-MAMMA! -
La vocetta squillante di mia figlia mi evoca
dall’altra parte della casa, trasudando la sua solita vena impaziente. Scuoto
la testa, mentre me la rido sotto i baffi. Quando la raggiungo sulla veranda,
la piccola mi attende con le braccia conserte e l’espressione imbronciata.
Inutile dire che non riesce proprio a sembrare intimidatoria.
- Non fai per niente paura, sai? E comunque
non vai da nessuna parte senza un cappellino. -, le dico rivolgendole un
sorrisino furbetto, mentre le appongo l’indumento sulla capigliatura selvaggia.
La bambina grugnisce, offesa e capricciosa, ma
il suo umore cambia in meno di un battito di ciglia, appena il suo nuovo
giocattolo le si struscia alla gambina, attirando la sua attenzione.
- Meow, se sorridi sei molto più carina,
sai? –
E’ il giocattolo più strano che abbia mai
visto: è una sorta di robot a forma di gatto, ma è in grado di muoversi e
parlare autonomamente. Quando Sephiroth
lo regalò a nostra figlia lo trovai davvero inquietante. E anche tutt’ora lo
penso, ma Takara lo adora alla follia. Non so bene cosa ci trovi, ma sono
piuttosto convinta che lo apprezzi solo perché è un presente di suo padre. L’unica
nota positiva che personalmente riesco a trovare sono le modifiche approntate
da Sephiroth stesso, affinché quel gatto sia capace di vegliare su nostra
figlia.
- L’ho
equipaggiato con alcune Materie difensive molto potenti, sebbene spero non le
debba mai usare. -
Sorrido a questo ricordo e alla dolcezza con
cui Sephiroth guardava sua figlia giocare giuliva col suo giocattolo nuovo. Mi
manca tanto, ma ben presto, lui sarà solo mio. Lo hanno richiamato per la sua
ultima missione, mi ha garantito.
In tutto questo, Natsu è in piedi accanto
alla colonna delle scale e, appoggiata al suo bastone, assiste alla scena. Ella
scuote la testa, fissando il felino.
- Non mi ci abituerò mai a quell’affare. –,
commenta, contrariata.
Ridacchio, mentre guardo mia figlia
coccolare il suo adorato Neko, come le
piace chiamarlo; sebbene quest’ultimo asserisce di chiamarsi Caith Sith.
- Su, Takara, andiamo. -, dice la nonnina,
porgendo la mano alla nipote, - Tu sei sicura di non venire? -, chiede poi
rivolgendosi a me.
-Si', baba. Il piccolo fa un po’ le bizze in
questi giorni. –, rispondo, passandomi la mano sul ventre. Comincia già ad arrotondarsi,
sebbene sia solo al terzo mese. Istintivamente sorrido, mentre le mie mani si
chiudono a coppa attorno a quella piccola collinetta, immaginando di accogliere
il mio bambino nei miei palmi.
Natsu mi rivolge un sorriso rassicurante,
mentre Takara attira la sua attenzione, scuotendole la mano, impaziente di
andare.
- Va bene, Takara. Andiamo. Tu riposati, onee-chan. –
Detto questo, le due iniziano ad avviarsi
giù per le scale.
- Lo farò. –, rispondo; poi mi rivolgo a
Takara, - Ciao, principessa! Fai la brava. –
La piccola si volta ed annuisce con
decisione per poi rispondere al mio saluto scuotendo la sua minuscola manina.
Le guardo dirigersi verso il paese, seguite
a ruota dal gatto-robot, prima di rientrare. Mi sento stanca in questi giorni e
sento la necessità di stare un po' da sola per riappropriarmi di miei ritmi.
Takara è diventata iperattiva da quando ha iniziato a camminare, costringendo
me e Natsu a correre da ogni parte. Piccola diavoletta. Sorrido da sola a quel
pensiero e inizio a sistemare un po' la casa, recuperando i giocattoli che mia
figlia ama disseminare ovunque. Con l’intenzione di rimetterli al loro posto,
mi dirigo canticchiando verso il soggiorno, dove abbiamo sistemato la cassa dei
giochi di Takara. Appena varco la porta, mi accorgo di una presenza scura e
allampanata che sbarra l’entrata principale, gettando un’inquietante e tagliente
ombra lungo tutta la stanza. Sobbalzo dallo spavento e lascio cadere ciò che ho
in mano. La sua figura è in controluce e fatico a metterne a fuoco i dettagli,
ma la sagoma mi ricorda quella di mio marito. C'è qualcosa che stona, tuttavia.
-Sephiroth? -, domando, apponendo la mano
sopra gli occhi, al fine di proteggerli dalla luce abbagliante.
-Per tua sfortuna, no... Sakura. -
Sgrano gli occhi. E' da parecchio che
nessuno mi si rivolge con quel nome; ma la cosa che più mi stupisce è l’identità
di quella voce.
No, non può
essere...
-Genesis...? -, chiedo, mentre un sorriso malvagio
fa capolino tra le tenebre, - No, tu sei morto. -
L'uomo alza il mento, superbo, e si liscia
la pelle del viso con la mano: noto solo ora i segni del degrado.
- Diciamo che non sono né morto né vivo.
Sono in un limbo di agonia e sofferenza. Incapace di vivere, quanto di morire. -
Non faccio in tempo a metabolizzare il
significato di quella frase, che una mano guantata mi si avvolge attorno la
gola, mentre tutto il mio corpo viene sollevato e scaraventato contro la parete
alle mie spalle. Un dolore sordo si dipana dal retro della testa a tutta la
schiena, stordendomi. Il suo viso deformato dall'odio si avvicina al mio,
mentre un languido e sconcio sguardo scivola voglioso sul mio corpo, causandomi
una scossa di disgusto.
-Sai,-, esordisce in tono mellifluo,-non c’è
stata notte in cui non avrei voluto essere al posto di Sephiroth. -
A quella allusione, avverto la furia
avvampare nel petto. La mia espressione s’indurisce, diventando truce. Sebbene
quelle dita mi stiano strangolando, riesco a replicare.
- Tu avresti… avresti SEMPRE voluto essere
Sephiroth... -, avverto la sua stretta farsi più debole, permettendomi di
abbassare la testa e guardarlo in tralice, - Ma indovina, Comandante… tu non lo sei e non lo sarai mai. –
Un sorriso malvagio mi deforma il viso,
dando peso alle parole appena proferite, le quali, come un maglio, lo
colpiscono dritto nell’orgoglio. I suoi occhi blu mako s’incendiano di un’ira
cieca e terribile.
- Questo lo vedremo! -, ruggisce, ebbro
d’invidia.
Veloce come una vipera, la sua bocca crolla
sulla mia, facendomi sbattere di nuovo la testa al muro; tuttavia ho la
freddezza di mordergli il labbro. Lui si stacca, gemendo. Cerco di
divincolarmi, ma la stretta attorno al collo si è rifatta inaspettatamente più
serrata. Le mie mani corrono a cercare di allentare quella morsa d'acciaio. Lui,
lentamente, si volta verso di me, rivolgendomi uno spaventoso sguardo carico
d’odio. Dalle labbra scende un rigolo di sangue scurissimo, quasi nero, che attraversa
quell’epidermide degradata, inondando le crepe della pelle, creando un intrico
sempre più fitto ed esteso. Come un fiume con i suoi infiniti affluenti.
Nonostante la mia netta inferiorità, comunque,
non lo temo. Ha fatto soffrire troppe persone, tra cui il mio Sephiroth. Non
merita alcuna pietà.
- Visto? Non sei nemmeno in grado di
baciarmi, miserabile verme. –
Genesis urla di rabbia e la sua mano libera
si chiude in pugno, impattando sul mio viso.
Per un attimo, tutto diventa nero e
silenzioso, tanto da credere che mi abbia staccato la testa. Poi, lentamente,
ombre iniziano a fare capolino dalla mia visuale periferica e un fastidioso
fischio fa da sottofondo alla mia confusione. Volto la testa in una direzione
imprecisata e lo vedo. Riesco appena a metterlo a fuoco, che lui mi sovrasta e
circonda il mio collo con entrambe le mani. La pressione è tale da chiudere
totalmente le vie respiratorie. Apro la bocca in cerca d’aria, invano. Cerco di
lottare contro quella presa, invano. L’unica cosa che posso fare è guardare.
Fissare i suoi occhi brillare di furia omicida, concentrarmi sulla bava
nerastra e schiumosa formarsi ai lati della bocca, mirare il mio sangue
sporcargli quella pelle grigiastra ed insana. Contemplare la capitolazione della
vanagloria, la miserabilità dell’uomo e la vittoria soverchiante del mostro.
Dopo un periodo infinito, durante il quale
il tempo è sembrato stiracchiarsi, scricchiolii poco rassicuranti giungono al
mio udito. Le ossa del collo non resisteranno a lungo sotto quella pressione
disumana.
Non voglio
morire, penso, terrorizzata. Poi, mi sovviene
di non essere sola in questo momento.
Non POSSO
morire!
Rinvigorita di una disperata forza, faccio
correre la mano verso i miei capelli. Inizio a tastarmi la chioma. Il tempo a
mia disposizione sta scadendo in fretta e il terrore di non farcela comincia a
strisciare sottopelle, rendendomi vulnerabile ad un fatale panico. Sembra un
miracolo appena le mie dita percepiscono ciò che stavo cercando: la bacchetta
per i capelli. Senza indugi, mi strappo quell'affare dalle ciocche e lo dirigo
direttamente alla base del collo del mio assalitore. Osservo la sottile lamina
di metallo penetrare quei tessuti marci con una facilità impressionante, mentre
il sangue nerastro spilla fuori dalle vene danneggiate. Genesis scatta
all’indietro, mollando la presa, ululando di dolore. Inizio a tossire, ma non
ho tempo per riprendere totalmente fiato. Incamero più aria che posso e lo
spingo via con un calcio. Barcollando, mi riesco ad alzare e, grazie
all’adrenalina, ritrovo la forza per correre verso l’uscita. Sono a pochi passi
dalla salvezza, quando un dolore lancinante al ventre mi blocca. Abbasso lo
sguardo: una lama fiammeggiante di mako rosso spunta dalla mia pancia. Non
faccio in tempo a realizzare cosa mi sta succedendo, che quella lama viene
sfilata con gesto secco. Il mio corpo barcolla sotto la prepotenza dell’azione e
un grosso grumo di sangue risale dalla gola per poi venire sputato all’esterno.
Muovo un passo in avanti.
Non posso… arrendermi, ma il mio corpo è troppo compromesso,
ormai. Le gambe cedono e crollo in ginocchio. D’istinto, le mani corrono sul
mio ventre. Ma non c’è niente…solo una voragine.
Il mio
bambino...
Non so con quale coraggio oso guardare in
basso, ma lo faccio. Smetto di respirare. Un dolore devastante sovrasta ogni
altra emozione o sensazione. Inizio a piangere.
L’ho perso…
- Takara… -, evoco, esalando il mio ultimo
respiro.
_________________________________________
- Maledetta cagna. -
L'ex SOLDIER avanza verso il cadavere della
donna riversa in una pozza sempre più larga di sangue, mentre sfila dal collo
l'arma impropria. Getta la bacchetta a terra con stizza e si tampona la ferita
con la mano. S'inginocchia e studia il viso della sua vittima. Perfino nella
morte è bella come un angelo. La sua espressione viene deformata dal fastidio.
- Che spreco. -, commenta, seccato.
Un fruscio di ali richiama l'attenzione del
guerriero. Hollander.
-L'hai uccisa. -, constata, infastidito,
-Almeno hai preso la bambina? -
-La mocciosa non è in casa. -, taglia corto
Genesis, come se contemplare l’effetto delle sue azioni fosse una necessità più
impellente.
Lo scienziato sgrana gli occhi, incredulo.
-Ti sei fatto dire dov'è? -, incalza il
vecchio.
-Questa cagna non me l'avrebbe detto nemmeno
sotto tortura. -, alza le spalle, senza distogliere lo sguardo dalla donna,
-Tanto valeva divertirsi un po’. -, aggiunge, a tono più basso, tradendo un
certo risentimento.
-Sei pazzo! Sephiroth te la farà pagare per
questo! -
-Che venga...-
Genesis allunga la mano guantata verso un
oggetto immerso nel sangue. Lo solleva, mentre il plasma gocciola tra le sue
dita e lascia intravedere un anello dorato del tutto identico a quello che la
donna ha attorno all'anulare destro.
- Avrà quel che cerca. -
-Ossia? La vendetta? -
Genesis stringe l'anello nella sua morsa e
tira la catenina fino a spezzarla. Poi, alza lo sguardo verso il vecchio e
risponde:
-La verità. –
Hollander rimane in silenzio per qualche
istante, lasciando che la delusione passi.
- Che facciamo ora? –, chiede al Comandante.
- Recapitiamo la notizia al nostro caro
Generale. -, risponde Genesis, assumendo un’espressione crudele.
L’ex-SOLDIER si alza e si avvia verso
l’uscita, superando il vecchio scienziato. La grande ala nera si apre fiera
sotto il sole debole dell’inverno. Senza voltarsi, Genesis ordina:
- Brucia tutto il villaggio. –
______________________________________________________________________________________
Mentre tutto attorno a me arde, affido questa preghiera ai
miei ricordi:
Takara, mia adorata figlia,
se anche ti sentirai sola su questo Pianeta,
se anche tenderai le orecchie al silenzio,
se anche le tue parole non avranno destinatario,
sappi che la tua mamma troverà sempre il modo di
raggiungerti.
Sii forte, mia piccola guerriera,
combatti come solo tu sai fare,
dimostra al mondo che niente e nessuno potrà mai fermarti.
Ti voglio bene, mia dolce principessa.
Apro gli
occhi, lentamente, stupito dal fatto di essermi svegliato in modo normale dopo
tanto tempo. La preghiera disperata di Evelyn ancora mi echeggia nella mente e
sento che la sua supplica è indirizzata a me, affinché io possa riferirla a
Takara. Ma perché proprio adesso?
Sbatto le
palpebre un paio di volte e metto a fuoco il soffitto sovrastante. E’ fatto di
legno, noto. Ciò mi fa capire che non mi trovo nella stanza del motel a Corel,
in quanto le pareti erano fatte di cemento. Confuso, cerco di riordinare le
idee e l’ultimo ricordo che mi sovviene è l’aggressione da parte di… Genesis?
Ma certo: rimembro
bene la sua mano guantata occludermi le vie respiratorie, mentre una frase di
LOVELESS mi accompagnava verso l’oblio.
Ma sono
vivo, apparentemente. Respiro, avverto il cuore battere… ho appena sognato.
Quindi la
sua intenzione non era uccidermi. Mi ha… rapito?
Dove mi ha
portato?
Sento di
essere sdraiato su qualcosa di morbido, in un luogo accogliente, non umido o
freddo, ben illuminato e nessuna catena blocca i miei arti. Non mi considera
una minaccia, forse?
Qualcosa non
torna.
Avverto del
vociare sommesso attorno a me. Ad una voce maschile risponde una femminile. La
prima è dannatamente famigliare, mentre la seconda… anche, ma non ricordo dove
l’ho già sentita. Lentamente alzo il busto con l’intenzione di mettermi seduto.
La mia attenzione viene subito attirata proprio dal possessore della voce
maschile: Genesis. In piedi al centro della stanza in cui mi trovo, mano sul
suo fido stocco, postura ritta e fiera. Avverto i miei muscoli irrigidirsi
d’istinto. Le palpebre si assottigliano, focalizzandomi sulla minaccia. Dal
canto suo, il rosso ricambia il mio sguardo con uno molto più truce,
mascherando il fastidio serpeggiante attraverso quegli occhi offuscati dalla
superbia. Come se si sentisse letto dentro.
Ti senti in colpa, lurido verme?
- Ben svegliato,
Cloud. –
La voce
femminile mette fine alla nostra silenziosa battaglia con una nota gentile e mi
costringe a distogliere lo sguardo da Genesis. Mi rivolgo alla mia sinistra e ...
Non ci credo…, penso, rimanendo di sasso
e senza fiato, riconoscendola immediatamente, sebbene non l’abbia mai vista, se
non attraverso i ricordi di Sephiroth ed Evelyn.
Su uno
scranno, posizionato accanto al mio capezzale, elegantemente seduta, schiena
dritta e fiera, sta una ragazza dai lunghi capelli bruni. Essi le scendono
lungo la spalla destra e le si posano sul petto, come una cascata dai riflessi
color resina. Una frangia ondulata le contorna il viso di porcellana pallida
Esso è di un pallore quasi etereo, bellissimo, con tratti, sì ammorbiditi dalla
giovane età, ma, per un certo verso, duri e granitici nella loro anormale
serietà. L’insieme, tuttavia, si rivela armonioso ed elegante come una sinfonia
d’altri tempi. Labbra rosse, carnose e piene circondano il centro di una
boccuccia graziosa e si assottigliano elegantemente in direzione dei lati, come
se fossero maliziosamente alla ricerca di un bacio da rubare. E poi, ci sono
gli occhi… Esper santissimi! Non credo di aver mai visto nulla del genere.
Profondi, penetranti, dotati di un’ancestrale saggezza e un’astuta sagacia.
Occhi capaci di far abbassare lo sguardo anche al più arguto degli uomini. E
quei colori… posso quasi vedere un piccolo Flusso Vitale scorrere in quelle
iridi, il quale dona loro una sfumatura diversa di verde ogni volta che lei
sbatte le palpebre.
Il cuore mi
batte all’impazzata, mentre avverto mille sensazioni esplodere nella mia mente.
Sephiroth è impazzito dalla felicità, lo avverto scalpitare, implorarmi,
affinché io gli conceda la possibilità di emergere e parlare con lei, dopo così
tanti anni.
Non avrei mai sperato
di rivederla ancora… è diventata davvero una principessa.
Sorrido a
quella frase così da padre, immaginandomi la dolcezza con cui ora lui la sta
ammirando, sorpreso e fiero di aver creato un essere così bello e perfetto.
Ti prego, dille
qualcosa.
- Alla fine,
sei stata tu a trovarmi... –, proferisco, accogliendo la supplica del Generale,
per poi aggiungere, dopo un attimo di silenzio, - Takara. –
La ragazza
mi concede un timido sorriso d’intesa, infrangendo la sua impassibilità.
- Ho dovuto
farlo. -, ribatte lei, calma, - Prima che lo facessero altri. –
Avverto un
brivido fin troppo famigliare percorrermi la schiena. La sua voce, la sua
espressione, i suoi gesti, la sua postura… ogni cosa è spaventosamente
somigliante a Sephiroth. Questi anni di lontananza non l’hanno resa meno simile
a suo padre, a quanto pare.
Hanno ragione… lei è la tua copia in tutto e
per tutto
- Perché? –,
chiedo.
La ragazza
si fa indietro e si appoggia comodamente allo scranno, incrociando le dita sul
suo grembo, mentre le gambe vengono accavallate l’una sull’altra. La veste
lunga emette un fruscio, mentre cade di lato, scoprendo pesanti stivali di
pelle. Noto adesso che indossa un completo totalmente nero. L’abito che veste
sembra spesso e resistente, come un’armatura, e la fa sembrare più robusta di
quanto non sia in realtà. Perfino i suoi stivali hanno una suola abbastanza
spessa, tanto da donarle qualche centimetro in più. Ciò la rende austera e
seria, oltre a conferirle una certa autorità, motivo per cui, penso, lei vesta
quei panni. Tutto ciò è a scapito della giovanissima età, poiché sembra molto
più matura di quanto non sia in realtà. Anche se, temo, non sembro essere
troppo lontano dal vero.
Non era questo che
volevo per lei.
- Vuoi sapere
perché ti cercavo, Cloud? Beh, la risposta è semplice. Tu hai qualcosa che mi
appartiene. –
La sua mano
destra si allunga in quella direzione e afferra un libro appoggiato su un
comodino. La copertina nera svetta tra le sue mani bianche, mentre lei lo
maneggia con dolce premura, accarezzandone la pelle. Se lo appoggia sulla gamba
accavallata e lo osserva assorta per qualche istante, sospirando. Ciò tradisce
un complesso intrico di emozioni, di cui riesco, tuttavia, solo a scorgerne una
piccola parte. Il resto è celato dietro quella maschera di fredda perfezione. Pensieri
sepolti in profondità nel suo animo, ma che, davanti a quel libro, non può fare
a meno di mostrare.
Come se ti sentissi finalmente a casa.
Poi, come
riscossasi da un pensiero, si rivolge finalmente a me.
- Io non
provo alcun desiderio di vendetta nei tuoi confronti, Cloud Strife. -,
esordisce, guardandomi dritto negli occhi, - Capisco le tue motivazioni e le
condivido. Anch’io, in questi anni, ho cercato di fare ammenda dei peccati di
mio padre, aiutando quante più persone ho potuto, accogliendole qui, in questa
vecchia fortezza abbandonata. -, si ferma un momento, guardandosi intorno, per
poi ritornare a fissarmi, gonfiando il petto con fierezza, - Allo stesso tempo,
tuttavia, non mi vergogno nemmeno delle mie origini; poiché mio padre, come
tutti noi, ha combattuto con l’intenzione di mettere la parola ‘fine’ su questa
guerra millenaria. -, le ragazza rilassa i muscoli e aggiunge a bassa voce,
lasciando vagare lo sguardo triste su un punto imprecisato, - Non oso
immaginare in che stato i miei genitori ora vagano nell’aldilà per aver tentato
di dimostrare che la pace è possibile. –
Stringo le
labbra, lasciando intendere che la ragazza ha visto giusto.
- Ma la Shinra
non fa altro che intralciarci. -, afferma, alzando lo sguardo di scatto, la
voce vibrante di rabbia, le dita che si stringono con più forza sul libro, -
Loro non hanno mai smesso di cercare Jenova. E finché quel potere verrà usato,
chiunque ne sarà toccato, gli sarà impedito l’accesso alla Terra Promessa, per
chi si trova già nell’aldilà, come i miei genitori, o a rifluire nel
Lifestream, per chi si trova da questa parte. Come loro. –
Seguo con lo
sguardo la direzione indicata dalla mano, la quale punta verso Genesis. Lo osservo
con più attenzione e noto quanto si discosti dal giovane banoriano pieno di
vita e frizzante appartenete a un passato troppo lontano da dirsi veramente
esistito. Il tempo non è stato affatto clemente con lui. A differenza di
Takara, la quale sembra una giovane rosa in piena fioritura; egli è uno stelo
giunto al termine del suo mandato, stanco e rinsecchito da un gelido e buio
inverno. Il suo viso magro ed emaciato è quasi del tutto nascosto da una
capigliatura che ha perso la sua antica colorazione fiammante, sostituita da un
rame spento, reso ancora più chiaro da striature di capelli bianchi. La chioma
gli scivola disordinata lungo i lati del collo ben oltre le spalle, le quali
sono difese dai suoi ben conosciuti spallacci di pelle nera. Come la sua
protetta, veste completamente di nero, a parte il suo immancabile impermeabile
rosso, sebbene dell’antica gloria ne sia rimasto ben poco; poiché le sue parti
mancati sono state sostituite da dondolanti frange di pelle nera, che
rassomigliano quel cappotto ad un’accozzaglia di stracci vecchi e malandati.
Inoltre, il tessuto è talmente consunto che in alcune parti il colore
originario si è addirittura perso. L’unica caratteristica sfuggita dagli
artigli del tempo sono gli occhi scavati nella pelle mortalmente pallida. Blu
mako brillante di ira cupa e oscuro risentimento, superbia e orgoglio. E sotto
tutto questo inferno: tristezza. Infinita tristezza.
Te l’ho promesso,
vecchio mio: tu marcirai.
Poi la mia
attenzione viene catturata da un essere emergere dai piedi dello scranno e
poggiare il suo muso argentato sulla gamba di Takara. E’ una specie di pantera
ricoperta da una spessa armatura biologica di colore argento. Ciò che cattura
la mia attenzione è la doppia ala bianca apposta sulla sua spalla destra.
- Una copia
di Angeal? -, chiedo, esterrefatto, - Non credevo ce ne fossero ancora. –
Takara si
lascia scappare uno sbuffo divertito.
- Questa non
è una semplice copia. -, spiega, mentre accarezza il capo della belva, - Questo
E’ Angeal. Almeno, una parte di lui. Dopo la sua morte, egli ha suddiviso la
sua essenza in tre diversi recipienti. Questo è l’ultimo rimasto. –
Annuisco. Un
po’ come face Sephiroth con Kadaj, Yazoo e Loz.
- Che fine
hanno fatto gli altri? –, chiedo.
- La Shinra li
ha uccisi. -, risponde Genesis, infrangendo il caparbio silenzio in cui è
versato fino a questo momento. La sua espressione tradisce un forte odio per
quella società. A quanto pare, il risentimento verso ciò che gli è stato fatto
non è svanito in questi anni.
Ripercorro
rapidamente la visione di Evelyn e mi domando con quale faccia tosta Genesis
osi stare alla presenza di Takara, dopo aver massacrato senza pietà sua madre e
condotto suo padre alla follia. Non so se la ragazza sia al corrente di questo,
ma a giudicare dallo sguardo truce con il quale mi si rivolge, credo proprio
che lui le abbia taciuto la verità sulle sue orribili azioni. Cosa crede di
fare? Sostituirsi a suo padre per fare ammenda dei suoi peccati?
Viscido
Non cambi mai,
Genesis.
Un sorriso
malevolo mi deforma il viso. L’espressione dell’ex-SOLDIER vira da truce a
terrorizzata in un nanosecondo, appena carpisce il significato celato dietro
quell’azione. Impallidisce mortalmente.
- Genesis?
Che succede? -, chiede Takara, notando il malessere del rosso.
Quest’ultimo
scuote la testa e veicola lo sguardo in un angolo basso con un gesto stizzito.
Stringe l’elsa dello stocco rosso con più forza, facendo scricchiolare la pelle
dei guanti, al fine di darsi un contegno.
- Niente. -,
risponde, secco, - Vado a controllare come se la cavano di sotto con
quell’essere infernale. –, proclama, poi, nel tentativo di cavarsi d’impiccio.
Il
Comandante gira i tacchi e, in gran carriera, si avvia verso l’uscita. La
menzione a una fiera infernale, tuttavia, mi fa rendere conto di un dettaglio.
- Un
momento. -, esclamo, alzando la mano verso il Comandante.
L’ex-SOLDIER
si blocca sull’uscio. Posso avvertire il suo disappunto serpeggiare in ogni
cellula del suo corpo.
- Quale
essere infernale? –, chiedo, volgendo lo sguardo tra Genesis e Takara.
Quest’ultima mi risponde.
- E’ una
creatura che non ho mai visto prima. Ha inseguito Genesis fino a qui e per poco
non lo ha ucciso. –, la ragazza guarda l’uomo con un accenno di preoccupazione,
- Weiss chiama quell’essere Chaos. –
Sbarro gli
occhi.
Vincent!
Vincent mi ha inseguito fino a qui!
- Aspetta,
vengo anch’io! –, decido, mentre salto giù dal letto e mi avvio anch’io verso
l’uscita.
L’ex
ufficiale si volta di scatto e mi punta la spada al collo, bloccandomi sul
posto.
- Tu non vai
da nessuna parte! Non dopo tutta la fatica che ho fatto per strapparti dagli
artigli di quella bestia! –, ringhia il rosso, livido di rabbia.
Avverto
Takara alle mie spalle balzare in piedi.
- Genesis… Cosa
fai? –, chiede lei, attonita.
- Sono quasi
morto per portarti questo avanzo di Jenova e non lo farò scappare così
facilmente. –
La punta
della sua spada mi si appoggia sul collo. Il freddo metallo apre un taglio
sulla mia pelle. Io non desisto e lo osservo con aria di sfida. Accanto a me
avverto la presenza rassicurante di Sephiroth, il quale rivolge al vecchio
amico uno sguardo carico di odio.
E’ tutto tuo, Sephiroth.
- Chiunque
attenti alla tua preziosa vita deve morire, vero Genesis? –
Il rosso
desiste per un momento appena riconosce la voce del suo antico rivale.
Tuttavia, dura solo un momento e la pressione della sua spada si fa più
intensa.
- Tornatene
nel tuo vaso di Pandora, Sephiroth. O faccio fuori il tuo prezioso burattino. –,
ringhia a denti stretti.
In quel
momento, Takara mi si affianca. La sua espressione è dura e inflessibile.
Serissima.
- Genesis.
Metti giù quella spada. -, ordina perentoria. Intanto, il mostro di Angeal le
si para davanti, pronto a fare da scudo.
L’ex
SOLDIER, in primo momento, cerca d’ignorare l’ordine e stringe la spada con più
veemenza, ma la sua presa si fa incerta man mano che il tempo passa. Poi,
compie l’errore di incrociare lo sguardo di Takara e, a quel punto, perde
totalmente ogni oncia di baldanza che ha in corpo. La punta di Rapier tocca il
pavimento emettendo un suono limpido.
Takara
sospira sollevata e così la sua espressione si distende, tornando neutra. Volge
poi l’attenzione su di me e mi fissa per un lungo istante, studiosa. Mi pare di
vedere una domanda particolare agitarsi in quelle iridi di Lifestream, ma una
necessità più impellente la porta ad accantonarla. Per ora.
- Perché
vuoi vedere quel mostro? –, chiede, infatti.
Ci penso un
attimo prima di rispondere. Credo che abbia il diritto di sapere di non essere
totalmente sola al mondo, ma sono certo che a Vincent potrebbe non fare piacere
essere svelato mentre veste quelle mostruose spoglie. Per non parlare di quello
che potrebbe pensare Takara sull’argomento. Forse è meglio stare sul vago.
- Quel
mostro è un mio amico. Si chiama Vincent e, come voi, è una vittima della
Shinra. –
Tutti,
attorno a me, si fanno attenti. La bocca della ragazza si dischiude appena,
tradendo la sua sorpresa.
- Si è
tramutato in quell’essere per proteggermi. Se vede che sto bene, dovrebbe
tornare al suo aspetto originale. –
- “Dovrebbe”
… -, ripete Genesis, velenoso.
Io gli
rivolgo un’occhiata infastidita.
- Dovrebbe.
-, reitero con tono di sfida.
Improvvisamente,
Takara si avvia verso la porta, superandoci, incurante del nostro ennesimo
battibecco. Il banoriano si ridesta appena si rende conto delle intenzioni
della ragazza.
- Non vorrai
davvero dargli credito? –, prorompe, allargando le braccia e girandosi verso
Takara.
La ragazza
si ferma sull’uscio e, misuratamente, si volta verso di noi con espressione
sentenziosa stampata in viso.
- La sua
spiegazione ha senso. Dopo tutto quello che ha passato per trovarmi, a che pro
scappare ora? E poi non possiamo
lasciare che un nostro fratello soffra per un altro secondo di più. –
E senza
aspettare alcuna risposta, sparisce nel corridoio, seguita a ruota dal mostro
di Angeal. Genesis grugnisce, irritato.
- Stesso
tono da maestrina. E poi c’è chi dubita che sia davvero tua figlia… -,
commenta, rivolgendosi al vento.
Il banoriano
mi squadra dalla testa ai piedi e poi esordisce, esasperato.
- Andiamo,
sì o no? –
Le urla di
Chaos sono sempre più raccapriccianti. I sotterranei ne sono invasi, riempiti
da grida di cordoglio e rabbia cieca. Mi sento in colpa per aver costretto
Vincent a tramutarsi in quella bestia. Chissà quali ricordi ora lo stanno
tormentando. Raggiungiamo la cella a tenuta stagna dentro cui gli uomini di
Takara, o i suoi ‘fratelli’ come lei ama chiamarli, lo hanno confinato. Sebbene
quello sia acciaio temprato, la potenza di Chaos è in grado di piegarlo come
burro appena egli si accanisce un po’ di più. Quella porta, infatti, non
resisterà a lungo e, infatti, molti degli uomini stanno iniziando ad armarsi,
così da tenersi pronti per respingere l’ennesimo attacco della bestia. Appena
giungiamo nei sotterranei e tutti vedono Takara, una coperta di sbigottimento
cala nella stanza. La nostra strada, infatti, viene, bloccata dal capo di quella
combriccola. Weiss, l’Immacolato, l’ex leader di Deepground.
- Takara,
che ci fa qui? -, chiede lo Tsviet con tono sinceramente preoccupato, per poi
rivolgersi a Genesis, severo, - Pensavo di averti detto di tenerla lontano da
questa zona. –
Weiss
appunta uno sguardo d’accusa sul rosso, il quale lo sostiene con una semplice
alzata di spalle.
-Prova a
fermarla tu, se riesci. Lo sai com’è quando si mette in testa una cosa. –, commenta
l’ex SOLDIER, scoccando un’occhiataccia alla ragazza.
-
Smettetela. Sarò anche una bambina ai vostri occhi, ma sono io a comandare qui.
-, ordina seccata, mettendo fine alla discussione con un secco movimento della
mano.
Non posso
fare a meno di sorridere di fronte a quello scambio di battute e avvertire una
grande fierezza riempire il mio petto.
Non farti mettere in
piedi in testa, figlia mia.
Poi ella si
rivolge a me, appena giungiamo al limite dell’area di sicurezza.
- Avanti,
Cloud, tocca a te. –, dice, facendomi cenno di avanzare.
Prendo un
profondo respiro e mi avvio da solo verso la cella, dalla quale tonfi sempre
più forti e sempre meno rassicuranti cigolii arrivano. Appena raggiungo
l’entrata dilaniata dalle artigliate di Chaos, il mostro ringhia sommesso,
studiandomi con i grandi occhi gialli attraverso le fessure.
Buon segno, penso.
- Vincent? –
Il mostro si
fa attento e si abbassa alla mia altezza, annusando l’aria. Vedo un guizzo di
riconoscimento nelle sue iridi dorate.
- Sì,
Vincent, sono io. Sto bene, come vedi. -, la bestia continua ad ascoltarmi e
studiarmi, come se fossi la cosa più interessante del mondo.
- L’abbiamo
trovata, Vincent… Takara è qui. –
L’ex Turk
sbarra gli occhi e avverto i suoi artigli stringersi attorno al metallo, il
quale stride fastidiosamente sotto la pressione impressa. Subito dopo, egli
smette di ringhiare e abbandona la porta, ritirandosi verso il fondo buio della
cella. Tiro un sospiro di sollievo, convinto che egli si sia appartato per
ritrasformarsi nell’ombra. Appena mi giro verso la combriccola, per far segno
loro che il peggio è passato, Chaos riemerge dall’oscurità con rinnovata forza
e divelta la porta, facendola crollare a terra con un grosso tonfo. La belva mi
soprassa, schiacciandomi a terra a causa dello spostamento d’aria e si getta
verso la gente alle mie spalle.
-VINCENT NO!
-, urlo disperato, tendendo la mano nella sua direzione.
Distolgo lo
sguardo inorridito e mi preparo ad ascoltare il suono raccapricciante di corpi
squarciati, ma tutto ciò che sento è un improvviso e possente battito d’ali. La
corsa forsennata del mostro, infatti, sembra bloccarsi di colpo. Le grandi ali sono
totalmente spalancate, fungendo da bilanciere, così da evitare di cadere in
avanti per il troppo slancio, altrimenti rischierebbe di cadere sopra qualcosa
di troppo prezioso per essere travolto.
Mi alzo e
cerco di sbirciare al di là del corpo del mostro e vedo Takara ferma di fronte
a lui, fissarlo a bocca aperta.
Per attimi
infiniti, nonno e nipote rimangono a fissarsi reciprocamente, senza muovere un
singolo muscolo. Ad un certo punto, i tendini tesi di Vincent iniziano a
rilassarsi e la belva si abbassa lentamente, scendendo verso il pavimento, fino
a che non si accovaccia ai piedi della ragazza. Dal canto suo, lei segue con lo
sguardo la lenta caduta della maestosa fiera. Altri secondi d’immobilità,
durante i quali, Vincent studia il viso della nipote con una devozione
commovente. L’attimo successivo, gli artigli di Chaos si alzano in direzione
del viso della ragazza, lentamente, dolcemente. Dietro di loro, gli uomini di
Takara iniziano ad emergere dai loro nascondigli, armi alla mano, pronti a proteggere
la loro signora; ma lei li ferma con un semplice cenno. Appena gli artigli
sfiorano la guancia della ragazza, la trasformazione inizia a regredire
rapidamente. Le unghie acuminate si tramutano in mani umane, le quali sembrano
tremare di un’emozione così potente da quasi impedire a Vincent di parlare. Ma
quando ci riesce…avverto il mio sangue gelarsi.
- Lucrecia… -,
sospira l’ex Turk, scrutando ogni singolo dettaglio di quel viso così familiare
e, al contempo, sconosciuto. Le sopracciglia di Takara si corrucciano,
concentrata nel tentativo di comprendere la situazione. Vincent ha
perfettamente ragione: con quell’espressione persa, fragile e confusa stampata
in volto, la ragazza è la copia della dottoressa Crescent.
- Mi spiace,
ma io mi chiamo Takara. -, sottolinea la ragazza, addolorata.
Vincent
sorride dolcemente e afferra il viso della nipote con entrambe le mani. I
pollici le accarezzano gli zigomi.
- Certo, -,
risponde l’ex Turk con una soavità mai sentita, - ma tu le somigli moltissimo.
–
La ragazza è
ancora più confusa.
- Perdonami,
ma io non conosco questa persona. Dovrei? –
Per un
attimo, il dolore deforma l’espressione del moro. E’ terribile come Hojo abbia
cancellato la memoria di lei in modo così totale.
- E’ una
lunga storia-, spiega Vincent, dolente, abbassando gli occhi; per poi rialzarli
con rinnovata decisione, - Ma sappi questo: Lucrecia Crescent è il nome di tua
nonna. La madre di tuo padre. –, proferisce, infine, con fierezza.
L’espressione
di Takara si riempie di stupore, comprendendo la portata di quella notizia. Suo
padre non è solo un mostro nato dai disumani esperimenti della Shinra, ma una
persona. Una persona con una madre e un padre.
Alla stessa
conclusione deve essere arrivata anche Takara, poiché chiede:
- Se Lucrecia
Crescent è mia nonna e tu la conosci… tu chi sei, allora? –, con il tono di
sapere già la risposta, ma bisognoso di conferme.
Vincent
tentenna prima di rispondere.
Forza Vincent.
- Io sono
Vincent Valentine. –, proferisce con un soffio, seguito da un altro lungo
silenzio, durante il quale Vincent finalmente sembra accettare il suo vero e
unico ruolo. Un ruolo che rimpiange di non aver accettato quasi quarant’anni
fa.
- Sephiroth
è mio figlio. -, proferisce infine quasi con sollievo.
Il silenzio
si fa attonito, mentre la ragazza elabora quella notizia. Vedo mille emozioni
agitarsi nelle sue iridi multiformi, confuse come un mare in tempesta; ma poi
il sereno finalmente giunge. Così, per la prima volta da quando la conosco,
Takara si apre nel sorriso più bello che abbia mai visto: luminoso come il sole
d’estate, sebbene lacrime di gioia ne imperlino la perfezione. Ma è forse
proprio quella sincera commozione a renderlo ancora più magnifico. Di colpo, il
capo impassibile e freddo di quella combriccola di disperati, scompare,
mostrando il viso di una bambina sola e spaventata, fragile e delicata che ha
appena ritrovato un pezzo di quella famiglia che credeva perduta per sempre. E’
felice, come Sephiroth mi mostra nei suoi ricordi, e, con mesta dolcezza, egli
rivede sua moglie rinascere in quel sorriso. Avverto una dolorosa stretta al
cuore, mentre lacrime di commozione rigano anche le mie guance. Nel frattempo,
la ragazza getta le sue braccia al collo di Vincent, accogliendolo con calore
nel suo piccolo mondo. L’ex Turk ricambia l’abbraccio e inizia ad accarezzarle
i capelli, coccolandola e consolandola, mentre il suono struggente di un pianto
innocente soppianta il cordoglio rabbioso di Chaos.
- Va tutto
bene, piccola, ci sono io ora con te. Non rimarrai più sola. -
- Me lo
prometti? –
- Te lo
prometto. –
E’ una scena
che stringe il cuore, ma un pensiero mi fa morire il sorriso dalle labbra.
Con che coraggio
riuscirò a spezzare quella promessa?
Vincent… mi dispiace…
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27 Ottobre XXXX
Sono passati mesi dalla fine della Guerra e
il contemporaneo epilogo della Crisi di SOLDIER, ma i semi di quegli eventi
stanno germogliando proprio in queste ore propizie di apparente pace tra grandi
potenze. Cellule terroristiche anti-Shinra stanno nascendo in ogni angolo del
mondo, armati da ciò che rimane della Crescente e della Resistenza di Wutai,
unendo la loro voce alla ben conosciuta AVALANCHE. Gli attentati sono
all’ordine del giorno e migliaia di lavoratori innocenti ne fanno le spese.
Stime più o meno accurate indicano numeri allarmanti, paragonabili a quelli di
una guerra in corso. E forse è proprio così, ma la Shinra non se ne rende conto
e continua il suo sporco predominio, innalzandosi arrogante e ingrata sulle
spalle di quelle famiglie rimaste senza sostentamento; mentre dall’altra
tendono viziosamente la mano in un atto di finta misericordia. Perché, oramai,
essere un dipendente della Shinra equivale ad avere un bersaglio disegnato
dietro la testa; eppure non c’è altra Compagnia che sia rimasta florida e forte
nonostante le guerre, anzi si è arricchita immensamente proprio grazie a quest’ultime.
Nessuno può opporsi alla sua forsennata marcia verso il dominio assoluto e non
importa quanto forte urlino i suoi oppositori, loro troveranno sempre il modo
di zittire ogni singolo sospiro di protesta. Soprattutto se si ha il controllo
di un Reparto militare del tutto scevro da pietà ed umanità. Sebbene la sua
forza non sia più quella di una volta, SOLDIER rimane ancora quel Reparto pieno
di persone rese folli dalla sete di sangue da cui il Presidente attinge sempre
a piene mani. Soprattutto ora che ha il totale comando su di noi, in quanto il
Direttore Lazard è scomparso.
E’ stato un duro colpo sia professionalmente
che personalmente. Lui era l’unica testa dell’idra che rispettassi e che,
effettivamente, ammirassi. Prima del suo arrivo, SOLDIER era un ammasso informe
di uomini senza controllo, le cui uniche preoccupazioni erano la guerra e i
soldi. Non eravamo soldati, ma mercenari organizzati in piccole tribù costantemente
in lotta per il predominio assoluto. Come la maggior parte dei posti in cui ho
vissuto, SOLDIER era l’ennesima prigione dentro cui sarei dovuto essere
rinchiuso per tutto il resto della mia esistenza; ma, stavolta, invece di
essere solo, ero pure male accompagnato. Ricordo la prima volta che misi piede
in quella bolgia infernale. Avevo solo dodici anni. ‘La recluta più giovane
nella storia di SOLDIER’, mi definirono i
giornali a pieni polmoni. Una vanto per la Compagnia, ma nulla più che l’ultima
ruota del carro per il Reparto. Un giocattolo nuovo con cui trastullarsi nelle
lente ore di servizio. Miserabile carne fresca da triturare ed abusare fino a
vita natural durante. Fin dal primo giorno, infatti, non hanno fatto altro che
vessarmi e tormentarmi ogni singolo momento della giornata e con ogni mezzo a
loro disposizione. A quell’età, tuttavia, aveva già visto abbastanza marciume per
evitare di farmi mettere i piedi in testa da un ammasso di repressi senza
cervello. Dopo anni passati ad essere la cavia preferita di Hojo, quegli esseri
abietti non erano affatto degni avversari e risultarono essere uomini più
malleabili del previsto. Non mi ci volle molto capire il funzionamento di quel
mondo caotico, la cui unica regola era quella dettata dal più.
“Sii il meglio in ogni aspetto, solo
così ti conquisterai la loro ammirazione e il loro rispetto. Solo così li avrai
in pugno.”
Così mi venne insegnato da un vecchio
veterano, il quale mi prese stranamente in simpatia. Le sue parole furono
d’ispirazione, tant’è che non ci misi molto a raggiungere il comando dell’allora
gerarchia SOLDIER, in modi più o meno onorevoli. Poteva capitare che qualche
Capitano ricevesse una pallottola dritta in testa, o venisse pugnalato alle
spalle o il suo battaglione si rivoltasse contro di lui, o morisse in un
semplice scontro all’ultimo sangue: i modi per levare di mezzo qualche
personaggio scomodo erano centinaia, bastava avere un po’ di fantasia. La
svolta per la mia definitiva ascesa al comando di SOLDIER, tuttavia, arrivò
quando uccisi il mio mentore, da cui ereditai Masamune e battaglione.
Quest’ultimo era il più potente e numericamente superiore dell’intero Reparto
ed io ero un sedicenne in preda a turbe mentali ed ormonali. Impiegai quei
mezzi nei modi più truculenti possibili. Desideravo vedere bruciare il mondo e
godere della sofferenza altrui, così da, segretamente, nascondere la mia. Ma la
mia parte pura ed innocente, quel Bambino che non ero mai stato, sapeva che
così SOLDIER non sarebbe mai stato nulla di meglio di un manicomio per
mercenari assetati di sangue. Sfortunatamente, mi era difficile frenare quel
devastante desiderio di distruzione; poiché, nella mentalità tribale di quel
mondo, io ero l’unica autorità che contava alla Shinra. C’era chi mi riteneva
superiore perfino al Presidente stesso. E nella mente di un ragazzino che non
aveva mai avuto alcun riconoscimento nella vita era una sensazione del tutto
nuova e meravigliosa. Diventai una minaccia per il nascente impero Shinra,
così, con la scusa di una maggiore efficienza e controllo, decisero di creare una
nuova figura amministrativa a capo di SOLDIER. Come sempre accade, la Shinra
tanto mi dà e troppo mi toglie. Ottenni l’effettivo riconoscimento del mio
rango, a patto di accettare l’affiancamento di un Direttore che avrebbe
valutato ogni mia singola mossa. Al primo passo falso, sarei stato destituito. Molti
furono i Direttori che si susseguirono da quel giorno agli anni a seguire,
poiché non tutti erano tagliati per quel ruolo. Metà dei soldati avevano
imparato a temermi e rispettarmi nel periodo della mia rapida ascesa; mentre
l’altra metà aveva vissuto la propria giovinezza all’ombra del mio mito. Ne
consegue: ogni singolo agente
SOLDIER avrebbe dato la vita per me.
Ho odiato tutti i predecessore di Lazard.
Vecchi bacucchi capaci solo di sminuirmi per la mia giovane età, sebbene avessi
più esperienza di loro messi insieme. Nonostante tutto, capii che mantenere
SOLDIER allo stato in cui verteva in quei tempi non era per niente efficace e
tanto più che la mia fama cresceva, erano sempre di più i ragazzini pronti ad
entrare nelle fila del Reparto. E molti di loro non erano pronti. Fu così che
chiesi l’istituzione di un periodo di apprendistato come fante nell’esercito
regolare, a seguito un esame di ammissione, sia teorico che pratico, oltre che
il solito test di affinità mako. Fu solo con Lazard, tuttavia, che tutto questo
divenne una vera e propria prassi, mettendo fine al nepotismo di SOLDIER. Molti
rampolli venivano gettati in pasto a uomini che avevano visto e fatto cose
inimmaginabili, senza un minimo di scrupolo e del tutto privi di pietà. Per
quanto mi dispiacesse per quei poveri ragazzi vittime dell’idiozia dei propri parenti,
le regole vanno fatte rispettare, in un modo o nell’altro, e gli errori pagati.
Una lezione ogni agente SOLDIER ha imparato e spesso a carissimo prezzo.
Sotto Lazard, comunque, le cose cominciarono
ad andare per il meglio, trasformando SOLDIER in ciò che ho sempre voluto: un
Reparto rispettabile con dei veri ideali e dei veri valori. Rimasi
piacevolmente stupito nell’apprendere che finalmente il Presidente aveva
ascoltato una delle mie richieste annuali, ossia quella di affiancarmi un
Direttore con un approccio più collaborativo. Lazard era esattamente ciò che
avevo chiesto. Aveva il comando nel sangue, ma sapeva essere comprensivo e
diplomatico nelle questioni più spinose e aveva sempre la risposta pronta per
tutto. Non era affatto un uomo d’azione, ma ci teneva essere presente sul campo
nelle battaglie campali, al fine di risollevare il morale. Aveva a cuore i
sogni di ogni singolo agente. Infatti, la sua domanda peculiare era: ’
Dimmi, qual è il tuo sogno?’, seguita a
ruota da: ‘I sogni irrealizzabili sono i migliori.’ Lo chiese perfino a me, ma io non caddi nella sua trappola, perché
sapevo benissimo che i miei sogni non si sarebbero realizzati. Di contro, gli
rivoltai la sua stessa domanda con un pizzico di scherno. Il Direttore,
serissimo, disse una frase che non dimenticherò mai.
‘ Dare vita
ai sogni migliori. Perché nulla è irrealizzabile, se lo credi davvero. A quanto
pare, tu non credi per nulla in te stesso, Sephiroth. ‘
MI lasciò di stucco e, devo ammettere, senza
parole per replicare, impresa alquanto ardua. Fu in quel preciso momento che,
dopo tanti anni, avevo di fronte a me un uomo degno del mio rispetto. Infatti,
replicai: ‘No, non in me stesso, signore. Ma in lei, sì.’
Lo sguardo d’intesa che ci scambiammo fu
l’inizio di una fiorente collaborazione. La vecchia cricca di SOLDIER venne
eliminata e con l’arrivo di Angeal e Genesis ho sperato di avviarmi verso un
futuro radioso per quel Reparto che piano piano era diventato la mia famiglia.
Sì, perché è lì che, per la prima volta, mi sono sentito parte di qualcosa, che
le mie azioni avrebbero avuto delle conseguenze non solo per me, ma anche per
altre persone. Con l’avanzare dei ranghi, mi resi anche conto che le vite degli
uomini sotto il mio comando erano nelle mie mani. Capii il significato della
parola ‘responsabilità’. Ogni vita
era preziosa e io non POTEVO più sprecarne, perché perdere un uomo oggi sarebbe
significato averne uno in meno domani. Inoltre, assistere quelle famiglie piegate
dal dolore era straziante e fu ancora più terribile quando realizzai che anche
le loro speranze erano state in mano mia. Era un colpo al cuore vedere bambini
e mogli e madri e padri piangere su quei corpi che non ero riuscito a portare
in salvo e che quella perdita avrebbe completamente sconvolto le loro vite. Mi
sentivo in colpa per la mia negligenza, tanto che avrei voluto togliermi la
vita, ma Lazard aveva le parole giuste per ognuno di noi, me compreso.
“Quegli
uomini stanno aiutando il Pianeta e non hanno mai smesso di lottare. Combattono
per rendere il Lifestream più forte contro la Shinra.”
Mi stupii quando mi rivolse queste parole.
Il Direttore non mi ha mai nascosto un certo risentimento per la famiglia
Shinra anche se non ne ho mai compreso il reale motivo. Non che ne avesse tutti
i torti, credo non esista anima viva che non abbia un conto in sospeso con la
Compagnia. Con il loro sporco tocco hanno infangato tante, TROPPE vite. In
effetti, non mi stupisco che esistano gli attivisti anti-Shinra.
La guerra non è mai finita e mai lo sarà,
almeno finché questa realtà esisterà, finché i reattori mako continueranno a
succhiare la vita del Pianeta, finché il Lifestream continuerà ad alimentare le
nostre case, ci sarà sempre qualcuno da combattere. Il problema, ahimè, è che
la forza e la fiducia di SOLDIER sono giunti al loro capolinea oramai. Le
regole, i criteri, l’ordine costruiti in anni di collaborazione sono scomparsi
assieme al Direttore. L’onore, la disciplina, la fiducia sono svanite con
Angeal. La ribalta, l’appariscenza e l’elevatura intellettuale dissolti con la
caduta di Genesis. Sono solo rimasti frammenti di quella prigione dorata dentro
cui avevo sperato di realizzare me stesso in qualche modo. Quel mondo amato e
odiato è sbiadito come un’antica fotografia, custodita gelosamente nei miei
ricordi. SOLDIER è una famiglia sventrata, sopravvissuta per miracolo alla
guerra, ma troppo ha perso per la via, menomata sia nel cuore che nel fisico. E
così sono i suoi agenti. A causa della sfiducia dilagante tra la gente comune,
una paura incondizionata si è diffusa tra il popolino, il quale cerca di esorcizzare
questo timore con il disprezzo. Durante la Crisi ci sono state centinaia le
campagne contro il Reparto, additandoci come pericolosi assassini
pluripremiati. La pressione mediatica è stata così asfissiante da costringere
la Compagnia a ritirare qualunque tipo di assistenza ai SOLDIER invalidi. In
pochi giorni, centinaia di uomini che hanno vissuto esperienze scioccanti e
traumatiche hanno visto il rispetto del popolo scomparire davanti ai loro
occhi, la loro vita agiata strappata dalle mani e gettati in mezzo alla strada
senza uno straccio di aiuto. Vedo ogni giorno, per le strade di Midgar,
ex-compagni lasciati a morire di fame lungo i marciapiedi, sotto lo sguardo
incurante della folla. Uomini incapaci di lavorare normalmente, dopo aver
conosciuto il morso della guerra. Uomini distrutti sia nel corpo che nella
mente, sacrificate per un futuro migliore per le proprie famiglie, ma di cui,
ora, non è rimasto più niente. Proprio la scorsa settimana, mi stavo recando al
lavoro e ho assistito a questa scena pietosa. Un gruppo di bulletti aveva
attirato in una strada secondaria un senzatetto e lo aveva aggredito. L’uomo
non era in grado di proteggersi da solo, poiché le sue gambe erano ridotte a
due miseri moncherini, mentre le sue mani erano state entrambe amputate.
Riconobbi il bagliore mako balenare per un attimo soltanto in quegli occhi
gonfi dalle troppe percosse e annegate nella rassegnazione del proprio destino.
Avvertii l’ira avvampare nel mio petto. Non conoscevo quell’uomo, ma non potevo
accettare che, dopo tutto quello che aveva sacrificato, venisse trattato in
quel modo. Da un gruppo di ragazzini viziati, tra l’altro. Intervenni,
cacciando quei mocciosi da quel vicolo con la mia solo nefasta presenza.
Scapparono a gambe levate, quegli inutili codardi. Erano in sette e hanno avuto
paura di un singolo uomo. Nella loro visione ristretta era più facile prendersela
con un poveraccio mutilato e impossibilitato a scappare che un guerriero in
piena forma. Lo aiutati a risalire sul suo carretto sgangherato, mentre cercavo
di valutare le sue condizioni. Il corpo aveva perso molto della sua antica
solidità, di cui ne rimanevano solo flebili tracce, ma era ancora forte
abbastanza da reggere un barbarico assalto. Aveva qualche taglio e tumefazione
che spiccava da sotto i vestiti fatti di stracci, ma nulla di grave. Sebbene ci
provai con tutte le mie forze, non riuscii a non fissare le ferite di guerra.
Degli arti inferiori non vi era quasi nessuna traccia, se non per un terzo di
coscia per parte, i quali gli permettevano d’inserirsi comodamente in quel
carretto di fortuna. Gli arti superiori erano stati amputati all’altezza dei
due polsi, poco sotto la nocetta dell’ulna. La pelle, nel punto d’appoggio, era
piena di ferite e tagli, poiché niente la proteggeva dalle discrepanze del
terreno. Sul viso presentava una vistosa bruciatura sulla parte destra, la
quale si dipanava lungo tutto il collo e la spalla. Mi chiesi come si fosse
procurato quelle ferite così gravi da amputare in modo così massivo, ma non
ebbi il coraggio di domandarlo. Andai per deduzione, attingendo alla mia
esperienza, e arrivai alla conclusione che una bomba lo avesse ridotto in
quello stato pietoso. Come se mi avesse letto nel pensiero, egli mi rivelò di
essere uno dei sopravvissuti di Meijin. Lo fissai a lungo allibito. Non ero al
corrente che anche degli agenti SOLDIER erano rimasti coinvolti in quello
scellerato attacco aereo ordinato da quello spocchioso ragazzino viziato di
Rufus Shinra. Avvertii un’altra ondata di furia cieca prendere possesso di ogni
cellula del mio corpo e mai come allora desiderai ammazzare ogni singolo
componente di quella famiglia di mostri senza cuore. Trovai, inoltre,
tragicamente inquietante il fatto che quell’uomo fosse uno degli agenti
affidati a Genesis. Uno del suo battaglione, a cui, però, non era stato fatto
il lavaggio del cervello. In ogni caso, non è che il suo destino lo avrebbe
veicolato verso un fato migliore. Storpio, ma vivo, o mostro morente? Scelta
ardua, ma tenni queste considerazioni per me. Lo portai in ospedale e mi
assicurai che ricevesse ogni cosa di cui avesse bisogno. Mi accollai le sue
spese sanitarie e gli assicurai un posto in cui spendere la sua degenza in modo
dignitoso. Ho scoperto che a Kalm esiste un centro per i trattamento dei feriti
di guerra. Trattano perfino soggetti con disturbi mentali gravi, come la PTSD.
E’ estremamente costoso, ma non m’importa. Sebbene non siano più nell’esercito,
quei poveracci là fuori hanno servito la loro patria, credendo in un ideale
fasullo ed effimero che gli ha guidati verso una via di autodistruzione. Come
tutti, sono vittime della Shinra. Ragazzi che hanno visto la loro giovane vita
andare in frantumi troppo presto, destinati a morire soli, accolti soltanto dal
disprezzo di un popolo che una volta li adorava e abbandonati da quella stessa
Compagnia in cui hanno riposto il loro futuro. Hanno creduto alle bugie di un
folle visionario e donato il loro corpo ad una scienza malata e perversa,
alimentando così il giogo calato su questo Pianeta sfiancato da un famelico
parassita. Sono il loro Generale, l’unica autorità davvero schierata dalla loro
parte e che possa condividere e comprendere i dolori vissuti; oltre che essere
dotata dell’umanità necessaria per rimarginare le ferite inferte dai gelidi
artigli della vita. Da quel giorno, dopo il lavoro, mi aggiro per i quartieri
malfamati della città alla ricerca di qualche commilitone bisognoso di aiuto.
Ho provato a stanziare fondi per la costruzione di un centro come quello di
Kalm, qui a Midgar, ma la sua realizzazione richiede tempi troppo lunghi. Il
piano urbanistico della città si sta totalmente rivisitando e i soldi vengono
tutti concentrati sulla creazione di nuovi impianti per la circolazione del
mako. Il fine è quello di rendere lo scorrimento dell’energia planetaria più
efficiente. Inoltre, ci sono voci di corridoio circa l’intenzione di costruire
un cannone simile a quello di Junon, ma molto più potente. Il progetto
sembrerebbe coinvolgere i sette reattori-pilastro del Piatto come fonte di
energia. E’ il disegno di un’arma terribile. Nessuno ha mai davvero concepito
l’intenzione di concentrare così tanta energia mako in un solo punto; ma al
Presidente non importa del rischio. E’ diventato paranoico da quando Genesis ha
dimostrato quanto la città sia vulnerabile, a causa dell’esiguità delle sue
difese esterne e dalla slealtà che la corrode dall’interno. Poiché, senza
Lazard, il piano di Genesis non avrebbe mai preso piede. Il perfetto Direttore di
SOLDIER si è dimostrato indegno della fiducia riposta esattamente come i suoi
agenti. Ricerche effettuate dai Turks hanno scoperto che Lazard finanziava con
i soldi della Compagnia i progetti scellerati di Hollander e Genesis. Senza di
lui, lo scienziato e l’ex Comandante non avrebbero mai avuto il loro esercito
di copie assetate di sangue. Non avrebbero mai avuto accesso a tutti i
macchinari per trasformare civili innocenti in mostri senza volontà. Senza di
lui, Hollander non sarebbe mai scappato dalla sua prigione a Junon.
A causa di quest’ultimo evento, copie di
Genesis e mostri si stanno diffondendo in tutto il globo. Segno che Hollander
ha ripreso i suoi folli esperimenti, perseguendo caparbio il suo progetto di
vendetta. Centinaia e centinaia di segnalazioni inondano il centralino ogni
santo giorno. E tutti provenienti da zone in cui sono presenti reattori mako
collegati con le viscere del Pianeta. Che cosa staranno tramando? Che Genesis
sia veramente ancora vivo?
Anche Midgar è invasa da queste bestie
immonde, soprattutto le zone degli Slums.
Mi reco spesso a casa loro o alla Chiesa, al
fine di controllare le condizioni di Aerith e di Elmyra. Non che ce ne sia un
reale bisogno, dal momento che il giovane Fair pedina la ragazza peggio degli
stessi Turks che la controllano. Il neo-First si è davvero preso una gigantesca
cotta. Non posso dargli torto, in effetti. La piccola Cetra è cresciuta in modo
davvero magistrale e non c’è assolutamente da stupirsi che ogni uomo le cada
letteralmente ai piedi. Inoltre, ha un carattere così adorabile e dolce che è
impossibile non venirne attratti. Per quanto m’infastidisca il fatto che il
gongaghiano ronzi attorno ad Aerith, provandoci scelleratamente, Fair è, forse,
l’opzione migliore al momento. Spesso Elmyra mi punzecchia su questo dettaglio,
siccome ho spesso mostrato segni di gelosia nei confronti di Aerith. L’ho vista
praticamente crescere e mi è difficile accettare il fatto che da quella bambina
pura e immacolata sia sbocciata una donna desiderabile e ammaliante. Il
pensiero che un altro uomo, qualunque uomo, possa in un qualche modo
inquinare la sua innocenza mi disgusta oltremodo.
MI scappa da ridere al pensiero che questo
stesso discorso l’ho affrontato nei confronti di mia figlia. Takara ha compiuto
un anno da poco e già ha uno stuolo di proposte di matrimonio da parte di tutti
i padri di figli maschi di Honijin. Lei è l’ultima arrivata nel villaggio, per
cui tutti s’industriano per tentare di accaparrarsi il posto prima degli altri.
Non credetti alle mie orecchie quando Evelyn mi rivelò questo fatto e rimasi
ancor più stupito quando mi resi conto che per lei era assolutamente normale
prassi.
“Takara è
diversa da tutti gli altri. Ha dei tratti che a Wutai sono rarissimi da trovare
e ciò piace tanto agli uomini. E’ successo anche a me. Non hai idea di quante
proposte di matrimonio ho ricevuto proprio per il mio aspetto.”
Wutai ha davvero un popolo peculiare: sono
così attaccati alle loro tradizioni, alla loro patria, alla loro integrità;
eppure non disdegnano il diverso, anzi spesso lo accettano di buon grado.
Soprattutto in fatto di donne. Evelyn è riuscita a garantirsi un futuro proprio
grazie ai suoi sfavillanti e rarissimi occhi color smeraldo e ai tratti
leggermente orientali. Tutte caratteristiche che, unite alla sua naturale
bellezza mozzafiato, attiravano gli uomini come api sul miele. E nemmeno io sono
rimasto immune a tutto ciò. Come dicevo, tuttavia, per mia figlia il discorso è
totalmente diverso. Per quanto ci sia brava gente nel villaggio, il solo
pensiero che uno solo di quei mocciosi sbavanti osi solo pensare a
Takara in quel senso mi vien voglia d’impiccarli con le loro stesse parti
intime. Lei è la mia bambina e
nessuno potrà mai portarmela via.
Evelyn e Natsu risero quando esposi loro
questo concetto, a mio avviso, insindacabile, asserendo che la piccola non
sarebbe stata per niente d’accordo quando l’evenienza si presenterà. Mi dissero
che prima o poi avrei dovuto accettare che la mia bambina non sarebbe stata per
sempre con noi.
“L’uccellino
abbandona il nido, presto o tardi.”, ha
affermato Evelyn, guardando nostra figlia con malinconia e, nello stesso tempo,
accarezzandosi il ventre.
Non posso credere di stare per diventare
padre per la seconda volta. Avverto un misto di gioia e trepidazione alla sola
menzione e non posso che sorridere di cuore ripensando a quella piccola vita in
pieno fermento. Sono così impaziente di conoscerlo o conoscerla. Chissà quali
novità porterà? Io spero assomigli a mia moglie, poiché, devo ammetterlo,
Takara è la mia copia in tutto per tutto. Sebbene sia molto piccola si è
rivelata avere una personalità carismatica e decisa. Non ama ricevere ordini e
battibecca per ogni minima ingiustizia, sfiancando l’avversario fino a che non
ottiene ciò che vuole. Ha una mente deliziosa, arguta e scattante, curiosa e
analitica. Trovo meraviglioso osservarla quando scopre qualcosa di nuovo, di
come goffamente lo analizza e lo testa, al fine di giungere ad un’ipotesi tutta
sua. Ipotesi spesso errata, ma è impossibile farle cambiare idea. E’ molto
testarda. E la testardaggine e la determinazione sono una miscela esplosiva,
dal momento che oltre a non cambiare assolutamente idea, lei le difende a spada
tratta, come se ne andasse della sua stessa vita. Ritengo adorabili lei e sua
madre, mentre discutono animatamente su controversie futili, ma che poi, con
l’avanzare della diatriba, si trasformano in vere e proprie questioni di
principio. Evelyn spesso deve chiedere il mio intervento o quello di Natsu per
sperare di aver una qualche speranza contro una sempre più infuriata Takara. E
quando la piccola si arrabbia è davvero terribile. Sono quei momenti in cui di
nuovo quelle domande dilanianti ritornano a galla. Sebbene Takara stia
trascorrendo un’infanzia del tutto normale, spesso essa manifesta comportamenti
totalmente anormali per una bambina di quell’età. L’ira, ad esempio. Un normale
infante sfocia in capricci plateali del tutto insensati dalla durata più o meno
lunga, ma tutt’al più sono semplicemente noiosi da sopportare; Takara, al
contrario, diventa fredda e rigida, sia nell’aspetto che nella postura. Spesso
si ferisce i palmi delle mani da quanto forte stringe i pugni. Ciò che più ci
terrorizza, invece, è lo sguardo. I suoi occhi si spalancano totalmente,
mettendo in totale mostra le iridi pulsanti di mako verde e, al centro di esse,
le pupille. Lunghe, affusolate, non
umane. Quel momento, dura solo un secondo, poi sbatte le palpebre e tutto
torna normale. Dopo queste crisi, Takara scorda qualunque cosa sia accaduta nei
minuti prima dell’evento. Si sente solo molto stanca e, spesso, si addormenta.
Al suo risveglio ritorna ad essere la bambina solare e allegra che abbiamo
amato sin dal primo momento. Evelyn vorrebbe portarla da un medico, ma sarebbe
inutile. Io SO cos’ha…
La Bestia
Come temevo, quella maledizione è passata
anche a lei. Quell’istinto infernale di voler uccidere e massacrare ogni
singolo essere vivente sulla faccia del Pianeta è presente nel suo essere. E non solo. Anche quel desiderio che ci
richiama alle stelle, il desiderio di solcare l’intero universo, il desiderio
di sentirci liberi nel buio assoluto. Spesso, nel cuore della notte, Takara si
sveglia e si affaccia alla finestra della nostra camera, fissando il cielo
notturno e limpido. I primi tempi la intimavo a tornare a letto, ma poi ho
realizzato che, come me, non può farne a meno: quell’istinto è insito nel suo
DNA. Quel DNA nefasto che le ho trasmesso.
Non volevo che questo fardello cadesse su
altri, men che meno alla mia bambina. Certe volte, nel silenzio della notte, la
osservo dormire beata nel suo lettino e l’eco di una voce sinistra mi invoglia
a prendere quel cucino e premerglielo sul viso. Spesso devo ricorrere all’auto
punizione per evitare di cedere a quegli istinti. Tante volte mi sono morso le
labbra o le mani fino al sanguinamento per distogliere l’attenzione da mia
figlia. Scappo in bagno per lavare via quel sangue, ma non è così facile.
Spesso rimango ad osservare i rigoli convoluti e vermigli formatasi nell’acqua.
Una spirale di sangue. Una spirale in cui la mia stessa esistenza è stata
incatenata.
Sono figlio del peccato. Sono nato nel sangue
e morirò nel sangue. Ma mia figlia… mia figlia è diversa. Mia figlia DEVE
essere diversa. Il Pianeta deve avere pietà di lei. IO ho commesso l’errore e
me ne assumo la piena responsabilità.
Gaia, ti prego, lasciala in pace. Lei è
vittima del mio egoismo e, a differenza di me, lei può scegliere il suo
destino. Ti prego, accoglila nelle tue grazie e donale un’esistenza ricca di
gioie. I dolori lasciali a me, li accetto volentieri per lei.
Non so quante volte ho rivolto al Pianeta
questa preghiera fra lacrime e sangue. Non so nemmeno se qualcuno abbia mai
teso orecchio alle mie richieste. Se davvero gli antichi Cetra possono
ascoltarci mi chiedo perché continuino ad ignorarmi. Ma la risposta, io, la so
già…
Progetto G
Cellule J
Mostri
Cosa sono queste Cellule J? Da dove
provengono? Da COSA provengono?
Hollander saprebbe rispondermi, magari dopo
un’adeguata sessione di torture, costringerei quel vecchio a darmi le risposte
che quel verme di Hojo si è divertito a tenere nascoste per tutta la mia vita.
E ne avrei anche il diritto, dal momento che lo scienziato è considerato
prigioniero di guerra. Sfortunatamente, è stato fatto evadere qualche settimana
fa. Zack non è stato in grado d’impedire la sua fuga. Purtroppo sono arrivato
troppo tardi per dargli il giusto supporto. Mi ci è voluto molto più tempo del
previsto per convincere il Turk-pilota a deviare il percorso per Modeo verso
Junon. Come dicevo qualche pagina addietro, la mia autorità comincia a
risentire della sfiducia riposta negli alti ranghi del Reparto. E io non posso
che dare loro ragione. Da quando Genesis e Angeal sono scomparsi, la mia lealtà
nella Compagnia è morta con loro. Ormai, non m’importa più nulla- non che me ne
sia mai importato-, ma è ben evidente a tutti che la mia sopportazione a tutto
questo schifo è arrivata a un pericoloso limite. C’è chi si chiede come avrò
intenzione di andarmene: da disertore o da eroe?
Per quanto non ami nessuno dei due
appellativi, credo che il mio ultimo atto da Generale SOLDIER sia quello di
dimostrare che non tutti sono come i due banoriani. Non ho assoluta intenzione
di gettare ulteriore fango su un onore già di suo compromesso. SOLDIER fu la
mia prima famiglia, uno dei pochi luoghi che ho potuto chiamare ‘casa’, un
luogo che è stato il punto di partenza per la costruzione di questo presente.
Se non fossi mai stato in SOLDIER non sarei mai andato in guerra, non avrei mai
conosciuto mia moglie e non avrei mai avuto mia figlia. SOLDIER mi ha reso un
uomo con un futuro, nonostante il mio passato tenebroso. Se c’era una luce alla
fine di questo tunnel, il Reparto mi ha aiutato a trovarla. Tuttavia, è un
fardello troppo pesante da portare sulla strada imboccata. La mia nuova vita mi
aspetta lontano da questo. La vita normale ed ordinaria che ho sempre sognato è
al di là del baratro. E’ un salto importante che può spaventare, ma le mie
donne mi attendono e io non ho intenzione di farle aspettare oltre. Come non ho
nessuna intenzione di abbandonare il Reparto senza averlo prima dotato di un
futuro dignitoso. Motivo per il quale ho preso sotto la mia ala protettrice il
giovane Zack. Non tanto per addestrarlo a combattere –per quello ha già fatto
un lavoro egregio Angeal-, ma per addestrarlo al comando. Gli sto insegnando
tutto quello che ho imparato in lunghi anni di servizio. Lo porto con me nelle
varie missioni anti-AVALANCHE o pulizia mostri, concedendogli il comando di
piccoli contingenti; lo coinvolgo nelle decisioni strategiche; mi affianca
nelle indagini riguardanti gli strani fenomeni di sparizione di personale
Shinra; considero la sua opinione decisiva per la valutazione delle nuove
reclute. Queste ultime lo stanno iniziando a miticizzare, prendendolo come
esempio. Lui è molto fiero di questo, mi confidò una volta Aerith. Credo che lo
veda come un modo per mantenere gli ideali di Angeal intatti, nonostante le
azioni del suo mentore. Zack non ha mai accettato che l’onore del suo maestro
venisse infangato in quel modo; appena può lui lo difende a spada tratta.
Sciorina i concetti di sogni, disciplina e onore esattamente come avrebbe fatto
il banoriano, segno di come li tiene ben serbati nel cuore. Non c’è che dire,
Zack è il degno successore di Angeal e io sono felice che almeno una parte di
lui sia rimasta legata a questo mondo. Inoltre sono grato del fatto che,
nonostante ciò che ha passato, Fair abbia mantenuto quel suo atteggiamento
allegro e solare, capace di fare colpo su tutti. E’ un uomo onesto e sincero,
il volto ideale a cui dare vita a questo Reparto sfiancato. In effetti, la
vecchia cricca di SOLDIER non è del tutto scomparsa.
Io
persisto.
Ed è il momento di andarsene e lasciare spazio
a chi davvero si è meritato il rango che ricopro. Zack è partito dal fondo e ha
scalato i ranghi grazie alle sua abilità e non a sporchi trucchi e giochi di
potere. La sua modestia e umiltà è ciò che voglio lasciare al Reparto. Voglio
che mi ricordino per questo atto di estrema modestia, piuttosto della mia
disgustosa superbia. Voglio che si ricordino il sacrificio, invece
dell’omicidio.
Voglio che, quando i miei figli cresceranno,
venga loro raccontato di un uomo leale con a cuore la vita dei propri compagni,
pronto a dare la vita per loro. Un uomo che ha sacrificato il proprio orgoglio
per il bene superiore.
Voglio che si
ricordino dell’uomo, non dell’eroe.
Saaaaalve!!! Ma che brava che sono stata! Sono
riuscita a pubblicare con tempistiche umane!!! *applausi arrivano dal nulla*
(ma chi è che applaude? ndCloud, io no ndSeph, nemmeno io ndVincent, *i tre si
girano e vedono FortiX applaudire da sola, -______-‘, ndCSV)
Ehm-ehm… cooooomunque, i rari effettivi day
off e la reclusione forzata che fanno pensare ai miei coinquilini che io sia
morta hanno dato i loro frutti e finalmente il nuovo capitolo di questa serie è
uscito. Capitolo caldissimo con la (finalmente ^.^) apparizione di Takara dei
giorni nostri. Fatemi sapere che ne pensate della giovine figlia di Sephiroth.
Non avete idea di che fatica abbia fatto a riuscire a trovare un’immagine
decente e degna di un tale titolo, ma GOT è venuto in mio soccorso. Infatti, mi
sono un po’ ispirata a Daenerys di casa Targaryen, poiché ritengo che lei sia
un buon esempio di come una giovane donna possa destreggiarsi in un mondo al
maschile e prevalere. Ovviamente senza i retroscena tipici della serie della
HBO perché siamo in rating verde ricordo! (ci mancherebbe che fai fare certe
cose a mia figlia, ndSeph).
Fatemi sapere che ne pensate!
Ora scappo e mi vado un po’ godere il sole
d’estate australiano!
Alla prossima!
Besos