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Autore: steffirah    23/02/2018    1 recensioni
Sakura va avanti con la sua quotidianità, convinta di avere già tutto ciò di cui ha bisogno, nonostante sembri esserci un piccolo vuoto da riempire nella sua vita. Prova a farlo acquistando un libro per bambini, cercandovi una risposta, ed effettivamente sarà proprio esso a dargliela, facendole conoscere l’amore. Così nel corso di un anno, a partire da un incontro avvenuto casualmente in un treno, capirà di aver finalmente trovato quel pezzo che le mancava.
Genere: Fluff, Romantico, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Sakura Kinomoto, Syaoran Li, Un po' tutti | Coppie: Shaoran/Sakura
Note: AU, What if? | Avvertimenti: nessuno
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1
Volere del Caso
 
 
Proprio come previsto, non sono riuscita a concluderlo.
Sospiro rassegnata e a malincuore richiudo il piccolo volume, riponendolo con cura nella borsa in mezzo ad altri libri, quaderni e fotocopie, affinché non si rovini.
Guardo per un breve istante il paesaggio familiare che mi scorre davanti agli occhi. Il treno rallenta entrando quasi in stazione.
Cerco di riprendermi dalla trance provocata dalla lettura e penso a ciò che mi aspetta: due ore di cinese. Non sto più nella pelle.
Sorrido tra me e comincio ad indossare il giubbino e la sciarpa, azzardandomi ad alzare lo sguardo sul mio quieto compagno di viaggio.
È stato talmente in silenzio, seduto nell'angolo opposto al mio, che avevo quasi dimenticato la sua presenza. Ripeto, quasi.
Il destino, talvolta, è davvero imprevedibile. E può giocare in maniera birichina coi nostri desideri.
Se ripenso al fatto che questa mattina mi sono svegliata con un umore solitario – molto poco da me, in effetti, ma mi accade di frequente in quel certo periodo che si presenta ogni mese – mi viene da ridere. E al contempo vorrei prendermi a schiaffi per non aver alzato prima lo sguardo. Per non avergli rivolto prima le mie attenzioni. Per non essere stata socievole come al solito. Ma non tutto è perduto, devo solo non farmi scappare quest’opportunità.
Lo sconosciuto che siede diagonalmente rispetto a me è ben vestito. Mi dà l'idea di un uomo d'affari. Ma non è questo che conta.
È seduto composto, le sue mani posate in maniera casuale sulla sua pancia. Una di esse regge un telefono di ultima generazione. Anche questo ha poca importanza.
Seguo il filo che fuoriesce dal suo telefono, fino ad arrivare agli auricolari nelle sue orecchie, nascoste da alcune ciocche di capelli. Il mio interesse si accende, ma solo in seguito.
Guardo il suo giovane viso. Vengo colpita da una folgore. Trattengo il fiato. Il mio cuore perde un battito.
Una persona tanto affascinante e misteriosa è seduta a poca distanza da me, e io me ne accorgo dopo circa mezz'ora di viaggio. Quando siamo arrivati a destinazione. Quando stiamo per alzarci. Quando non potrò mai più rivolgervi la parola.
Eppure, tutto accade nel giro di un minuto.
Lo osservo. Ha gli occhi chiusi, il suo volto è rilassato. Mi chiedo se non si sia addormentato, quando le sue iridi ambrate incontrano le mie. Non ho mai visto occhi così grandi, di una cromatura tanto particolare. Sbatto le palpebre, chiedendomi se non sia un effetto della luce artificiale del mezzo in cui ci troviamo. Non sembra.
Un semplice sguardo mi basta per capire che non è giapponese. I suoi tratti sono sì asiatici, ma raffinati, ed eleganti. Non somigliano a nulla di ciò che io abbia mai visto prima. Fino a quel momento, non pensavo neppure che un viso tanto piacevole e nobile potesse esistere.
Mi chiedo se sia coreano o tailandese o taiwanese, ma scarto subito l'idea. Possibile che... Il mio cuore, stavolta, perde due battiti.
Dunque, ragioniamo sul fatto che sono sempre stata affascinata dalla cultura del Giappone. Dopotutto, mio padre è un docente di archeologia alla stessa università che frequento e crescere al suo fianco mi ha indotta ad interrogarmi circa le origini del nostro Paese. Scavare nel passato e tornare alle sue radici implica guardare all'antica Cina, a tutti i cambiamenti che essa ha avuto nel corso del tempo e a come questi abbiano influenzato positivamente il Giappone. Forse guardo solo la faccia bella della medaglia. So che non è tutto rose e fiori tra i due Paesi, ma ciò non può sminuire il fascino che provo nei confronti di quella che si potrebbe definire “nostra madre”.
Questa è la ragione per cui all'università mi sono iscritta ad un dipartimento linguistico, comprendente corsi che hanno a che fare con quella grande nazione. E da quando ho cominciato a studiarne la lingua ne sono sempre più attratta, al punto tale che la speranza di potermi recare lì un giorno è diventato il mio più grande desiderio.
E ora, dinanzi ai miei increduli occhi, un ragazzo molto presumibilmente cinese risponde al mio sguardo alzando un sopracciglio, con fare interrogativo.
Scatto in piedi, imbarazzata, chiedendomi da quanto tempo lo stia fissando.
“Non essere sciocca, Sakura. Alla fine può anche darsi che sia filippino. Non puoi escludere nulla.”
... No, certo. Ma l'aura che lo circonda mi rimanda all'antica capitale. Si toglie le cuffie, mettendole a posto, passandosi poi una mano tra i capelli. Sembra pensieroso. Nella mia mente si forma l'immagine di un giardino imperiale e la piacevole atmosfera mistica che lo circonda. Si alza a sua volta, raccogliendo le sue cose, e le mie pupille mettono a fuoco la grande muraglia.
Forse sono impazzita. Forse il libro ha appena influito sulla mia fantasia, portandomi all'assurdo, all'incredibile, al meraviglioso.
Mi do dell'idiota, nel momento stesso in cui il treno inchioda, a pochi metri dall'entrata della stazione. Incolpo un semaforo, ma non so se effettivamente accusarlo o ringraziarlo.
Per la brusca frenata vacillo, perdo l'equilibrio – soprattutto a causa della borsa pesante – e finisco dritta tra le braccia dello sconosciuto. Mi sento accaldata, il cuore mi rimbomba con furia nel petto, raggiungendo persino il mio udito. Le sue braccia mi avvolgono, in modo tale da sorreggermi e non farmi cadere. Alzo lo sguardo sul suo viso e sobbalzo nel trovarlo così vicino. La mia mente parte alla rincorsa con mille pensieri, la gran parte mi ripetono “Cogli l’attimo. Non farti scappare questa chance. Può essere la tua prima ed ultima occasione. Non hai nulla da perdere.”
Il timore di poter fare una figuraccia, di poter apparirgli ridicola, di dargli l'impressione di essere svitata, mi terrorizza. Mi mordo le labbra e sento le membra tremarmi. Eppure desidero parlargli. Quanto meno per scusarmi.
Sorprendentemente lui si fa largo tra i miei indugi, rivolgendomi la parola per primo.
«Tutto bene?», mi chiede in giapponese.
Mi rimetto a posto e per un breve e lunghissimo istante mi concentro sul suono della sua voce. È chiara. E profonda. E musicale. Sembra conoscere bene la mia lingua, e il suo accento è impeccabile. Ma i suoi toni...
Non esito oltre e raccolgo tutto il mio coraggio. Le mie guance prendono fuoco mentre rispondo, in cinese: «Sì, grazie.»
Lui spalanca le palpebre, guardandomi esterrefatto. In ritardo mi rendo conto che la mia bocca è stata più veloce dei miei pensieri. Avrò usato le parole giuste? I toni erano corretti? La mia voce era troppo acuta?
Il treno riparte e lui pare riprendersi. Mi scruta con attenzione, leggo la curiosità sul suo viso.
«Conosci il cinese?»
Sento il mio cuore riempirsi di gioia. Non riesco a crederci. Ho indovinato!
Sorrido a trentadue denti, annuendo.
«Sì! Ho cominciato a studiarlo da poco più di due anni!» Mi rendo conto di risultare abbastanza fiera di me stessa e subito me ne vergogno. Tuttavia lui sembra ancora più sorpreso.
«Così poco? Complimenti! Sei molto brava!»
Abbasso lo sguardo, rimpicciolendo. Beh, quelle erano espressioni semplici da usare. La difficoltà arrivava quando bisognava fare un lungo discorso.
«Anche tu sei molto bravo col giapponese, ehm...»
Taccio, realizzando quanto sia assurda questa conversazione. Normalmente un incontro comincia presentandosi in maniera educata. Invece io ho iniziato sin da subito a comportarmi da svampita. Prima lo fisso. Poi gli finisco addosso. E ora mi rivolgo a lui con tanta confidenza! Non conosco neppure la sua età! Penserà che sono una scostumata!
«Li Syaoran.» Allunga una mano con fare da diplomatico. La guardo un attimo senza muovermi, finché non realizzo che si è appena presentato.
Imito il suo gesto, stringendo delicatamente le mie dita attorno al suo palmo.
«Kinomoto Sakura.»
Non m'era mai capitato di presentarmi così a qualcuno. Che esperienza sui generis.
«Sakura? Come i ciliegi?»
«Esatto. Mia madre li adorava.», spiego brevemente. Cerco di nascondere la tristezza che minaccia di sopraffarmi ogni volta che penso a lei celandola con un sorriso. Qualcosa però mi dice che lui se ne sia accorto, perché la sua presa attorno alla mia mano si fa leggermente più forte. Quasi stesse cercando di ricordarmi dove ci troviamo. Chi siamo.
Alzo gli occhi su di lui, trovando una luce comprensiva nelle sue iridi. Sembra quasi capire come mi sento. Come se sapesse cosa mi è successo. Come se avesse provato cosa significa perdere una persona cara. Ma forse è soltanto una mia impressione. Un frutto della mia immaginazione.
«È un piacere conoscerti, Kinomoto-san.»
«Il piacere è tutto mio, Li-san.»
Abbasso educatamente di poco la testa, e lui fa scivolare via la sua mano. Una leggera brezza attraversa le mie dita solitarie e realizzo che hanno aperto gli sportelli del treno. Dobbiamo scendere.
Molti passeggeri hanno già cominciato ad uscire dalle porte e a inoltrarsi nella folla. Sento l'ansia crescere.
Mi volto verso di lui, esitante. Osservo nuovamente la sua mise e mi chiedo se si stia recando in un qualche ufficio. Sembra una persona importante, altolocata. Non dovrei essere un po' più formale con lui?
Lui mi fa passare, facendo un breve cenno cortese con la mano. Una volta davanti a lui, camminando verso l’uscita seguendo la fila, mi giro di poco per domandargli: «Da quanto tempo sei in Giappone?»
«Tre mesi circa.»
Soltanto?! In così breve tempo ha già imparato così bene la lingua?!
«Incredibile!», esclamo affascinata. «Devi essere davvero portato per le lingue!»
Lo sento ridacchiare alle mie spalle.
«In realtà, mia madre pianificava di mandarmi in Giappone da molto tempo. Quindi ho cominciato a studiare giapponese quando avevo quattro anni.»
«Hoe?! Eri così piccolo?!»
Mi pietrifico sul posto, voltandomi a guardarlo. Non può dire sul serio!
«Già.» Mi sembra soddisfatto e sento i passeggeri dietro di lui lamentarsi silenziosamente per l'ostruzione all'uscita. Ops.
Riprendo a camminare e scendendo il gradino gli domando, senza girarci troppo attorno: «Li-san, devi prendere la metropolitana?»
So già che dirà sì, ma in cuor mio spero in una risposta negativa. E invece, come volevasi dimostrare, ricevo proprio quella che mi aspettavo.
«Tuttavia, solitamente bevo un caffè prima di scendere. Ne ho bisogno se voglio rimanere sveglio fino a stasera.»
Rifletto sulle sue parole e immagino che sia molto impegnato, qualunque sia la sua occupazione. Dopotutto, non sono neppure le nove di mattina. E lui già parla di “sera”.
Camminiamo fianco a fianco, uscendo dalla stazione.
«Va bene se resto un po’?», gli chiedo audacemente.
Lui non risponde subito e svio lo sguardo, chiedendomi se non l'ho infastidito. Forse sono troppo intrusiva.
«Ah! Scu-scusami! È solo che ho pensato che forse non ti sarebbe dispiaciuta un po' di compagnia.» Mi mordo la lingua, riascoltando le mie stesse parole. «N-non volevo insinuare... Non intendevo dire che non ne hai! Probabilmente hai qualcuno che ti aspetta, eh?»
Non capisco perché, ma l'idea mi rattrista. È come se percepissi un legame speciale che ci unisce, ma è un'idea stupida. Dopotutto, ci siamo appena incontrati. E a malapena sappiamo qualcosa l'uno dell'altro.
«È che... Manca un'ora più o meno all'inizio della lezione con la Wang-lăoshī e...»
Ma certo. Proprio adesso non voglio restare sola. Alzo gli occhi al cielo e sospiro, rivolta alle nuvole.
«Lasciamo perdere.», concludo, senza terminare il mio discorso senza senso.
«Kinomoto-san?» La sua voce raggiunge le tese corde del mio essere e mi fermo per guardarlo. Lo trovo a fissarmi con uno sguardo divertito e non ne comprendo la ragione.
«Non so se è una cosa molto carina da dire.»
Non capisco a cosa si stia riferendo. Piego la testa su un lato e lui sembra trattenere il riso.
«Ti prego di non prenderla come un'offesa, ma sei molto divertente, Kinomoto-san.»
Mi sento confusa. In effetti, non l'ho presa come un'offesa. Al contrario, un giudizio simile non me lo sarei mai aspettato.
Sto per sorridere quando aggiunge: «E anche un po' strana.»
«Strana?», ripeto, chiedendomi questo come dovrei interpretarlo.
«Come dire? Bizzarra.»
Mi acciglio.
«È un complimento?», mi ritrovo a chiedere.
La sua espressione diventa rasserenante.
«Come complimento ti dona, Kinomoto-san.»
Nuovamente il calore pare pervadermi le guance. Abbasso lo sguardo sui miei piedi e ricominciamo a camminare. Non so neppure dove mi sto dirigendo, al momento non ho una meta predefinita. Ovunque lui vada io andrò. In questo momento farei il possibile pur di trascorrere tutto il tempo che ho a disposizione con Li-san. Ma se per lui sono una scocciatura? Se mi trova noiosa?
«Ad ogni modo, mi farebbe piacere se mi facessi compagnia.», pronuncia, spezzando il silenzio.
Mi chiedo se le mie orecchie non hanno sentito male. Alzo la testa, in cerca di una conferma e la trovo nel luccichio ambrato di quegli occhi straordinari.
«Non sono di troppo?», oso domandare, timidamente.
«Affatto.», mi rassicura.
I suoi occhi sorridono e mi chiedo come sia possibile una cosa del genere, quando il resto del suo viso sembra semplicemente imperturbabile. Eppure riesco a scorgerla: la serenità che si cela dietro quella facciata apparentemente inossidabile.




 
Angolino autrice:
Buongiorno! Per oggi credo di riuscire a pubblicare soltanto due capitoli... Perdonatemi, ma domani cercherò di arrivare almeno fino al quinto!
Prima precisazione che voglio fare: a differenza delle one-shot che pubblicai, stavolta ho deciso di utilizzare "Syaoran" invece di "Shaoran" come trascrizione del suo nome, sebbene io sia più abituata al sistema Hepburn. Ma l'ho fatto anche perché so che in cinese Xia si può leggere sia Sha che Sya, quindi alla fine si tratta più che altro di una scelta stilistica, anche perché sfrutterò molto il cinese in questa ff. Devo però avvisarvi che non l'ho mai studiato in vita mia, quindi se uso parole/frasi sbagliate correggetemi. Non mi dispiace imparare, visto che adoro le lingue e ciò è palese già da questo capitolo, con "
lăoshī" che dovrebbe essere l'equivalente di "sensei", quindi "professoressa". Sappiate che spesso troverete intromissioni linguistiche, per cui abbiate un po' di pazienza. 
Altra cosa che voglio farvi notare è il loro appellarsi l'uno all'altro, col -san attaccato al cognome. Si tratta di una situazione momentanea, anche perché si sono appena conosciuti ed entrambi sono molto gentili nel rivolgersi agli altri.
Infine, non sono mai stata a Tokyo (ahimè), quindi per quanto riguarda i luoghi ho cercato di essere il più verosimile possibile, ma è pur sempre mia invenzione, quindi non vi sorprendete se a volte le cose sembrano essere poco concrete, infattibili o irrealistiche.
Ora vi lascio col secondo capitolo, al fine del quale inserirò piccole traduzioni.
Buona lettura! :3

 
  
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