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Autore: 7vite    18/02/2018    1 recensioni
Una One-Shot dedicata interamente all'ultimo dei Black.
Genere: Angst | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Regulus Black
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Altro contesto
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"Forse – e dico forse perché non ne sono pienamente sicuro – qualcuno avrebbe potuto salvarmi.
Se fosse stato possibile – di questo sono più che certo – quel qualcuno saresti stato tu."
 

Le ultime memorie di Regulus Arcturs Black,
il Serpeverde con il cuore di un Leone.


 

Prendo  in mano la conchiglia e l’affondo nel liquido incolore. Il braccio mi trema un po’ mentre l’avvicino alla mia bocca. Sulla lingua non sento alcun sapore – forse non sarà così terribile – mi dico, ma non appena ingollo il sorso il mio corpo viene percorso da spasmi incontrollati. 

Il fluido brucia tutto ciò che incontra nel cammino che lo conduce al mio stomaco, brucia più del whisky incendiario maledizione!

Ma mi faccio coraggio, sono qui per compiere una missione e non intendo arrendermi, non questa volta.

Facendo appello alla mia buona volontà mi costringo a bere un altro goccio, piano piano riuscirò a svuotare la conca di questo maledetto bacile di pietra recuperando così quello schifoso medaglione.

E così, spinto dall’irrefrenabile desiderio di indebolire il signore oscuro continuo a sorseggiare la pozione, scelgo volontariamente di infuocarmi le viscere ma non m’importa: al punto in cui sono adesso preferisco una morte eroica, forse con questo gesto recupererò una piccola parte del mio onore.

Ma non sono forte come spero e mi lascio sfuggire un urlo raccapricciante che riecheggia ripetutamente nella cava lacerando il silenzio innaturale di quel luogo spettrale.

Mi accascio per terra afferrandomi le ginocchia come un bambino indifeso. Come ho potuto sottovalutare il suo potere?

Ed è lì che ti vedo, di fronte a me.
Capisco subito che non sei reale, perché ti inginocchi al mio fianco e mi chiedi come sto, mi passi una mano sulla fronte asciugandomi il sudore e poi mi afferri la testa e cerchi di placare il mio tremore. «Sta tranquillo, ci sono io con te.» Mi sussurri e il tuo tono è così gentile che mi commuove, spezzandomi il fiato.

Perché non mi hai mai parlato in quel modo prima, Sirius? Perché non c’eri mai per me? Perché dovevo elemosinare i brandelli della tua attenzione?

Chiudo gli occhi e mi ritrovo a Hogwarts. La Sala Grande è luminosa, attorno a me c’è un gruppetto di novizi. Sento una strega urlare a gran voce il mio nome «Black, Regulus Arcturus». Mi avvio con passo incerto verso il traballante sgabello posizionato al centro della Sala e incespico un poco. Sono lì, sotto agli occhi curiosi di centinaia di studenti più anziani ma non riesco a mettere a fuoco i loro visi e vago con lo sguardo cercando la tua figura, ma prima ancora di riuscire a scorgerti qualcosa di nero mi cala sugli occhi e mi oscura la visuale.
«Ah, un altro Black!» mi sussurra una voce all’orecchio. «Serpeverde!» Urla quello, senza neppure darmi il tempo di avanzare la mia richiesta. Sento applaudire, fischiare, esultare, e un attimo dopo la luce mi acceca.
Mi sollevo in piedi e continuo a cercarti ignorando la voce della professoressa che mi indica di andare a sinistra. Ti alzi in piedi, facilitandomi l’impresa. Batti lentamente le mani e mi rivolgi un sorriso incoraggiante ma io incrocio il tuo sguardo e ci trovo dentro una profonda delusione.
La professoressa mi mette le mani sulle spalle e mi spintona con gentilezza verso la direzione opposta, allontanandomi ancora di più da te, e lentamente vedo aprirsi un baratro tra di noi, largo e profondo, impossibile da valicare.


Vorrei dirti tante cose, sai?
Che mi dispiace essere così diverso da te.
Che ho mai desiderato essere il cocco di mamma e papà.
Che avrei voluto far parte della tua vita.

E che ti odio.

Ti odio perché non ti sei mai preso la briga di conoscermi.
Ti odio perché non mi hai mai dato l’occasione di dimostrarti il mio valore.
Ti odio perché non mi hai mai chiesto cosa volessi fare da grande, e se ti fossi preso la briga di farlo, ti avrei risposto
«diventare come te».
Ti odio perché quel caldo giorno di giugno, mentre trascinavi il tuo grande baule di legno scuro verso l'uscio, prima di andare via mi hai sorriso e mi hai detto che da quel momento in poi le cose sarebbero state più facili per me.
Ti odio perché non mi hai mai chiesto di seguirti.

E da quel giorno le cose divennero irrimediabilmente più difficili.
 

E guarda adesso dove sono.

Nelle profondità di abisso dal quale non so più uscire fuori.

E no, non mi riferisco a questa dannata caverna.


Sento delle mani fredde sul viso, il gelo mi concede finalmente un po’ di sollievo.

Una voce gracchiante mi parla nell’orecchio «Padron Regulus, svegliati, padron Regulus è tutto finito, ho preso il medaglione.»

Schiudo le palpebre e una lacrima mi riga la guancia destra, ma sono felice.

Perché ho adempiuto al mio dovere, ho combattuto contro Tu-sai-chi.

Ed anche se tu non lo saprai mai, non importa, perché questa volta l’unica persona che volevo compiacere era me stesso.
 
  
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