22
Credere
Melwen strinse le coperte
per proteggersi dagli spifferi che si infilavano tra i vecchi infissi e
fissò il soffitto, controllando l'intensità dei
suoi respiri. I polmoni erano costretti dalle catene della stanchezza e
un'irrequietezza notturna le serpeggiava tra i muscoli sotto forma di
un lieve e costante tremore. Era come se fosse caduta preda della
febbre. Quasi quasi sarebbe stato meglio.
Vicino a lei, Zefiro si girò, tirandosi le lenzuola fin
sopra la testa. Nel buio, Melwen lo visualizzò mentre
sprimacciava il cuscino e vi affondava il viso, una mano proprio sotto
la testa e l'altra allungata verso di lei, con le dita appena piegate.
Le sarebbe bastato protendere la propria per toccarla.
Deglutì e si leccò le labbra screpolate. La
saliva ammorbidì la pelle, che, come una calza troppo tesa,
si rilassò sui piccoli tagli umidi. Le facevano ancora male,
ma il sapore del miele sovrastava quello del sangue quanto bastava per
rendere quel fastidio sopportabile.
- Stai dormendo? - domandò Melwen.
La domanda aleggiò nella stanza, sfiorando la superficie di
silenzio notturno come una falena.
- No. -
Il fruscio delle lenzuola l'avvertì che Zefiro si era girato
ancora, stavolta verso di lei.
- Ti ho svegliato? -
- Non mi sono mai addormentato. - sbatté le palpebre e si
mise una mano sulla bocca per coprire uno sbadiglio, - La tisana di
Eogann non era poi così forte come diceva. -
Melwen si concesse un sorriso quando Zefiro si stropicciò
gli occhi. La coscienza la bacchettò per averlo destato dal
sonno, ma non riusciva a sentirsi veramente in colpa.
Si voltò verso di lui, poggiò la mano vicino al
guanciale e gli avvolse un dito. La pelle era fresca, pareva ghiacciata
a confronto con la sua.
- Sei caldissima. - constatò Zefiro con una punta di
preoccupazione, - Vuoi che vada a chiamare Eogann? -
- No, non può fare nulla. È... è
normale. Sarebbe successo in ogni caso, con quelle concentrazioni di
efedra. -
- È tutta colpa di Nyi. Se non avesse esagerato, ora non
staresti così male. -
Melwen fece un profondo respiro. Era inutile che cercasse di spiegargli
perché lo avesse fatto. C'era troppa rabbia in lui, troppo
rancore per quei giorni di marcia forzati, sotto lo sguardo rancoroso
del suo maestro di giorno e in fuga dai suoi demoni personali di notte,
quelli di cui le raccontava a mezza voce quando credeva che stesse
dormendo.
- Passerà. Un paio di giorni e sarò di nuovo in
forze. -
- Non riesco più a vederti in questo stato. A volte... a
volte sembravi come loro. -
- Loro? Loro chi? -
Zefiro storse le labbra, a disagio.
- Come quelli che ci hanno attaccato a Luthien e ad Alabastria. Avevi
gli occhi vuoti come i loro. -
Melwen rilasciò un sospiro. Sotto la patina di sudore che le
ricopriva il corpo poté sentire il brivido freddo della
paura.
Lo aveva pensato anche lei. Era stato un flash rapidissimo, che l'aveva
gettata al cospetto di un viso cinereo. Gli occhi inespressivi di
quelle creature, il lucore lattiginoso simile a pasta vitrea che ne
annebbiava lo sguardo era lo stesso che aveva visto al funerale
dell'amico di suo padre quando era piccola.
- Era solo l'effetto dell'efedra e della stanchezza. -
asserì con la voce che tremava appena.
- Lo so, ma non ho potuto fare a meno di pensarlo. È tutto
ancora così vivido, Melwen... mi basta chiudere gli occhi e
mi sembra di essere ancora lì. - le acchiappò un
altro dito e continuò in un sussurro, - Ho sonno e vorrei
dormire, ma ho paura di vederli ancora. O di svegliarmi e scoprire che
non siamo mai riusciti a scappare. -
Melwen non disse nulla. Ecco un altro segreto che Zefiro aveva
confessato soltanto a lei. Una volta le aveva detto che provava invidia
per il suo sonno leggero. Lui, invece, rimaneva intrappolato nei suoi
incubi fino al mattino: per quanto urlasse, la sua voce echeggiava solo
nella sua mente. Era stato sempre così, da quando era
scappato da Amount-vinya fino alla fuga da Alabastria, prigioniero fino
al sorgere del sole, come una maledizione.
Zefiro spostò le lenzuola e si puntellò sul
gomito.
- Mamma è preoccupata per te. -
- Perché non parlo? -
- Lei e Nyi non sanno che con me lo fai. Non ti fidi di loro? -
Melwen scosse la testa: - Non è questo. -
- Allora perché? -
- Non lo so. Loro... -
Non sapeva cosa rispondere. Come poteva spiegargli che aveva timore di
esporsi, di sentirsi ancora più colpevole di quello che
già era? Perché sebbene Melwen fosse
sopravvissuta, non poteva sentirsi grata di quel privilegio. Nei
racconti a salvarsi erano i migliori, gli eletti latori di grandi
cambiamenti. Ma lei? Cosa era la sua vita rispetto alle centinaia
falciate via a Luthien e ad Alabastria? Ogni volta che aveva osato
incontrare gli occhi di Nyi e di Myria si era sentita in dovere di
trovare una giustificazione al fatto di essere ancora viva. Suo padre,
Baldur, Nordri, coloro che avevano qualcosa da dare al mondo erano
tutti morti. Lei, invece, una bambina senza meriti, era ancora
lì.
- Melwen... -
- Non me la sento di affrontarli. Non ancora. -
Zefiro intrecciò le dita con le sue e le strinse forte. Lui
più di tutti poteva capirla. Erano uguali: due innocenti ai
ceppi, legati dalla colpa di essere vivi.
- Passerà. Un giorno capiremo perché. - il
bambino abbozzò un sorriso, - Il passato è una
certezza, il presente non esiste e il futuro è una sorpresa.
Magari c'è qualcosa in serbo per noi che darà un
senso a tutto questo. -
- Come nei libri. -
- Sì, come nei libri. C'è sempre un motivo dietro
la morte dei genitori dell'eroe o la dipartita di un amico. Lo hai
sempre detto anche tu: gli ostacoli servono per temprare i protagonisti
delle storie. -
Melwen si mise supina a fissare il soffitto, che nel buio era
punteggiato da una costellazione di incostanti macchioline colorate.
- Come fai a sentirti un protagonista dopo tutto ciò che ti
è successo? - gli chiese, inclinò la testa e
nascose lo sguardo dietro le onde dei propri riccioli, - Io mi sento un
personaggio secondario in balia dei capricci di uno scrittore indeciso
e incapace. Nessuno leggerebbe una storia così tragica e
senza senso. -
- No, hai ragione, piacerebbe a troppe poche persone. -
scherzò.
- Avrei detto a nessuno. -
- Solo perché la gente non sa aspettare. A me piacciono le
storie che si sviluppano lentamente, che danno spazio anche ai
personaggi di poco conto. Non so leggere molto bene, ma più
delle ballate dei bardi ho sempre apprezzato i racconti di Alan e di
mio padre. Loro davano importanza a tutte quelle piccole cose che nei
libri più famosi non vengono nemmeno presi in
considerazione. Dedicavano attenzione anche ai compagni meno
conosciuti, quelli con cui avevano scambiato solo qualche parola, o ai
mercanti, o agli accattoni o alle lavandaie. Nei loro racconti tutti
erano protagonisti, in un modo o nell'altro. Tutti abbiamo qualcosa di
speciale, Melwen. Solo che a volte è difficile da vedere,
tutto qui. -
- Quest'ultima frase la pronunciano spesso anche i peggiori cantori. -
- Ma non significa che non sia vera. -
- Tu sei sicuramente diverso dagli altri. -
Melwen si strappò le coperte di dosso e si issò a
sedere, le gambe incrociate sotto la leggera camicia da notte. Il
sollievo che provò quando l'aria fresca della stanza le
accarezzò la pelle accaldata le procurò un
piacevole brivido freddo lungo le braccia e la spina dorsale.
- Non so nemmeno spiegare cosa sia successo, Melwen... -
- Ma è un chiaro segno che c'è qualcosa di
speciale in te. Nessun uomo avrebbe mai potuto distruggere uno
spallaccio così. - lo fissò con gli occhi
sgranati, la mente di nuovo iperattiva che ricercava indizi, associava
ipotesi e creava collegamenti logici, - È da quando me lo
hai detto che ci penso, ma ancora non ho trovato una spiegazione. -
Zefiro seguì il suo esempio e si appoggiò alla
testiera del letto.
- Ho paura di quello che sono. -
- E perché mai? Tu mi hai salvata. Se non fosse stato per
te, sarei morta. -
L'euforia si infranse contro un muro di silenzio. Zefiro aveva giunto
le mani in grembo e fissava il pavimento con la testa incassata nelle
spalle, improvvisamente rimpicciolito, accartocciato su se stesso come
se volesse sparire. Il peso di qualcosa di non detto divenne tangibile
come l'aria che respiravano, sabbia in gola che si appiccicava al
palato e rattrappiva la lingua.
- C'è qualcosa che non so? -
Non doveva essere una domanda, ma Melwen voleva concedersi il beneficio
del dubbio.
- … no. - esitò, alzò lo sguardo su di
lei e si spostò i capelli con una ventata di mano, - Ho
molta sete. Ce la fai ad accompagnarmi in cucina a prendere un bicchier
d'acqua? -
Melwen si morse l'interno della guancia. La sua mente scalpitava,
avendo fiutato la bugia, e smaniava per il desiderio di stanarla,
eviscerarla, analizzarla. Si sentiva offesa dalla sua sfiducia, ma, per
quanto infastidita, l'istinto le cucì le labbra.
"Me ne parlerà. Ha solo bisogno di tempo, come me."
- Anch'io ho bisogno di qualcosa di fresco. - asserì e, si
rese conto, non era poi così lontano dalla realtà.
La cucina e il salotto erano una stanza unica, piccola ma molto
ordinata. La tovaglia era stata piegata accuratamente e sistemata sulla
sedia accanto al tavolo di noce dove avevano cenato, il pavimento
spazzato e le posate riposte nei cassetti. Le candele profumavano
l'ambiente e scacciavano il buio, spandendo assieme alla luce l'essenza
di limone, lavanda e cannella. Grosse e tozze, sembravano dei cristalli
opachi ricoperti da finimenti di cera.
Melwen si fermò e inspirò a pieni polmoni.
- È davvero buono... -
- Più che buono, rilassante. -
La bambina aprì gli occhi e annuì.
Andò fino al tavolo e prese la teiera di ceramica per il
manico, sollevandola dalle piccole braci calde che sfrigolavano a
qualche pollice dal legno.
- Avvicini le tazze? -
Zefiro non se lo fece ripetere. Le porse prima quella con un giglio
dipinto sulla superficie e poi quella con un soldato stilizzato in
groppa al suo destriero rampante. Almeno, quello doveva essere
nell'immaginario del piccolo artista che lo aveva dipinto.
"Anche io ne avevo fatta una per mio padre."
Seppellì la malinconia in un lungo sorso di tè e
si diresse verso la poltrona vicino al camino. Del fuoco non era
rimasto granché, solo qualche ciocco carbonizzato,
però bastava a riscaldarla. La maggior parte
dell'illuminazione proveniva dalle candele che Eogann aveva posizionato
anche sulla mensola, alternate a diversi giocattoli in legno e di
pezza. Il cerbiatto sull'angolo più lontano sembrava
indicare col muso la casetta rossa dipinta nel quadro sulla parete. Per
Melwen era semplice immaginarlo mentre la fissava con i suoi occhi
curiosi, indeciso se avvicinarsi al recinto dell'orto e rubare l'uva o
tornare correndo nel bosco dalla sua mamma. In quel crepuscolo, la sua
fantasia era un indomabile cavallo selvaggio.
- Non metti lo zucchero? -
Melwen scosse la testa e si bagnò le labbra sul bordo della
tazza.
- No, mi piace di più così. -
- Amaro? A te che piacciono i dolci con glassa, miele e pinoli? -
Zefiro si sedette sul bracciolo e la fissò, - Tu, signorina,
devi stare proprio male. -
Melwen si concesse una risata: - Mi piace assaporare l'essenza delle
diverse erbe. -
- Le riesci anche a riconoscere, scommetto. -
- Mi stai sfidando? -
Zefiro nascose il sorriso dietro la tazza, ma Melwen lo scorse
comunque. Si spostò un ricciolo che le solleticava il naso e
trattenne il tè in bocca per qualche momento.
- Verbena, menta, tiglio, papavero. -
- L'ultimo è sbagliato. -
- Non è possibile. Avrai preso un abbaglio tu. -
- No, riassaggia. -
Melwen sospirò e bevve ancora. Rimase a fissare i cerchi
concentrici che si allargavano dal punto in cui aveva immerso le labbra.
- Camomilla. - si corresse alla fine e si abbandonò a una
risata stanca, - Questo viaggio deve avermi proprio sfiancata per farmi
battere così da te. -
- Non sono così scarso come credi. Ti ricordo che mia madre
aveva un negozio di erbe ad Amount-vinya. -
- Non credevo però ti fossi mai interessato al suo mestiere.
-
- È vero, ma alcune cose a furia di aiutarla le ho imparate.
E poi mi sono sempre piaciute le tisane alla camomilla. -
- Mi sorprendi... non lo avrei mai detto. -
Zefiro fece spallucce e appoggiò la tazza vuota sulla
mensola del camino.
- Prima che mio padre morisse non le apprezzavo granché.
Mamma ha cominciato a prepararmele quando si è accorta che
non riuscivo più a dormire. Prima che si innamorasse di
Alan, anche lei la beveva tutte le sere. -
- Alan... era l'uomo che vedevo spesso assieme a lei? -
- Proprio lui. Non era il mio vero padre, ma da quando Tanet
è morto si è sempre preso cura di noi. -
piegò una gamba sul bracciolo, col ginocchio che sporgeva
verso l'esterno, - Mia madre aveva ripreso anche a fare le candele
profumate. Non erano belle come quelle di Eogann, ma quando le
accendeva sembrava che sotto il pavimento ci fosse un prato fiorito. -
Melwen lo ascoltava, rapita dalle sue parole e dai suoi occhi
brillanti, carichi di nostalgia. La sua voce era velluto, si stendeva
sugli eventi della sua storia come un panno su un servizio di piatti
antico e prezioso, sottraendolo alla vista e lasciando campo
all'immaginazione. E lei fantasticava su quella vita di cui non era a
conoscenza. Anche i più piccoli dettagli erano caramelle
succose per la sua mente affamata.
- So davvero poco di te. - lo interruppe e alzò lo sguardo
su di lui, - Da quando ci siamo incontrati non ti ho mai chiesto nulla.
-
- La mia vita è stata normale. Sei tu quella che ha aneddoti
interessanti da raccontare. -
Zefiro lasciò a penzoloni le gambe, prima di scendere dal
bracciolo e prendere tra le mani un soldatino. Indossava un'armatura
con lo stemma della capitale e un lungo ed elegante mantello arancione,
con la losanga dell'ordine del Leone cucito con un filo dorato. Le
braccia si sollevarono quando Zefiro alzò la sinistra,
quella che brandiva la lunga spada.
- Te lo ripeto, non sono una persona interessante. Sono nato e
cresciuto ad Amount-vinya finché Sershet non l'ha
abbandonata a se stessa, quando da avamposto militare si è
trasformata in una... bettola di gente affamata. - le sue spalle
tremarono quando sputò quelle ultime parole, per poi
rilassarsi, - E poi ho incontrato te. -
- Lo dici come se parlassi di un miracolo. -
Zefiro piegò alternativamente le gambe del soldato,
muovendolo sul piano della mensola come se stesse marciando in una
parata vittoriosa.
- Non dovremmo andare a letto? -
Il cambiamento repentino di argomento la lasciò senza
parole. Fissò il fondo d'erbe che galleggiava sulla
superficie del tè avanzato. I brividi si erano quietati e il
sudore le raffreddava la pelle calda sotto la camicia da notte. Non si
sentiva meglio, ma non era nemmeno peggiorata.
- Non ho voglia di alzarmi. - mugolò incrociando le gambe
sotto la gonna. - Qui si sta meglio che di là. È
più caldo, è più... -
- Familiare. - completò Zefiro.
A Melwen venne spontaneo sorridere di fronte alla sua
capacità di leggerle nel pensiero.
- Esatto. -
Il suo amico si guardò intorno, aprì la
cassettiera sotto il quadro della natura morta e tirò fuori
una pesante coperta di lana piena di pelucchi.
- Ma... ma che fai? -
- Rendo quella poltrona confortevole per la notte, mi sembra ovvio. -
spiegò e le drappeggiò la coperta sulle spalle
prima di sedersi vicino a lei.
Melwen si strinse contro l'altro bracciolo in modo da fargli posto e
intrecciò le gambe con le sue. Le guance di Zefiro si
imporporarono e l'imbarazzò gli incendiò anche le
orecchie, ma la bambina finse di non farci caso. Erano stretti l'uno
contro l'altra e ognuno poteva sentire e respirare l'aria dell'altro.
Fece passare un braccio attorno al petto e Zefiro le offrì
la spalla su cui appoggiare la testa. Il suo cuore batteva veloce
contro il palmo della sua mano aperta.
- Stai comodo? -
- Mh...-
- Lo prendo come un sì. Buonanotte, Zefiro. -
- Sogni d'oro, Melwen. -
La mattina li colse addormentati. Melwen poteva sentire il peso della
testa di Zefiro sulla propria, con il mento proprio sopra l'attaccatura
dei capelli. Serrò le palpebre e si portò il
braccio davanti al viso, ma era una barriera inefficace contro la luce
del sole mattutino. Si districò dall'abbraccio del suo amico
e, piano, spostandosi con attenzione, riuscì ad alzarsi.
I bracieri che la sera prima sostenevano in aria la teiera si erano
ridotti a una montagnetta di cenere uguale a quella che anneriva il
fondo del focolare. Melwen prese le tazze e si avviò verso
la cucina.
Si accorse di non essere l'unica sveglia quando vide che la porta era
socchiusa. Riconobbe anche la voce di Eogann che canticchiava a bassa
voce. Curiosa, si appoggiò con la schiena allo stipite per
ascoltare meglio le parole.
C'eran tre corvi all'angolo,
neri, brutti e tetri.
Uno disse all'altro:
- Ho fame, cosa mangiamo? -
Basilico, cannella e quadrifoglio.
- Laggiù c'è un gran campo di
bacche, funghi e grano.
Orsù, andiamo!
Il contadino se n'è andato. -
Basilico, cannella e quadrifoglio.
Volaron con foga nel blu
frecce veloci e rapide.
Giunsero là tutti assieme,
tra gli arbusti e le fronde inquiete.
Basilico, cannella e quadrifoglio.
Eogann si interruppe. Melwen non ebbe il tempo di reagire, che la testa
dell'uomo sbucò oltre la porta. I suoi capelli non avevano
visto un pettine dalla sera prima, eppure c'era un che di ordinato in
quelle ciocche castane che gli ricadevano sulla fronte alta, appena
solcate dalle rughe. Alle sue spalle, il fischio acuto della teiera sul
fuoco sprigionò il profumo di rosmarino e finocchio.
- Il letto non era abbastanza comodo? - le chiese con un sorriso.
Melwen intrecciò le dita dietro la schiena. Zefiro ancora
dormiva beato e lei si sentiva messa all'angolo. E non aveva alcuna
contromossa pronta.
- Non sono arrabbiato. Anzi, sono dispiaciuto più che altro:
è vero, quelli sono i letti dei miei figli e sono un po'
vecchi, ma non credevo fossero così vecchi. - scosse la
testa e si passò la mano tra la barba ispida e ribelle, - Ti
ricordi dove sono le posate? -
La bambina annuì incerta.
- Prendi anche la tovaglia dal primo cassetto dall'alto, va bene? -
Melwen capì che non era una vera domanda quando Eogann le
diede le spalle e tornò in cucina. Lo osservò
armeggiare con i cesti di erbe, mentre girava come una trottola aprendo
le ante dei pensili ed estraendo barattoli di marmellata, pane, burro e
altre leccornie, che ricordarono a Melwen quanta fame avesse.
Nonostante il borbottio allo stomaco, rimase imbambolata a fissarlo,
avvinta da quella dimostrazione di vitalità mattiniera.
Si coprì la bocca con la mano per nascondere uno sbadiglio e
si accostò alla cassettiera. Prese la prima tovaglia che le
capitò sotto mano, una di cotone leggera con il bordo ornato
con dei ciclamini, e si avvicinò al tavolo. La collinetta di
cenere era ancora lì e pareva sfidarla a toglierla.
- Ah! Giusto, mi era passato di mente. -
La risata prorompente di Eogann si addolcì nelle parole di
una formula magica. Il cumulo si alzò, compatto, e una bava
di vento lo mise alla porta – anzi, alla finestra, mentre un
panno schizzato fuori dalla cucina strofinava via gli ultimi residui.
- Sto davvero vedendo un panno che si muove da solo? -
Melwen si girò, trovandosi faccia a faccia con Zefiro. Aveva
ancora un occhio a mezz'asta e l'altro non del tutto aperto, ma aveva
riacquistato un po' di colorito, soprattutto sulle guance. Un po' lo
invidiava: gli era bastata una sola notte di sonno e il suo corpo
già si stava riprendendo.
- Eogann è un mago proprio come mio padre. - gli
ricordò mentre stendeva la tovaglia.
Zefiro si stropicciò più volte gli occhi prima di
rispondere.
- Sono cose che non si vedono proprio tutti i giorni, cerca di capirmi.
- intrecciò le dita e sollevò le braccia, facendo
scrocchiare braccia e spalle, - Posso aiutare in qualche modo? -
- Sì, prendi le posate. Ho una gran fame. -
Quando finì di dirlo si rese conto che era vero, che quel
brontolio non era dettato solo da un bisogno fisico, ma da una
piacevole voglia di assaporare ciò che Eogann aveva da
offrire.
"Non sono più nemmeno stanca."
La camicia era un po' umida sulla schiena e sotto le ascelle e i
capelli li sentiva pesanti e unti, ma non c'era traccia della sfibrante
stanchezza del giorno precedente. Anche la pelle era fresca e la sua
biblioteca mentale era in ordine: pensare con lucidità le
era di nuovo possibile.
Zefiro la raggiunse in contemporanea a Eogann. Il bambino si
bloccò a bocca aperta, mentre la teiera, il centrino, i
barattoli di marmellata e le tazze si disponevano da sole dove ci si
sarebbe aspettato di trovarle in una tavola imbandita per la colazione.
- Non ti stupire troppo. Sono solo trucchetti. - lo prese in giro
Eogann, depositando un quarto di torta sul tagliere.
Come se non avessero atteso altro, Myria e Nyi fecero il loro ingresso
nella stanza. Loro, a differenza di Eogann, si erano presi il tempo per
sistemarsi prima di presentarsi per la colazione. A Melwen faceva uno
strano effetto vederli di nuovo puliti, senza più i vestiti
laceri addosso. Le sembrava fosse passato un secolo da quando avevano
fatto colazione in una casa vera.
- Sedetevi e mangiate quello che volete senza fare complimenti.
C'è cibo per tutti. -
Eogann finì di accendere gli incensi sulla mensola davanti
al tavolo e prese posto a capotavola. Come per dare l'esempio, fu il
primo a servirsi: prese una fetta di pane caldo e la spalmò
con burro e marmellata di albicocche.
Nyi fu il secondo a sedersi. A differenza loro, sembrava perfettamente
a suo agio, come se quel trattamento di cortesia gli fosse dovuto.
Melwen aveva avuto modo di notarlo anche il giorno prima che non
mostrava alcun imbarazzo a mangiare al tavolo di un amico che non
vedeva da anni.
"Conoscente. Eogann era amico di mio padre."
Myria sospinse sia lei che Zefiro verso due sedie vicine, mentre lei
prese posto dall'altra parte del tavolo, di fronte al padrone di casa.
Anche lei ancora esitava, ma poi quando vide suo figlio allungare la
mano per prendere una fetta di torta, mise da parte ogni indugio e si
servì a sua volta.
- Ne taglio una fetta anche per te? -
Melwen annuì.
- È una torta ai ceci dolce. È dell'altro ieri,
ma dovrebbe essere ancora buona. - la informò Eogann, - Se
non ti piacesse, non ti crucciare, non sono un uomo che si offende per
certe cose. -
Sorrise e si versò il tè. Il grosso medaglione
d'argento che portava al collo scivolò lungo il petto,
arrivando a toccare il tavolo con un tonfo.
Melwen trattenne lo sguardo su di lui ancora un poco, poi
tornò a rivolgere le sue attenzioni alla fetta di pane
intrisa di marmellata. Le era parso di vedere un'ombra nello sguardo di
Eogann, la stessa oscurità liquida che gli aveva velato gli
occhi quando Nyi gli aveva riferito quanto accaduto ad Alabastria. E
mentre il suo maestro snocciolava i fatti come se stesse leggendo una
lista della spesa, Eogann lo aveva ascoltato con espressione cupa. La
presa attorno al medaglione si era fatta più stretta nel
momento in cui Nyi gli aveva spiegato perché Melwen era
lì e non a Luthien, con suo padre e la sua famiglia. Nel
salotto pervaso dal profumo degli incensi, mentre il fumo si innalzava
verso il soffitto, le parole si erano incuneate in
profondità, fino a ferire l'anima.
- … sa più giusta. -
Melwen alzò la testa dal piatto e si girò verso
Nyi. Non si era rivolto a lei, ma dal modo in cui guardava Eogann era
chiaro che ci fosse una conversazione in atto. Myria si era stretta
nelle spalle e teneva la tazza fumante vicino alle labbra, Zefiro aveva
appoggiato la guancia contro il pugno chiuso e il suo maestro aveva la
destra aperta protesa verso il padrone di casa.
- Indubbiamente. - concordò Eogann e zuccherò
ulteriormente il suo tè, - Potete rimanere quanto volete. So
che preferite partire al più presto, ma... -
- Eogann, Copernico era un mago molto più potente di te ed
è morto. Credi davvero di poterci proteggere? - lo sguardo
di Nyi era eloquente, - Più rimaniamo qui, più ti
mettiamo in pericolo. Se è vero che stanno cercando Melwen,
l'unica cosa che possiamo fare è rifugiarci alla capitale.
Lì sarà al sicuro. -
Le rughe sulla fronte di Eogann divennero più profonde.
Prese la tazza con entrambe le mani e se la portò alle
labbra, senza però inclinarla per bere.
- Allora ripartirete tra tre giorni. -
- Sì, è la cosa migliore per tutti quanti. -
- Bene, fino ad allora però risparmiate le forze.
Soprattutto tu, Nyi. - gli lanciò un'occhiata in tralice e
poi si alzò, - Voi finite pure di fare colazione. Io intanto
vado a rafforzare le barriere magiche attorno alla casa. -
Si congedò con un saluto militare e uscì senza
aggiungere altro. Myria scosse la testa e storse le labbra in una
smorfia di biasimo che non sfuggì a nessuno, nemmeno a Nyi.
- È per il suo bene. Prima ce ne andiamo, meglio
è. - ripeté senza scomporsi e afferrò
un biscotto dalla ciotola.
- Sei stato sgarbato. -
- Sono stato chiaro, è diverso. Copernico era un grande
mago, un Arcanes come non ne avevo mai conosciuti. Lui ci sa fare, ma
nemmeno prima di abbandonare gli studi poteva vantare la sua stessa
bravura. Perciò preferisco che non si faccia false speranze:
ripagherò la sua gentilezza, un giorno, ma non
può e non deve seguirci o fare più del
necessario. - si pulì una macchia di cioccolato all'angolo
della bocca, - Se rimaniamo troppo, esponiamo non solo lui, ma anche
tutta la sua famiglia. E voi non volete che, tornando, sua moglie e i
suoi due figli trovino un cadavere o gli dei soli sanno cosa, giusto? -
Mirya assentì, anche se non si tolse dalle labbra la smorfia
di sdegno. Si rivolse a Melwen con una voce molto più dura
di quello che lei si aspettasse, facendola sobbalzare.
- Avete bisogno di un bagno, voi due. - sancì.
- Fa' prima Melwen, io mi occupo di prendere e scaldare l'acqua. - si
propose in fretta Zefiro.
Non servì che dicesse altro. Melwen si alzò e
subito si defilarono.
Il bagno era una stanza piccola, ancora impregnata di vapore. Piccole
gocce d'umidità scivolavano lungo la superficie dello
specchio senza cornice. Due asciugamani erano stesi su un appendiabiti,
mentre un altro paio era impilato su una sedia vicino alla vasca.
- Sicuro che possa fare prima io? - chiese incerta Melwen.
- Sì. E poi a me non pesa sciacquarmi con l'acqua fredda. -
Zefiro si chiuse la porta alle spalle e fece avanti a indietro dal
pozzo di fianco alla casa un po' di volte prima di riempire la vasca.
All'ultimo giro, tornò con una tunica in velluto arancio a
maniche lunghe.
- Te la manda Eogann. - le riferì, per poi lasciarla sola.
Melwen si crogiolò a lungo nell'acqua calda. Eogann aveva a
lasciato a disposizione sul lavandino diverse boccette e piccole
ciotole di terracotta con creme dai colori più intensi e
disparati. Ne raccolse una all'essenza di limone, con la quale si
massaggiò i capelli e si strofinò vigorosamente
braccia e gambe. Si abbandonò contro il bordo della vasca
finché le dita non diventarono rugose e il calore era quasi
completamente evaporato. L'acqua che lasciò era
più scura e torbida di quella di una palude.
Quando si fu completamente asciugata, alzò lo sguardo e
scorse nello specchio un viso che, per un momento, la
spaventò. Erano passati pochi giorni dalla partenza da
Alabastria, eppure l'impressione era che fossero fuggiti per mesi. Il
viso era più magro, le guance meno piene e le braccia
più sottili. L'abito era lente in alcuni punti, e il tessuto
ricadeva in una piega informe e sgraziata. L'efedra e la tensione della
fuga avevano lasciato segni visibili, molto più di quanto si
aspettasse.
"Se mio padre mi vedesse ora, cosa penserebbe?"
Non era sicura di voler sapere la risposta. Anche solo il sentore che
avrebbe potuto guardarla con pietà, come un animale ferito e
braccato, le faceva male.
Quando uscì, trovò Zefiro ad aspettarla, seduto
sullo sgabello vicino alle scale che scendevano di sotto. Melwen gli
sorrise e gli promise di aspettarlo in salotto.
La tavola di cucina era di nuovo in ordine. Per terra non c'era traccia
di alcuna briciola. La bambina sbirciò tra i titoli dei
libri sulla mensola, senza trovare niente di interessante: aveva voglia
di qualcosa di più coinvolgente, che catalizzasse ogni suo
pensiero e un trattato sulle piante curative, per quanto accurato ed
esaustivo, non era ciò che le serviva.
- Tieni. -
Nyi la sorprese alle spalle, silenzioso come un gatto.
- Quando siamo fuggiti da Alabastria, me lo hai affidato. - le disse
aprendo il libro e sfogliò rapidamente le pagine, - Non so
cosa ci trovi d'interessante, ma sembra importante per te. -
Melwen lo prese e accarezzò la copertina. I bordi erano
appena bruciacchiati, ma a parte quello era intonso.
- Grazie. -
- Di nulla. - si passò una mano tra i capelli biondi e si
coprì la bocca quando sbadigliò, - Vado a
riposare un po'. Quello che Eogann ha detto a me, vale anche per te:
non sforzarti. Se senti tornare il mal di testa, fermati e chiedigli di
farti una delle sue tisane. L'efedra ci ha resi forti, ma ha delle
brutte controindicazioni. -
- Lo farò. -
Quando udì la porta della stanza di Nyi chiudersi, Melwen
prese posto a tavola e aprì il libro. Pronunciò
le parole magiche a bassa voce e sotto la sua mano si
disegnò il profilo luminoso della mappa di Asiria. Una fitta
alla tempia le riempì la vista di puntini colorati e un
senso di nausea violento le arpionò lo stomaco subito dopo.
Melwen ringraziò di essere seduta, certa che se fosse stata
in piedi sarebbe crollata. Dovette attendere alcuni istanti con la
testa sprofondata nelle mani e gli occhi chiusi prima di appuntare di
nuovo lo sguardo sulla mappa. Era come la ricordava, con il profilo
delle montagne a est che avvolgevano la terra come una corona e il
fiume Aniene che si districava tra foreste, pianure e colline.
Si rimise in piedi e spostò i libri sulla mensola
finché non trovò, infilati in un saggio sulle
tecniche di erboristeria, delle pergamene bianche. Ne prese una e
andò al camino, dove aveva visto dei carboncini colorati. La
lastra che chiudeva la scatola di legno lasciava in mostra quello verde
e quello azzurro, entrambi ridotti a un moncherino non più
grosso di una falange. Melwen controllò anche gli altri e,
alla fine, scelse quello marrone, l'unico che aveva ancora delle
dimensioni accettabili.
Quando tornò al tavolo, cominciò a copiare
ciò che poteva, cercando di mantenere il più
possibile le proporzioni. Non era mai stata molto edotta nel disegno,
ma si impegnò per riportare su carta una mappa dettagliata.
Se, come sospettava, era importante, non poteva continuare a usare la
magia per vederla. Era essenziale che la potesse avere sott'occhio
quando avesse voluto.
Quando Zefiro la raggiunse, non si accorse della sua presenza
finché non alzò la testa e lo scoprì
che sfogliava un libro, uno dei tanti manuali della biblioteca
personale di Eogann. Si scambiarono un'occhiata complice, poi lei si
rimise al lavoro. Soltanto quando ebbe completato la mappa, si concesse
una pausa. Aveva la testa pesante e la stanza girava attorno a lei.
- Melwen? Ti senti bene? -
Zefiro le si fece subito vicino e le prese la mano sinistra, quella
tutta macchiata d'inchiostro, tra le proprie.
- No... non così tanto. - mentì, anche se il tono
lamentoso tradiva il suo vero stato d'animo.
- Vado a chiamare Eogann, se vuoi. -
- Non è niente, non disturbarlo. Basta che mi riposi un
attimo e tra poco mi passerà. -
- E se peggiora? -
- Non accadrà. -
Non era stata molto persuasiva, ma Zefiro si risedette. La tenne
sott'occhio, preoccupato e teso come una corda di violino, senza
proferire nemmeno una parola di biasimo o rimprovero. Così,
come quando l'aveva vista usare la magia per richiamare la mappa, anche
in quel momento si limitò a rimanerle accanto.
- Riponi troppa fiducia in me. - gli disse quando si
assicurò di essere tornata sulla terra ferma.
- Devo. Tanto lo so che se quando ti impunti, non posso far nulla per
farti desistere. -
Melwen annuì piano e si abbandonò contro lo
schienale della sedia.
Quando Eogann rientrò, un'ora o forse due dopo, si sentiva
decisamente meglio. Zefiro l'anticipò e corse subito ad
aiutare il mago, caricandosi le braccia con verdure. Melwen lo
guardò in cagnesco quando le passò accanto, ma il
suo amico le mise una patata in mano e andò in cucina.
- Hai una brutta cera, Melwen. Vuoi che ti faccia una tisana? -
- Mi gira solo un po' la testa, nulla di che. -
- Ne sei sicura? Non devi fare complimenti, lo sai. -
- Allora... penso che approfitterò della tua gentilezza. -
Eogann le sorrise soddisfatto e iniziò a tagliare un cespo
di erbette con le foglie simili ad aghi. Senza che gli dicesse nulla,
Zefiro scattò fuori per andare a prendere l'acqua al pozzo.
- La tisana che ti farò sarà al serpillo, tiglio
e fiori d'arancio, la preferita di mio figlio Yezh. Anche lui soffre
spesso di emicranie, soprattutto dopo lo studio. - scosse la testa e si
passò una mano sulla fronte, - Quel ragazzo è uno
stacanovista, altroché. -
- Anche lui è un mago? -
- Sì e se si mette d'impegno, diventerà molto,
molto più bravo del sottoscritto. Ciara somiglia un po' di
più a me alla sua età. Ha il talento, ma non
sembra interessata ad affinarlo. Sua madre ha insistito per portarla
con sé per farle fare quattro chiacchiere con sua nonna.
Chissà, magari mia suocera riuscirà a
convincerla. -
Zefiro rientrò con il secchio riempito fino a
metà. Con un cenno, Eogann gli indicò di
appoggiarlo vicino all'ampia finestra alla sua sinistra, quella che
aggettava sull'orto.
- Dubito che quei due si sveglieranno. Avete fame? Volete che prepari
qualcosa per pranzo? -
- Io sono a posto così. -
- Anche io. - si accodò Melwen.
- Allora farete una merenda più sostanziosa. -
Mosse l'indice dal basso verso l'alto e un nastro d'acqua
riempì il pentolino. Il fuoco si accese la carbonella sotto
il fornello.
Sentendosi di troppo, la bambina capì che l'unica cosa che
potesse fare era dare meno fastidio possibile. La stanza era di per
sé piccola e c'era già Zefiro che stava aiutando
Eogann a pulire la verdura. Si sedette su un basso sgabello con le mani
tra le gambe.
- Grazie per il vestito. -
- E di che? A Ciara non va più e sono abbastanza sicuro che
non avrebbe fatto tante storie a dartelo. - si fermò e un
brivido, o almeno quello che agli occhi di Melwen sembrava un brivido,
gli scosse le spalle, - E poi è il minimo che possa fare per
la figlia di uno dei miei amici più cari. -
Eccolo, il momento che Melwen temeva di più.
- Era venuto qui prima di... prima che Uborh lo prendesse con
sé. Era da una vita che non ci vedevamo e io gli ho offerto
il mio mirto migliore. Abbiamo parlato dei nostri figli, degli ultimi
avvenimenti, di quanto il tempo fosse instabile. Abbiamo concordato
nell'affermare che quel fenomeno era imputabile all'esplosione di
Llanowar. Poi mi ha dato un frammento di un cristallo. Anche
lì, abbiamo concordato che fosse un catalizzatore e che
fosse la minima parte di qualcosa di più grande. Non
sapevamo però di cosa. Così ci siamo lanciati in
teorie. Io ero un mago mediocre rispetto a lui, ma Copernico era una
mente dispersiva e io ero le radici che lo obbligavano a rimanere a
terra. -
Melwen ricordò. La sera prima della partenza per Alcarin,
suo padre era venuto a darle il bacio della buonanotte. Le aveva
promesso che uno di quei giorni l'avrebbe accompagnata alla festa in
paese. Era stata l'ultima volta che lo aveva visto.
- Avete capito cos'era, alla fine? -
- No, solo quello che ti ho detto. Si è teletrasportato in
città senza dirmi nulla, portando con sé il
cristallo. Solo quando si è diffusa la voce che Luthien era
stata distrutta ho capito perché se n'era andato senza
salutare. - pulì il coltello con un panno e mise nel
pentolino le erbe tagliate, - Mi dispiace, Melwen. Ho pensato per
giorni di venire a cercarti, ma dovevo occuparmi della mia famiglia. E
quando ho provato a cercarti con la magia, c'era un'interferenza tale
da annullare qualsiasi tentativo. -
- Non è colpa tua... lo capisco. Hai fatto la cosa giusta. -
rispose Melwen con un fil di voce.
Eogann si inginocchiò e si lavò le mani, tenendo
lo sguardo basso. Zefiro restò di spalle e si
spostò di lato, più lontano, forse per lasciar
loro un po' di privacy.
- Non ricordo quanto zucchero debba aggiungere. Vado a prendere il
libro di là. - borbottò Eogann e uscì
dalla cucina.
Melwen fissò la schiena di Zefiro e i movimenti delle sue
dita mentre si occupava di togliere le cimette da un cavolo. Non sapeva
cosa fare. Si sentiva leggera, quasi avesse le ossa cave e i muscoli
ridotti a una sottile fila di fibre atrofizzate. Era come se la
pesantezza del suo essere si fosse estinta nel vapore dell'acqua che
bolliva e nelle nuvole calde che salivano verso il soffitto,
lasciandola con un'insostenibile debolezza. Stava sprofondando in quel
torpore simile al sonno che le ottenebrava i sensi e la dissanguava da
ogni sensazione. Quell'assenza era il massimo a cui la sua anima
potesse aspirare.
- Questa l'hai fatta tu, Melwen? -
Girò la testa verso la mappa che Eogann teneva in mano.
- È venuta peggio di quello che mi aspettassi. -
commentò stancamente.
- Manca solo un po' di proporzioni. - la girò e la
allontanò dal viso, - L'hai copiata da quel libro in
soggiorno? -
La bambina fece segno di sì con la testa. Eogann rimase
sovrappensiero a studiare la pergamena, finché il ribollire
dell'acqua non richiamò la sua attenzione. Spense il fuoco
con un gesto svogliato della mano e versò la tisana nella
tazza.
- Posso tenerla per stasera? -
- Solo la mappa, il libro lascialo. -
- D'accordo, vado a posarla nel mio studio. - disse, poi
arrotolò la pergamena e poi uscì.
Il resto della giornata si trascinò. Melwen fece visita a
Raiza e gli portò da mangiare dello stufato avanzato dalla
sera precedente. Il Lycos le lanciò una lunga occhiata
quando la vide entrare nella stalla e si prestò a farsi ad
accarezzare. In mezzo agli sparuti fili di fieno, con le lame di luce
polverose che rischiavano quello stanzone così grande e
vuoto, spiccava come la piuma di un cigno nero su un lenzuolo
stracciato. Non le disse nulla, si limitò a lanciarle
qualche occhiata tra un morso e l'altro. Dopo essere tornato
dall'ispezione notturna della foresta di Lagrande le sembrava
più tranquillo, anche se spesso, quando il vento si
sgusciava sotto la porta, alzava il muso per captarne gli odori.
Zefiro provò a insegnarle a giocare a dama, ma il cervello
do Melwen era troppo intorpidito. Riuscì a vincere soltanto
due volte sulle dieci partite che fecero, e solo perché
l'amico decise di concederle la vittoria. Ma alla fine non le
importava. Non c'era spazio in quel nulla troppo pieno.
A cena, Myria e Nyi mangiarono con loro la zuppa di ceci e le polpette
di cavolfiore. La conversazione si arenò spesso e non sempre
la madre di Zefiro riuscì a salvarla da un naufragio certo.
Fu un sollievo quando finirono anche le ultime fette della torta della
mattina e tornarono tutti nelle loro stanze.
- Dove vuoi dormire stanotte? - le chiese Zefiro quando si trovarono da
soli.
Melwen osservò la stanza. I due letti erano sfatti e le
coperte toccavano con i lembi il pavimento. Le dava l'idea di un
ambiente dimenticato, abbandonato a se stesso. Non avrebbe dovuto, ma
quell'apparente incuria le comprimeva la cassa toracica.
- Stiamo qui. - decise, sedendosi sul materasso freddo.
Zefiro si morse la lingua, trattenendo qualsiasi cosa volesse dire.
- Va bene. Se ti senti male o hai qualche incubo, svegliami. -
Melwen gli fu grata per la sua comprensione, per quel silenzio che
condividevano che la faceva sentire in pace con se stessa. Durante la
notte gli prese la mano e se la portò al viso. Non c'era
segreto che li potesse separare.
Angolo Autrice:
Hello folks!
Si procede a spron battuto qui u.u eh, eh, eh, pian piano ci avviamo
verso la fine anche di questo secondo volume. Comunque, non so se avete
notato ma siamo arrivati a ben 100 recensioni! Quindi, da ora fino al
18 avete tempo per o iscrivervi al giveaway sulla pagina oppure
scrivermi in privato e confermarmi che siete ancora interessati u.u
Come sempre
QUI
c'è il link alla mia pagina autrice.
Un bacione e grazie mille a tutti!
Hime