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Autore: Hi Im a Kupo    16/02/2018    2 recensioni
Il ricordo dei giorni passati con i tre pirati è ancora vivido nella mia mente, fin troppo, tanto da non esserci stato un solo giorno in cui non abbia pensato a loro.
I primi tempi dopo la separazione, beh, un inferno. Alternavo momenti di serenità a momenti di tristezza improvvisi, che scaturivano appena vedevo qualche cosa di anche solo vagamente riconducibile a loro.
Genere: Comico, Commedia, Slice of life | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Monkey D. Rufy, Nuovo personaggio, Roronoa Zoro, Trafalgar Law, Un po' tutti
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Lo raggiungo accelerando il passo quel tanto che basta per arrivargli al fianco. Mi guardo intorno, la boscaglia si dirama e i primi granelli di sabbia macchiano il terreno scuro ad indicarci la sempre più vicina spiaggia. La luce fioca della luna scivola fra le foglie delle piante, e il chiarore spettrale delle stelle spacca il nero della notte sopra alle nostre teste. Il suo profumo, il suo respiro, la sua sola presenza al mio fianco mi sembrano ancora irreali. Lo stomaco leggero come una piuma è la tangente prova che però, almeno questa volta, non è tutto nella mia testa.
“Law” lo chiamo per il suo nome, continuando a camminare con lo sguardo fisso davanti a me. Fra la vegetazione sempre meno fitta si intravede il mare, le sue acque scure che si muovono calme infrangendosi sulla riva. L’odore salmastro, il rumore delle onde.
Il ragazzo inarca solamente un sopracciglio, voltandosi verso di me in attesa di qualcosa. Qualcosa che in realtà non c’è. Non ho niente da dirgli, volevo solo che il suo nome uscisse dalle mie labbra un’altra volta, volevo accontentare la mia testa che, in fondo, ancora non era certa lui fosse lì. Mi giro verso di lui, i nostri sguardi si incrociano. Mi fermo, si ferma anche lui. Nella sua impassibilità una nota di confusione macchia i bei lineamenti. Non capisce cosa voglio, e forse non lo so neanche io. Un passo in avanti, quel tanto che basta per essere a pochi centimetri da lui. Porto la mano aperta al suo petto, il battito calmo del suo cuore sotto alle mie dita. Stringo il pugno afferrando il tessuto leggero della sua maglia e mi avvicino ancora di più. I visi a pochi centimetri l’uno dall’altro, il suo respiro caldo sulla mia pelle. Un brivido lungo la schiena, le gambe per un istante molli mentre sostengo il suo sguardo di ghiaccio contro al mio. Chiudo gli occhi. Attraverso quell’invisibile barriera che ancora ci tiene separati e appoggio le labbra sulle sue. Un bacio dolce, come mai era stato dato. Nessun bisogno, nessuna necessità. Accarezzo le sue labbra con le mie mentre sollevo l’altra mano verso la sua testa, infilo le dita fra i capelli e stringo appena alcune ciocche mentre mi premo un poco di più contro di lui.
Mi allontano. Apro gli occhi. Sorrido.
“Quindi?”  la sua voce roca soffiata fuori dalle labbra piegate in un sorriso provocante.
“Quindi niente” affermo io, sollevando autoritariamente il mento “Mi andava di farlo”.
Sorrido fiera e ritorno sui miei passi camminando nuovamente verso la spiaggia, precedendo, almeno questa volta, il capitano dei pirati Hearts.
 
 
“Beh, credo ti saluterò ora”. Mi fermo al centro della spiaggia, alle mie spalle la nave dei Mugiwara e lui in fronte a me. Mi guarda scettico, le mani tatuate affondate nelle tasche dei jeans.
“Puoi venire con me, se lo vuoi” il suo sguardo fisso contro il mio, la sua proposta, così invitante, che cela un mare di possibilità. Andare con lui, dove? Per quanto tempo? Solo per questa notte, giusto per sentire di nuovo l’ebrezza delle sue braccia calde contro al mio corpo e addormentarmi cullata dal suo respiro, o per sempre, per navigare al suo fianco e vedere nuovi mondi coi miei occhi? La mia mente si affolla di immagini, di idee, di sogni. Ma quel per sempre, forse, non mi sarà mai concesso.
“Non stanotte” gli sorrido facendo un passo verso di lui, ma fermandomi appena compiuto. Giusto un metro o poco più che ci separa, e l’aria frizzantina che ci scivola fra i capelli. “Ci vediamo domani mattina, sia mai che a stare troppo insieme poi ti stufi di me” una risata leggera che rompe la calma della notte, la mia. Sbuffa lui, divertito dall’inezia delle mie parole.
Anche se non mi fosse concesso il per sempre, voglio comunque anelare a raggiungerlo. Andrò con lui quando sarà il momento della separazione, e per questo voglio passare ogni momento possibile con Cappello di Paglia ed i suoi.
“Alla prossima, Capitano!” mi porto la mano alla fronte come un perfetto militare, e giro sui tacchi senza concedergli alcuna possibilità di ribattere. Corro via, un passo dopo l’altro, fino alla nave, e lì ci salgo senza voltarmi indietro. Intanto lo so, questa volta, che quando domani mi risveglierò lui sarà lì. Una sensazione di sollievo si fa largo nel mio stomaco, e sorrido da sola mentre cerco la mia camera fra le stanze della Sunny. Impresa che, a mio discapito, non è poi così facile.
 
 
L’aria salmastra che penetra dalla finestra accompagna il mio risveglio. Allungo le gambe contro il materasso soffice del letto ed inarco la schiena come una gatta, per sentire il rumore sordo delle ossa che scrocchiano. Quella piacevole sensazione di benessere che avvolge le membra appena sveglia mi pervade i muscoli, e mi lascio ricadere sulle lenzuola. Uno sbadiglio ed un colpo di addome e sono seduta a guardarmi intorno, rilassata. Ruoto il busto, lasciando che le gambe abbandonino il comodo appoggio per penzolare a lato del letto, sfiorando il pavimento fresco della stanza. Faccio leva sulle braccia, mi alzo, e con due lenti passi mi avvicino all’oblò. Il mare limpido che si muove calmo, il sole alto nel cielo, e la calda sensazione di una giornata estiva che passa oltre il vetro. È tutto così incredibilmente giusto, ora.
Torno indietro, allontanandomi dalla piccola finestra circolare, e agguanto una maxi maglia che mi doveva essere stata lasciata in stanza la sera prima, probabilmente appartenente ad uno degli uomini della ciurma. Indosso il costume e poi quell’indumento soltanto, che si affloscia sul mio corpo, scoprendo completamente una spalla. Sicuramente tutto molto più comodo dei vestiti del giorno prima, e molto più adatto per dover passare una tranquilla giornata sulle spiagge di quel paradiso tropicale.
Esco dalla mia stanza a piedi nudi, lo smalto nero sulle unghie ancora perfettamente in ordine nonostante la sua non troppo recente applicazione. Quello delle mani invece martoriato dall’acqua di mare e dal mio violento stress pre-esame; poco importa, farò il possibile per aggiustarlo appena ne troverò uno.
Imbocco la strada per arrivare al ponte scoperto, dove probabilmente alcuni della ciurma si stanno rilassando fra una chiacchiera e l’altra. Appena esco la luce del sole mi investe ed i miei occhi faticano ad abituarsi alla nuova luminosità. Mi porto una mano al viso per ripararli, e da sotto la sua infima ombra metto a fuoco le poche persone che ancora si trovano lì: Nami, appoggiata ad un bordo del parapetto con una mappa fra le mani, intenta a segnare chissà cosa su di essa, Usop a chiacchierare amabilmente con Chopper seduti in un ritaglio di ombra, che appena si accorgono di me alzano la mano con foga in un allegro saluto e Sanji, che vedo arrivare appena in tempo per balzare indietro, evitando il suo inquietante inchino di fronte a me. Spalanco gli occhi, impreparata, quando lo vedo inginocchiarsi con eleganza e afferrarmi la mano delicatamente.
“Mia regina, mi auguro tu abbia dormito splendidamente stanotte!” esclama sorridente, puntando gli occhi contro i miei “Come posso migliorare il tuo risveglio portandoti qualcosa da mangiare, o da bere magari?”. Compio un traballante passo indietro, ancora decisamente interdetta e balbetto un incerto “Ma.. veramente..” ancora troppo perplessa per reagire in qualsivoglia altra maniera.
“Oh, non importa Luce mia, faccio io! Ti preparerò una colazione degna della tua bellezza!” continua imperterrito con la foga di un amante impazzito, e prima che io riesca a realizzare davvero quanto successo sparisce dalla mia vista, alle volte della cucina.
Spalanco gli occhi confusa mentre fisso ancora incerta davanti a me. Spiazzata dalla sua reazione, ancora troppo poco sveglia per razionalizzare una risposta sufficientemente aggressiva, prendo un respiro profondo e torno a camminare in direzione della bella navigatrice.
Sorrido avvicinandomi a lei e mi appoggio al parapetto poco distante, abbastanza per non ostacolare il suo lavoro e per riuscire a vedere, al contempo, il suo operato. Lo splendido disegno di quella che apparentemente potrebbe essere la mappa dell’isola, tracciato da una mano sicura e una linea purissima, è contornato da scritte e simboli probabilmente utili per la navigazione o una successiva spedizione ricognitiva al suo interno.
“È davvero bellissima” dico, rivolta più alla carta che a lei, mentre sorride fiera fissando l’inchiostro nero.
“Già, è venuta particolarmente bene in effetti”. Non rispondo più, rimaniamo entrambe a contemplare l’immagine sotto ai nostri occhi finché qualcosa di particolare non attira la mia attenzione.  L’orso polare di Law avanza, terribilmente accaldato, sulla spiaggia. Sorrido, conscia di ciò che tale visione significhi. Poco più in là, infatti, gli altri membri della ciurma dei pirati Hearts, con tanto di capitano al seguito, camminano verso il punto della spiaggia in cui si trovano Rufy e Zoro, appena sbucati dalla vegetazione con un enorme animale morto sulle spalle. Un momento di ribrezzo mi permea le viscere a guardare gli occhi vitrei di quella sorta di bufalo malamente trascinato dai due. Lo ricaccio in gola deglutendo pesantemente, spostando lo sguardo sulla camminata calma di Law. Qualcosa mi si muove dentro, e senza rendermene conto comincio a camminare, un passo dopo l’altro scendo dalla nave, e realizzo appieno ciò che sto facendo solo quando la sensazione calda, anzi, ustionante, della sabbia mi aggredisce le piante dei piedi. Salto come una molla imprecando, mentre attiro l’attenzione dei ragazzi su di me. Troppo concentrata sul dolore per accorgermi di ogni altra cosa, mi riaggrappo alla scaletta della nave come un piccolo koala spaventato. La risata di Zoro arriva limpida alle mie orecchie, e mi giro per rispondergli a tono quando vengo preceduta da qualcun altro nel farlo. Già, il mio già discutibile onore di pulzella in pericolo non viene difeso dal mio tatuato cavaliere, bensì dal cuoco dei Mugiwara, che, abbandonato il vassoio ricolmo di ogni ben di dio predisposto per la mia sontuosa colazione, si butta a precipizio per salvarmi dal temibile nemico. Quando lo vedo arrivare, o meglio, balzare direttamente giù dalla nave, mi stringo ancora di più al mio rifugio sicuro, cominciando a balbettare un impaurito “no, nonono..”. Persa ormai ogni capacità di rispondere per le rime a quel cuoco da strapazzo (si, l’influenza di Zoro su di me è ormai ben tangibile), mi rimane solo una primordiale paura nei suoi confronti, non sapendo più come comportarmi per farlo smettere.
Si avvicina rapidamente sotto al mio sguardo terrorizzato ed un iniziale sconcerto da parte del capitano degli Hearts, e mentre mescola sapientemente imprecazioni di svariato genere verso il marimo e ammalianti complimenti nei miei confronti, mi avvolge con le braccia portandomi con un gesto esperto addosso a lui. Rimango lì, rannicchiata e spaesata con gli occhi spalancati, mentre mi spingo il più possibile (per quanto lo permetta la mia discutibile postazione) lontana da lui. Rassegnata all’inutilità delle minacce o qualsivoglia altra iterazione nei suoi confronti, mi rassegno all’inesorabile destino.
“Sanji” soffio fuori dalle labbra, provando a sembrare meno indispettita di quanto lo sono in realtà “puoi cortesemente mettermi giù?”
Lo sguardo sognante del ragazzo torna immediatamente su di me, distratto per un attimo dall’ennesimo insulto dello spadaccino.
 “Mia principessa, il mio cuore non può sopportare la visione della tua sofferenza” mugola servile.
Mi porto una mano alla fronte grattandola nervosamente, sentendo fisso contro la schiena del cuoco lo sguardo di un pirata di mia intima conoscenza, piuttosto irritato, nascosto dalla mia visuale dal busto del biondo ragazzo.
“Oh, non ti preoccupare, diamine” sbotto un po’ meno tranquilla, mentre mi agito per slanciare le gambe giù dalla sua presa. Prontamente mi libera, sostenendomi nella discesa fino a quando sento i piedi poggiarsi nuovamente a terra.
“Ti ringrazio” tiro le labbra in un sorriso mansueto, mentre mi accingo a superarlo diretta verso lidi assai più interessanti. Incrocio lo sguardo col mio dottore, che solleva un sopracciglio in quello che, per qualunque essere umano al di fuori di lui, si sarebbe potuto definire un moto di stizza.
Alzo una mano per salutarlo, mentre passo dopo passo avanzo verso di lui. Tutto sembra così perfetto: lui, la spiaggia bianca, il rumore delle onde, l’aria solleticante sulla pelle. Tutto perfetto, salvo il terribile impatto facciale con il terreno ustionante, i miei mugolii sofferenti, la sabbia in bocca, ed un terribile male diffuso ormai in tutte le membra. Appena mi riprendo dallo shock, ancora scossa e sofferente, mi giro verso la causa di tale accaduto con parole irripetibili sulle labbra. Rufy, sconquassato pure lui, mi stava sdraiato a peso morto sulla schiena, completamente disinteressato all’accaduto, ma particolarmente preso per l’essere riuscito ad individuare a distanza il dannato granchio del giorno precedente, sicuro che questa volta non l’avrebbe proprio passata liscia. E giusto un secondo dopo questa rapida ed esaustiva spiegazione, un urlo di guerra “Ri-eccolo!” mi trapassa i timpani da parte a parte, accompagnato da una violenta ginocchiata sul costato nel furioso tentativo di rimettersi in piedi il prima possibile e ridarsi alla caccia sfrenata. Le mille colorite sfumature di imprecazioni che mi aleggiano nella mente non riescono fortunatamente ad uscire dalla mia bocca, pervasa dal respiro strozzato che l’ennesimo colpo mi ha causato e da quel mezzo quintale di sabbia che avevo tristemente ingerito dopo questa dolorosa scenetta.
Arrancando sul terreno mi rialzo, lentamente, richiamando alla testa quel poco o niente di concentrazione spirituale che so, provando a rilassarmi. Mi scrollo dalla maglia la sabbia e la risistemo con alcuni strattoni ai bordi, cercando di ridarmi un contegno.
“Non credo sopravvivrai a lungo, così” un sorrisetto ironico splendidamente stampato sulle labbra di Law, mentre non fa assolutamente niente per aiutarmi. È il mio turno, questa volta, di inarcare un sopracciglio.
Sbuffo, camminando verso di lui e superandolo senza degnarlo di uno sguardo, diretta verso il mio improvvisamente nuovo obiettivo: Bepo, seduto tranquillamente contro una pianta poco distante. Alcuni passi dopo, conscia di avere ancora lo sguardo (indispettito, magari?) del capitano addosso, mi giro quel tanto che basta per puntare lo sguardo sul suo viso.
“Se continui a guardarmi il culo così, me lo sciupi” affermo divertita, un angolo della bocca inarcato in un sorriso provocante, prima di girarmi e corricchiare verso lo splendido orso polare.
Sono quasi certa di colto completamente alla sprovvista il suo capitano, per almeno un secondo.
Che le danze abbiano inizio.
 
​SPAZIO AUTRICE
​Buondì,
​a distanza di un'imperdonabile quantità di tempo, pubblico il capitolo successivo. 
​Dubito ci sarà ancora qualcuno disposto a leggere questa pazzia, ma in caso ci fosse lo ringrazio immensamente. 
​Non posso assicurare la regolare pubblicazione di capitoli, in quanto questo stesso è stato scritto in un momento di illuminazione improvvisa, dettata da non so cosa, ma proverò, almeno, a dare una fine a questa storia prima o poi.
Chiedo umilmente il perdono dei poveri santi che mi hanno seguita fino a qui,
​con un mondo di affetto, alla prossima!
   
 
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