Coming
out of my cage
And I've been doing just fine
It started out with a kiss
How did it end up like this
It was only a kiss, it was only a kiss
(The Killers)
It
started out with a kiss
Shisui
girò la chiave e spense la macchina. Si tolse la cintura di
sicurezza, ma non
scese subito. Alzò lo sguardo per cercare qualche finestra
illuminata al quinto
piano, sebbene fosse già certo che lui fosse in casa.
Lo aveva
chiamato una volta, ma l’altro non aveva risposto,
così non gli erano rimaste
molte alternative e aveva deciso di andare a trovarlo di persona. Non
gli
piaceva mettere Itachi all’angolo con una visita inaspettata,
ma Sasuke non era
l’unico ad aver bisogno di una sgrullata che gli rimettesse
in ordine le idee.
Era preoccupato perché era evidente che Itachi fosse confuso
ma, soprattutto,
perché il cugino non era abituato ad esserlo e,
più di altri, poteva avere
difficoltà ad uscire da quella situazione.
Quel
ragazzo così dotato, apparentemente perfetto e infallibile
in realtà, se
lasciato a se stesso, senza nessuno che si preoccupasse per lui e gli
facesse
sputare fuori le cose, si sarebbe consumato fino a sparire, troppo
preso invece
dal preoccuparsi per gli altri, trascurandosi.
Shisui scese
dalla macchina e fortunatamente al portone incrociò una
coppia di ragazzi che
stavano uscendo, così da non dovere nemmeno citofonare, gli
avrebbe fatto una
bella sorpresa bussandogli direttamente alla porta.
Suonò il
campanello e attese almeno un minuto prima che gli venisse aperto,
rivelando un
Itachi perplesso che lo squadrava dalla soglia.
“Shisui?”
Il
ragazzo sorrise, divertito dall’averlo stupito e rispose:
“In carne
ed ossa! Mi fai entrare o rimaniamo sul pianerottolo?”
Itachi
parve riscuotersi dalla sua immobilità e si
scostò dalla soglia, richiudendo la
porta dietro di lui.
“Che ci
fai qui? Non ti aspettavo.”
“Lo so –
rispose Shisui togliendosi il cappotto – magari se
rispondessi al cellulare…”
“È in
camera, non l’ho sentito. Io ero in sala con la
playstation.”
Il cugino
lo squadrò, notando i pantaloni morbidi e il maglione largo
che indossava,
abiti sciatti con cui non si sarebbe mai presentato in pubblico, ma che
adorava
per stare in casa quando nessuno poteva vederlo, aveva addirittura
lasciato i
capelli sciolti.
Shisui
trattenne un sospiro, non era esattamente un buon segno nemmeno che il
cugino passasse
la giornata a giocare: entrambi adoravano i videogiochi, ma Itachi non
era mai
stato come lui, capace di perdere la concezione del tempo davanti allo
schermo.
“Non mi
hai ancora detto perché sei qui – aggiunse Itachi,
per poi aggrottare la fronte
– è successo qualcosa?”
“Ma no,
ma no” lo rassicurò Shisui andando ad accomodarsi
sul divano, osservando la
partita in pausa e poi il cugino in piedi davanti a lui. “Non
ci vediamo da
capodanno.”
“Sono
passati solo tre giorni, non tre mesi” sorrise Itachi,
incrociando le braccia
davanti al petto.
“E a me
mancavi come se fossero passati tre anni, ok? Non si può?
C’è qualche regola
che lo vieta?” ribatté Shisui, facendo una smorfia
contrariata con le labbra.
Itachi
sorrise più apertamente, come era solito fare in sua
compagnia e disse:
“Sei
sempre il solito.”
Sparì in
cucina e torno poco dopo con due bottiglie di birra, gliene
offrì una e si
sedette al suo fianco, guardandolo:
“Bene,
ora sei qui e siamo insieme, sei soddisfatto?” lo
punzecchiò.
Shisui
fece tintinnare la bottiglia contro la sua prima di bere un sorso.
“Quasi”
rispose portandogli una ciocca di capelli scuri dietro
l’orecchio, nemmeno lui
che pur lo conosceva da quando era bambino lo aveva visto spesso senza
coda.
“Hai
sentito Ryuji?” domandò invece Itachi per cambiare
argomento, anche se non
respinse il suo tocco ma lasciò che gli carezzasse i
capelli, sfiorando un
orecchio e il collo.
“Sì, sta
relativamente bene. Si sta sentendo col ragazzo che ha conosciuto
quella sera,
ha bloccato il numero del padre che continuava a chiamarlo per
minacciarlo, ma
ha il sostegno della madre, quindi direi che gli è andata
meglio di quanto
pensasse. Ah, la nonna è stata dimessa, ma quella vecchia
strega ci seppellirà
tutti, stanne certo – rise – tu in questi giorni di
vacanza sei stato chiuso in
casa facendo l’eremita?”
“Già”
replicò solamente, bevendo un altro sorso di birra e
fissando lo schermo
luminoso della tv, congelato in attesa del suo ritorno.
Shisui si
morse un labbro, serrando con forza le mani attorno alla bottiglietta
fresca,
sentendo qualche goccia di condensa inumidirgli i polpastrelli.
“Come sta
Sasuke?” domandò, certo che il fratello fosse
l’unico che si fosse premurato di
sentire.
Itachi
non rispose subito, sembrò prendersi il suo tempo,
disegnando col dito alcune
forme astratte sul vetro appannato.
“Tutto
sommato bene, credo – disse alla fine – non mi ha
detto molto al telefono e non
ci siamo ancora rivisti, ma nonostante tutto credo stia bene, o
perlomeno starà
bene.”
Il
silenzio era rotto solo dal ticchettio di un orologio appeso alla
parete, dalla
strada sottostante si udiva qualche clacson solitario, un eco distante
di chi
non poteva fare a meno di stare zitto nemmeno dietro un volante.
Anche
Shisui in quel momento non riuscì a tacere e prese il mento
del cugino tra le
dita, in modo da voltargli il viso nella sua direzione e guardarlo
negli occhi.
“E tu? –
chiese – Tu come stai, Itachi?”
Il
ragazzo sbatté le palpebre, nessun altro movimento
solcò il suo viso
impassibile. Non avevano bisogno di parole: entrambi sapevano che se
Itachi
quei giorni si era isolato era stato perché bene non lo
stava affatto,
probabilmente non sapeva nemmeno come affrontare la cosa.
“Cosa ti
turba? Si tratta di Sasuke e Gaara?” domandò
ancora Shisui, non riusciva ad
immaginare quale altro problema ci fosse, e poi lui aveva notato
chiaramente
l’interesse del cugino per il segretario dai capelli rossi.
“Sì”
esalò Itachi. Tirò indietro la testa per
sottrarsi alla sua presa, ma continuò a
guardarlo negli occhi; la sua fuga era terminata, ora sarebbe andato
fino in
fondo alla questione. Sapeva che altrimenti il cugino non gli avrebbe
dato
tregua, per l’affetto e la preoccupazione che nutriva nei
suoi confronti; in
fondo era grazie a lui, al suo carattere e ai suoi modi, se Itachi si
poteva
definire un adulto equilibrato, una persona che aveva lottato e poi
fatto la
pace con se stessa.
“Provo un
interesse nei confronti di Gaara, l’ho anche baciato
l’ultimo giorno a lavoro,
prima che Sasuke mi raccontasse quanto successo, anche se avevo
già i miei
sospetti. Eppure, nonostante questo, l’ho baciato e non
volevo fermarmi lì.”
“E
allora? – sbottò Shisui, irritato nel vederlo
così indeciso – Qual è il
problema? Sasuke? Non mi sembra stiano insieme, né escono o
si frequentano in
qualche forma, che c’è di male se ti fai avanti?
Cazzo, ti fai decisamente
troppi scrupoli! Itachi, devi pensare un po’ di
più a te stesso.”
Itachi lo
guardò in silenzio qualche istante, poi gli fece una carezza
tra i capelli
corti e mossi che gli piacevano tanto, così diversi dai suoi
lunghi e lisci.
“Se ci
fosse una situazione incerta tra me e un’altra persona tu
riusciresti mai a metterti
in mezzo?” Vide chiaramente la risposta sul viso di Shisui,
perché non c’era
nemmeno bisogno di parole per qualcosa di tanto scontato.
“No, per l’appunto, e
io non posso fare la stessa cosa a Sasuke, anche se non è
così facile tirarmi
indietro. Non fraintendermi: non sono certo innamorato, né
altro, è solo un
interesse; il problema è che non si tratta solo di
attrazione fisica, lo trovo
simpatico, mi piace parlargli, forse in altre circostanze sarebbe
potuto
diventare qualcosa di più serio. Ma non è destino
e io devo farmene una
ragione: Sasuke e Gaara devono chiarire ciò che è
rimasto in sospeso tra loro.
Nel frattempo io non posso vivere attaccato all’ipotesi che
tra loro non
succederà più nulla, devo andare avanti, ma
ammetto che il mio carattere si
ribella all’idea di arrendermi senza lottare, tutto
qui.”
Shisui
sospirò, nient’affatto soddisfatto da quella
situazione e dalle conclusioni del
cugino, che come sempre tendeva a razionalizzare troppo senza lasciare
spazio
ai sentimenti, e ovviamente a sacrificarsi in nome dell’amore
che provava per
il fratello.
“E Gaara
che ne dice? Perché immagino che ne abbiate parlato
l’altra sera e che Sasuke
non saprà mai del vostro bacio”
domandò, ricordandosi bene quanto fosse stato
strano durante il viaggio di ritorno in macchina.
Itachi
sorrise perché Shisui sapeva bene come funzionava la sua
testa e indovinava
sempre le sue azioni con precisione quasi chirurgica.
“Non
saprà nulla, non ce n’è bisogno, e
Gaara ha capito il mio punto di vista. Poi
non è detto che si mettano assieme o scoppi
l’amore, ma devono fare chiarezza
sui loro sentimenti prima di tutto.”
Non gli
raccontò di quell’ultimo bacio bello e inaspettato
che Gaara gli aveva
regalato, volle tenere quello splendido segreto per sé,
timoroso che delle
parole avrebbero sminuito il suo valore.
“Non è
giusto lo stesso, dovresti essere felice e basta, te lo
meriti!” esclamò Shisui
perché, nonostante tutto,
per lui la
felicità di Itachi veniva prima di ogni altra cosa. Era
sempre stato così, per
lui avrebbe venduto anche l’anima al diavolo.
Itachi
rimase interdetto di fronte alla veemenza con cui il cugino gli
esprimeva i
suoi sentimenti, riusciva sempre a sorprenderlo con la sua schiettezza,
dopo
tutti gli anni passati assieme ancora non gli riusciva di abituarcisi.
Gli
passò di nuovo le dita tra i capelli, dicendo:
“Starò
bene.”
Ne era
certo, in fondo non era mai stato veramente solo, non poteva esserlo
con lui a
fianco.
Shisui
però si scansò, non parlò,
bensì si fece avanti e gli mise una mano sulla nuca
mentre posava le labbra sulle sue. Lo baciò con forza, non
fu affatto delicato
o cauto, mentre le dita si intrecciavano a quei fili di inchiostro
capaci di
tenere avvinti, di legare a sé con la loro malia.
Gli
schiacciò le labbra con le proprie, le leccò e le
morse senza dargli tregua o
modo di sottrarsi, anche se avesse voluto. Ma Itachi non lo voleva,
accolse
invece quel bacio, rispondendo con la stessa urgenza, quasi una fame
che lo
stava divorando senza che se ne accorgesse.
Afferrò
il suo maglione poco al di sotto della gola come per avvicinarlo di
più, perché
non era ancora abbastanza, nonostante i nasi affondati nelle guance, le
labbra
che facevano male e i capelli che ormai si confondevano in un unico
oceano
scuro.
Shisui
era stato il suo primo uomo, negli anni avevano continuato ad andare a
letto
insieme senza nessun obbligo o complicazione, come se fosse stato
naturale
quanto respirare. Al di là delle altre relazioni
più o meno serie, a volte
semplicemente si trovavano a baciarsi e poi a fare sesso, senza che
questo
inficiasse la loro amicizia o creasse tensioni e imbarazzi. Non a loro,
non al
rapporto profondo che condividevano, in cui l’amore aveva
accezioni ancora
diverse da quelle già note.
“Stai
cercando di consolarmi?” ironizzò Itachi guardando
le sue labbra rosse e gonfie
che aveva ancora voglia di mordere.
“Veramente
starei cercando di scoparti – rise piano Shisui –
poi, se questo può fare bene
anche al tuo umore, direi che non guasta.”
“Addirittura
scoparmi? E chi ti dice che sarai tu a farlo?” Lo
provocò, passando la punta
del naso sul suo collo, sfiorando appena la pelle morbida della gola
coi denti.
“Perché
l’ultima volta sei stato tu a farlo, tutto qui, ma posso
sempre concederti
l’occasione per rifarti con un bis dopo.”
Rabbrividì
a quel semplice gesto, alla capacità del cugino di eccitarlo
semplicemente
sfiorandolo. Ogni volta tra di loro era sempre diversa, per i
sentimenti che li
accompagnavano, per i desideri, le posizioni e lo scambio dei ruoli,
non c’era
nulla di convenzionale nel loro rapporto.
“Non devo
scappare da nessuna parte, domani non lavoro e nemmeno tu, quindi direi
che è
possibile” rispose Itachi sempre con quel tono apparentemente
impassibile. In
realtà era eccitato, intrigato dall’idea di
spogliarsi e spogliarlo, vedere di
nuovo il suo corpo asciutto premuto contro il proprio e passare ore tra
le
lenzuola, a strapparsi gemiti e a reclamare piacere con le loro mani e
bocche
affamate.
“E la tua
partita alla play?” lo punzecchiò Shisui, mentre
però iniziava già a
sollevargli il maglione.
“Direi
che non me ne frega proprio un cazzo” stabilì
Itachi per poi baciarlo e, in
quel modo, zittirlo.
Non ci fu
più spazio per le parole che scivolarono via inutili come i
loro vestiti che
disseminarono a terra, sterili semi da cui non sarebbe nato nulla.
Furono
sul letto, assieme, i loro corpi che si conoscevano e non avevano
bisogno di
indicazioni o suggerimenti; le mani già sapevano quali
strade seguire, i
sentieri che li avrebbero portati alla loro meta, godendosi
però il viaggio.
Ogni volta con Shisui il paesaggio che vedeva dai finestrini cambiava,
non era
mai uguale, e loro ne godevano finché le bocche ansimanti
non appannavano i vetri
e ogni altra cosa veniva dimenticata, soverchiata dal piacere che si
regalavano.
Quando
Shisui entrò dentro Itachi ogni cosa venne dimenticata,
perché quel culo che
quasi artigliava mentre si muoveva, osservando le proprie falangi
sparire nei
muscoli contratti, era il fulcro di tutto.
Non
esistevano fratelli, storie potenzialmente esplosive, rimpianti,
rimorsi o
sacrifici, il loro stare insieme aveva spazzato via tutto. Shisui
traghettò
Itachi al di là del suo mare di confusione e dubbi, lo
strinse forte
ricordandogli chi era e promettendogli, senza bisogno di parlare, che
era al
suo fianco e lo sarebbe sempre stato.
Solo dopo
l’orgasmo, dopo essersi scambiati baci lenti e pigri,
soddisfatti, si
guardarono negli occhi per poi stendersi tra le coperte sfatte e
osservare
invece il soffitto.
Solo
allora la mente di Itachi riprese a funzionare, a formulare parole e
pensieri
coerenti. Ripensò un attimo alle parole di Gaara, alla
rivelazione sulla
passività di Sasuke, e scoppiò a ridere
perché quella sera si era tanto
meravigliato, ma quel giorno lui si era ritrovato a fare la stessa
cosa,
godendo maledettamente nel sentirsi riempire da un cazzo.
Sì, probabilmente
anche lui sarebbe stato più che compatibile con Gaara.
“Ehi, fai
ridere anche me” protestò Shisui con la voce
ancora un po’ affannata.
“Niente,
un pensiero sciocco – voltò la testa per guardare
lui invece del soffitto –
preferisco farti godere di nuovo invece che ridere.”
Shisui
finse di pensarci intensamente, con gli occhi assottigliati e la fronte
aggrottata:
“Direi
che ci sto, mi sembra un’ottima alternativa”
decretò infine riprendendo a
baciarlo, ma col sorriso sulle labbra di entrambi.
***
Se Gaara
avesse aumentato l’andatura anche solo di poco, la sua
camminata veloce sarebbe
diventata una corsa vera e propria. Schivava la gente che lo
circondava,
cercando varchi in cui infilarsi per superare quelle persone che
sembravano
oziare e avere tutto il tempo del mondo per fare pochi metri. Peccato
invece
che lui non avesse tutto il tempo del mondo, non ne aveva affatto in
realtà,
anzi, era in stramaledetto ritardo!
Aveva
preso una mattinata di permesso per poter sostenere un esame,
però la cosa era
andata per le lunghe. Il professore, solitamente puntuale, aveva deciso
di
cambiare abitudini proprio quella mattina e, oltre al suo ritardo,
erano
saltati fuori tanti altri piccoli disguidi che avevano portato Gaara a
essere
interrogato solo dopo la pausa pranzo.
Nonostante
la tensione e la fretta di dover tornare a lavoro, era andato molto
bene, tanto
che l’assistente aveva insistito perché fosse
interrogato anche dal professore,
quindi il ragazzo aveva dovuto attendere ulteriormente invece di
arraffare il
proprio libretto e scappare via.
Per tutta
quella serie di motivi si ritrovava ad un passo dal mettersi a correre
quando mancavano
pochi minuti alle sedici e trenta, impaziente di tornare in ufficio.
Proprio
quel giorno non era solo in ritardo per il lavoro, ma anche per un
appuntamento.
Doveva
rivedersi con Sasuke e, se la cosa di per sé gli metteva
già addosso un certo
nervosismo, l’essere anche in ritardo non gli rendeva le cose
più semplici. Gli
aveva mandato un messaggio per avvisarlo, ma non aveva ricevuto
risposta e
nella sua mente venivano proiettati diversi scenari sulle possibili
cause e le
relative conseguenze, ovviamente uno più disastroso
dell’altro.
Era
appena entrato nel portone del palazzo e si dirigeva verso
l’ascensore, quando
vide uscire da lì Hiashi Hyuga col fratello.
“Gaara,
pensavamo ci avessi abbandonato, come mai questo ritardo?”
domandò l’avvocato,
serio, molto esigente riguardo la puntualità e il rispetto
degli impegni.
Il
segretario ovviamente lo aveva avvisato, ma non era sceso nei dettagli
e,
quindi cercando di controllare la voce affannata, rispose:
“Mi
spiace, ma stamattina il professor Sarutobi è arrivato in
ritardo e io sono
stato interrogato solo dopo la pausa pranzo. Inoltre
l’assistente ha insistito
perché passassi anche dal professore e sono venuto appena ho
potuto.”
Era
evidente agli occhi di entrambi che avesse corso dato che aveva ancora
un po’
di fiatone e i capelli scombinati.
“Il
professor Sarutobi? – disse Hizashi, decisamente
più morbido del fratello
sebbene sempre molto serio – Non è da tutti venire
interrogati da lui, devo
dedurre che l’esame sia andato particolarmente bene
allora.”
“Beh,
ho
preso il massimo” annunciò Gaara, provando una
certa soddisfazione
nell’affermarlo ad alta voce e vedere il volto di Hiashi
contrarsi in un lieve
moto di sorpresa.
“Bene,
mi
fa piacere – disse questi – la prossima volta che
hai un esame sarà meglio che
tu ti prenda l’intera giornata per evitare certi
inconvenienti.”
Gaara
rimase interdetto, solitamente era difficile che gli concedessero di
prendersi
anche una mattinata libera, quindi quella proposta aveva un sentore di
fantascientifico.
“Certo,
farò così, il prossimo è tra due
settimane” rispose subito, prima che cambiasse
idea.
Gli
avvocati gli riferirono di alcuni appunti urgenti che gli avevano
lasciato
sulla scrivania e il segretario fu libero di andare. Si era ripreso e
il
fiatone era scomparso, peccato che adesso fosse diviso a
metà tra la stanchezza
e il nervosismo per sapere che fine avesse fatto Sasuke.
Entrò
nello studio e aveva fatto giusto un paio di passi quando si vide
venire
incontro Hinata, curiosa riguardo al suo esame. La ragazza si
congratulò con
entusiasmo, rivelandogli che lei la prima volta era stata addirittura
bocciata
e, chiacchierando, entrarono assieme nel loro ufficio.
Gaara si
era tolto giusto la sciarpa e si stava sbottonando il cappotto quando
rimase
bloccato a fissare la scrivania di Itachi, occupata però da
un altro Uchiha.
“Sasuke…”
mormorò guardandolo e non capacitandosi che fosse ancora
lì: in tutte gli
scenari immaginati il giovane architetto se ne era sempre andato via.
“Ho
pensato di aspettarti e mettermi a lavorare un po’ visto che
avevo il
portatile, e poi c’era anche la scrivania libera”
gli spiegò, in uno sfoggio di
splendida logica. Poggiò poi una mano sulle labbra e lo
guardò; era passato
veramente troppo tempo dall’ultima volta in cui si era
specchiato in quegli
occhi chiari che lo avevano sempre lasciato senza fiato.
Gaara
finì di togliersi il cappotto e lo appese, per poi
avvicinarsi alla sua
scrivania e osservarlo alzarsi in piedi. Rimasero qualche istante a
guardarsi
negli occhi, separati solo dal ripiano in legno, prima che il
segretario
dicesse:
“Capisco,
scusa per il ritardo, ma non è dipeso da me. Comunque potevi
anche lasciarmi i
documenti e andare via, non era necessario che rimanessi fino a
quest’ora.”
Professionale,
pacato e gentile, Gaara era stato impeccabile e la sua risposta offriva
ben
pochi appigli all’altro che invece avrebbe voluto avere uno
spunto per
approfondire la conversazione. In fondo aveva aspettato più
di un’ora perché
voleva vederlo, quella del lavoro ea solo un’ottima scusa,
almeno con se stesso
riusciva ad ammetterlo.
“Volevo
farti vedere una modifica al progetto. Ho aggiunto una vetrata, in
questo modo
ci sarà il 25% di luce in più, il che
inciderà positivamente sui consumi
energetici annuali, e ci sarà solo una minima variazione del
budget preventivato.”
Gaara
annuì e fece un piccolo sorriso di fronte a quello sfoggio
di professionalità,
era evidente quanto l’Uchiha si impegnasse nel proprio lavoro.
“Certo,
ricordo che il tuo argomento di laurea fosse un’architettura
a minor impatto
ambientale. Fammi vedere allora, ma sono certo che andrà
benissimo.”
Fece il
giro della scrivania per poter vedere assieme a lui lo schermo del
computer e
Sasuke si sedette nuovamente per richiamare poi la schermata del
progetto,
cercando di non apparire nervoso, anche se non era semplice. Gaara si
ricordava
tutto quello di cui gli aveva parlato, e la cosa lo fece sentire in
difetto
perché lui invece non aveva dato peso alle poche
informazioni che l’altro si era
lasciato scappare durante il tempo passato assieme.
Accantonò
quei pensieri e prese invece a illustrargli il progetto, incontrando
come
previsto la sua approvazione. Gli consegnò poi dei documenti
necessari per
chiedere l’autorizzazione per i lavori che al massimo entro
una settimana
sarebbero iniziati. Nel frattempo Hinata li aveva salutati ed era
uscita per
una commissione e loro due erano rimasti da soli nella stanza, in un
silenzio
teso perché avevano esaurito ogni argomento di lavoro.
Gaara
stava per allontanarsi e andare alla propria scrivania ricolma di
appunti e
fascicoli, ma Sasuke lo bloccò dicendo:
“Prima
ho
sentito che parlavi di un esame, di cosa si trattava?”
Non aveva
trovato nessun appiglio per avviare una conversazione e così
aveva tirato fuori
lui la pistola e ne aveva sparato uno, sperando che fosse abbastanza
forte da
sostenere il peso dei silenzi e delle tensioni tra di loro.
“Sto
frequentando l’università, legge ovviamente. Oggi
avevo un esame, per quello ho
fatto tanto tardi” gli spiegò Gaara, un
po’ sulle spine. Non sapeva davvero
cosa aspettarsi da Sasuke e dal loro incontro. L’ultima volta
che si erano
visti l’Uchiha lo aveva baciato e poi gli aveva dato della
puttana; era passato
del tempo, Sasuke stava andando da uno psicologo e in effetti gli
sembrava
diverso. La sua espressione, la postura del corpo non ricordavano a
Gaara il
giovane arrogante che aveva conosciuto. Tuttavia anche quello poteva
essere un
inganno e lui voleva andarci cauto.
“Mentre
lavori? È un impegno piuttosto gravoso –
affermò Sasuke, sinceramente
impressionato – non frequenti le lezioni però, in
effetti non ti ho mai visto
all’università e le facoltà di
architettura e legge sono vicine.”
“No
infatti non seguo le lezioni, do solo gli esami, è
l’unico modo – confermò
infatti Gaara – in realtà questo è il
mio primo anno. Tu hai concluso e io ho
iniziato, sono un ritardatario.”
Sasuke
sorrise appena, scuotendo la testa:
“Ma
no,
capita. Sono felice che tu abbia comunque trovato un modo per fare
quello che
volevi.” Si morse un istante un labbro, chiedendosi se non
stesse esagerando,
ma lo squillo del cellulare interruppe i suoi pensieri.
Gaara lo
osservò in silenzio mentre rispondeva a un cliente.
Guardò le mani robuste con
cui lo aveva carezzato e con cui adesso si tirava indietro i capelli
corti ma
scuri come quelli di Itachi, e a quel punto per lui fu impossibile
contenere la
scarica di ricordi che aveva tenuto a bada finora.
Ripensò
ai mesi trascorsi frequentando Sasuke, la loro rottura, le settimane
passate a
scambiarsi fredde mail di lavoro, pensò anche ai baci che
c’erano stati con
Itachi, la loro discussione la notte di capodanno e capì che
l’avvocato aveva
avuto ragione. Doveva prima di tutto chiarire le cose con Sasuke,
altrimenti
non sarebbe mai riuscito a lasciarsele alle spalle e a fare chiarezza
dentro di
sé.
Quegli
ultimi mesi erano stati esplosivi sotto tanti punti di vista e Gaara
aveva il
bisogno di trovare dei punti fermi da piantare dopo che la sua vita era
stata
stravolta e mandata all’aria. Non sapeva cosa gli riservava
il futuro, non
sapeva se esisteva un futuro per lui e Sasuke, ma se non avesse
chiarito non ci
sarebbe stato un futuro e basta.
“Scusa
l’interruzione” disse Sasuke mettendo via il
cellulare.
“Figurati
– rispose Gaara per poi decidersi a dire – a
proposito di telefonate… mi ha
sorpreso quella che mi hai fatto a Natale. Mi ha fatto anche piacere,
in
realtà.”
Sarebbe
stato ipocrita negare che era stato piacevole ricevere le sue scuse o
sapere di
essere ancora nei suoi pensieri, si era persino arrischiato a prendere
in
considerazione l’eventualità che la decisione di
Sasuke di rivolgersi a uno
psicologo dipendesse in parte anche da lui.
“Ah,
beh,
non era… insomma – mormorò
l’architetto in evidente difficoltà – ti
dovevo
delle scuse e poi volevo sentirti. Chiamarti per gli auguri mi era
sembrata una
buona idea.”
A
capodanno non aveva avuto tutto quel coraggio e si era limitato a un
messaggio.
Una cosa da niente e banale per una persona qualunque, ma non per lui,
per
Sasuke quelli erano passi da gigante, dopo una vita passata a ignorare
gli
altri.
“Hai
fatto bene” gli assicurò Gaara. Era stato il primo
step verso il loro
chiarimento, un’impresa titanica per due come loro incapaci
di comunicare.
“Gaara,
io…” disse Sasuke facendo un paio di passi per
avvicinarsi ma bloccandosi
perché l’altro era indietreggiato. Lo
guardò spaesato, senza riuscire a capire
cosa fare, una parte di sé aveva anche paura che le cose
fossero così rovinate
tra loro che solo un miracolo avrebbe potuto sistemarle.
“Scusa,
io…” mormorò Gaara in
difficoltà. Il suo era stato un gesto istintivo, ma
all’improvviso l’immagine di Sasuke si era fusa con
quella di Itachi e lui
aveva avuto paura che lo baciasse di nuovo. Era confuso, incerto, e non
comprendeva
i propri sentimenti; i rumori di passi, degli altri avvocati che si
muovevano
nello studio non lo aiutavano certo a rilassarsi in un dialogo
così spinoso.
“Non
è il
momento, né il luogo per parlare”
affermò alla fine.
“Già
–
concordò Sasuke – possiamo vederci da qualche
parte fuori?”
“Penso
che sia la cosa migliore.”
Sasuke si
morse un labbro perché gli era venuto istintivo chiedergli
di vedersi al bar
dove si erano conosciuti, sarebbe stato bello poter tornare alla notte
in cui
si erano incontrati, ma non era certo che quel suo sentimento fosse
condiviso.
“Un
caffè
o una birra una di queste sere?” propose invece.
“Una
birra andrà benissimo” decise Gaara. Aveva
già preso il caffè con Kankuro e non
era andato bene, meglio cambiare bevanda.
Il
telefono sulla sua scrivania iniziò a squillare e lui
sospirò, non c’era più
tempo per pensare agli affari personali.
“Ci
mettiamo d’accordo per messaggio, ok?” disse
andando a rispondere.
Sasuke
annuì e radunò la propria roba mentre lo
osservava lavorare. In quel momento
realizzò che Gaara parlava, mangiava, sorrideva, si muoveva,
respirava in modo
autonomo, senza bisogno di nessuno e lui voleva scoprire di
più su di lui;
voleva scoprire come fosse respirare la stessa aria assieme.
L’angolino
oscuro: Ogni tanto ritornano.
È passato un pezzo dall’ultimo
aggiornamento, mi domando anche se a qualcuno importi dal momento che
ho pochi
riscontri per questa storia, ma non importa, andrò avanti
perché la amo, amo
tutti i miei personaggi e il loro lottare nella vita di tutti i giorni.
Per questo capitolo
non ho molto da dire, è
abbastanza di passaggio, la natura della relazione tra Itachi e Shisui
è
chiarita, come se ci fossero stati dubbi a riguardo, ma…
è veramente tutto qui?
Gaara ha deciso che c’è bisogno di andare fino in
fondo alla questione e quindi
dà una seconda chance a Sasuke, ma non significa che
finiranno di nuovo
insieme, è giusto un nuovo inizio, vediamo come il nostro
Uchiha problematico
riuscirà a gestirla. Titolo e parole a inizio capitolo sono
della canzone Mr.
Brightside dei The Killers.
Per oggi è
tutto, alla prossima!