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Autore: Sunako_7    14/02/2018    1 recensioni
Sasuke e Gaara si frequentano da qualche mese, nonostante abbiano un dialogo quasi inesistente. Basterà questo per riuscire ad andare avanti o lo scontro con i problemi della vita e i fantasmi di un passato mai dimenticato li schiaccerà, costringendoli a separarsi? E se quel passato tornasse più reale che mai? E se altre persone entrassero nella vita dei due protagonisti? Un viaggio complicato e irto di ostacoli nella vita di questi due ragazzi chiusi, diffidenti, incapaci di comunicare eppure bisognosi di affetto e amore.
Questa ff è il continuo della mia one-shot "If I had a heart" anche se non è indispensabile leggerla per seguire questa long, ma alcuni dettagli potranno essere più chiari.
[GaaraxSasuke][Itachix?][accenni HidanxDeidara]
Genere: Angst, Introspettivo, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Yaoi, Crack Pairing | Personaggi: Altri, Itachi, Sabaku no Gaara, Sasuke Uchiha, Shisui Uchiha
Note: AU, Lime | Avvertimenti: Incest, Tematiche delicate | Contesto: Nessun contesto
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Coming out of my cage
And I've been doing just fine
It started out with a kiss
How did it end up like this
It was only a kiss, it was only a kiss

(The Killers)

It started out with a kiss

 

 

Shisui girò la chiave e spense la macchina. Si tolse la cintura di sicurezza, ma non scese subito. Alzò lo sguardo per cercare qualche finestra illuminata al quinto piano, sebbene fosse già certo che lui fosse in casa.
Lo aveva chiamato una volta, ma l’altro non aveva risposto, così non gli erano rimaste molte alternative e aveva deciso di andare a trovarlo di persona. Non gli piaceva mettere Itachi all’angolo con una visita inaspettata, ma Sasuke non era l’unico ad aver bisogno di una sgrullata che gli rimettesse in ordine le idee. Era preoccupato perché era evidente che Itachi fosse confuso ma, soprattutto, perché il cugino non era abituato ad esserlo e, più di altri, poteva avere difficoltà ad uscire da quella situazione.
Quel ragazzo così dotato, apparentemente perfetto e infallibile in realtà, se lasciato a se stesso, senza nessuno che si preoccupasse per lui e gli facesse sputare fuori le cose, si sarebbe consumato fino a sparire, troppo preso invece dal preoccuparsi per gli altri, trascurandosi.
Shisui scese dalla macchina e fortunatamente al portone incrociò una coppia di ragazzi che stavano uscendo, così da non dovere nemmeno citofonare, gli avrebbe fatto una bella sorpresa bussandogli direttamente alla porta.
Suonò il campanello e attese almeno un minuto prima che gli venisse aperto, rivelando un Itachi perplesso che lo squadrava dalla soglia.
“Shisui?”
Il ragazzo sorrise, divertito dall’averlo stupito e rispose:
“In carne ed ossa! Mi fai entrare o rimaniamo sul pianerottolo?”
Itachi parve riscuotersi dalla sua immobilità e si scostò dalla soglia, richiudendo la porta dietro di lui.
“Che ci fai qui? Non ti aspettavo.”
“Lo so – rispose Shisui togliendosi il cappotto – magari se rispondessi al cellulare…”
“È in camera, non l’ho sentito. Io ero in sala con la playstation.”
Il cugino lo squadrò, notando i pantaloni morbidi e il maglione largo che indossava, abiti sciatti con cui non si sarebbe mai presentato in pubblico, ma che adorava per stare in casa quando nessuno poteva vederlo, aveva addirittura lasciato i capelli sciolti.
Shisui trattenne un sospiro, non era esattamente un buon segno nemmeno che il cugino passasse la giornata a giocare: entrambi adoravano i videogiochi, ma Itachi non era mai stato come lui, capace di perdere la concezione del tempo davanti allo schermo.
“Non mi hai ancora detto perché sei qui – aggiunse Itachi, per poi aggrottare la fronte – è successo qualcosa?”
“Ma no, ma no” lo rassicurò Shisui andando ad accomodarsi sul divano, osservando la partita in pausa e poi il cugino in piedi davanti a lui. “Non ci vediamo da capodanno.”
“Sono passati solo tre giorni, non tre mesi” sorrise Itachi, incrociando le braccia davanti al petto.
“E a me mancavi come se fossero passati tre anni, ok? Non si può? C’è qualche regola che lo vieta?” ribatté Shisui, facendo una smorfia contrariata con le labbra.
Itachi sorrise più apertamente, come era solito fare in sua compagnia e disse:
“Sei sempre il solito.”
Sparì in cucina e torno poco dopo con due bottiglie di birra, gliene offrì una e si sedette al suo fianco, guardandolo:
“Bene, ora sei qui e siamo insieme, sei soddisfatto?” lo punzecchiò.
Shisui fece tintinnare la bottiglia contro la sua prima di bere un sorso.
“Quasi” rispose portandogli una ciocca di capelli scuri dietro l’orecchio, nemmeno lui che pur lo conosceva da quando era bambino lo aveva visto spesso senza coda.
“Hai sentito Ryuji?” domandò invece Itachi per cambiare argomento, anche se non respinse il suo tocco ma lasciò che gli carezzasse i capelli, sfiorando un orecchio e il collo.
“Sì, sta relativamente bene. Si sta sentendo col ragazzo che ha conosciuto quella sera, ha bloccato il numero del padre che continuava a chiamarlo per minacciarlo, ma ha il sostegno della madre, quindi direi che gli è andata meglio di quanto pensasse. Ah, la nonna è stata dimessa, ma quella vecchia strega ci seppellirà tutti, stanne certo – rise – tu in questi giorni di vacanza sei stato chiuso in casa facendo l’eremita?”
“Già” replicò solamente, bevendo un altro sorso di birra e fissando lo schermo luminoso della tv, congelato in attesa del suo ritorno.
Shisui si morse un labbro, serrando con forza le mani attorno alla bottiglietta fresca, sentendo qualche goccia di condensa inumidirgli i polpastrelli.
“Come sta Sasuke?” domandò, certo che il fratello fosse l’unico che si fosse premurato di sentire.
Itachi non rispose subito, sembrò prendersi il suo tempo, disegnando col dito alcune forme astratte sul vetro appannato.
“Tutto sommato bene, credo – disse alla fine – non mi ha detto molto al telefono e non ci siamo ancora rivisti, ma nonostante tutto credo stia bene, o perlomeno starà bene.”
Il silenzio era rotto solo dal ticchettio di un orologio appeso alla parete, dalla strada sottostante si udiva qualche clacson solitario, un eco distante di chi non poteva fare a meno di stare zitto nemmeno dietro un volante.
Anche Shisui in quel momento non riuscì a tacere e prese il mento del cugino tra le dita, in modo da voltargli il viso nella sua direzione e guardarlo negli occhi.
“E tu? – chiese – Tu come stai, Itachi?”
Il ragazzo sbatté le palpebre, nessun altro movimento solcò il suo viso impassibile. Non avevano bisogno di parole: entrambi sapevano che se Itachi quei giorni si era isolato era stato perché bene non lo stava affatto, probabilmente non sapeva nemmeno come affrontare la cosa.
“Cosa ti turba? Si tratta di Sasuke e Gaara?” domandò ancora Shisui, non riusciva ad immaginare quale altro problema ci fosse, e poi lui aveva notato chiaramente l’interesse del cugino per il segretario dai capelli rossi.
“Sì” esalò Itachi. Tirò indietro la testa per sottrarsi alla sua presa, ma continuò a guardarlo negli occhi; la sua fuga era terminata, ora sarebbe andato fino in fondo alla questione. Sapeva che altrimenti il cugino non gli avrebbe dato tregua, per l’affetto e la preoccupazione che nutriva nei suoi confronti; in fondo era grazie a lui, al suo carattere e ai suoi modi, se Itachi si poteva definire un adulto equilibrato, una persona che aveva lottato e poi fatto la pace con se stessa.
“Provo un interesse nei confronti di Gaara, l’ho anche baciato l’ultimo giorno a lavoro, prima che Sasuke mi raccontasse quanto successo, anche se avevo già i miei sospetti. Eppure, nonostante questo, l’ho baciato e non volevo fermarmi lì.”
“E allora? – sbottò Shisui, irritato nel vederlo così indeciso – Qual è il problema? Sasuke? Non mi sembra stiano insieme, né escono o si frequentano in qualche forma, che c’è di male se ti fai avanti? Cazzo, ti fai decisamente troppi scrupoli! Itachi, devi pensare un po’ di più a te stesso.”
Itachi lo guardò in silenzio qualche istante, poi gli fece una carezza tra i capelli corti e mossi che gli piacevano tanto, così diversi dai suoi lunghi e lisci.
“Se ci fosse una situazione incerta tra me e un’altra persona tu riusciresti mai a metterti in mezzo?” Vide chiaramente la risposta sul viso di Shisui, perché non c’era nemmeno bisogno di parole per qualcosa di tanto scontato. “No, per l’appunto, e io non posso fare la stessa cosa a Sasuke, anche se non è così facile tirarmi indietro. Non fraintendermi: non sono certo innamorato, né altro, è solo un interesse; il problema è che non si tratta solo di attrazione fisica, lo trovo simpatico, mi piace parlargli, forse in altre circostanze sarebbe potuto diventare qualcosa di più serio. Ma non è destino e io devo farmene una ragione: Sasuke e Gaara devono chiarire ciò che è rimasto in sospeso tra loro. Nel frattempo io non posso vivere attaccato all’ipotesi che tra loro non succederà più nulla, devo andare avanti, ma ammetto che il mio carattere si ribella all’idea di arrendermi senza lottare, tutto qui.”
Shisui sospirò, nient’affatto soddisfatto da quella situazione e dalle conclusioni del cugino, che come sempre tendeva a razionalizzare troppo senza lasciare spazio ai sentimenti, e ovviamente a sacrificarsi in nome dell’amore che provava per il fratello.
“E Gaara che ne dice? Perché immagino che ne abbiate parlato l’altra sera e che Sasuke non saprà mai del vostro bacio” domandò, ricordandosi bene quanto fosse stato strano durante il viaggio di ritorno in macchina.
Itachi sorrise perché Shisui sapeva bene come funzionava la sua testa e indovinava sempre le sue azioni con precisione quasi chirurgica.
“Non saprà nulla, non ce n’è bisogno, e Gaara ha capito il mio punto di vista. Poi non è detto che si mettano assieme o scoppi l’amore, ma devono fare chiarezza sui loro sentimenti prima di tutto.”
Non gli raccontò di quell’ultimo bacio bello e inaspettato che Gaara gli aveva regalato, volle tenere quello splendido segreto per sé, timoroso che delle parole avrebbero sminuito il suo valore.
“Non è giusto lo stesso, dovresti essere felice e basta, te lo meriti!” esclamò Shisui perché, nonostante tutto,  per lui la felicità di Itachi veniva prima di ogni altra cosa. Era sempre stato così, per lui avrebbe venduto anche l’anima al diavolo.
Itachi rimase interdetto di fronte alla veemenza con cui il cugino gli esprimeva i suoi sentimenti, riusciva sempre a sorprenderlo con la sua schiettezza, dopo tutti gli anni passati assieme ancora non gli riusciva di abituarcisi. Gli passò di nuovo le dita tra i capelli, dicendo:
“Starò bene.”
Ne era certo, in fondo non era mai stato veramente solo, non poteva esserlo con lui a fianco.
Shisui però si scansò, non parlò, bensì si fece avanti e gli mise una mano sulla nuca mentre posava le labbra sulle sue. Lo baciò con forza, non fu affatto delicato o cauto, mentre le dita si intrecciavano a quei fili di inchiostro capaci di tenere avvinti, di legare a sé con la loro malia.
Gli schiacciò le labbra con le proprie, le leccò e le morse senza dargli tregua o modo di sottrarsi, anche se avesse voluto. Ma Itachi non lo voleva, accolse invece quel bacio, rispondendo con la stessa urgenza, quasi una fame che lo stava divorando senza che se ne accorgesse.
Afferrò il suo maglione poco al di sotto della gola come per avvicinarlo di più, perché non era ancora abbastanza, nonostante i nasi affondati nelle guance, le labbra che facevano male e i capelli che ormai si confondevano in un unico oceano scuro.
Shisui era stato il suo primo uomo, negli anni avevano continuato ad andare a letto insieme senza nessun obbligo o complicazione, come se fosse stato naturale quanto respirare. Al di là delle altre relazioni più o meno serie, a volte semplicemente si trovavano a baciarsi e poi a fare sesso, senza che questo inficiasse la loro amicizia o creasse tensioni e imbarazzi. Non a loro, non al rapporto profondo che condividevano, in cui l’amore aveva accezioni ancora diverse da quelle già note.
“Stai cercando di consolarmi?” ironizzò Itachi guardando le sue labbra rosse e gonfie che aveva ancora voglia di mordere.
“Veramente starei cercando di scoparti – rise piano Shisui – poi, se questo può fare bene anche al tuo umore, direi che non guasta.”
“Addirittura scoparmi? E chi ti dice che sarai tu a farlo?” Lo provocò, passando la punta del naso sul suo collo, sfiorando appena la pelle morbida della gola coi denti.
“Perché l’ultima volta sei stato tu a farlo, tutto qui, ma posso sempre concederti l’occasione per rifarti con un bis dopo.”
Rabbrividì a quel semplice gesto, alla capacità del cugino di eccitarlo semplicemente sfiorandolo. Ogni volta tra di loro era sempre diversa, per i sentimenti che li accompagnavano, per i desideri, le posizioni e lo scambio dei ruoli, non c’era nulla di convenzionale nel loro rapporto.
“Non devo scappare da nessuna parte, domani non lavoro e nemmeno tu, quindi direi che è possibile” rispose Itachi sempre con quel tono apparentemente impassibile. In realtà era eccitato, intrigato dall’idea di spogliarsi e spogliarlo, vedere di nuovo il suo corpo asciutto premuto contro il proprio e passare ore tra le lenzuola, a strapparsi gemiti e a reclamare piacere con le loro mani e bocche affamate.
“E la tua partita alla play?” lo punzecchiò Shisui, mentre però iniziava già a sollevargli il maglione.
“Direi che non me ne frega proprio un cazzo” stabilì Itachi per poi baciarlo e, in quel modo, zittirlo.
Non ci fu più spazio per le parole che scivolarono via inutili come i loro vestiti che disseminarono a terra, sterili semi da cui non sarebbe nato nulla.
Furono sul letto, assieme, i loro corpi che si conoscevano e non avevano bisogno di indicazioni o suggerimenti; le mani già sapevano quali strade seguire, i sentieri che li avrebbero portati alla loro meta, godendosi però il viaggio. Ogni volta con Shisui il paesaggio che vedeva dai finestrini cambiava, non era mai uguale, e loro ne godevano finché le bocche ansimanti non appannavano i vetri e ogni altra cosa veniva dimenticata, soverchiata dal piacere che si regalavano.
Quando Shisui entrò dentro Itachi ogni cosa venne dimenticata, perché quel culo che quasi artigliava mentre si muoveva, osservando le proprie falangi sparire nei muscoli contratti, era il fulcro di tutto.
Non esistevano fratelli, storie potenzialmente esplosive, rimpianti, rimorsi o sacrifici, il loro stare insieme aveva spazzato via tutto. Shisui traghettò Itachi al di là del suo mare di confusione e dubbi, lo strinse forte ricordandogli chi era e promettendogli, senza bisogno di parlare, che era al suo fianco e lo sarebbe sempre stato.
Solo dopo l’orgasmo, dopo essersi scambiati baci lenti e pigri, soddisfatti, si guardarono negli occhi per poi stendersi tra le coperte sfatte e osservare invece il soffitto.
Solo allora la mente di Itachi riprese a funzionare, a formulare parole e pensieri coerenti. Ripensò un attimo alle parole di Gaara, alla rivelazione sulla passività di Sasuke, e scoppiò a ridere perché quella sera si era tanto meravigliato, ma quel giorno lui si era ritrovato a fare la stessa cosa, godendo maledettamente nel sentirsi riempire da un cazzo. Sì, probabilmente anche lui sarebbe stato più che compatibile con Gaara.
“Ehi, fai ridere anche me” protestò Shisui con la voce ancora un po’ affannata.
“Niente, un pensiero sciocco – voltò la testa per guardare lui invece del soffitto – preferisco farti godere di nuovo invece che ridere.”
Shisui finse di pensarci intensamente, con gli occhi assottigliati e la fronte aggrottata:
“Direi che ci sto, mi sembra un’ottima alternativa” decretò infine riprendendo a baciarlo, ma col sorriso sulle labbra di entrambi.

 

***

 

Se Gaara avesse aumentato l’andatura anche solo di poco, la sua camminata veloce sarebbe diventata una corsa vera e propria. Schivava la gente che lo circondava, cercando varchi in cui infilarsi per superare quelle persone che sembravano oziare e avere tutto il tempo del mondo per fare pochi metri. Peccato invece che lui non avesse tutto il tempo del mondo, non ne aveva affatto in realtà, anzi, era in stramaledetto ritardo!
Aveva preso una mattinata di permesso per poter sostenere un esame, però la cosa era andata per le lunghe. Il professore, solitamente puntuale, aveva deciso di cambiare abitudini proprio quella mattina e, oltre al suo ritardo, erano saltati fuori tanti altri piccoli disguidi che avevano portato Gaara a essere interrogato solo dopo la pausa pranzo.
Nonostante la tensione e la fretta di dover tornare a lavoro, era andato molto bene, tanto che l’assistente aveva insistito perché fosse interrogato anche dal professore, quindi il ragazzo aveva dovuto attendere ulteriormente invece di arraffare il proprio libretto e scappare via.
Per tutta quella serie di motivi si ritrovava ad un passo dal mettersi a correre quando mancavano pochi minuti alle sedici e trenta, impaziente di tornare in ufficio. Proprio quel giorno non era solo in ritardo per il lavoro, ma anche per un appuntamento.
Doveva rivedersi con Sasuke e, se la cosa di per sé gli metteva già addosso un certo nervosismo, l’essere anche in ritardo non gli rendeva le cose più semplici. Gli aveva mandato un messaggio per avvisarlo, ma non aveva ricevuto risposta e nella sua mente venivano proiettati diversi scenari sulle possibili cause e le relative conseguenze, ovviamente uno più disastroso dell’altro.
Era appena entrato nel portone del palazzo e si dirigeva verso l’ascensore, quando vide uscire da lì Hiashi Hyuga col fratello.
“Gaara, pensavamo ci avessi abbandonato, come mai questo ritardo?” domandò l’avvocato, serio, molto esigente riguardo la puntualità e il rispetto degli impegni.
Il segretario ovviamente lo aveva avvisato, ma non era sceso nei dettagli e, quindi cercando di controllare la voce affannata, rispose:
“Mi spiace, ma stamattina il professor Sarutobi è arrivato in ritardo e io sono stato interrogato solo dopo la pausa pranzo. Inoltre l’assistente ha insistito perché passassi anche dal professore e sono venuto appena ho potuto.”
Era evidente agli occhi di entrambi che avesse corso dato che aveva ancora un po’ di fiatone e i capelli scombinati.
“Il professor Sarutobi? – disse Hizashi, decisamente più morbido del fratello sebbene sempre molto serio – Non è da tutti venire interrogati da lui, devo dedurre che l’esame sia andato particolarmente bene allora.”
“Beh, ho preso il massimo” annunciò Gaara, provando una certa soddisfazione nell’affermarlo ad alta voce e vedere il volto di Hiashi contrarsi in un lieve moto di sorpresa.
“Bene, mi fa piacere – disse questi – la prossima volta che hai un esame sarà meglio che tu ti prenda l’intera giornata per evitare certi inconvenienti.”
Gaara rimase interdetto, solitamente era difficile che gli concedessero di prendersi anche una mattinata libera, quindi quella proposta aveva un sentore di fantascientifico.
“Certo, farò così, il prossimo è tra due settimane” rispose subito, prima che cambiasse idea.
Gli avvocati gli riferirono di alcuni appunti urgenti che gli avevano lasciato sulla scrivania e il segretario fu libero di andare. Si era ripreso e il fiatone era scomparso, peccato che adesso fosse diviso a metà tra la stanchezza e il nervosismo per sapere che fine avesse fatto Sasuke.
Entrò nello studio e aveva fatto giusto un paio di passi quando si vide venire incontro Hinata, curiosa riguardo al suo esame. La ragazza si congratulò con entusiasmo, rivelandogli che lei la prima volta era stata addirittura bocciata e, chiacchierando, entrarono assieme nel loro ufficio.
Gaara si era tolto giusto la sciarpa e si stava sbottonando il cappotto quando rimase bloccato a fissare la scrivania di Itachi, occupata però da un altro Uchiha.
“Sasuke…” mormorò guardandolo e non capacitandosi che fosse ancora lì: in tutte gli scenari immaginati il giovane architetto se ne era sempre andato via.
“Ho pensato di aspettarti e mettermi a lavorare un po’ visto che avevo il portatile, e poi c’era anche la scrivania libera” gli spiegò, in uno sfoggio di splendida logica. Poggiò poi una mano sulle labbra e lo guardò; era passato veramente troppo tempo dall’ultima volta in cui si era specchiato in quegli occhi chiari che lo avevano sempre lasciato senza fiato.
Gaara finì di togliersi il cappotto e lo appese, per poi avvicinarsi alla sua scrivania e osservarlo alzarsi in piedi. Rimasero qualche istante a guardarsi negli occhi, separati solo dal ripiano in legno, prima che il segretario dicesse:
“Capisco, scusa per il ritardo, ma non è dipeso da me. Comunque potevi anche lasciarmi i documenti e andare via, non era necessario che rimanessi fino a quest’ora.”
Professionale, pacato e gentile, Gaara era stato impeccabile e la sua risposta offriva ben pochi appigli all’altro che invece avrebbe voluto avere uno spunto per approfondire la conversazione. In fondo aveva aspettato più di un’ora perché voleva vederlo, quella del lavoro ea solo un’ottima scusa, almeno con se stesso riusciva ad ammetterlo.
“Volevo farti vedere una modifica al progetto. Ho aggiunto una vetrata, in questo modo ci sarà il 25% di luce in più, il che inciderà positivamente sui consumi energetici annuali, e ci sarà solo una minima variazione del budget preventivato.”
Gaara annuì e fece un piccolo sorriso di fronte a quello sfoggio di professionalità, era evidente quanto l’Uchiha si impegnasse nel proprio lavoro.
“Certo, ricordo che il tuo argomento di laurea fosse un’architettura a minor impatto ambientale. Fammi vedere allora, ma sono certo che andrà benissimo.”
Fece il giro della scrivania per poter vedere assieme a lui lo schermo del computer e Sasuke si sedette nuovamente per richiamare poi la schermata del progetto, cercando di non apparire nervoso, anche se non era semplice. Gaara si ricordava tutto quello di cui gli aveva parlato, e la cosa lo fece sentire in difetto perché lui invece non aveva dato peso alle poche informazioni che l’altro si era lasciato scappare durante il tempo passato assieme.
Accantonò quei pensieri e prese invece a illustrargli il progetto, incontrando come previsto la sua approvazione. Gli consegnò poi dei documenti necessari per chiedere l’autorizzazione per i lavori che al massimo entro una settimana sarebbero iniziati. Nel frattempo Hinata li aveva salutati ed era uscita per una commissione e loro due erano rimasti da soli nella stanza, in un silenzio teso perché avevano esaurito ogni argomento di lavoro.
Gaara stava per allontanarsi e andare alla propria scrivania ricolma di appunti e fascicoli, ma Sasuke lo bloccò dicendo:
“Prima ho sentito che parlavi di un esame, di cosa si trattava?”
Non aveva trovato nessun appiglio per avviare una conversazione e così aveva tirato fuori lui la pistola e ne aveva sparato uno, sperando che fosse abbastanza forte da sostenere il peso dei silenzi e delle tensioni tra di loro.
“Sto frequentando l’università, legge ovviamente. Oggi avevo un esame, per quello ho fatto tanto tardi” gli spiegò Gaara, un po’ sulle spine. Non sapeva davvero cosa aspettarsi da Sasuke e dal loro incontro. L’ultima volta che si erano visti l’Uchiha lo aveva baciato e poi gli aveva dato della puttana; era passato del tempo, Sasuke stava andando da uno psicologo e in effetti gli sembrava diverso. La sua espressione, la postura del corpo non ricordavano a Gaara il giovane arrogante che aveva conosciuto. Tuttavia anche quello poteva essere un inganno e lui voleva andarci cauto.
“Mentre lavori? È un impegno piuttosto gravoso – affermò Sasuke, sinceramente impressionato – non frequenti le lezioni però, in effetti non ti ho mai visto all’università e le facoltà di architettura e legge sono vicine.”
“No infatti non seguo le lezioni, do solo gli esami, è l’unico modo – confermò infatti Gaara – in realtà questo è il mio primo anno. Tu hai concluso e io ho iniziato, sono un ritardatario.”
Sasuke sorrise appena, scuotendo la testa:
“Ma no, capita. Sono felice che tu abbia comunque trovato un modo per fare quello che volevi.” Si morse un istante un labbro, chiedendosi se non stesse esagerando, ma lo squillo del cellulare interruppe i suoi pensieri.
Gaara lo osservò in silenzio mentre rispondeva a un cliente. Guardò le mani robuste con cui lo aveva carezzato e con cui adesso si tirava indietro i capelli corti ma scuri come quelli di Itachi, e a quel punto per lui fu impossibile contenere la scarica di ricordi che aveva tenuto a bada finora.
Ripensò ai mesi trascorsi frequentando Sasuke, la loro rottura, le settimane passate a scambiarsi fredde mail di lavoro, pensò anche ai baci che c’erano stati con Itachi, la loro discussione la notte di capodanno e capì che l’avvocato aveva avuto ragione. Doveva prima di tutto chiarire le cose con Sasuke, altrimenti non sarebbe mai riuscito a lasciarsele alle spalle e a fare chiarezza dentro di sé.
Quegli ultimi mesi erano stati esplosivi sotto tanti punti di vista e Gaara aveva il bisogno di trovare dei punti fermi da piantare dopo che la sua vita era stata stravolta e mandata all’aria. Non sapeva cosa gli riservava il futuro, non sapeva se esisteva un futuro per lui e Sasuke, ma se non avesse chiarito non ci sarebbe stato un futuro e basta.
“Scusa l’interruzione” disse Sasuke mettendo via il cellulare.
“Figurati – rispose Gaara per poi decidersi a dire – a proposito di telefonate… mi ha sorpreso quella che mi hai fatto a Natale. Mi ha fatto anche piacere, in realtà.”
Sarebbe stato ipocrita negare che era stato piacevole ricevere le sue scuse o sapere di essere ancora nei suoi pensieri, si era persino arrischiato a prendere in considerazione l’eventualità che la decisione di Sasuke di rivolgersi a uno psicologo dipendesse in parte anche da lui.
“Ah, beh, non era… insomma – mormorò l’architetto in evidente difficoltà – ti dovevo delle scuse e poi volevo sentirti. Chiamarti per gli auguri mi era sembrata una buona idea.”
A capodanno non aveva avuto tutto quel coraggio e si era limitato a un messaggio. Una cosa da niente e banale per una persona qualunque, ma non per lui, per Sasuke quelli erano passi da gigante, dopo una vita passata a ignorare gli altri.
“Hai fatto bene” gli assicurò Gaara. Era stato il primo step verso il loro chiarimento, un’impresa titanica per due come loro incapaci di comunicare.
“Gaara, io…” disse Sasuke facendo un paio di passi per avvicinarsi ma bloccandosi perché l’altro era indietreggiato. Lo guardò spaesato, senza riuscire a capire cosa fare, una parte di sé aveva anche paura che le cose fossero così rovinate tra loro che solo un miracolo avrebbe potuto sistemarle.
“Scusa, io…” mormorò Gaara in difficoltà. Il suo era stato un gesto istintivo, ma all’improvviso l’immagine di Sasuke si era fusa con quella di Itachi e lui aveva avuto paura che lo baciasse di nuovo. Era confuso, incerto, e non comprendeva i propri sentimenti; i rumori di passi, degli altri avvocati che si muovevano nello studio non lo aiutavano certo a rilassarsi in un dialogo così spinoso.
“Non è il momento, né il luogo per parlare” affermò alla fine.
“Già – concordò Sasuke – possiamo vederci da qualche parte fuori?”
“Penso che sia la cosa migliore.”
Sasuke si morse un labbro perché gli era venuto istintivo chiedergli di vedersi al bar dove si erano conosciuti, sarebbe stato bello poter tornare alla notte in cui si erano incontrati, ma non era certo che quel suo sentimento fosse condiviso.
“Un caffè o una birra una di queste sere?” propose invece.
“Una birra andrà benissimo” decise Gaara. Aveva già preso il caffè con Kankuro e non era andato bene, meglio cambiare bevanda.
Il telefono sulla sua scrivania iniziò a squillare e lui sospirò, non c’era più tempo per pensare agli affari personali.
“Ci mettiamo d’accordo per messaggio, ok?” disse andando a rispondere.
Sasuke annuì e radunò la propria roba mentre lo osservava lavorare. In quel momento realizzò che Gaara parlava, mangiava, sorrideva, si muoveva, respirava in modo autonomo, senza bisogno di nessuno e lui voleva scoprire di più su di lui; voleva scoprire come fosse respirare la stessa aria assieme.

 

 

 

L’angolino oscuro: Ogni tanto ritornano. È passato un pezzo dall’ultimo aggiornamento, mi domando anche se a qualcuno importi dal momento che ho pochi riscontri per questa storia, ma non importa, andrò avanti perché la amo, amo tutti i miei personaggi e il loro lottare nella vita di tutti i giorni.
Per questo capitolo non ho molto da dire, è abbastanza di passaggio, la natura della relazione tra Itachi e Shisui è chiarita, come se ci fossero stati dubbi a riguardo, ma… è veramente tutto qui? Gaara ha deciso che c’è bisogno di andare fino in fondo alla questione e quindi dà una seconda chance a Sasuke, ma non significa che finiranno di nuovo insieme, è giusto un nuovo inizio, vediamo come il nostro Uchiha problematico riuscirà a gestirla. Titolo e parole a inizio capitolo sono della canzone Mr. Brightside dei The Killers.
Per oggi è tutto, alla prossima!

 

 

   
 
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