italiano da circa due settimane e mezzo. Il lunedì, il giovedì e la domenica sera, prima di dormire. Era una sua curiosità, un suo interesse. Marco aveva provato a farle il filo nella prima lezione ma notando il reale interesse di Charlotte smise, offrendosi da diligente maestro. Anche Josephine, la capo cameriera, si sorprese di tale "serietà" da parte del giovane italiano che continuava comunque nel suo essere farfallone con il resto della servitù.
«Sono stata promossa a cameriera privata» sussurrò Charlotte, emozionata, prima che Mr Herbert chiamasse il ragazzo nello studio. Marco non disse nulla, si limitò a sorridere e ad entrare.
«Buongiorno Mr Conti»
«Buongiorno a lei, Mr Herbert»
«Prego, sedetevi. Tutto bene? Ha bisogno di qualcosa per la nostra permanenza a Londra? Necessità, ordini particolari?»
«No, Mr Herbert, abbiamo fatto tutto con largo anticipo, vi ringrazio»
«Molto bene, non mi piace creare problemi alla servitù, sopratutto prima di un trasferimento. La stagione sarà caotica, Mr Conti, contiamo sulla sua esperienza e professionalità» spiegò calmo Mr Herbert, porgendogli la sua paga.
«Certamente, Mr Herbert, grazie della fiducia» annunciò Marco, prendendo con garbo il salario dalla scrivania, prima di salutare ed uscire dallo studio, diretto ai piani bassi. Otto sterline al mese, cento l'anno. E solo per uno chef pasticcere. Molti dei suoi colleghi, al suo confronto, facevano la fame. Eppure, alla fine dell'anno, non riusciva a mettersi abbastanza soldi da parte per il suo negozio di dolci. Entrò nel magazzino, spostò sacchi di patate e casse di vino fino a sgomberare un angolo del pavimento. Sollevò un'asse e raccolse dal buco incassato la scatola di biscotti, aprendola. Si svuotò la tasca solo a metà, mettendo il denaro al sicuro in quel suo segreto nascondiglio. In due anni che lavorava a Rose Castle, nessuno gli aveva mai dato problemi: tutti sapevano che lì il pasticcere metteva soldi da parte per il suo futuro, ma nessuno si era mai azzardato anche solo a rovistarvi dentro.
«Maggie!» gridò il nome della sguattera che subito gli andò incontro «Sai cosa fare. E se ti azzardi a toccarli o rubarli, razza di piccola ingrata, giuro che ti taglio la gola!» esclamò, irritato. La ragazzina, ormai abituata al nervosismo mensile del pasticcere, si limitò a rassicurarlo e, preso il mantello, uscì di corsa dalla cucina.
«Razza di ingrata...se solo si azzarda...» brontolava tra sè il cuoco mentre sbatteva con violenza zucchero e uova, in tempo per la crema inglese del pranzo.
«Anne, il pranzo sarà alla solita ora» annunciò Josephine, seguita a ruota da Charlotte. Cominciarono a recuperare le stoviglie necessarie per il pranzo, e Charlotte cercò di sorridere in direzione del pasticcere che, in tutta risposta, rimase con il broncio e lo sguardo fisso sulla crema che sbatteva con furia.
«Lascialo stare, oggi è giorno di paga...» mormorò Josephine nell'orecchio di Charlotte.
«E' giorno di paga ed è triste?»
Josephine si limitò a scrollare le spalle, quindi risalì in sala da pranzo con i piatti.
L'ora del pranzo arrivò più veloce del solito, e Miss Norton era più irritata del solito.
«Ho ricevuto una lettera» annunciò Mrs Herbert, verso la fine del pasto. Charlotte sollevò la testa, istintivamente. Era la prima volta che la sentiva intavolare una conversazione di sua iniziativa durante i pasti.
«Ah si, cara? E di chi?» chiese interessata Lady Maud, mangiando la sua crema inglese.
«Miss Bridge, la direttrice dell'orfanotrofio di Londra. Oltre alle varie informazioni del mese...»
«...che a noi certo non interessano...» precisò secca Daisy, girando pigramente la sua crema.
«...oltre a quelle, dicevo, mi ha dato una splendida notizia. A breve, non so di preciso quando, una nobildonna verrà a farci visita all'orfanotrofio»
«Oh, così finalmente potrai copiare da qualcuno un pò di moda, dato che con me non vuoi imparare» precisò acida Daisy.
«Chi verrà, cara?» domandò Lady Maud, ignorando palesemente la figlia.
«Sua Maestà la Principessa del Galles» rispose Ethel, prima di imboccare un cucchiaio di dolce.
A George e Daisy andò invece di traverso, ma Lady Maud sorrise felice.
«Devi essere entusiasta di questa visita, mia cara»
«Lo sono molto, zia Maud, davvero. Sono...onorata oltre ogni dire»
«La futura Regina...ti farà visita, Ethel...» mormorò sorpreso George vicino alla sorella, che si limitò ad annuire estasiata.
Daisy, che non riusciva a sopportare che le attenzioni virassero su Ethel per più di cinque minuti, e per di più che quella nullatenente avrebbe conosciuto la Regina e lei no, prese le redini della situazione.
«Cameriera!» gridò spazientita verso Charlotte, che scattò verso di lei come un soldato.
«Sì, Miss»
«La crema non è cotta, vai dallo chef e riferisci del suo increscioso errore!»
Il gelo cadde nella sala. La servitù presente si guardò appena tra loro: tutti sapevano quanto Mr Conti fosse permaloso, specialmente quando si offendeva gratuitamente la sua arte. E per di più in giorno di paga. Josephine incoraggiò con lo sguardo Charlotte.
«Daisy, cara...la crema è perfettamente cotta, e deliziosa» commentò Lady Maud.
«La mia è cruda e immangabile. Riferisci, cameriera» precisò Daisy, seccata.
Charlotte deglutì a vuoto, quindi lentamente uscì dalla stanza, diretta verso la sua condanna a morte.
«Mr Conti...?» lo chiamò, incerta. Lo trovò girato di spalle, che lavava con energia una pentola, sotto l'acqua corrente del lavabo.
«Mr Conti, Miss Norton dice...dice che...dice che la vostra crema è ottima, e ne vorrebbe avere ancora» mentì, spudoratamente, mentre osservava la ciotola che aveva tra le mani, ancora piena di una crema ormai fredda.
«Non ti si addice mentire, Murphy. E ti ricordo che la voce di quella maledetta ragazzina si sente fin qui. Stronza viziata...» brontolò in italiano, senza girarsi.
«Per favore...non prendertela con me, riferisco solo quel che ha detto la miss, io non l'ho nemmeno provata ma sono sicura che è ottima...» mormorò Charlotte, facendo girare di scatto Marco. Il ragazzo le si avvicinò di corsa, le strappò la ciotola dalle mani e le puntò il dito addosso. La rabbia che trasmetteva era talmente feroce che la sua testa non riuscì nemmeno a decifrare le parole di conforto della collega.
«Nessuno...può osare dire...che Marco Conti non sa cucinare una crema! Nessuno! Nemmeno una mangiapatate papista come te!»
Charlotte, che fino ad un secondo prima vedeva perfino i pori della pelle dell'italiano, in quel momento aveva la vista completamente offuscata dalle lacrime. Indurì la mascella, tirò su il mento, si sistemò il grembiule e risalì in sala, asciugandosi le lacrime e non facendo in tempo a vedere il senso di colpa dipingersi sul viso del giovane pasticcere.
«Miss Norton...»
«Ebbene?»
«Mr Conti...chiede immensamente scusa per l'accaduto, e riferisce che non accadrà più»
«Vorrei ben dire...»brontolò Daisy, prima di alzarsi dal tavolo ed uscire dalla sala sbattendo la porta.
«Potete sparecchiare...» annunciò sospirando Lady Maud, alzandosi imitata da George ed Ethel «ricorda così tanto lo zio Adam, la mia Daisy...» mormorò la padrona, sconsolata, prima di uscire dalla sala.
«Charlotte, stai bene?» chiese Josephine, mentre sparecchiavano la tavola.
«Mai stata meglio»
«Te l'avevo detto che è intrattabile il giorno di paga» mormorò Josephine, scendendo verso la cucina «vedrai che per domani verrà a chiederti scusa. Qualunque cosa quell'idiota abbia fatto...»


Il destino volle che quella sera per cena mangiarono patate. Dopo che ai piani alti si erano già riuniti nel salotto per le solite esibizioni di Miss Herbert o le letture o le partite a carte, ecco che finalmente la servitù ebbe tempo di mangiare. Charlotte non poteva evitare la cucina, ma si limitò a sedersi il più lontano possibile da Mr Conti che, in tutta risposta, fece il farfallone con le cameriere. Erano tutti stanchi, spossati per l'eterno andi-rivieni che da un mese a quella parte li aveva coinvolti. Nessuno aveva le forze per ridere e scherzare e, quando Miss Rossi annunciò che mancava un'ora al copri fuoco, quasi tutti si alzarono e si trascinarono a dormire. Charlotte si attardò, come suo solito, immersa nei suoi pensieri. Le mancava casa, la sua famiglia, era stanca...avrebbe voluto essere ricca, o almeno benestante; non voleva più lavorare tredici ore al giorno, trasportando stoviglie di ceramica che rischiavano di incrinarsi al solo toccarle. Si consolò, pensando che dall'indomani mattina tutto sarebbe stato più semplice: sarebbe stata la cameriera personale di Miss Herbert, una giovane a modo, gentile e simpatica. Si sarebbe limitata a spazzolarle i capelli, stringerle il corsetto e consegnarle la posta. Paga più alta, meno lavoro. E con quella velocità, avrebbe potuto aprirsi il proprio caffè, a Londra, per la piccola borghesia. Un posto sereno e tranquillo dove poter bere in pace il proprio thè delle cinque.
«Non hai sonno?» la domanda di Mr Conti interruppe il suo fiume di pensieri. Alzò di scatto la testa, ritrovandoselo davanti, in piedi.
«Si...ora vado» annunciò Charlotte. Marco sollevò le braccia, mostrando due bicchieri, una bottiglia di vino ed una ciotola, che poggiò davanti a lei: crema inglese.
«Cos'è, una sorta di tentativo di chiedermi scusa?»
«Non sia mai. Piuttosto mi serve un parere tecnico su questa crema. Prova» precisò il ragazzo, ironico.
Charlotte gli lanciò un'occhiata dal basso, quindi prese un cucchiaio, lo affondò nella crema e lo portò alla bocca. Un'esplosione di sapori le raggiunse il cuore all'istante: non aveva mai provato qualcosa di così vagamente simile al paradiso.
«E'...passabile» non gliela diede vinta, e fece per stappare il vino.
«Passabile? Ah, questa poi! Passabile...» precisò il ragazzo, sedendosi sulla panca vicino a lei. Si fece versare il vino, quindi cozzò il bicchiere con quello della ragazza. Rimasero in silenzio qualche secondo, fissando il tavolo.
«Josie mi ha detto che hai mentito a Miss Norton»
«Cosa dovevo fare, dirle quello che mi avevi riferito tu?»
«Hai rischiato il licenziamento»
«Anche tu»
Marco sorrise appena, sincero. «Grazie..»
«Figurati. Sai, mangerò anche tante patate ma ho un cuore, io.» precisò secca Charlotte, facendo sbuffare il ragazzo già a metà della sua frase. «Ti pesa così tanto chiedere scusa, vero?» aggiunse, osservandolo.
«Abbastanza» ammise il ragazzo «ma so come farmi perdonare. Con una lezione gratuita di italiano, ora»
«Perchè, le altre le devo pagare?» chiese Charlotte accigliata.
«Vedremo..» precisò malizioso Marco «ora ripeti con me. Vuoi..»
«Vuoi...»
«uscire...»
«Ussire...»
«Con me, a Londra?»
«Con mi, a London?»
Charlotte fissò Marco, incerta. Non sapeva nemmeno cosa avesse detto, aveva solo intuito il nome della città.
«Vuoi...ussire...con me, a London?» ripetè Charlotte, cercando di concentrarsi sulla pronuncia.
«Che sfacciate che siete voi irlandesi, chiedere di uscire ad un ragazzo! Va bene, accetto ma solo perchè sei tu!» rispose Marco, alzandosi e facendole un occhiolino «Buonanotte, e spegni le luci quando vai a dormire!» la salutò a bassa voce, prima di risalire due gradini alla volta.
Charlotte spalancò la bocca, sconvolta. Aveva appena chiesto ad un ragazzo di uscire?
«Maledetto...!» esclamò divertita, scuotendo la testa e finendosi il bicchiere di vino.
  
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