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Autore: Frulli_    23/02/2018    3 recensioni
Inghilterra, 1911. L'Europa sta attraversando un periodo di serenità e ricchezza, la "Belle Epoque". E se Parigi è il fulcro della moda e del divertimento, Londra certo non è da meno! Lo sanno bene i membri della famiglia Norton e dei suoi servitori, che per la Stagione londinese vengono catapultati in un mondo di divertimenti e finzione, dove tutti sono un pò "sottosopra", e rischiano di perdere di vista le cose vere e reali della vita, come i sentimenti e l'amicizia...
Genere: Romantico, Slice of life, Storico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Il Novecento
Capitoli:
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4. Poor & Rich



Londra, 5 Febbraio 1911

Il mattino dopo, di buona lena, Ethel si svegliò presto. Dopo una colazione veloce e senza incontrare nessun altro che la servitù, uscì dalla villa diretta all'orfanotrofio. Era una bellissima giornata di sole, nonostante il freddo, così convinse l'autista a lasciarle la vettura per guidare in solitaria.
Così, sciarpa al collo e serbatoio pieno, si diresse verso la St.Mary's House. L'orfanotrofio non si trovava in periferia, come molti altri, ma quasi in centro città, in una zona tuttavia poco benestante e poco bella. Era in un perfetto crocevia, dove poteva essere ammirato da ricchi borghesi, nobili ed anche poveri, per dare un segno: qualcuno pensava anche a loro, e in maniera sincera e vera.
Era una bella casa vittoriana a due piani, con un giardino recintato ed una casupola per il guardiano, Mr Gordon, che la accolse con calore, abbracciandola.
«Bentornata Miss! Come sta? E Lady Maud?» chiese il sessantenne, un uomo socievole e affettuoso che subito aveva conquistato l'amicizia di Ethel, cinque anni prima.
«Stiamo entrambe bene, siamo arrivate ieri a Londra e non vedevo l'ora di venire a trovarvi. Stanno sistemando le tubature?»
«Come da lei ordinato, Miss. Le parcheggio l'auto?» chiese, speranzoso.
«Vedi di non rovinarla, Charles, potrebbero disconoscermi definitivamente dalla famiglia»
«Sia mai, Miss, sia mai!» esclamò divertito l'uomo, prima di salire sulla vettura. Ethel scosse il capo, divertita, quindi attraversò il giardino, pieno di bambini che giocavano nel prato. Salutò le volontarie ed alcuni ragazzi loro ospiti, i più grandi che potevano ricordarsi della loro direttrice, quindi varcò la soglia, rabbrividendo. Faceva più caldo fuori che dentro.
«Miss Herbert!» la voce delicata e ansiosa di Miss Bridge la raggiunse subito, mentre la giovane scendeva le scale andandole incontro «E' una gioia rivedervi»
«Anche per me, mia cara. Come state? Qui dentro si gela...»
«Sto bene, solo un pò di tosse. I manovali sono già al lavoro, dicono ci vorrà qualche giorno ma poi dureranno anni, dicono...Volete vedere?»
Ethel scrollò le spalle. «Per quel che ne capisco...andiamo, si. Intanto raccontami: ci sono novità?»
«Una giovane coppia, ricchi, hanno chiesto l'adozione dei Winters. Ho controllato: sono di buona famiglia, buone entrate, nessun problema con la legge, frequentano la chiesa anglicana di Londra...persone a posto, ho fatto loro un colloquio iniziale ma ovviamente spetta a lei la parola, Miss»
«Finalmente quei tre scalmanati troveranno pace! Molto bene, mi fa piacere»
«E poi c'è la nonna di Emily, che è tornata dell'America. Non sapeva che la nipote fosse diventata orfana, non aveva più legami con la famiglia...lo ha saputo dalla lettera di una sua vicina. Vuole portarla con sè in America, sempre se lei è d'accordo»
«Vorrei parlarci, prima, ma non vedo perchè no. Meno bambini ci sono qui, più ce ne sono di felici, no? Noi dobbiamo fare la loro felicità, e stare qui non li aiuta. Notizie per Joseph?» chiese, speranzosa.
Il sorriso della Bridge s'incrinò. «Ancora nulla. Nessuno lo vuole, un bambino muto»
Ethel si massaggiò il collo, sospirando. «Dopo andrò a fargli visita» mormorò, non lasciando trasparire l'affetto che provava per quel bambino, un affetto che ormai tutti conoscevano.
Arrivarono nella zona caldaia della struttura, dove quattro operai stavano lavorando.
«Buongiorno, milady! Sono Mr Frangetta. Mi sto occupando più velocemente che posso del problema, ma temo sia una questione lunga: se faccio un lavoro veloce, il problema potrebbe ritornare fra poche settimane!» gridava il capo squadra perchè i suoi sottoposti lavoravano rumoreggiando nella stanza
«Va bene, Mr Frangetta, non si preoccupi! Ci metta il tempo che le serve, ma senza esagerare: mio fratello è un uomo pratico e si accorgerà se vuole spillarci più soldi facendo più giorni di lavoro!» gridò di rimando Ethel, prima di fargli un occhiolino di intesa. L'uomo sorrise, in imbarazzo, prima di tornare al suo lavoro. Le due giovani risalirono ai piani alti.
«I camini vengono accesi nelle ore più fredde?»
«Certo Miss, e ho fatto trasferire i bambini più piccoli nelle stanze più calde. Alcuni dormono anche con le volontarie, semplicemente per riscaldarsi meglio. Ho ordinato la carne, come mi avete chiesto. Per ora nessuno si è ammalato, solo qualche starnuto»
«Molto bene, ora che li vedo mi sento sollevata. Ero in pensiero per loro...»
«Miss, vi ricordate che presto...arriverà la Regina, vero?» chiese la Bridge, timorosa.
«Certo che lo ricordo. Ma prima di invitarla dobbiamo sistemare il riscaldamento non trovi?»
«Certo. Pensavo solo che ve n'eravate dimenticata...mi sembrate un pò sovrappensiero» ammise l'altra.
«Perchè lo sono. Sono preoccupata per questi bambini, ma ringraziando Dio l'inverno sta finendo ed io rimarrò qui per tutta la stagione, verrò a farvi spesso visita. In quanto ai soldi, non dovete preoccuparvi»
«Miss Herbert, non avrete preso ancora denaro dalla vostra parte...?» chiese la vice-direttrice, mortificata.
«Da dove vengono non deve importare, Julia, purchè arrivino. Io li ho, sono miei e li gestisco come voglio. Meglio per loro che per i vestiti come fa mia cugina, no?»
«Immagino di si, Miss...» ammise l'altra, sorridendo appena.
«Appunto» precisò Ethel, sorridente.

Quando la pendola dello studio battè mezzogiorno e mezzo era nel ben mezzo di un colloquio per una coppia di aspiranti genitori. Era già ora di pranzo? Sbiancò appena, ricordandosi solo in quel momento dell'inesorabile ritardo che avrebbe fatto a Little Hall. Fece cenno a Miss Bridge di avvicinarsi e le sussurrò qualcosa all'orecchio, prima di proseguire. Le dispiaceva non poter salutare Alfred e Candice, avrebbe dovuto avvisare prima, o non prendersi l'impegno di conoscere le coppie di genitori...ma non aveva certo immaginato che Miss Bridge avesse organizzato i colloqui conoscitivi prorpio quel giorno?
Ethel si alzò lentamente dalla scrivania, imitata dalla coppia avanti a sè.
«Perdonatemi ma dobbiamo interrompere la nostra piacevole chiacchierata: i bambini devono pranzare e aiuto le volontarie a servire il pasto. Fateci sapere quando potete tornare, io sarò qui fino a giugno quindi avremmo sicuramente modo di vederci. Buona giornata» annunciò, sorridente, stringendo loro le mani prima di farli accomodare verso l'uscita.
Quando arrivò nella sala della mensa le volontarie stavano già servendo i pasti. Si aggirava tra i tavoli, salutando i bambini non visti la mattinata o incoraggiando altri a mangiare. Adorava stare con quei bambini: erano la sua seconda famiglia. Poi vide Joseph, vicino due ragazzi di dieci anni, e il suo cuore si strinse.
Buongiorno, Joseph, come stai? Gli chiese muovendo lentamente le mani nella lingua dei segni.
Non ho fame oggi, Miss Ethel, rispose il piccolo fissandola con aria colpevole. Ethel sospirò, quindi gli sorrise e gli fece segno di alzarsi. Si sedette al suo posto e lo fece sedere sulle sue gambe. Chiese a Miss Bridge di portarle il pranzo lì e così, un cucchiaio lei ed uno Joseph, lentamente finirono il pranzo.
Devi mangiare se vuoi crescere Joseph.
Perchè devo crescere, miss?
Perchè così qualcuno potrebbe adottarti, potrebbe farti diventare suo figlio, e vivresti con una bellissima famiglia...
Perchè non posso diventare suo figlio, Miss?
A Ethel si strinse la gola in un nodo. Gli baciò la fronte e lo abbracciò, colpita da quella richiesta così diretta e sincera.
Perchè non ho un marito, tesoro, e senza marito non posso tenerti a casa mia.
Allora trovatelo, così possiamo abitare tutti insieme sotto lo stesso tetto no?
Un discorso che non faceva una piega, pensò Ethel. Il problema era proprio il marito da trovare.
Giuro che proverò a cercarlo, ok tesoro? Tu però promettimi di mangiare sempre tutto, si?
Si, promesso Miss Ethel.



La pendola battè le undici e, nello stesso istante, George sentì la trombetta di una macchina risuonare per tutto il viale, festoso. Ricontrollò l'orologio da taschino, per sicurezza, quindi con un sospiro chiuse il registro e si alzò, sistemandosi il gilet e la giacca. Uscì dallo studio e camminò nel corridoio verso le scale affacciate sull'ingresso della casa.
«Dov'è la mia sorellina?!» gridò euforico la voce entusiasta di Alfred che varcava la soglia in quel momento. George, dalla cima delle scale, vide Daisy correre dal salotto verso il fratello, saltandogli addosso entuasiata.
«Eccola la mia bella Venere!» esclamò il giovane, prendendola al volo e facendola girare appena intorno a se stesso. Si baciarono sulle guance, sorridenti, prima di abbracciarsi di nuovo.
«Ah, Daisy...lei è Candice» annunciò Alfred, fiero, indicando la giovane donna al suo fianco. George la studiò qualche secondo, non riuscendo a trovarne un solo difetto: alta e slanciata, con forme burrose strette in un abito blu all'ultima moda. Labbra carnose, pelle chiara, grandi occhi azzurri e setosi capelli dorati, raccolti alla Gibson sotto l'ampio capello bianco.
«Tanto piacere, cara, e benvenuta nella nostra famiglia. Daisy Norton, tua futura cognata»
«Il mio piacere è tutto mio, Miss Daisy» annunciò Candice. Nomen omen, pensò George: aveva una voce vellutata e gentile, come una caramella.
«George!» esclamò Alfred, cogliendo l'amico in flagrante mentre l'occhio gli cadeva sul decoltè di Candice. Sorrise, congelato, quindi scese le scale.
«Quanto tempo!» esclamò Alfred, abbracciando George e ricambiato, questa volta con sincerità. Si guardarono, sorridendosi l'un l'altro, con le mani sulle spalle dell'altro.
«E' bello rivederti amico mio...»
«Anche per me, Alfie...Miss, molto piacere, George Herbert»
«Mio cugino» precisò Alfred, presentando i due.
«Candice Williams, tanto piacere» rispose, composta e gentile, stringendogli la mano.
«Mamma?» chiese Alfred verso Daisy.
«Vi sta aspettando nel salotto. Il pranzo sarà pronto per mezzogiorno, va bene?» chiese Daisy, trovando conferma nella coppia. Fece quindi da guida a Candice, verso il salotto, parlando del più e del meno. Alfred sorrise, circondando le spalle di George.
«Allora, che mi racconti Georgie? Ethel?»
«Tutto bene, grazie. Ethel è ancora via, in orfanotrofio, sperava di liberarsi per pranzo ma temo che ormai sia in ritardo...»
«Che brava che è Ethel, davvero brava. Ha trovato marito?»
«Siamo entrambi liberi e felici» precisò George sorridendo appena.
«Peccato»
«Perchè?»
«Beh, Ethel è una brava ragazza. Ed anche tu sei un bravo ragazzo, vuoi che ti trovi moglie?»
George sorrise divertito. «No grazie Alfie, sto bene così...» precisò, dandogli una pacca sulla spalla. Entrarono nel salotto, e contemporaneamente Lady Maud si alzò dalla poltrona, retta sul suo bastone. Aveva messo un vestito elegante e bello, tipico della moda dei suoi tempi, con i capelli raccolti in una crocchia severa.
«Madre...» mormorò Alfred, abbracciandola e baciandola con amore.
«Ben rivisto, caro, ti trovo bene. E questa bella ragazza chi è?» chiese retorica Lady Maud.
«Onorata di conoscervi, milady, Candice Williams...»
«Piacere di conoscervi, Miss»
Si accomodarono, sorridendosi l'un l'altro.
«Allora, cosa mi raccontate? Novità dal Norfolk?»
«Ah la solita vita, mio caro. Nulla di nuovo. Tu, piuttosto? Novità da Londra? Raccontaci un pò come vi siete conosciuti»
«Che vuoi che ti dica, madre» rispose Alfred, stringendo la mano a Candice, che sorrise dolcemente. «E' successo nella stagione scorsa. Ero ad una festa di finanziamento, e Sir Lloyd aveva come ospite un suo caro amico e sua figlia, Candice. Sono americani, sai, ed erano in visita a Londra per la prima volta. Così quando l'ho vista...è stato un colpo di fulmine»
Si sorrisero, i due innamorati, e George e Maud fecero altrettanto, leggermente più rigidi.
«Un party per un finanziamento...» rieptè George, osservando Alfred.
«Oh si, per la WSL, sai...stanno costruendo tre grandi navi crocere. Le navi più grandi e veloci del mondo»
«E grazie al finanziamento, viaggeremo gratuitamente per il viaggio inaugurale del Titanic, fra due anni» precisò Candice, sorridendo.
«Caspita, deve essere...interessante» commentò George, non sapendo che altro dire. Guardò bene Alfred, mentre parlavano di borse valori e aste: a stento riusciva a riconoscerlo. Il ragazzo che ricordava amava l'arte e la musica, le passeggiate a cavallo, si era iscritto all'università per diventare uno scienziato e sognava di entrare nella Royal Society. Ed invece davanti a sè, in quel momento, aveva null'altro che un uomo d'affari, un magnate di tecnologia, di enormi pezzi di ferro galleggianti. Ethel sarebbe rimasta sconvolta da quella trasformazione, dato che non vedeva Alfred da quattro anni e lo ricordava così come se lo ricordava lui.
Senza nemmeno che se ne accorsero, la pendola della sala battè le dodici e mezzo. Puntuale Josephine aprì la porta, con garbo, annunciando il pranzo.
«Ed Ethel?» chiese perplesso Alfred.
«La vice-direttrice dell'orfanotrofio ha appena chiamato, Mr Norton: Miss Herbert si scusa ma ha problemi e deve attardarsi nella struttura, ma promette il suo ritorno per l'ora del thè, se potrete attenderla»
«Che peccato. Oh beh, vediamo se riusciamo a trattenerci ma in caso contrario immagino la potremmo salutare nei prossimi giorni» rispose il giovane, mentre si dirigevano nella sala da pranzo.



Quando con la macchina girò l'angolo, ritrovandosi davanti il viale alberato e le delicate ville vittoriane, erano ormai le quattro. Era notte, ed i fari e i lampioni stradali tagliavano la fitta oscurità tipica dell'inverno londinese, oltre che una leggera nebbiolina che aleggiava sulle chiome degli alberi, come sospesa per magia. Accostò la macchina, poi spense il motore e scese dalla vettura, stringendosi nel cappotto. Si guardò intorno: nessuna vettura era parcheggiata davanti casa. Perfetto, Alfred era via e non l'avrebbe vista in quello stato. Varcò la soglia, sorridendo subito al tepore che l'accolse rispetto al freddo glaciale che si respirava fuori.
«Buon pomeriggio, Miss»
«A te, Josephine. Charlotte?»
«In cucina, Miss»
«Puoi dirle di salire in camera mia, per favore?»
«Certo Miss, subito»
E così salì velocemente le scale, in silenzio, diretta di filato in camera sua. Era in una mise disastrosa, e non poteva presentarsi così per il thè: nonostante Alfred non fosse in casa, era comunque indecente presentarsi in quella maniera. Aveva i capelli scomposti, lo chignon morbido si era afflosciato sciogliendo quasi del tutto i capelli. Sotto il cappotto marrone indossava un'anonima gonna nera e una camicia bianca, banale e usurata, che indossava quando stava molto tempo in orfanotrofio: il rischio di sporcare gli abiti era alto, e poi preferiva non mostrarsi troppo "benestante" agli occhi di chi la vedeva lì.
«Ci siamo quasi...» mormorò tra sè, girando l'angolo. Ma proprio in quel momento, dal fondo del corridoio, qualcun altro girò l'angolo camminando verso di lei. Si pietrificò a qualche metro da un giovane di bell'aspetto, vestito elegantemente e con folti baffi biondi rivolti appena verso l'alto.
«Ethel...» la chiamò il giovane, fissandola sorpreso.
Ethel sgranò gli occhi, riconoscendo Alfred. Era davvero lui?
«A-Alfie! Che bello rivederti» esclamò, confusa e imbarazzata. Sentiva il viso in fiamme, ma la gioia di rivederlo era troppa e superò l'imbarazzo. Si avvicinò con calma ma alla fine si abbracciarono con slancio, impacciati come due adolescenti.
«Non sapevo foste ancora qui, pensavo foste andati via! Scusa la mise, io...ero in orfanotrofio...» ammise in imbarazzo, facendo ridere il ragazzo.
«Ethel, ci conosciamo da una vita, non mi scandalizzo per due ciocche fuori posto»
«Forse tu no, ma la tua ragazza potrebbe. Quindi meglio che mi nasconda prima che la faccia svenire»
«Non essere sciocca» precisò lui, baciandole la fronte e osservandola, radioso, con le mani sulle sue braccia «va pure, tanto Candice è di sotto a parlare con Daisy di non so cosa: abbiamo deciso di rimanere giusto dopo pranzo, Candice era troppo curiosa di conoscerti...e io di rivederti, è tanto che non ci rivediamo, no?» le sorrise, circondandole le spalle in un abbraccio fraterno «Fai con calma eh, il thè viene servito fra un'ora ma tu vieni anche direttamente domattina se vuoi» la prese in giro poi, con aria divertita, prima di passare oltre e scendere le scale.
«Simpatico» commentò lei, facendosi udire dal ragazzo che le fece l'occhiolino. Sbuffò divertita prima di entrare nella sua stanza. Non si era immaginata così il suo incontro con Alfred, ma d'altronde come altro sarebbe potuto succedere? In maniera del tutto sincera, divertente e genuina. Cominciò a spogliarsi e sciogliersi i capelli, rimanendo in intimo. E nell'attesa di Charlotte, aprì l'armadio per vedere cosa indossare. Non sapeva nemmeno lei perchè tutto quel nervosismo per scegliere uno stupido abito: lei non era così, non era Daisy. Forse davvero voleva far colpo su Candice?
«Miss?» Charlotte bussò, entrando al benestare di Ethel «volete cambiarvi per il thè?»
«Si, ma prima cerchiamo di dare un senso ai capelli, mh? E trovami un abito da pomeriggio, per favore: elegante, ma niente di sofisticato. Quelli lasciamoli per la Regina..»

«Signori, il thè è servito» annunciò Josephine, poco prima che il pendolo battesse le cinque.
I camerieri entrarono con il thè e i biscotti, servendo i padroni di casa e gli ospiti.
«Lascia lascia» mormorò Ethel, sull'uscio della porta, quando l'ultima cameriera fece per richiuderla.
«Ah, eccola finalmente!» esclamò George, andandole incontro. «Sei in ritardo...» mormorò, baciandola sulle guance.
Ethel si limitò a sorridergli, prima che il fratello si fece da parte, sedendosi al suo fianco. Aveva optato per un abito di seta blu, con maniche fino al gomito, gonna stretta e un semplice ricamo dorato intorno allo scollo e alla vita stretta. I capelli raccolti in uno chignon ed un'aria pulita e semplice.
«Candice ti presento la mia cara cugina Ethel. Ethel lei è Candice, la mia fidanzata» le presentò Alfred mentre Candice si alzava.
«Miss Herbert, è un tale piacere conoscervi. Alfie mi ha parlato molto di voi»
«Ed altrettanto ha fatto di voi, Miss Williams. Tanto piacere» rispose Ethel, presentandosi.
Guardò poi Alfred, che le sorrise, e si baciarono le guance come due fratelli, salutandosi ufficialmente. Dopodichè tornarono tutti seduti, sorridenti, studiandosi l'un l'altra.
«Allora, come stanni i bambini dell'orfanotrofio?» chiese Lady Maud, mescolando il suo thè.
«Oh si raccontateci: Lady Maud ci ha spiegato che siete la direttrice della St.Mary's House, e che la Regina ha chiesto di farvi visita, vero?» chiese subito Candice.
Ethel annuì, mentre deglutiva il thè, poi osservò Candice ed Alfred. «Esatto. Abbiamo tuttavia avuto alcuni problemi con le tubature che ora stiamo risolvendo, e di conseguenza l'ambiente è molto freddo e poco accogliente di questo periodo»
«Poveri cari...» mormorò Candice «Alfie, perchè non facciamo un'offerta per aiutarli?»
«Non ce n'è bisogno, Miss, ma vi ringrazio lo stesso» rispose Ethel ancor prima che Alfred potesse aprire bocca «non è una questione che non abbiamo fondi, ma che il Council non ha a disposizione altri edifici, e quello che abbiamo noi è molto vecchio. Tutto qua. Ma con qualche lavoro di restaurazione possiamo cavarcela»
«Magari Alfred potrebbe fare pressione al Council per trovare un altro edificio» insistette Candice, sorridendo dolcemente verso Alfred.
«Posso provarci, ho qualche aggancio...» azzardò Alfred, che guardò Ethel. Quest'ultima lo fissò qualche secondo: che cosa diavolo era diventato? Un politico affarista?
«Qualche aggancio, santo cielo. Sei un parlamentare no?» intervenne Daisy, sorridendo divertita.
«Non serve, davvero» precisò Ethel, decisa ma con tono sereno. Sorrise ad Alfred e Candice «Non preoccuparti, Alfred, non ho bisogno che mi aiuti»
«Ethel e il suo orgoglio» brontolò Daisy, mordendo un biscotto.
«Non è questione di orgoglio, ma di poter contare su me stessa» precisò subito Ethel, sorridente.
«Molto bene, allora vi auguriamo di risolvere presto questo incombente. E chissà che riusciamo anche noi a visitare l'orfanotrofio quando c'è la Regina?» chiese Candice.
Ethel deglutì, in imbarazzo. «Beh, non...non vedo perchè no, certo...» si limitò a rispondere, pentendosene subito dopo.
Candice sorrise raggiante, soddisfatta. «Eccellente! Sentito, caro?»
«Sono molto contento per te, Candice...»
George si limitò a sorridere, notando una vena pulsante sulla fronte di Daisy: era furiosa.
«Pensavo che l'incontro non fosse aperto al pubblico, Ethel» commentò la giovane, senza nemmeno guardare l'altra negli occhi.
«Non lo è, infatti, ma Alfred fa parte della famiglia che finanzia l'orfanotrofio, e Candice la sua futura moglie. Non credo ci sia nulla di male nel farli venire all'evento»
«Quindi posso venire anche io» precisò Daisy. Non era una domanda, ma un ordine.
Ethel deglutì, sollevando appena le spalle. «Immagino di sì, Daisy, perchè no»
«E così un evento serio si trasforma in uno mondano» commentò secca Lady Maud, alzandosi poi dalla poltrona e suonando la campanella della servitù. Alfred fece subito per aiutarla, ma lei si limitò a sorridere «Perdonatemi, comincio ad essere stanca. Josephine, cara, cenerò nella mia stanza...Ethel, perchè non intrattieni i nostri ospiti suonando un pò?» aggiunse poi, lasciando tutti in piedi, nel dubbio.
«Si certo, zia...Miss Williams vi piace la musica?»
«Oltre ogni dire» rispose entusiasta Candice, che sembrava non aver colto la punta di fastidio nelle parole della padrona.
«Prego allora, andiamo in salotto...Alfred, George...» richiamò gli altri come a cercare un appiglio in loro.
«Andiamo, si!» esclamò allegro Alfred, prendendo sotto braccio Daisy e Candice. I giovani così uscirono dalla stanza, lasciando la cameriera in aiuto a Lady Maud.


«Allora, com'è questa Miss Williams?» chiese Charlotte verso Josephine. Era seduta al tavolo della cucina, a cenare insieme ad altre tre cameriere. Josephine era appena scesa dai piani alti. Era finita la cena, e i giovani si erano di nuovo attardati nel salotto per della musica. Avevano avuto un bel da fare per tutto il giorno: un conto era servire i loro padroni, un conto gli ospiti.
«Schifosamente bella e ricca. Ma secondo me è stupida come una gallina» rispose Josephine, facendo divertire i colleghi. Si sedette vicino Marco e si servì da sola le patate e il pollo.
«E Mister Norton?» chiese un'altra cameriera.
«Bello come il sole!» rispose Josephine entusiasta, facendo ridere le ragazze.
«Ehi, scusa un pò eh! Qui c'è gente molto più bella di Mr Norton!» esclamò Marco, indicandosi.
«Pff, ma dai per favore Mark...l'hai visto per caso?» chiese Josephine.
«Di vista...» mormorò vago il pasticcere.
«Beh ti assicuro che non sei più bello, senza offesa» precisò Josephine, sfottendolo «Mr Norton è alto e...slanciato. Spalle larghe, capelli castani tenuti con la brillantina, occhi verdi...un bel sorriso, modi affabili, belle mani...e come se non bastasse, è ricco sfondato»
Le cameriere ridacchiarono tra loro, ma Charlotte si limitò a sorridere divertita, finendo di mangiare.
«Secondo me è fin troppo bello. Voglio dire...con un ragazzo del genere una ragazza normale si sentirebbe in difetto. Ci credo che la sua fidanzata è altrettanto bella» commentò, facendo sorridere Marco che le fece l'occhiolino.
«Beh, questo è vero...ma spero che Mr Norton non sia come la fidanzata: bello e stupido» ribattè Josephine.
Il resto della breve serata si svolse tra chiacchiere e gossip, tutti felici di trovarsi a Londra, la capitale del divertimento.
«Murphy...» Marco richiamò Charlotte mentre stavano risalendo nelle camere da letto. Le strinse appena il polso, facendole riscendere i due gradini saliti poco prima.
«Ehi...»
«Allora, quando usciamo?»
Charlotte scrollò le spalle. «Non lo so, siamo appena arrivati, e io devo stare con Miss Herbert..»
«Oh avanti, ce l'avrai un giorno libero no?»
«Il lunedì»
«Domani, allora»
«No domani no, ho da fare con Josephine...»
«Bene, allora lunedì prossimo potremmo uscire, no? Magari una bella passeggiata romantica sul Tamigi...» propose lui sorridente, cercando di avvicinarsi al suo viso.
Charlotte si tirò appena indietro, ridacchiando. «Non ci pensare nemmeno, Conti. Facciamo invece un giro ad Hyde Park, che dici? La mattina»
«Mh...pieno giorno, un luogo pubblico...hai paura che ti molesto?»
«Non si sa mai» precisò lei ironica, facendo per risalire le scale.
«Ehi» mormorò serio il ragazzo, trattenendola di nuovo «so cosa pensano le altre di me, che sono un farfallone ma...»
«Beh non è che viene difficile pensarlo, Conti, dai»
«Lo so, però...tu mi piaci davvero, ok? Quindi voglio uscire con te, seriamente» precisò lui, serio, facendo arrossire la ragazza.
Sorrise appena, Charlotte, prima di annuire appena «Ok...»
«E poi se sono un farfallone perchè esci comunque con me?» chiese subito Marco, ridacchiando divertito.
Charlotte scrollò le spalle «Non ne ho la più pallida idea...» ammise sincera, prima di risalire definitivamente le scale.
Percorse velocemente i corridoi e le scale che conducevano alla camera di Mr Herbert: la fortuna voleva che quella villa fosse un ottavo più piccola di Rose Castle. Bussò alla porta ed entrò quando Miss Herbert le diede il permesso. La trovò al centro della camera, che si stava sfilando le scarpe dai piedi, muovendoli dolorante. Andò a ravvivare il fuoco, che rendeva tutto più caldo, quindi chiuse le tende e sistemò la toeletta.
«Charlotte?»
«Si Miss?» chiese, mentre la giovane si accomodava davanti lo specchio. Le sciolse i capelli e cominciò a pettinarli.
«Tu...pensi che Miss Williams sia desiderabile?»
La domanda la spiazzò, e se ne accorse quando incrociò lo sguardo della padrona attraverso lo specchio.
«Intendete fisicamente o...caratterialmente?» specificò, continuando a spazzolarle i capelli.
«Intendo...in generale»
«Beh...» cominciò Charlotte, deglutendo «io non me ne intendo molto ma trovo Miss Williams molto bella, si. Tuttavia...la bellezza non è tutto, e noi ragazze povere lo sappiamo» precisò, facendola sorridere «la bellezza e la ricchezza non valgono nulla, quando si è poveri. Vale il carattere, l'indole della persona: se è una persona assennata, dolce, amante della famiglia, seria e saggia. Ecco, potrei valutare di più Miss Williams se la conoscessi sotto questo punto di vista»
«Hai proprio ragione, Charlotte. Dato che non sono nè ricca nè bella, sono spacciata»
Charlotte sorrise divertita. «Non posso esprimermi sul primo aspetto, Miss, ma sul fatto che siate bella beh...a mio avviso siete molto graziosa»
«Dici?»
«Dico, si. Non avete nulla da invidiare a Miss Williams» precisò, sorridendole dallo specchio.
  
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