Severus Piton
Severus Piton camminava a passo svelto verso la sua vecchia casa a Spinner’s End.
Si sentiva completamente vuoto, senza alcuna cosa che lo potesse trattenere alla vita.
Avrebbe preferito essere morto anche lui, avrebbe voluto morire con lei.
Invece, adesso, Lily, la sua Lily, non c’era più e lui era vivo vivo in un mondo dove non avrebbe mai preso completamente posizione.
La spia, la spia di Silente era lui. E avrebbe dovuto stare vicino a Lord Voldemort, per passare informazioni, per proteggere il bambino.
Il bambino di Lily e di Potter.
Lo aveva visto, qualche volta, da lontano nella casa dei suoi zii. Era un piccolo Potter in miniatura, ma con gli occhi verdissimi, il verde degli occhi di Lily.
E lui lo avrebbe protetto, a costo della vita, perché proteggere quel bambino era un modo per riscattarsi da tutto quello che aveva fatto fino ad ora.
Se non avesse udito la profezia, se non l’avesse riferita all’Oscuro Signore, Lily sarebbe ancora viva.
E invece di lei non restano che sogni tormentati.
Sogni dove ride ma poi un lampo di luce verde la fa accasciare al suolo. Sogni dove Piton vede sempre dalla parte di Voldemort, e mai come spettatore invisibile qualunque.
Perché Severus ora lo sa, il senso di colpa è qualcosa che non ci abbandona mai nella vita, qualcosa che ci portiamo fin nella tomba quando moriamo.
E lui Severus, sa che probabilmente se lo porterà anche dopo la morte, cosciente del fatto di aver in un certo senso provocato l’omicidio dei Potter, l’omicidio di Lily.
Ora è seduto e fissa il laghetto dove da piccoli, lui e Lily, giocavano spesso, dove lui le aveva siegato quanto sapeva del mondo magico all’età di dieci anni.
Sembrava fosse passato un secolo da qui giorni, sembrava passato un secolo da quando loro due erano amici.
E poi, Severus Piton alza lo sguardo e proprio là, sul’altra sponda del laghetto, la vede.
Petunia Evans lo guarda con gli occhi spenti e arrossati dalle lacrime.
Vorrebbe confortarla perché per quanto Piton si senta un essere spregevole, sa che lei sta soffrendo del suo stesso dolore.