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Autore: Asteroide307    18/02/2018    2 recensioni
Titolo: "Quello che non vedevo"
Dal testo
"Eri Yoshida aveva compiuto da qualche giorno sedici anni e iniziavano per lei le superiori. Ormai era la terza volta che cambiava scuola, arrivata a quel punto sapeva che non avrebbe avuto una quarta possibilità. [...] Eppure Eri era troppo alta rispetto alle ragazze della sua età. I suoi polsi erano più spessi di quelli delle ragazze della sua età. Non aveva chiesto lei di nascere così, eppure era successo e per quanto continuasse a correre ogni giorno, per quanto non mangiasse regolarmente, le sue ossa restavano spesse e sgraziate, a detta di tutti i compagni delle sue classi precedenti."

«P-Posso t-togliermi.» Balbettò, terrorizzata ed insicura.
Lui inizialmente sospirò soltanto. «Non importa, avendoti davanti non riuscirei comunque a vedere – spostò la sedia nel banco avanti a quello del compagno con cui era entrato in classe – sei una ragazza, dovresti essere più sottile.»
Genere: Malinconico, Romantico, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: Tematiche delicate, Triangolo | Contesto: Scolastico
Capitoli:
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«Ah, l’ho dimenticato anche oggi. Sono quasi sicuro di averlo preparato.»
Atsuko, ascoltando i brontolii di Issei, sbuffò sorridente. «Sapevo, sarebbe successo, e ne abbiamo parlato soltanto ieri.»
«Sta zitta, Nomura.» Le fece una linguaccia, rimettendosi accovacciato sul banco, dava l’idea di star dormendo. Aveva appena cercato nella sua borsa il bento, certo di esserselo portato. Dopo averne parlato il giorno prima, era stato più attento con le porzioni e le aveva sistemate nel modo migliore, se non fosse stato per un piccolo dettaglio sarebbe andato tutto bene; lo aveva dimenticato.
 
«Eri-chan, ci vediamo direttamente al tetto? – Aveva chiesto, di buon umore come al solito – Io vado un secondo in aula insegnanti, ok?»
«Certo N-Nomura-kun!»
«Ti ho già detto di chiamarmi Atsuko!»
Issei si voltò verso Yoshida, anche lei compagna di banco, la guardava da uno spiraglio formato dai suoi capelli neri e lisci. Dopo l’affermazione di Nomura, Eri arrossì adorabilmente.
«S-Sì, A-Atsuko.»
“È così carina…imbarazzata.” Pensò, anche se un po’ infastidito dalla cosa, Issei.
La compagna abbandonò in fretta la classe, lasciando soli Eri ed Issei. Nonostante le cose gravi successe in quegli ultimi giorni, proprio quel giorno, Issei non vedeva l’ora che arrivasse la pausa pranzo, non solo per non vedere per qualche tempo la brutta faccia dei professori, quanto perché aveva voglia di stare con quelle sue due nuove amiche.
“Che razza di voglia” sospirò, divertito, Issei “sembro una ragazzina, eh?”
«Ha-Hasegawa-kun… - lo chiamò timidamente Eri, lui non perse tempo a sollevarsi, mostrandole interesse, ma per orgoglio non la guardò subito in volto, stiracchiandosi un po’ – io…oggi, ho…p-preparato il bento…»
Non ne capì il motivo, ma la cosa lo rese di buon umore. Aveva fatto capire a Yoshida di dover mangiare a scuola e di non saltare così nocivamente i pasti, il suo aiuto era servito a qualcosa.
«E-Ecco… avevo soltanto questi – goffamente prese dalla borsa un bento con sopra dei bei fiori di ciliegio, molto stilizzati e graziosi, su una base uniforme di texture che imitavano il legno di ciliegio – questo…è meno femminile d-di quello che ho portato io.»
Issei non capì, inizialmente.
Aveva preparato due bento? E cosa doveva interessare a lui se uno era meno femminile dell’altro?
«Eh?» Fu l’unica cosa sensata che riuscì ad uscire dalla sua bocca.
«V-Volevo…ringraziarti.» Chiudendo gli occhi, avvicinò il bento a lui, il tutto seguito da un cortese inchino. Glielo stava porgendo.
Il ragazzo coprì, come di consueto, il volto con una mano. Sapeva di essere diventato rosso per l’imbarazzo, inoltre c’era una curiosità morbosa che lo stava spingendo ad accettare, giusto per sapere come cucinava Yoshida. Quel pensiero per lui, quella accortezza, quel bento era stato preparato da lei in persona, sua madre non poteva soccorrerla.
Issei allungò una mano, per prenderlo, attento a non scoprire il volto arrossato, sussurrava molto timidamente. «Grazie…»
Eri sorrise, sentendosi ringraziata. Aveva un sorriso dolce e solare, quelle poche volte che decideva di mostrarlo. Eppure non era una persona fredda o chiusa, solo insicura, a parer suo inutilmente, visto che la trovava anche particolarmente graziosa nell’ultimo periodo.
Issei sentì subito una strana presenza avvicinarsi a loro, anche se non aveva distolto lo sguardo neppure per un momento. Yoshida era troppo timida per guardarlo direttamente in faccia.
«Yoshida-kun!»
Era Kata.
Issei si voltò lentamente, come per non dare peso al gesto, ma facendo attenzione a mettere bene in mostra il bento sul proprio banco, l’omaggio gentilmente offerto da Yoshida.
«Potresti…venire con me? Vorrei parlarti un secondo.»
Issei assistette alla situazione piuttosto perplesso. Da quando quel tipo senza fegato aveva il coraggio di chiedere ad una ragazza di seguirlo fuori? Ma soprattutto, perché la cosa gli dava così tanto fastidio?
Kata era di per sé un ragazzo tranquillo, non creava mai problemi ed era una compagnia piacevole, ma per qualche motivo ultimamente la sua presenza irritava terribilmente Issei. In quel momento si era porto verso Yoshida con una gentilezza ammirabile.
Eri annuì, sulla difensiva. Lo seguì fuori.
Hasegawa storse le labbra, non gli era andata proprio a genio quella cosa. Prese il bento, raggiungendo la porta della classe e mettendosi appena dietro per poter guardare ma non farsi vedere. Kata si era messo davanti ad Eri, che al momento dava le spalle ad Issei, inconsapevole del fatto che li stava spiando.
 
«Yoshida…mi sento terribilmente in colpa a sapere che non ti ho aiutato a fare la ricerca – il ragazzo chinò lo sguardo, colpevole – so che hai già finito di farla, vorrei scusarmi in qualche modo.»
«Non è necessario.»
Yoshida era piuttosto fredda con le persone che considerava nemiche, ma dai suoi atteggiamenti i capiva perfettamente che non era una reazione spinta dall’odio, quanto dal volersi proteggere.
«Quel giorno…non ho insistito, sapendo cosa era successo. F-Francamente sono felice, perché adesso, ti vedo parlare più spesso e sorridi, ogni tanto. Significa…che la nostra classe non è per forza un posto da cui scappare, giusto?»
Eri stringeva le gambe, timidamente. Issei si sentiva sempre più nervoso e inquieto, perché mostrava a Kata quelle reazioni così carine? Inoltre lui si era persino preoccupato di osservarla, era certamente felice del fatto che Yoshida si fosse ambientata, finalmente nel suo piccolo angolo di classe.
Conoscendo il soggetto, sicuramente Kata si era preoccupato, tuttavia era troppo spaventato dalla reazione di Hitomaru per reagire e fare qualcosa.
«G-Grazie…per l’interesse.»
Le gote di Kata, unico viso che poteva vedere Issei, si colorarono.
«Grazie… per tutto, ma… non m’importa delle scuse, non più.»
«Mi dispiace…ma, Hitomaru… è fatto così.»
«Beh, allora dispiace a me – parlò con più sicurezza, Eri – per i suoi amici, che hanno a che fare con una persona del genere.»
Senza dire altro era andata via, lasciando in Kata una sensazione, palese dalla sua espressione, di angoscia e pentimento. Era chiaro che Yoshida non volesse niente da lui o da chiunque altro fosse stato, anche passivamente, dalla parte di quelli che l’avevano ferita.
Tornò dentro la classe in fretta, chiedendosi come mai lui andasse bene a Yoshida. Come mai, nonostante non volesse neppure parlarci con quel genere di persone, Issei andasse bene. Era vero, l’aveva trattata male inizialmente, ma poi aveva fatto delle cose gentili nei suoi confronti.
Era…un po’ felice del fatto che avesse scelto lui.
Del fatto che gli avesse dato una possibilità.
Era fortunato.
Quando Eri tornò, Issei finse di non aver sentito nulla, offrendole uno sguardo disattento. «Andiamo?»
Eri annuì soltanto. Non volle parlare. Non capiva come mai, d’altra parte, forse quell’incontro l’aveva messa di cattivo umore. Non era impossibile che quello che le aveva detto Kata l’avesse turbata.
Mentre camminavano l’una di fianco all’altro, per i corridoi, Yoshida non alzò lo sguardo neppure una volta. Si vergognava di andare in giro con il bento? Era lui quello che doveva sentirsi in imbarazzo, visto che sfoggiava quel coso dalle decorazioni rosa con estrema disinvoltura e quasi orgoglio. Inizialmente lo aveva fatto per farlo vedere a Kata, poi aveva preferito non nasconderlo visto che non c’era motivo di farlo.
 
Camminando vide Naoko, nello stesso termosifone del giorno prima. Parlava ancora con le sue amiche ma aveva notato subito la sua presenza, e quindi, anche quella di Yoshida. Lo sguardo era decisamente confuso, non doveva riuscire a spiegarsi perché andasse in giro con un’altra ragazza.
Forse si era messa in quel posto proprio per rivedere Issei, nella speranza che avesse fatto la strada del giorno prima. In effetti il ragazzo non aveva pensato alle conseguenze di quel genere di atteggiamento. Non aveva pensato a fare un’altra strada perché in compagnia di Yoshida.
Naoko non si nascose sotto nessuna maschera, non era semplice delusione quanto disprezzo. Inspiegabile disprezzo. In fondo cosa stava facendo di male, oltre che camminare con una compagna di classe?
Ci pensò soltanto dopo, ricordandosi del bento.
Naoko, che non era particolarmente coinvolta nel discorso delle sue amiche, strinse il volto, chiaro e incorniciato da lunghissime ciocche lisce e brune, in un’espressione sprezzante. Smise di guardarlo subito dopo.
Hasegawa sospirò, infastidito. Come se nulla fosse mai accaduto continuò a camminarle di fronte, ignorandola quasi.
Non voleva fare qualcosa di strano per dimostrarle chissà che cosa. Naoko doveva dimenticarsi di lui e quello era il modo più veloce e indolore. Per quanto non fosse nulla di grave per lui, probabilmente Harada c’era rimasta male davvero.
Dimenticandosi per qualche secondo di chi avesse accanto, Issei si lasciò trascinare in una tempesta di pensieri. Non lo avrebbe dimostrato, probabilmente neanche accettato, ma qualunque cosa stesse pensando Naoko di lui, lo spaventava.
 
«Hasegawa-kun, quella era la tua ragazza?» Fu la prima cosa che gli chiese una volta raggiunto il tetto, Yoshida.
Issei storse le labbra. Come lo aveva capito? Eppure non credeva di essersi comportato in modo particolare. Annuì soltanto dopo. «Ci siamo frequentati per del tempo.»
Voleva darle una risposta leggera e facile da assorbire. Conoscendo Eri, si sarebbe fatta mille complessi come del non camminare insieme o del non parlare ad altre ragazze se aveva una fidanzata.
«Dovresti… nascondere il bento che ti ha o-offerto una r-ragazza, d-davanti a lei.» La sua voce, diventata stranamente docile, quasi tremava, per qualche ragione.
Yoshida non sapeva davvero cosa c’era stato tra lui e Naoko.
«Però… - riprese poco dopo, stringendo le mani, poggiate sul bento sulle sue cosce leggermente scoperte dal modo in cui era seduta, ma ben coperte da una calzamaglia nera e vagamente lucida – non…non voglio che tu smetta d-di parlarmi. A-Anche se sarebbe giusto così, io…»
Le guance di Issei si imporporarono in fretta. «Stai zitta e non pensare a queste cose stupide. Non smetterò di parlarti per non far star male una persona con cui non sto.»
Così dicendo, aveva lasciando una brutta verità salire a galla. Aveva detto che non lo avrebbe fatto per una persona con cui non era più fidanzato, ma nel caso lo fosse stato, allora non si sarebbe fatto problemi a non rivolgerle più la parola, o così pensò di aver fatto capire Issei, data l’espressione triste sul visino tondo di Yoshida.
«Non lo farò comunque, puoi stare tranquilla per favore?»
Per smorzare quella tensione pungente, aprì il bento che aveva messo sulle gambe intrecciate disordinatamente. Aveva fatto del riso, della carne e un uovo decorato con occhi e bocca, fritto e sul riso. Quello di Eri non era uguale, aveva messo delle verdure e del pesce. Aveva tutto una bellissima presenza, anche l’odore era gradevole.
«Sai cucinare, Yoshida?»
«Cucino da tanto tempo per mia madre – disse l’amica mentre usciva le bacchette dalla bustina di plastica morbida – ho imparato per forza maggiore, e poi, per un periodo non mangiavo quasi nulla, mi piaceva cucinare anche per questo.»
Issei prese le bacchette, prendendo un pezzetto di carne. «Sei stata davvero stupida per un periodo. Questo momento appartiene al passato vero?»
«S-Sì!»
Vedendo che non toccava nulla, nonostante l’avesse aperto, Issei si incuriosì. «Perché non lo assaggi?»
«Aspetto che arrivi A-A-Atsuko.»
“Che carina. Diamine.” Issei ripose il pezzo di carne, sbuffando. «Va bene, aspettiamola.»
«T-Tu… tu puoi mangiare!»
«Non sono un maleducato io, ragazza stupida.»


 


«Che fai questo sabato?»
Aveva domandato distrattamente un compagno di scuola ad Issei, era di un’altra classe, mentre guardava sul cellulare, poco prima di andarsene. Conosceva quel tipo si chiamava Jin Koizumi di cognome ed era qualcuno che frequentava fuori dalla scuola, nelle serate in cui decidevano di arrivare fino a Kyoto per farsi un giro. Insieme a lui c’erano altri ragazzi del centro città che conosceva e in effetti era da tanto che non si organizzava qualcosa.
Probabilmente, ciò che lo stranì, fu il fatto che invece di Hitomaru, avevano chiesto proprio a lui di esserci. Forse la sua compagnia era gradita, rispetto a quella di quello sbandato biondo, ottuso come una capra.
«Abbiamo chiesto anche a Miura di venire.»
Ovviamente la notizia lo destabilizzò. Sebbene Miura fosse suo compagno di classe, seduto neanche tanto distante da lui, ormai era addirittura un anno che non si rivolgevano la parola ma ad Issei non piaceva mettere in giro strane voci, inoltre i suoi problemi personali, dovevano restare tali.
«Cos’è, una rimpatriata?» Rise, Issei, sistemando i libri nella cartella.
Koizumi era quel tipo di persona totalmente disinteressata al mondo che lo circondava, non gli importava di importunare le persone perché non ne ricavava bene fisico e mentale. Quel genere di persona che non dà fastidio semplicemente perché non gliene importa nulla.
«Più o meno – distolse lo sguardo dal cellulare, sorridendogli – se vuoi, puoi portare la tua nuova ragazza, come si chiama, Yoshida, vero?»
Come conosceva il suo nome? E soprattutto perché una voce del genere era arrivata alle sue orecchie? Non è che si spaventasse del fatto che avrebbe potuto dirlo in giro, ma la cosa che lo turbava era proprio che lo avesse saputo, non solo perché non era vero, ma perché una cosa del genere avrebbe potuto raggiungere Naoko, vaporizzando quel poco rispetto che provava verso di lui.
«Ok, può essere che io glielo dica, ma lei… non è la mia ragazza. Chi te lo ha detto?»
Koizumi stava poggiato sul bordo della finestra che porgeva sul corridoio, il foro permetteva alla classe di comunicare con quell’ambiente. «Non ci sto pensando, forse…forse Fujihara, è possibile?»
“Lei, sempre lei. “
«Comunque dovresti portarla – si allontanò, divertito – anche l’altra ragazza con cui ti vedo sempre, non so, forse Nomuri? Nomura?»
«Ti faccio sapere.» Lo salutò velocemente con un gesto della mano, uscendo. Voleva raggiungere Eri, così da fare la strada per la stazione insieme, ormai lo facevano ogni giorno, era un tragitto piacevole.
 
Camminando in fretta notò Fujihara a parlare con Hitomaru. Non gli servì avvicinarsi o altro, tanto lei lo avrebbe comunque visto, dato che si era subito girata verso di lui. Non gli servirono neppure parole per fulminarla, il messaggio era chiaro, doveva starsene zitta e farsi un bel po’ di affari suoi.
 
Quando uscì, vide Eri. Si era fermata davanti il cancello, probabilmente lo stava aspettando.
La raggiunse con fare disinvolto.
«Mi stavi aspettando?» Domandò, sorridente.
Yoshida arrossì. «E-Ecco…»
«Andiamo ragazza stupida.»
 
Gli piaceva il fatto che Eri camminasse al suo fianco. Anche senza parlare, era come se gli stesse bene. In quei momenti, insieme a Yoshida, dimenticava la minaccia che incombeva passando il tempo con lei, visto che in quella scuola i pettegolezzi erano parte integrante della giornata scolastica.
«Yoshida, che fai sabato?» Sospirò, Issei, mettendo le mani dentro le tasche durante la camminata.
«Lavoro nel pomeriggio.»
«Tua madre ti lascia arrivare fino a Kyoto? Vengo a prenderti io, così sta più tranquilla… si parla della sera. Dei miei amici mi hanno invitato in centro, puoi dirlo anche a Nomura se ti fa piacere e ti senti più sicura.»
Eri rimase inizialmente senza parole. Doveva essere la prima volta che usciva con degli amici, Issei non poteva saperlo ma dall’espressione carina e sorpresa che aveva fatto lo aveva intuito.
Era sicuramente felice di quella proposta.
«V-Volentieri!»
«Fammi un favore – storse le labbra il ragazzo – dì ad Atsuko che ci sarà anche Miura, così evito seccature.»
«Miura? Il ragazzo biondo in classe?»
«L’altro biondo, quello più alto – rise – comunque sì, lui. In passato hanno avuto dei problemi, comunque non penso che si siano risolti, visto che non si rivolgono la parola da allora.»
Yoshida si morse teneramente le labbra. Doveva essere curiosa ma non voleva chiedere per non sembrare invadente. «C-Comunque… v-verrai davvero tu? Non è necessario! So quale treno prendere per andare a K-Kyoto!»
«Ma non sapresti dove andare, e poi non faccio uscire una ragazza minorenne da sola il sabato sera. Il mondo è pieno di malviventi.»

 


Invaghita da una strana eccitazione che non voleva dimostrare apertamente, Eri aveva fatto tutto ciò che doveva. Ne aveva parlato con Atsuko e insieme si erano messe d’accordo. Lei avrebbe raggiunto la residenza Nomura, facendosi vedere dalla madre di Atsuko, così che potessero scambiarsi il numero di cellulare, in quel caso avrebbe potuto contattare la figlia, visto che non aveva un telefono suo, dopo sarebbero passate al centro commerciale, Atsuko voleva prendere uno shampoo, tornando infine a casa Yoshida per sistemarsi.
Per lei quello era tutto un mondo nuovo e inesplorato. Non sapeva come comportarsi e neanche come vestirsi. Sperava di non far fare brutta figura ad Issei, visto che l’aveva così gentilmente invitata, soprattutto, era stata informata del fatto che quelli erano ragazzi più grandi di loro per cui ragionavano in modo diverso, rispetto agli studenti delle superiori.
Hasegawa li conosceva e sembrava piuttosto tranquillo, probabilmente non le avrebbe chiesto di venire se avesse saputo che si sarebbe potuta trovare male insieme a loro.
Era felice di fare finalmente delle cose normali e adatte alla sua età.
 
«So cosa stai pensando, non smetti di sorridere, comunque uscire con gente che passa i sabati a bere e fumare non è normale – sospirò Atsuko, dopo essersi chiusa la porta d’ingresso alle spalle – però, almeno è divertente.»
«T-Tu sei mai uscita con queste persone?»
«Una volta uscivo con dei ragazzi del doposcuola, gente un po’ fuori di testa, non credo di considerarli miei amici.»
“Probabilmente, le persone devono sapersi arrangiare nonostante le cose brutte che accadano” pensò, Eri, di fianco ad Atsuko che continuava a parlare delle cose che avrebbero dovuto preparare “però, io non ne sono mai stata capace; se non mi avessero salvato Nomura e Hasegawa io sarei sola, proprio come tutti gli altri anni.”
Atsuko era vestita davvero bene, aveva messo dei jeans chiari e sopra una camicia a mezza manica, per sicurezza si era portata una giacca casual cobalto, sembrava una ragazza adulta. Aveva lisciato meglio i capelli e messo un filo di matita sugli occhi. Non perdeva il suo stile ma riusciva a combinarsi piuttosto bene.
Yoshida, più inesperta, era rimasta sorpresa della trasformazione di Atsuko, la quale sembrava muoversi piuttosto bene in quel campo.
Appunto Eri non era sicura di riuscire a vestirsi come una ragazza matura, non sapeva truccarsi e non era mai capitata una situazione simile. Per fortuna Atsuko aveva portato con sé dei trucchi per aiutarla, eppure non era certa che sarebbe riuscita a trovare la soluzione.
«Hai già pensato a cosa mettere?»
Eri strinse le spalle. «Veramente…no.»
«Ho capito, ho capito. Voglio comprare una cosa per te. Visto che sei alta, nessuno penserebbe a prima vista che fai le superiori, allora dobbiamo vestirci in modo un po’ più provocante, che ne dici, Eri-chan? Non ti ho mai vista senza i vestiti di scuola.»
Era diventata tutta rossa. Provocante? Quel termine non esisteva neppure nel suo vocabolario.
La cosa che un po’ la preoccupava era che vestendosi in quel modo, Hasegawa l’avrebbe vista. Non capiva il motivo della preoccupazione ma c’era ed era insistente dentro lo stomaco.
Non voleva metterlo in imbarazzo e neanche sembrare troppo fuori luogo, eppure Atsuko sembrava esperta o comunque ne sapeva più di lei.
«C-Cosa vuoi c-comprare?»
«Ti vedo sempre in calzamaglia a scuola, dovremmo prendere delle parigine, che ne pensi?»
Le parigine erano forse quelle calze alte sopra al ginocchio? Eri avvampò al solo pensiero. Erano davvero fuori la sua portata. Non poteva indossarli, sarebbe stato imbarazzante, ma non riusciva a dire di no ad Atsuko visto che era stata così gentile da pensare a cosa avrebbe potuto mettere.
Si era presa quell’impegno tanto amorevolmente che non riusciva proprio a deluderla.
«Non preoccuparti, Eri-chan, io non sono una stupida – sorrise, sospirando – se sapessi che qualcosa può starti male o metterti a disagio non te lo proporrei neanche, ma visto che le tue gambe non hanno niente di sbagliato, credo che quel tipo di calze siano decisamente adatte a te.»
“Credeva fossi spaventata…e mi ha aiutata. Atsuko è davvero una bella persona, mi chiedo cosa abbia fatto di buono per conoscerla. “
 
Eri stringeva le labbra mentre Atsuko sceglieva le calze più adatte a lei, era talmente impaurita da non riuscire neppure ad avvicinarsi allo scaffale. Per fortuna Nomura pensava a tutto e ogni tanto guardava verso di lei chiedendogli se la fantasia delle calze andasse bene, senza parlare, ovviamente.
Ne scelse, in fine, un paio semplice, nero.
«Penso che queste vadano meglio, solo più lucide e trasparenti.»
Yoshida tremava dalla timidezza, erano trasparenti e avrebbero persino lasciato parte della coscia scoperta. Con quale coraggio avrebbe indossato quelle cose?
Atsuko la trascinò fino al camerino, chiedendole di provarle.
 
Eri, rimasta da sola dentro quello spazio dedicato alle persone che volevano provare il capo prima di acquistarlo, dovette fare i conti con lo specchio. Si guardava attentamente, aveva tolto la calzamaglia che indossava per la scuola, mettendo il prodotto preso da Atsuko.
Le sue gambe sfilavano maggiormente, scoperte.
“Se penso che mi stiano bene, poi alla fine… qualcosa andrà male, vero?” La sua espressione triste non le permetteva di godersi liberamente quel momento di piacere personale.
Erano belle, erano davvero belle.
Le piaceva come scivolavano sulla sue gambe e le piaceva il fatto che poteva sollevarle quasi fino alla coscia, ma certamente, qualcuno l’avrebbe presa in giro quella sera, smantellando completamente ogni suo pensiero positivo.
«Eri-chan, hai finito?» Senza dire altro, Atsuko aprì la tendina del camerino. La cosa inquietante fu il modo in cui la guardò, chiudendo subito dopo.
“Mi stanno così male?” Pensò, rattristata e confusa, Eri, dalla reazione dell’amica.
«Eri-chan, toglile, così le paghiamo – abbassò dopo il tono della voce – non pensavo ti stessero così bene… s-sembri una studentessa universitaria. Fai veloce, se vedono che delle liceali acquistano questo genere di capi ci faranno dei problemi.»
È vero, anche se Atsuko non indossava più la divisa, lei sì.
Velocemente le sfilò, porgendo, con un braccio fuori dalla tenda arancione, il capo a Nomura. Lei andò subito a pagare, mentre Yoshida si rivestiva.
 
Uscendo dal camerino, Eri si guardò intorno, accorgendosi soltanto in quel momento che quel negozio non era un semplice negozio d’abbigliamento, ma vendeva, soprattutto biancheria intima. Lo capì dal manichino con un bellissimo reggiseno azzurro con sui si scontrò.
Prima di capirlo, si era scusata, pensando che fosse una donna.
«Non sei troppo giovane per queste di calze?» Aveva detto una donna, la sua voce era arrivata ad Eri fin dalla cassa, il sangue si era immediatamente congelato dentro alle vene. La signora era piuttosto sorridente, non sembrava avrebbe fatto problemi.
«N-Non così giovane.» Aveva riso, nervosamente, Atsuko.
«Va bene, forza, vai via prima che se ne accorga qualcun altro.»
“Che signora gentile!” Arrossì Eri, guardandola come imbambolata mentre Nomura la spingeva verso di sé, correndo per uscire.
 
«Bene, abbiamo le calze, ora servono i vestiti.»
«N-Non posso permettermi i vestiti!»
«Non devi comprarli, scema. Adesso che arriviamo a casa tua scegliamo gli abiti migliori.»
«A-A-Atsuko-chan, n-non sono troppo e-e-esagerate quelle calze?»
«Non a Kyoto.»
 
Non ci volle molto per arrivare fino a casa sua, dopo aver preso quei due treni. In effetti il trucco di Atsuko si era leggermente sbavato a causa della foga e della fretta che avevano. Hasegawa sarebbe passato alle sette di sera, ed erano già le sei e mezza. Purtroppo Eri non era riuscita ad uscire abbastanza prima visto che proprio quel giorno in biblioteca c’era un gran lavoro da fare, ma pensavano di poter fare in tempo.
 
«Oh cielo! Una nuova amichetta di Eri?» Aveva esultato sua madre, vedendo Atsuko entrare.
L’amica rivolse alla donna un bellissimo sorriso. «Signora mamma di Eri-chan, finalmente la incontro! Che piacere immenso, non può sapere!»
Eri si grattava nervosamente la nuca. Quelle due sembravano estremamente simili. «Amh…»
«Lei ha fatto un lavoro straordinario con Eri! Se fossi stato un ragazzo l’avrei sposata all’istante, lo sa? Non solo è così graziosa ma è anche una persona purissima, per questo devo ringraziarla di cuore, signora mamma di Eri-chan!»
“Non ho ancora detto a mia madre che sarei uscita.” La cosa un po’ la turbava visto che avrebbe lasciato la madre da sola per tutta la notte, ma in qualche modo sapeva che non le avrebbe impedito di uscire. Potevano comunque restare in contatto dal cellulare.
“È vero, la cena! Devo preparare la cena alla mamma!”
«Oh, ma sei proprio un’adulatrice, eh? Come ti chiami giovane fanciulla?»
«Mi chiami Atsuko, la prego.»
«Io sono Irene, Atsu-chan!»
«Neanche sua figlia mi chiama in modo così carino!»
Eri doveva mettere fine a quella strana situazione, sbrigandosi. Non voleva far aspettare Hasegawa.
«Mamma, senti…»
«E’ vero, Irene-kun, stasera volevamo uscire con dei compagni di scuola, può venire Eri-chan?»
La cosa che non si sarebbe aspettata era proprio l’espressione contraria sul volto di sua madre. Sembrava decisamente preoccupata. Non credeva che sua madre potesse irrigidirsi tanto davanti ad una proposta del genere.
«Compagni di classe? Dove andrete?»
Atsuko era in difficoltà. «E’ un posto vicino la scuola, un karaoke.»
In quel preciso momento, suonarono al campanello.
Tutto si complicava. Doveva essere Issei ma perché era venuto con trenta minuti di anticipo?
La verità era che l’errore lo aveva fatto Eri, pensando che sua madre non le avrebbe detto niente per l’uscita. Forse non se la sentiva di restare a casa senza Eri? Anche perché magari il sabato era un po’ pericoloso rimanere da soli.
Yoshida sospirò, andando ad aprire. Era lui.
Fu impossibile non arrossire.
Issei era totalmente diverso dal solito. Parte della sua frangetta scura era stata raccolta dietro da fermargli, indossava pantaloni larghi e una maglia attillata sotto ad una felpa, di quelle americane, con le maniche bianche e il resto rosso, sopra vi erano anche delle scritte in inglese, cucite volontariamente amatorialmente.
Raccogliendo i capelli, scopriva parte delle orecchie piene di piercing. Nel lobo c’era un orecchino nero largo che catturò immediatamente l’attenzione di Eri.
Le mancava il fiato.
Perché il suo cuore batteva così forte?
 
«Hai dato il meglio di te, Hasegawa, vero?» Sorrise imbarazzata, Atsuko, portando il peso della discussione avvenuta poco prima sul nuovo arrivato.
«Hey, Nomura. Ah scusami Eri – l’aveva chiamata per nome? Aveva sentito bene? – ma sono arrivato un po’ prima, spero non sia un problema per tua madre se resto qui mentre ti prepari. Oh, Irene! – Si avvicinò alla donna, prendendole le mani e sorridendo – come sta? Non ci vediamo da quella volta.»
«Mocciosetto, sono stata una ragazza anche io – interruppe il loro contatto – stai facendo il bello con me per convincermi a far uscire Eri?»
Issei si voltò verso l’amica, la guardava come se volesse ucciderla. Lui non sapeva che Yoshida non aveva ancora avuto il permesso di uscire, quindi era sembrato piuttosto viscido con lei.
«Mamma, lui non sapeva che non potevo andare. Non l’ha fatto per questo.»
L’aveva salvato, in calcio d’angolo.
«Ah, comunque non ho detto che non puoi andare – sospirò, lei – solo che non mi piace sapere le cose all’ultimo. Per questa volta passa, ma la prossima volta che devi uscire voglio saperlo almeno tre giorni prima.»
Tutto sembrò prendere una piega positiva. Eri sorrise, correndo incontro alla madre, per abbracciarla. Lo fece delicatamente, prima di poterle fare davvero male. «Grazie, grazie, grazie tanto!»
Atsuko e Issei si diedero il cinque, anche non vedendoli Eri aveva sentito i loro palmi battere.
«R-Ragazzi, io dovrei preparare la cena a mia madre, ci m-m-metto poco – evitava lo sguardo di Issei, non solo perché il suo aspetto le faceva sentire uno strano caldo, ma anche perché sapeva di essere in ritardo e non poteva farci niente – lo p-prometto!»
«Ah, Eri-chan, sei così carina che non posso neanche restare arrabbiata con te – sbuffò, imbronciata, sua madre – va a prepararti, ci penso io, al massimo ordino qualcosa, ok?»
«N-No… ne abbiamo parlato tante volte.»
Sapeva di essere testarda ma non poteva permetterle di mangiare cibo poco salutare e non poteva neppure lasciarla cucinare visto che anche solo scottandosi o tagliandosi la sua situazione fisica sarebbe potuta peggiorare.
«Ci penso io, avanti – sospirò, divertito, Issei, mentre toglieva la giacca, scoprendo una canottiera nera e stretta contro il suo addome, ciò risaltava le sue spalle larghe – Atsuko, aiuta Eri e fate in fretta. Qui il cuoco è molto veloce.»
Irene aveva incrociato le braccia al petto, sorridente. «Va bene, mi sa che dovrò accettare, almeno c’è lo spettacolo.»
Nomura assisteva alla situazione come se stesse accadendo qualcosa di estremamente stupido.
Senza pensare ulteriormente, salirono in fretta fino alla stanza di Yoshida.
 
«Eri-chan, la tua camera è uscita forse da… una casa delle barbie? Non ho mai visto tante cose rosa.»
Anche parlandole, Yoshida era strana, almeno da quando era arrivato Issei. Sembrava assente. In effetti l’unica cosa a cui pensava era quella di sbrigarsi per non far aspettare Hasegawa, anche se al tutto si aggiungeva uno strano entusiasmo e tante paure.
«C-Cosa dovrei mettere?»
Atsuko iniziò a massaggiarsi il mento. «Non puoi indossare quelle calze per uscire, devi metterle quando usciamo.»
Aveva ragione. Non poteva farsi vedere da sua madre vestita in quel modo.
Non pensava che avrebbe vissuto così intensamente la sua prima uscita.
«Abbiamo poco tempo, Eri-chan, fammi vedere i tuoi vestiti. Preparo tutto io, ok?»
Yoshida, sconfitta da quel fato così crudele, le indicò l’armadio.
Atsuko prese le cose, probabilmente, più inadatte. Eri non le avrebbe scelte volontariamente. La gonna a pieghe, rossa, era troppo corta e il maglione nero era troppo attillato. Perché voleva vestirla in quel modo?
«Lascia questa calzamaglia, per il momento – lanciando disordinatamente i vestiti sul letto, prese le estremità della camicia scolastica, sfilandola il più delicatamente possibile (anche se sarebbe bastato sbottonarla) – yah, Eri-chan, mi fai arrabbiare, lo sai?» Atsuko gettò la camicia su una sedia, distruggendo l’equilibrio ordinario di quella stanza.
«C-Cosa p-pe-perché?» Yoshida era stata violentemente spogliata dalla sua amica che cercava di farla sbrigare.
I seni prosperosi di Eri non passarono certo inosservati agli occhi della “meno fortunata” tra le due amiche. Il reggiseno metteva particolarmente in risalto la mercanzia di Yoshida.
«Quasi neanche mi serve indossare il reggiseno, per questo.» Borbottò, fingendosi offesa, mentre le lanciava la gonna. Eri aveva tolto quella scozzese, gialla, della divisa scolastica, infilando quella rossa.
«S-Senti, ma c-come dovrei… i-indossare le calze fuori?»
«Ti copro un secondo e lo fai!»

 


«Quindi – iniziò a parlare Irene, vedendo Issei muoversi familiarmente attorno ai fornelli, mentre lei lo osservava con una mano sotto al mento, compiaciuta da quella vista – dove andrete?»
Issei si paralizzò.
Beccato.
«E-Eri non le ha detto niente?»
«Veramente non c’è stato il tempo.»
«N-Non lo sappiamo ancora… forse mangeremo una pizza.»
«Dove?»
Quel ragazzino stava cercando di prenderla in giro e la cosa era piuttosto evidente, non solo perché la sua versione non combaciava con quella dell’amichetta di Eri, il suo temperamento nervoso e vago la diceva lunga.
D’altra parte, lui era consapevole della fossa che stava scavando per se stesso, sebbene non volesse comunque cedere.
Voleva davvero che Yoshida uscisse con loro?
Lasciò il riso sopra, sedendosi di fronte ad Irene. La guardava negli occhi.
«Si fida di me?»
«Se mi dici le bugie, no.»
Issei sospirò, sorridendole, con fare piacente. «Irene, io proteggerò Eri anche se andassimo in capo al mondo, lo capisce?»
La donna gli accarezzò il viso. «Ne sono sicura, solo che continui a divagare sul dove diamine avete intenzione di andare.»
Hasegawa rabbrividì.
«Eh va bene, abbiamo appuntamento con dei ragazzi della scuola a Kyoto, non so cosa sappia ma questa è la verità al cento per cento – si era grattato i capelli, attento a non smontare quella costruzione di forcine e gel – sono sicuro che non glielo abbiano detto perché si sarebbe preoccupata, ma ci sono io, posso proteggerla, davvero.»
Irene sorrise. «E’ carino che tu sia venuto fin qui per non farle andare da sole.»
«Sono un gentiluomo, cosa pensa?»
«Va bene, a me sta bene, ma voglio che lei mi dica la verità le prossime volte… a dirla tutta – guardò verso le scale, non c’era ancora l’ombra delle due amiche – sono felice che esca con i ragazzi della sua età, inoltre, questa sua nuova amichetta mi sta davvero simpatica, anche se sembra un po’ svitata. Proprio come piacciono a me, le persone.»
Issei soffocò una risata, sentendo la definizione di Nomura.
 
Parlare con Irene era stato piacevole. Non capiva perché si sentisse così legato a quella donna, eppure, per le poche volte che l’aveva vista, quella gli era sembrata la personificazione esatta della madre, il genere di persona che mancava nella sua famiglia.
Yoshida era fortunata ad avere una persona del genere in casa, qualcuno che si preoccupava per lei, ma riusciva a capire anche quando dare fiducia alla figlia per non tapparle le ali.
«Non ti nascondo che mi tremano le ginocchia al solo pensiero che la mia bambina possa arrivare a Kyoto tutta sola… non faccio che pensare al fatto che non potrei aiutarla se avesse qualche problema, che non potrei andare a recuperarla nel caso perdesse il treno, né potrei salvarla dalle mani di qualche delinquente… per cui, se non fossi venuto, non credo l’avrei lasciata andare, non ho creduto alla questione del karaoke fin dall’inizio.»
“Karaoke? Le hanno detto così? Reggeva perfettamente. Potevo anche arrivarci senza saperlo, che stupido.”
«Sai, con questi vestiti non sembri neppure un sedicenne.»
«Ho già compiuto diciassette anni, comunque.»
Irene aveva un’espressione confusa. «Hai perso un anno?»
«No, no, da bambino avevo dei problemi di salute, quindi ho cominciato il mio percorso scolastico un anno dopo, rispetto ai miei coetanei, ma in realtà, questa cosa non la conosce nessuno a parte la mia famiglia e lei.»
La donna sembrò toccata. Si era aperto con lei, rivelandole una strana realtà, non così preoccupante ma decisamente personale.
«Capisco. Quello che volevo dire – fece il possibile per non dar peso a quello che aveva detto, superando il discorso come se non avesse importanza, Issei aveva capito che lo faceva per non farglielo pesare – è che penso tu possa proteggere quelle ragazze… non ho motivo di fidarmi di te, ma sai, non posso neppure costringere Eri a restare in casa, altrimenti, che razza di genitore sarei – i suoi occhi erano diventati tristi come quella volta – sono impotente. Vorrei proteggerla ma nonostante tutto, non credo di avere il diritto di impedirle di vivere visto tutto quello che fa per me. So… che se le dicessi di farlo, lo farebbe e non me ne vorrebbe neanche, tuttavia, puoi capire che sarebbe una cosa orribile da parte mia. Per questo, mi sembri l’unica ancora a cui aggrapparmi… ho una paura tale da sentire i muscoli del corpo irrigidirsi ma… Eri deve andare.»
Così premurosa, così attenta, così giusta, Irene era davvero la madre che Issei non aveva mai potuto avere. Perché lamentarsi? Sua madre era in ottima salute, ancora per poco probabilmente, mentre Irene era la causa di tutte quelle costrizioni per Yoshida, ma alla fine, una volta tornata a casa, Eri avrebbe trovato una madre amorevole, al contrario di lui.
Sospirò, stringendo i denti, arrabbiato. Non era giusto.
«Non le accadrà nulla, davvero. Andrà tutto bene e gliela porterò a casa sana e salva.»
Irene gli accarezzò i capelli. Sentendo quel contatto, ad Issei venne la pelle d’oca, era quel gesto che sua madre non aveva mai fatto. Era stata delicata, attenta a non distruggere la capigliatura, riuscendo comunque a far sentire il calore del suo palmo al corpo di Hasegawa.
«Scusami, Issei, se ti addosso tutte queste responsabilità.»
«Io… ho sempre detto ad Eri che non faccio cose che non mi va di fare. Non è semplice strafottenza. Preferisco impegnarmi per le cose che mi interessano.»
«Ti interessa proteggere Eri?»
Le gote di Issei si colorarono. Nascose immediatamente il viso sotto la mano. «S-Sarà.»
 
Dei passi raggiunsero la cucina. Issei era tornato a preparare la cena ad Irene, non facendo caso effettivamente alla situazione. Voleva soltanto preparare dei piatti belli da vedere quanto buoni.
Voleva piacere davvero ad Irene.
«E-Eri… SEI ASSOLUTAMENTE BELLISSIMA!» Aveva urlato la donna, sconnettendo Hasegawa dai fornelli per spingerlo a girarsi.
Yoshida si era fermata sulla soglia della porta, teneva lo sguardo basso e le ginocchia strette per l’imbarazzo. Issei non poté che restare a fissarla, come stregato. Atsuko le aveva legato i capelli in una treccia sulla spalla, lasciando la frangetta libera sulla fronte. Le aveva fatto mettere una maglioncino leggero, nero, ma piuttosto attillato e con una scollatura matura. Sulle spalle aveva una giacca del medesimo colore e sotto il tutto vi era una gonna a pieghe, rossa. Le sue scarpe erano simili alle converse ma leggermente rialzate, come con una specie di tacco quadrato – lui non se ne intendeva – e alte come degli stivali un po’ sopra la caviglia.
La cosa straordinaria era probabilmente il modo in cui era truccata. Il trucco leggero sugli occhi e quel rossetto rosso che risaltava le sue labbra carnose, rendendole lucide alla vista, tutto ciò le stava d’incanto.
Probabilmente stava arrossendo, per sicurezza si coprì il volto.
«Ma quella gonna non è troppo corta?»
Irene se n’era accorta dopo ma Issei lo aveva notato subito. Le sue gambe risultavano lunghe e ben delineate da quella calzamaglia nera che spezzava il rosso acceso dei vestiti.
Era corta.
Troppo corta per andare a Kyoto, con i ragazzi che c’erano.
Sembrava un’altra persona. Una bellissima ragazza che risaltava le sue curve più morbide di quelle delle ragazze comuni, diversa dalla ragazza graziosa nascosta dagli abiti larghi che indossava a scuola o di consueto.
«Irene-kun, ho fatto un buon lavoro? È vero la gonna è corta ma non le sta benissimo? Lasciarla nell’armadio era un peccato.»
«Sei stata fantastica, Atsu-chan!»
Sembrava un discorso tra ragazzine, più che tra una madre e una studentessa.
«Non dici niente, Issei?» Lo chiamò, Irene, ridendo.
«Stai bene.» Mugugnò sotto la mano, velocemente, tornando poi in cucina.
 
Sentiva la testa esplodere. Yoshida era bellissima vestita in quel modo. Lo infastidiva sapere che uscendo chiunque avrebbe potuto guardarla. Cos’erano quelle sensazioni così strane?
“Naoko, Issei, devi pensare a Naoko.” Si disse, sospirando, ma solo poco dopo ebbe una rivelazione. Perché doveva dirsi di pensare a Naoko, se dimenticarla era proprio il suo unico obiettivo?
Inoltre, a che gli serviva pensare a Naoko? In fondo, non c’era niente di male nel trovare Yoshida bella, lui era pur sempre un ragazzo, un ragazzo libero di pensare le stesse cose che avrebbe potuto pensare chiunque altro, nella sua situazione.
“Non voglio che pensino che Yoshida è bella.” Pensò, ancora, infastidito.
 
«Irene, la cena è pronta. L’ho coperta con la pellicola così resterà calda per un po’, può mangiarla quando preferisce.»
La donna gli diede ragione, come se le avesse ricordato qualcosa. «E’ vero, Eri-chan, non so per quanto tempo resterò sveglia ma se dovessi addormentarmi prima del tuo ritorno – da un cassetto prese qualcosa – tieni, sono le chiavi di casa.»
Yoshida sembrava così felice di quel gesto. Forse finalmente si sentiva un’adulta, Issei aveva le chiavi di casa e probabilmente anche Nomura.
Hasegawa rimise in fretta la giacca. «Bene allora noi andiamo.»
«Non tornate oltre l’orario dell’ultimo treno o picchierò qualcuno di voi, e ovviamente, intendo te, Issei caro – gli diede un bacino sulla spalla, visto che non arrivava lontanamente alla sua fronte – comunque grazie per la cena!»
Issei era troppo alto per essere un ragazzo di soli diciassette anni, ne era certo.
 
Dopo essersi salutati tutti, iniziarono a camminare per la stazione. Atsuko ed Eri parlavano gioiosamente alle sue spalle ma lui non era riuscito a rivolgerle la parola neanche per un secondo, dato che avrebbe dovuto guardarla. Non riusciva ad accettare quell’abbigliamento così provocante.
 
«Hasegawa, puoi aspettare un secondo? Dobbiamo fare una cosa.» L’aveva chiamato Atsuko.
Issei si girò subito ma erano già scomparse.
Riusciva ad intravedere la testolina di Nomura dietro un cespuglio. Stavano… facendo pipì? Ma erano appena uscite di casa!
Sbuffando, incrociò le braccia al petto, cercando di guardare altrove. Non voleva passare per un guardone.
«Ecco qua, sei ancora più bella Eri-chan, così!»
“Cosa? Che è successo?”
Parlavano dietro al cespuglio.
«S-S-Sicura? N-Non si vedono t-t-troppo le g-gambe?»
Issei sentì uno strano bruciore arrivare fino alla testa. Non capiva di che stessero parlando ma non sembrava nulla di buono.
«Te lo puoi permettere, Eri-chan! E poi non preoccuparti, c’è Atsuko che ti protegge se qualcuno ti dà fastidio.»
«M-Mi potrebbero… p-prendere in giro?»
«Non… non intendevo proprio questo per “darti fastidio” … tu non preoccuparti ed esci fuori che è tardi!»
Quando seguì l’ordine, o consiglio, dell’amica, Issei dovette rendere conto a quel genere di stupide sensazioni dovute alla pubertà, sentire quei bruciori su per tutto il corpo, involontariamente.  Eri aveva cambiato le calze, mettendone un paio più corte, così che le cosce fossero scoperte, alte un 10cm sopra al ginocchio, vagamente trasparenti e lucide.
«Che c’è, Hasegawa? Sembri infastidito.» Domandò, ridendo sarcasticamente Nomura.
Yoshida, sentendo quelle parole, si coprì il volto. «T-Te lo avevo d-detto che l-lo avrei m-m-messo a d-disagio…»
“Si sta davvero preoccupando di questo?” Issei arricciò le labbra, irritato. “Che carina, santo dio.”
«Non sono infastidito – deglutì, cercando di cacciare via l’impreparazione ad una vista del genere – a-anzi, Yoshida… tu stai davvero bene così. E smettila con i complessi, almeno stasera.»
Non gli andava di aggredirla, voleva che si sentisse a suo agio. Non era certo l’unica ragazza di sedici anni a vestirsi in quel modo, che poi, non era neanche così volgare, anzi, molto alla moda. Molte ragazze a Kyoto vestivano così, anche più giovani di lei, il vero problema era quello di restare calmo davanti a lei.
Un pensiero che lo divertì, in quel momento, fu chiedersi se Hitomaru avrebbe detto “brutta” a Yoshida, vedendola vestita in quel modo. Che ragazzo idiota.
Comunque Yoshida era bella anche senza tutte quelle cose.
Andava bene per com’era.
Non servivano proprio quei vestiti.
 
Arrivati alla stazioni si sedettero aspettando il treno per Kyoto.
«Anche io penso stia davvero bene. Magari Eri-chan conosce un bel principe di Kyoto e si innamorano, no?»
“No.” Pensò Issei, evitando di dirlo.
«A-A me non i-interessa questo. M-Mi basterebbe…c-conoscere gente s-simpatica.»
Era soddisfatto di quella risposta.
«Comunque, Nomura, non ti importa del fatto che stasera vedrai Miura? Sicuramente verrà.»
«Veramente me lo ha chiesto anche lui di venire – sorrise la ragazza, lasciando Issei a bocca aperta, consapevole di quello che era successo tra di loro, non capiva come potesse essere successo – sarà con la sua ragazza, mi sembra. Nell’ultimo periodo, grazie al gruppo di studio, abbiamo fatto… forse, amicizia. È diventato un’altra persona dai primi anni delle medie, lo sapevi Hasegawa?»
Conosceva Miura dal primo anno. Erano stati amici stretti, in effetti, anche se a causa di Naoko, si erano persi.
«Non è mai stato uno stronzo alla Hitomaru, a dirla tutta, solo che al tempo non pensava quando faceva le cose.»
Atsuko aveva chinato lo sguardo, quello che aveva detto l’aveva ferita. Per quanto al tempo si era tenuto fuori dalla situazione, anche Issei sapeva quanto male le avesse fatto e forse parlare così a sproposito era stato poco rispettoso verso Nomura.
«Immagino che trovandosi contro, tutta la scuola, praticamente, sia maturato bruscamente. La vita ha ripagato le ferite che ti ha causato, colpendolo direttamente in faccia.»
«Che vuoi dire?»
«E’ arrivato il treno!» Indicò loro, Yoshida, totalmente estranea al discorso.




 
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