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Autore: Philly123    15/02/2018    1 recensioni
Breve storia sulla coppia XiuChen.
Appena finito il tour con gli EXO, il gruppo torna a Seoul per le meritate vacanze. Uno di loro, però, è tormentato da un segreto, non riesce più a trattenere i sentimenti che lo legano al suo migliore amico, Xiumin.
Edit: Come dicevo è una storia breve, potrei anche continuarla. Fatemi sapere, ci sarebbe ancora tanto da scrivere, in effetti
Genere: Introspettivo, Romantico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Shonen-ai, Yaoi, Slash | Personaggi: Chen, Chen, Xiumin, Xiumin
Note: Lemon | Avvertimenti: nessuno
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Com’era riuscito a farsi prendere in giro ancora una volta? Come aveva potuto pensare di avercela fatta? Era stato vicinissimo, ma quella storia era destinata a morire ancora prima di nascere.

Chen era rannicchiato sul suo letto, si era fatto piccolo, come per scaldarsi da solo. Non riusciva a non pensare alla sua rabbia, a quanto odiasse se stesso. Solo se stesso, perché non riusciva, nemmeno in quel frangente, a odiare Minseok.

Perché giocava con lui in quel modo? Non lo teneva in considerazione, pensava solo a sé stesso.

 

Ciò che Jongdae non sapeva era che nella camera accanto qualcuno stava piangendo. La testa tra le braccia, gli occhi stretti non riuscivano ad evitare che le lacrime scendessero.

 

Nonostante tutto l’alcol che aveva in corpo Chen non sarebbe mai riuscito ad addormentarsi, vedeva i caratteri luminosi dell’orologio segnare un orario sempre più folle. Aveva sentito i suoi amici tornare, chiudere le porte dopo aver chiacchierato in corridoio. Per il giorno seguente avrebbero già saputo quello che era successo, dato che i membri che non erano a festeggiare dovevano aver sentito tutto.

 

Improvvisamente udì un ticchettio inusuale, sembrava la porta, ma poteva anche essere il vento, o la corrente, qualche membro ancora sveglio che faceva casino.

Più forte. Sentì chiaramente un suono venire dalla porta e quasi si preoccupò, finché una voce rotta non sussurrò il suo nome.

-Jongdae...-

Era un sussurro flebile, impaurito, eppure riconobbe subito quel tono.

Si alzò dal letto, le gambe deboli sembravano quasi non reggerlo. Socchiuse la porta con cautela, ma poi la spalancò, trovando Minseok in lacrime lì dietro, piccolo come non lo aveva mai visto.

Il maggiore fece quasi un passo verso di lui ma poi si bloccò. Si mise le mani sul volto e scoppiò in un pianto.

Chen avrebbe voluto arrabbiarsi, urlare, sfogare la sua frustrazione, ma non ce la faceva a vederlo in quel modo.

Lo strinse fra le braccia, invitandolo ad entrare.

-Che succede? Parlami- gli sussurrava mentre lo faceva sedere sul letto e chiudeva la porta.

Xiumin si strinse al cuscino, sembrava un bimbo. Singhiozzava copiosamente, e ogni volta che si sforzava di fermarsi le lacrime uscivano più furiose. Gli occhi erano tutti gonfi e rossi.

Avendo capito che l’altro non sarebbe riuscito a parlare, Jongdae si sedette ai suoi piedi, per terra, e cominciò ad accarezzargli le gambe.

Avevano quel modo speciale di comunicare, loro due. A volte non serviva dirsi tante parole, bastava accarezzarsi piano, guardarsi negli occhi.

 

Ci stava cascando di nuovo.

 

Dopo una buona mezz’ora Minseok riprese appena controllo, non aveva più quegli spasmi, e le lacrime, che scendevano ancora, erano silenziose, delicate. La luce che filtrava dalla finestra gli segnava gli zigomi e quelle guance morbide che Jongdae avrebbe voluto baciare dolcemente. Si doveva trattenere.

Minseok inspirò due volte, preparandosi a un discorso troppo complesso.

-Scusami- riuscì soltanto a balbettare. La voce roca, inusuale.

-Di cosa?- Jongdae gli rispose in tono serio, facendo finta di non capire. Voleva che gli spiegasse. Voleva che per una buona volta potessero parlare faccia a faccia di quella assurda situazione.

-Questa volta ho esagerato.-

Le parole lo colpirono come una mazzata, per il loro significato implicito. Tutto ciò che aveva fatto quella sera era soltanto colpa dell’alcol, non intendeva davvero niente.

-Senti…- cominciò Jongdae, subito interrotto.

-No, fammi parlare. So che se non sfrutto questo momento non troverò più il coraggio. Sappiamo entrambi cosa sta succedendo, anche se sono stupido, Jongdae, so cosa provi.-

Le mani gli tremavano senza sosta mentre strapazzava l’orlo del cuscino.

-E ti va bene così? Che intendi fare?-

-Ti ho detto di non parlare.- Gli posò una mano sulle labbra, poi la ritirò di scatto. –Ci ho riflettuto molto, non è la prima volta in cui piango per tutto questo, semplicemente non volevo fartelo sapere. Stasera, ecco, io non riflettevo, per la prima volta ho fatto quello che mi veniva in testa, e ho sbagliato, ti ho messo in una brutta posizione.-

Jongdae spalancò gli occhi, incapace di frenare la lingua.

-Perché devi fare così?!- urlò mentre sbatteva forte un pugno a terra. –Perché non puoi semplicemente dire che ti è piaciuto, che è quello che vorresti?!-

Urlava, l’avrebbero sentito tutti, ma che importava?

Minseok era quasi rannicchiato su se stesso, in preda al panico dopo quella scenata.

-Io non ho detto che mi dispiace, Jongdae…- rispose con una voce pacata, piatta, imbarazzata.

 

La rivelazione aveva lasciato Chen senza parole. Continuava a boccheggiare come un pesce, cercando di articolare suoni che non gli venivano alla gola. Aveva gli occhi di Minseok puntati addosso, che scrutavano, nella penombra, ogni sua incredula espressione. Chen sperava che fosse l’altro a parlare, quella volta, perché non riusciva a trovarne il modo.

 

-Mi piaci, tanto, e da un sacco di tempo.-

 

Jongdae, a quel punto, cercò di elaborare i suoni che gli entrarono nelle orecchie. Non era possibile. Il suo Xiumin, il ragazzo che gli era piaciuto dai primi giorni del debutto, stava dicendo quelle cose. Lo vedeva come un maggiore, allora, irraggiungibile, bellissimo. Con il passare del tempo avevano guadagnato sempre più intimità, e se inizialmente Minseok gli era sembrato bello, in seguito era diventato perfetto, ai suoi occhi. Tutto di lui emanava una dolcezza al di fuori del comune.

 

-Jongdae- sussurrò l’altro, mentre si sedeva per terra, capendo che il suo amico non avrebbe parlato.

Il minore continuava a non trovare le parole. Non importava come tentasse di prendere la questione, non riusciva a elaborare un concetto.

Fece l’unica cosa che gli venne in testa, si sporse in avanti e posò un bacio sulle labbra di Minseok. L’altro ne rimase sorpreso, era rigido, ma dopo qualche secondo rilassò impercettibilmente i muscoli e poggiò le sue mani sulle spalle di Jongdae.

 

Quel tocco gli fece venire i brividi, non perché non conoscesse quei muscoli, quelle ossa, quella pelle, ma piuttosto perché sembrava la prima volta. L’odore di Minseok s’infiltrava nel suo naso, attaccato al suo viso. Le loro guance si accarezzavano piano, e Jongdae poteva sentire le lacrime fredde sulla sua pelle.

Non pensava che quel momento sarebbe mai arrivato.

Le mani di Jongdae erano avide del corpo di Minseok, ma si muovevano timidamente, conquistando un centimetro alla volta, per la paura che potesse spaventarsi, rifiutarlo.

Scendeva e scendeva, dalle spalle gli sfiorò le costole, poi si avvicinò al fianco, dove piccoli muscoli sporgevano; poi ancora, sentì le ossa del bacino, sporgenti, e provò un lungo brivido.

Le mani di Minseok erano, timide, sopra il suo collo, lo accarezzavano dolcemente, ma non avevano l’ardire di muoversi. Non lo stavano rifiutando.

Jongdae continuò il suo lento avanzare. Le mani adesso sfioravano la coscia, soda, liscia, appena coperta dal pigiama leggero.

 

-Perché singhizzi?- chiese, notando i singulti del suo Minseok.

-Non sai da quanto tempo desidero tutto questo.-

Gli si buttò addosso, lo fece cadere indietro, preoccupandosi di proteggergli la nuca. Il maggiore era sopra di lui, appiccicato, mentre continuava a piagnucolare.

-Avevo soltanto paura- continuò –paura di fare un passo troppo grande, paura dei miei desideri, che fossero sbagliati, ma soprattutto paura di perdere te, perché la nostra amicizia è tutto quello che ho, perché se mi odiassi io sarei costretto a scappare da qui, non ce la farei.-

Jongdae non rispose, ancora una volta non trovò le parole. Ci sarebbe stato tempo per quello. Piuttosto, iniziò a baciarlo avidamente.

Era un bacio diverso dal primo, con ciò che aveva sentito non sarebbe più riuscito a trattenersi.

Tastò ogni angolo della sua bocca, le lingue che si scontravano, e le mani, frenetiche, volevano ogni pezzo del corpo dell’altro.

Minseok si lasciava trasportare, un po’ impaurito, ma felice.

Jongdae cominciò a strappargli i vestiti, voleva sentire il suo corpo, voleva avere la sua pelle contro la propria. Si separarono appena un istante, per levarsi di quel peso che era ormai il suo pigiama.

Il minore non stava più nella pelle, voleva averlo, era eccitato, ma Minseok no. Leggeri brividi gli correvano sulla pelle, e quegli occhi affusolati lo guardavano fisso, quasi impauriti.

Jongdae capì subito e gli tese una mano, per farlo alzare da terra.

 -Vieni qui- gli sussurò.

L’altro accettò la stretta, ma la sua mano non era ferma, lo sguardo si era spostato verso il basso.

-Non ho mai fatto niente del genere- biascicò, quasi imbarazzato, come se fosse qualcosa di cui vergognarsi.

-Non ti preoccupare, lasciati trasportare da me- gli sussurrò Jongdae all’orecchio, mentre lo abbracciava.

Questo gesto così semplice doveva aver fatto scattare qualcosa in Minseok, poiché il minore, adesso, poteva sentire palesemente la sua eccitazione.

Lo portò cautamente sul letto, senza forzarlo, senza gesti troppo brutali. Jongdae non sapeva cosa avrebbe voluto, perché in quel momento tutto ciò che desiderava era farlo felice, soddisfarlo in qualsiasi modo avesse richiesto.

 

Una volta disteso sul letto, cominciò a baciarlo dolcemente. Ogni centimetro della sua pelle era buono, invitante, avrebbe voluto morderlo, prendersi tutto, ma non lo fece. Piuttosto, lo accarezzò dolcemente, prendendosi con cautela ogni piccolo pezzo di lui. Scrutò, baciò, accarezzò ogni neo, ogni cicatrice, tutte le piccole imperfezioni. Gli occhi di Minseok erano sempre puntati su di lui, non importava ciò che facesse, e le mani, dolcissime, accarezzavano sempre le sue dita, o i suoi capelli.

 

Infine ebbe tutto il suo corpo, con cautela, aspettando i tempi dell’altro.

Sentire i suoi gemiti sommessi fu la sensazione più dolce del mondo, la pelle dell’altro che si fondeva con la sua, il sudore che si mischiava senza che sapessero più a chi appartenesse.

 

-Ti amo- uscì a Jongdae dalle labbra, subito dopo aver fatto l’amore.

Non avrebbe voluto dirlo, gli era semplicemente scappato.

Minseok spalancò gli occhi, guardandolo per un minuto buono.

Aveva rovinato tutto, quel silenzio si fece incredibilmente imbarazzante.

-Ti amo anch’io- biascicò Minseok.

Si nascose tra le sue braccia, con la faccia di un altro colore, imbarazzatissimo. Si addormentò così.

 

La mattina seguente Jongdae si svegliò presto. Nonostante fossero passate soltanto poche ore da quando si erano addormentati, non era abituato a dormire fino a tardi, e in più le emozioni erano state troppe.

Minseok era ancora lì, che dormiva in una posizione assurda, braccia e gambe allargate a prendersi tutto lo spazio possibile. Quante volte l’aveva rimproverato, scherzosamente, per quel suo modo di fare. Ma non quella notte, per una volta aveva potuto stringersi a lui e dormire con il suo calore, il suo odore.

 

Saltellò in cucina dopo aver messo su velocemente i primi pantaloni che aveva trovato.

Avrebbe voluto aspettare Minseok per la colazione, ma sapeva che il ragazzo si sarebbe svegliato tardissimo, quindi iniziò a canticchiare mentre si preparava qualcosa.

 

-Siamo di buon umore oggi- esclamò qualcuno alle sue spalle.

Chen si girò di scatto, come colto in fallo. Eccolo, quel diavoletto sulla spalla di Suho.

-Che ho fatto?-

-Mhm… a parte sbattere le porte, urlare nel cuore della notte, e poi fare altri tipi di rumori? Beh, niente. Ah, e i pantaloni non sono tuoi. Hai le occhiaie, scommetto che non hai dormito.-

Chen nascose un sorrisetto e l’evidente imbarazzo.

Suho continuava ad avvicinarsi mentre parlava, con un sorriso sghembo e il dito puntato in segno accusatorio.

-Mi stai rimproverando, mamma?- contrattaccò Chen, con le guance accese di vergogna.

-Ti sto solo dicendo “te l’avevo detto”!- esclamò trionfante l’altro.

 

Sbuffò, mentre Suho cominciava ad andarsene.

-Quasi dimenticavo! Chiama il tuo ragazzo, ho pensato a una cosa per voi.-

 

Il giorno dopo si ritrovarono con un nuovo impegno.

In realtà, il tutto era stato programmato un po’ di tempo prima, ma all’ultimo momento Chanyeol e Sehun avevano lasciato posto a loro due.

 

Già presto al mattino si erano ritrovati in uno studio per registrare le loro interviste. Xiumin era frizzante dall’eccitazione dell’evento.

 

-Voi due avete un rapporto molto speciale, vero?- chiese l’intervistatrice, una domanda di rito, niente di più.

-È più o meno come se fosse mia moglie- esclamò, candido, Xiumin.

Chen tentò di nascondere l’imbarazzo davanti alle telecamere.

  
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