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Autore: Milla Chan    23/02/2018    1 recensioni
Aveva maturato uno strano sentimento nei confronti degli umani. Non c’era più paura, ma non c’era nessuna rabbia, solo un misto di disgusto e indifferenza. Quella situazione, però, non gli pesava quanto i suoi genitori pensavano che avrebbe dovuto; o almeno così sembrava. Kenma passava gran parte delle sue giornate a giocare ai videogiochi, e quando sua madre gli chiedeva se avesse qualcosa da raccontarle, passandogli la mano tra i capelli scuri, lui la guardava con una sorta di senso di colpa negli occhi.
[KuroKen + altre coppie secondarie] [Tokyo Ghoul!AU, ma non è necessario seguire l'opera]
Genere: Avventura | Stato: in corso
Tipo di coppia: Shonen-ai | Personaggi: Koutaro Bokuto, Kozune Kenma, Tetsurou Kuroo, Tooru Oikawa, Un po' tutti
Note: AU | Avvertimenti: Contenuti forti, Tematiche delicate, Violenza
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Purpureus veluti cum flos succisus aratro languescit moriens
 
Kageyama sentì il sangue congelarsi nel vedere quel sorriso riflesso nel vetro. Sgranò gli occhi e si impose di rimanere immobile e lucido. Allungò lentamente una mano verso Hinata, come se il minimo gesto potesse far scoppiare una bomba, e afferrò piano il suo polso per attirare la sua attenzione.
-Alzati lentamente.- gli sussurrò, cercando di muovere la bocca il meno possibile e tenendo lo sguardo fisso in quel riflesso inquietante. -…E allontanati.-
Hinata guardò confuso le mani che si stringevano corrugò le sopracciglia, un lieve rossore e a colorargli le guance. -Che!?-
-Alzati.- ripeté l’altro, più spazientito e allarmato. Shouyou si alzò in piedi, incerto, e Kageyama fece lo stesso.
-C’è un ghoul seduto là in fondo.- gli mormorò vicino all’orecchio, la voce ferma.
Hinata voltò la testa verso di lui, un’espressione incredula sul suo volto improvvisamente pallido.
-Prossima fermata: Yushima.- disse una voce meccanica, mentre il vagone oscillava appena.
Kageyama posò una mano sulla schiena di Hinata.
- Ti copro, tu chiama qualcuno. Ora. Non possiamo fare nient...-
Le urla acute di una donna fecero voltare tutto il vagone, e il panico si scatenò. Il ghoul aveva rivelato la propria presenza alzandosi in piedi con una calma innaturale.
I passeggeri iniziarono a gridare e correre, tragicamente consci del fatto di essere bloccati lì dentro, e un attimo dopo un’enorme kagune formata da sei escrescenze rosse squarciò il soffitto del vagone.
Hinata sentì le mani di Kageyama spingerlo via, facendolo quasi cadere per terra. Abbassò istintivamente la testa con un grido sentendo il fragore assordante che fece tremare l’intera carrozza.
Quando tornò a guardare in avanti, Tobio non c’era più.
In fondo al vagone, il grande vetro era scomparso. Al suo posto, il nulla. Il metallo del vagone era stato strappato come se fosse stato preso a morsi.
L’aria gelida lo investì e si sentì risucchiare verso quella voragine aperta sulle rotaie buie, sulle quali poteva vedere le figure del ghoul e di quello che capì essere Kageyama, disteso ai suoi piedi in una posizione innaturale, allontanarsi sempre di più. Si aggrappò a una delle sbarre per non cadere, con gli occhi spalancati e increduli.
Pochi secondi dopo, la metro si fermò alla stazione di Yushima e la folla si riversò al di fuori delle porte urlando disperata, fuggendo impetuosa come un fiume in piena, e anche Hinata, contro la sua volontà, fu trascinato sulla banchina da quell’ondata incontenibile.
La metropolitana era automatica, non aveva un conducente: le porte si chiusero di nuovo, senza che nessuno fosse salito a bordo, e ripartì con un cigolio inquietante, completamente vuota, continuando la sua corsa come se nulla fosse successo.
Shouyou guardò agghiacciato il fondo dilaniato dell’ultimo vagone mentre gli passava davanti. Si voltò indietro e si irrigidì quando notò che sulle scale c’erano altri ghoul, i volti coperti da maschere. Aggrottò la fronte nel vedere che rimanevano immobili, le mani in tasca e le schiene appoggiate ai muri. Non si curavano delle persone impanicate e urlanti che passavano loro accanto quasi senza accorgersene e riuscivano a salire le scale e uscire in superficie incolumi.
Indietreggiò di qualche passo, il panico e la confusione che gli attanagliavano lo stomaco. C’era qualcosa di incredibilmente sbagliato in tutto quello che stava succedendo: gli avevano insegnato che i ghoul cacciavano con le maschere, ma quelli non si muovevano nonostante fossero circondati da umani. Era come se dei pesci stessero direttamente saltando nella rete dei pescatori, ma questi ne fossero indifferenti e, anzi, li liberassero di nuovo in mare.
Si voltò di nuovo indietro e cercò allora di risalire la corrente, urtando persone, borse, zaini; doveva tornare da Tobio, aiutarlo, fare in fretta, al diavolo qualsiasi altra cosa.
Saltò giù dalla banchina e iniziò a correre a perdifiato lungo le rotaie, nella direzione da cui era appena arrivato, verso Tobio, verso quel ghoul, la mente annebbiata e le lacrime agli occhi.

Tobio sentiva un dolore insopportabile e acuto diffuso nel costato, lungo la schiena, sul viso, in tutto il corpo. Era stato afferrato dalla kagune di quel ghoul e scaraventato giù dalla metropolitana in corsa. L’impatto col terreno gli aveva fatto mancare il fiato assieme a una fitta simile a una pugnalata, era rotolato per qualche metro sulle rotaie dure e affilate, e si era procurato non poche ferite.
Aprì gli occhi con fatica e le rade luci di emergenza nella galleria gli permisero di distinguere il ghoul in piedi davanti a sé, le mani conserte dietro la schiena, composto e in attesa.

Il ghoul si abbassò il cappuccio, rivelando i capelli mossi e castani attorno alla maschera dalla linea semplice, di un colore tenue ma poco definibile sotto quelle luci blande.
Sembrava che stesse osservando il volto insanguinato di Kageyama con attenzione e interesse.
-Allora?- chiese con una nota di impazienza, chinandosi verso di lui. Lo sollevò da terra per lanciarlo qualche metro più in là, oltre il fondo accartocciato che aveva appena staccato dall’ultimo vagone, forse più per provocazione che per altro.
Kageyama sopportò nuovamente l’impatto col terreno con un verso sommesso e dolorante. Non riuscì a rispondere, le fitte che gli accoltellavano il petto ad ogni respiro.
-Non fai niente?- continuò il ghoul un attimo prima di alzare un piede per muovergli appena il braccio. -Davvero?-
Kageyama aggrottò la fronte e deglutì, sollevandosi con fatica e dolore sui gomiti e trascinandosi indietro per quanto riuscì, nonostante la schiena lo stesse uccidendo.
-Chi era il ragazzino coi capelli rossi? È tuo amico? Sono contento di vedere che sei riuscito a farti degli amici, eri tanto problematico da piccolo.-
-Chi sei?- chiese l’altro con un rantolio mentre si passava il dorso di una mano sul viso nel tentativo di pulirsi dal sangue che gli rendeva impossibile respirare dal naso.
Il ghoul si aprì in sorriso dalla vena malinconica e si accovacciò accanto a lui.
-Io sono il Grande Re.- gli sussurrò stringendogli le guance con una mano. -E a dir la verità sono molto deluso che tu non mi riconosca, Tobio-chan.-
Tobio lo guardò con terrore mentre il ghoul si portava la mano libera alla maschera e se la toglieva. Le sue pupille si dilatarono, nere e profonde come due grandi buchi neri, lo sguardo di chi ha appena visto un fantasma.
Mosse le labbra per mimare il suo nome, senza voce, la gola asciutta, le mani ora aggrappate alla sua, che nel frattempo era scesa sul collo.
-Credevo che…-
-Che fossi morto? Lo credevano in tanti, visto quello che è successo ai miei genitori grazie a te. Come stanno i tuoi? Sai, ogni tanto mi sembra di ricordare la voce di tua mamma che ti riprende e ti dice di essere più educato. Ce l’hai fatta? Sei diventato il loro orgoglio, finalmente?-
Oikawa parlava con gli occhi spalancati, la bocca che compiva i minimi movimenti per far uscire le parole, come se il suo intero corpo fosse un fascio di muscoli in tensione, le dita che si stringevano un po’ di più attorno alla sua gola mentre Kageyama tentava di liberarsi.
-Tu te li ricordi, i miei genitori? Sei fortunato a non aver visto come li hai ridotti, la Notte di Sangue, perché io ormai li ricordo solo così.-
Oikawa si prese un momento per sorridergli, prima di continuare.
-Cosa direbbero i tuoi, nel vederti in quello stesso stato?-
Kageyama tentò di sferrare un debole pugno nella sua direzione, nonostante la crescente mancanza di ossigeno.
-Mi aspettavo di più da te. Mi aspettavo molto di più in generale. Davvero, ti ho sopravvalutato?- commentò Oikawa con sincero sconforto, afferrando il suo pugno con il palmo libero. -Non eri il prodigio della CCG? Forse essere lanciato giù dalla metropolitana non ti permette di essere in condizioni ottimali? Così non è affatto giusto, però. Non puoi dimostrarmi davvero niente.-

-Tooru.-

Una terza voce interruppe il suo discorso e fece allentare la sua presa attorno alla gola di Kageyama, che annaspò nell’aria. Entrambi voltarono la testa verso il lato destro della galleria: seduto sul rialzo di cemento c’era un altro ragazzo, anch’egli con una maschera, le mani intrecciate tra le ginocchia divaricate. Non si erano accorti del suo silenzioso arrivo, immersi in quella situazione.
Oikawa riconobbe la maschera di Iwaizumi. L’espressione che assunse nel guardarlo era totalmente differente rispetto a quella che aveva indossato fino a pochi secondi prima.
-Quello che è successo ai tuoi genitori non è colpa sua.- disse Iwaizumi, gelido mentre si alzava in piedi. -Non ha scelto lui di essere usato come spia.-
Sul viso di Oikawa scese un’ombra contrariata. Si alzò in silenzio e, dopo aver afferrato Tobio per il giubbotto, lo lanciò ai piedi di Iwaizumi. Kageyama si rannicchiò, una mano sulle costole, e Iwaizumi rimase per qualche attimo senza parole. Non aveva il coraggio di toccarlo.
Oikawa attraversò a passi lenti le rotaie, salì sul rialzo e raggiunse l’altro ghoul. Lo guardò dritto in faccia, i kakugan che sembravano quasi brillare nel buio.
Iwaizumi aggrottò la fronte, improvvisamente allarmato e stranamente impaurito da quella reazione.
-Ti sei affezionato a Tobio?- chiese Oikawa, lapidario.
-No, lui… Ha solo quindici anni!- disse Iwaizumi con enfasi, sviando il discorso. La sua voce rimbombò nella galleria.
Sapeva che non era una buona idea opporsi ad Oikawa in quel modo, ma qualcosa dentro di sé gli stava dicendo che avrebbe dovuto farlo, che c’era qualcosa di logicamente sbagliato. Doveva esserci, perché non poteva dare tutta la colpa di quel comportamento all’affetto che aveva maturato nei confronti di Tobio.

-Dai, salvalo.- disse Oikawa, indicando il ragazzino con la mano, spazientito. -Rendi tutto inutile. Avanti.- continuò, più aspro, gli occhi spalancati mentre afferrava il braccio di Hajime e lo faceva avvicinare al ragazzo contro la sua volontà.
-Non sei venuto per questo? Fallo.- infierì, a voce sempre più alta ma un po’ instabile.
Iwaizumi si liberò dalla sua presa e abbassò lo sguardo. Oikawa lo guardava indignato.
-Dio, Hajime.- commentò a cuore aperto. Tobio alzò appena la testa sentendo quel nome.
-Lui non sa niente.- riuscì a dire l’altro ghoul, il cuore che si era stretto nel sentirsi chiamare col proprio nome. -Non ha senso tutto questo.-
Gli occhi di Oikawa erano sconvolti.
-È proprio perché non mi serve che deve finire qui! Non si lascia crescere l’erbaccia tra i fiori!-
Iwaizumi strinse le labbra e arricciò il naso.
-Non è erbaccia. È solo un ragazzino…-
-Sì che è erbaccia!- lo interruppe Oikawa gridando con astio, il volto increspato, incredulo del fatto che Hajime, quella persona, proprio non lo capisse, non l’avesse mai capito.
-È un umano ed è lui che hanno usato per uccidere la mia famiglia, per uccidere me, la persona che tu hai salvato quella notte, te lo ricordi? Ti ricordi com’eravamo?-
La sua voce amara riecheggiava nel cuore e nel cervello di Iwaizumi. Gli sembrò di rivedere davanti a sé gli stessi occhi di quel ragazzino riverso tra i vetri rotti.
-Diventerà un investigatore, come i suoi genitori, e bisogna evitarlo prima che sia troppo tardi. Cosa credi che farebbe, se scoprisse chi sei? Che gliene importerebbe qualcosa della vostra “amicizia”? Perché non ti togli la maschera e gli fai vedere la tua faccia, visto che ci tieni così tanto a lui? Pensi che sarebbe una bella mossa, per te?-
Iwaizumi rimase un attimo pietrificato. Non voleva dare a Oikawa la soddisfazione di vederlo scuotere la testa e dargli ragione, né voleva vedere la delusione farsi strada sul volto gonfio e sanguinante di Tobio se avesse rivelato la sua identità.
-Lo sapevi benissimo che sarebbe finita così.- sussurrò infine Oikawa, la voce che finalmente si era placata, chinandosi per prendere la faccia di Kageyama tra le mani e sollevarlo da terra.
-Tooru, aspetta…- disse la voce supplicante e flebile di Hajime, troppo debole per essere davvero ascoltata.

Per Kageyama, i suoni erano distanti e le voci confuse, e i discorsi che stavano facendo non sembravano avere alcun senso. Ogni cosa sembrava far pensare che lui conoscesse anche il secondo ghoul, ma nella sua testa c’era un solo Hajime, e non ebbe davvero la forza di credere che fosse lui, di ammetterlo a se stesso. In quel momento, pensare era troppo faticoso e già abbastanza doloroso. Se era così, si disse, allora era stato uno stupido ingenuo.
-Hajime, ti prego, non prenderla sul personale.- tagliò corto Oikawa, inquieto, una smorfia a piegargli la bocca. - Non c’entri niente. Lo sto facendo per me.-

Un rumore in lontananza li avvertì che stava arrivando il prossimo treno. La linea non era stata ancora bloccata: qualcosa probabilmente non aveva funzionato a dovere, o la notizia non era ancora giunta alle autorità competenti.
Nello stesso momento, dalla direzione opposta, si sentirono dei passi distanti e veloci sul cemento, come se qualcuno stesse correndo verso di loro.
-Tobio!- urlò una voce lontana e affranta.
Tobio, nonostante ormai respirare fosse impossibile e la testa gli vorticasse pericolosamente, cercò di guardare tra le fessure delle dita di Oikawa, confuso e affannato. Sembrava la voce di Shouyou, e fu al contempo terrorizzato e felice, in un modo totalmente irrazionale.
Iwaizumi drizzò la testa e voltò il capo in direzione di quella voce. Nel farlo vide che il fondo accartocciato del treno precedente intralciava i binari, qualche metro più avanti: era impossibile che si evitasse l’incidente. Sgranò gli occhi e indietreggiò di qualche passo.

Oikawa tese il braccio verso le rotaie. Le gambe di Kageyama penzolavano come quelle di un burattino.

Iwaizumi avrebbe potuto fare tante cose. Avrebbe potuto colpire Oikawa con la sua kagune, ora che gli dava le spalle. Avrebbe potuto buttarglisi addosso e atterrarlo, prenderlo a pugni mentre gli urlava di non farlo perché, aveva ragione, era venuto lì per quello.
Eppure non lo fece. Non lo fece perché non era vero che poteva farlo. Non poteva e non voleva, perché Tooru valeva più della vita di un essere umano che conosceva da qualche mese. Era la pura e semplice verità: doveva essere schietto con se stesso, a costo di sfogarsi sui muri coi suoi pugni.
Hajime non era affatto il tipo di persona che piegava la testa facilmente, o che si lasciava intimidire. Non sapeva spiegarsi come fosse successo: non appena era arrivato, Oikawa gli si era avvicinato con quello sguardo, e tutte le sue certezze ad un tratto gli erano sembrate stupide e infondate, tutti i suoi propositi gli erano sembrati vani, tutto il coraggio che aveva dimostrato nel presentarsi lì, soffocato come una fiamma sotto una campana di vetro.
Tooru non aveva mai mentito sulle sue intenzioni. Stava proseguendo su una sola strada, un’unica, lunga e ben definita via, e Iwaizumi sapeva fin dall’inizio quale fosse, e non era corretto da parte sua ostacolarlo. Non gli stava accanto per farlo dubitare su questioni che, per loro, per dei ghoul, non avrebbero mai dovuto suscitare controversie di quel genere: uccidere o no un umano? Sciocchezze. Non poteva rimproverarlo di essere incoerente: non lo era. Non poteva rimproverarlo di essere un assassino: tutti lo erano.
Quel momento, però, valeva molto di più per Tooru: era la chiusura di una lunga questione.
Iwaizumi sapeva quanto la morte dei suoi genitori avesse influito su di lui. Non lo conosceva, prima di quella tragica notte, ma aveva visto e continuava a vedere chiaramente come quello fosse diventato il suo pensiero fisso nei momenti più bui. Non si potevano semplicemente “scacciare i brutti pensieri” come credevano da bambini. Non bastava assorbire l’atmosfera calma di un negozio di fiori al mattino, immerso nel silenzio, per esorcizzare il terrore.
Kageyama non era stato l’esecutore materiale di quell’omicidio, ma per Tooru quel ragazzino personificava ogni singola cosa che c’era stata prima della Notte di Sangue, ed era tutto quello che Tooru custodiva gelosamente, tutto quello che voleva e doveva rendere definitivamente suo e solo suo per sempre, rinchiuderlo dentro di sé con un lucchetto per compiere il primo grande passo avanti.

Hajime, con le mani colme del suo frivolo capriccio dal gusto innaturalmente umano, chinò il capo remissivo davanti all’ideale di Tooru, proprio come avrebbe fatto al cospetto di un re, perché lo sarebbe diventato presto, e perché lo era già, ai suoi occhi. Perché lo amava, e non per sua scelta, e non c’erano condizioni, per quanto fosse doloroso.
Chiuse gli occhi mentre Tooru lasciava cadere sulle rotaie il corpo quasi incosciente di Tobio, in pasto all’oblio.

L’urlo atroce della voce di Shouyou, sempre più vicina, squarciò l’aria quasi quanto il treno che passò subito dopo.

Hajime amava i fiori rossi. Le kalanchoe, in particolare, perché erano piccole e gli suscitavano tenerezza. Gli piaceva il connubio che creavano con  il rosso, quel colore forte, vibrante, intenso, acceso: davano speranze, ispirazione, sembravano dire “sono capace di grandi cose!”.
Forse, perché un po’ gli ricordavano Tobio.
Eppure, il rosso del sangue che gli sporcò la maschera e i vestiti l’attimo successivo fu insostenibile, e il cuore sembrò lacerarsi per il dolore.

Kenma era in piedi, accanto dalle scale della stazione di Yushima, assieme ad altri cinque ghoul del Nekoma.
Nekomata aveva detto loro di andare lì e fare attenzione che non entrasse nessuna colomba, ovvero nessuno con una quinque: era un lavoro per Oikawa, aveva detto. Nulla di troppo pericoloso.
Fino a quel momento era andato tutto bene, non avevano dovuto fare niente, ma non sapevano altro di ciò che stava succedendo.
Aveva osservato la folla terrorizzata che si era riversata fuori dalla metropolitana mezza distrutta e che correva in tutte le direzioni, il panico ulteriormente alimentato dalla vista di quel gruppetto di ghoul di guardia alle scale.
Kenma aveva tenuto la testa bassa, sperando di potersene andare presto: non gli piaceva essere in mezzo a così tante persone, soprattutto se gridavano e si dimenavano in modo disordinato e caotico. Il fatto che Kuroo non fosse lì con lui aveva nettamente peggiorato quella sensazione di soffocamento e smarrimento.
Nekomata aveva scelto uno ad uno i ghoul da mandare a Yushima, e aveva preferito che Kuroo restasse a casa per riposarsi dopo il turno di lavoro. Kenma aveva provato a insistere, anche se debolmente, nella speranza che potesse venire anche Kuroo -o, ancora meglio, se fosse potuto restare a casa con lui- ma Nekomata non aveva voluto sentire ragioni e Kenma aveva dovuto ingoiare il nodo che gli stringeva la gola.
L’ansia si era leggermente attenuata solo quando la stazione era tornata ad essere deserta, o quasi: qualche persona ignara ogni tanto scendeva le scale, ma si pietrificava non appena si accorgeva della presenza dei ghoul, e scappava immediatamente.
Però, quando un grido disperato rimbombò nella galleria, Kenma sollevò la testa coperta dalla maschera e da una cuffia di lana. Subito dopo, uno stridio assordante e un boato spaventoso. L’intero luogo tremò come se ci fosse appena stato un terremoto.
Si voltò verso gli altri ghoul e li vide immobili, appoggiati al muro ma chiaramente irrigiditi.
-È deragliata.- disse uno dei più grandi con sicurezza.
Incuriosito e preoccupato, Kenma mosse qualche passo verso i binari e si sporse a guardare. Scese dalla banchina e fissò la galleria nera con il cuore in gola, l’aria gelida e umida che gli entrava sotto la maschera e gli pizzicava la faccia. Sentiva un odore strano e la voce nascosta in quel grido gli aveva fatto accapponare la pelle.
-Kozume, non ci provare!- gli intimò uno dei suoi compagni non appena lo vide muovere qualche passo lungo le rotaie. Kenma sobbalzò e si girò a guardarlo.
-Torna qui.- continuò, anche a costo di risultare eccessivamente duro.
Kenma guardò di nuovo la galleria, come per implorarlo di lasciarlo andare, ma dovette cedere e tornare accanto a lui.
-Sicuramente arriverà qualcuno da un momento all’altro, saliamo in superficie.-
Kenma emise un debole verso di assenso con aria cupa. Era il più giovane di quel gruppo ed era fondamentale che facesse come gli dicessero, perché era così che voleva Nekomata.

Hinata tremava senza controllo. Si toccò la faccia per capire se fosse ancora vivo, integro, e i polpastrelli si bagnarono di lacrime e sangue.
Aveva corso a perdifiato lungo quella galleria, ma era arrivato troppo tardi. Le luci erano rade e le forme poco definite, ma aveva visto con i suoi occhi Tobio inghiottito dal treno, e l’immagine gli si era impressa addosso, marchiata a fuoco negli occhi, il suono nelle orecchie, l’odore nel cervello, nel naso, nella bocca asciutta. Aveva sangue e brandelli di carne addosso. Erano schizzati ovunque. Tobio era morto.
Aveva appena fatto in tempo a rendersene conto che la metropolitana aveva travolto i resti del primo treno: in uno scenario apocalittico, i vagoni si erano ribaltati e accartocciati come se fossero stati di cartone, con un rumore tremendo.
Hinata non seppe per quale miracolo non finì straziato tra il metallo tagliente del treno che ostruiva completamente la galleria. Si era rannicchiato sul cemento accanto al muro, o forse era caduto, non si ricordava cosa avesse fatto. Davanti a sé, a meno di mezzo metro, un pezzo di vagone lacerato, un braccio rosso che penzolava fuori dallo squarcio.
Fu scosso da un singulto e puntò i piedi per terra per indietreggiare. C’erano lamiere ovunque si girasse, lamenti e grida provenivano da ogni direzione, la gente cercava di uscire dai finestrini sbriciolati.
Singhiozzò quando sentì qualcosa muoversi con un rumore metallico e subito dopo, da dietro una lastra ammaccata, uscì uno dei due ghoul che avevano ucciso Tobio.
-Shouyou, corri!- gridò Hajime col fiato corto e un gesto della mano. Aveva riconosciuto il ragazzino di cui Kageyama parlava sempre; era lui, non c’erano dubbi.
Hinata balzò in piedi, sospinto dall’adrenalina, confuso e stupito che quel ghoul conoscesse il suo nome e che lo stesse invitando a scappare, ma non c’era tempo per pensare. Guardò di nuovo davanti a sé e cercò con gli occhi una via di fuga.
Cercò di scavalcare ciò che era rimasto di un vagone e scivolò sulle macerie più volte, emettendo deboli versi quando si feriva le mani o quando si appoggiava ad un pezzo di metallo rovente. Piangeva ma non poteva fermarsi, e quando riuscì a vedere davanti a sé la galleria quasi completamente sgombra, iniziò a correre, anche se le gambe erano deboli e temeva che sarebbero cedute da un momento all’altro. Dovette sorpassare altri cadaveri e persone agonizzanti riverse sulle rotaie, doveva proseguire dritto e uscire da lì il più presto possibile.
Tobio era morto. Era morto. Quei ghoul l’avevano ucciso e basta: non per cibarsi, non per mangiarlo. L’avevano fatto a pezzi senza un motivo apparente.
Nella sua testa si ripeteva insistentemente perché, perché avrebbero dovuto fare una cosa del genere, perché lui, perché in quel modo. Un dolore insopportabile gli stringeva il petto in una morsa e l’aria umida della galleria gli ghiacciava le ossa, gli asciugava il sudore gelido.
Vide la luce intensa della stazione di Yushima avvicinarsi e il cuore sembrò farsi un po’ più leggero, ma non appena cercò di salire sulla banchina qualcosa lo afferrò alla caviglia e lo fece cadere.
Si voltò. Era l’altro ghoul, quello che aveva visto sulla metropolitana. Fissò la sua maschera, di un verde tenue, che gli copriva il naso e gli occhi, e non poté non soffermarsi sulla sua bocca serrata e tesa, ridotta a una linea. Le sei escrescenze rosse che uscivano dalla sua schiena si agitavano nell’aria come enormi nastri carnosi e Hinata riuscì a rialzarsi in piedi giusto in tempo per schivare un suo attacco, anche se in modo grossolano. Inciampò nelle rotaie e mentre crollava a terra senza fiato pensò che, ecco, era finita.
Sentì il ghoul fare un passo avanti e strizzò gli occhi, il respiro trattenuto a un braccio alzato in un debole tentativo di proteggersi.
Non aveva speranze. Tobio era morto e nel giro di attimi sarebbe morto anche lui, e averne la consapevolezza era orribile e gli dilaniava il cuore, lo riempiva di terrore, perché non voleva morire, non voleva, non voleva.
Eppure, nulla lo colpì. Aprì lentamente le palpebre tremanti.
Davanti a lui c’era una persona inginocchiata che gli dava la schiena, dei ciuffi di capelli biondi che spuntavano da sotto una cuffia di lana. Teneva una mano tesa verso Oikawa, e quel semplice gesto sembrava averlo fermato, in qualche modo.
La persona misteriosa si girò verso di lui e Shouyou  smise nuovamente di respirare nel vedere la maschera bianca con tre occhi gialli che lo fissavano come se fossero stati veri.
Indietreggiò strisciando, il cuore in gola, e Oikawa inclinò la testa da un lato.
-Perché oggi mi intralciate tutti?- iniziò scocciato, rivolto all’altro ghoul, con un risata leggera e innervosita.
-Non fargli del male.- disse quello, con una voce che alle orecchie di Shouyou suonò stranamente familiare.

Pochi attimi prima, in superficie, l’attenzione di Kenma era stata attirata da un rumore in fondo alle scale. Aveva girato la testa, e proprio in quel momento uno dei ghoul accanto a lui aveva indossato un sorriso beffardo.
-Arrivano, finalmente.- aveva detto mentre il kagune usciva dalla sua schiena.
-Ce ne hanno messo di tempo.- aveva commentato un altro, stiracchiandosi pigramente.
Kenma si era voltato di nuovo ed era rimasto pietrificato. Delle colombe correvano verso di loro, le valigette in mano.
Sapeva che nella stazione stava succedendo qualcosa, e dentro di sé una voce gli gridava di andare, di sbrigarsi, di tornare sottoterra, non per scappare, ma perché quello era il momento giusto. Aveva stretto i denti ed era corso giù per le scale senza che nessuno se ne accorgesse.
I suoi occhi si erano agganciati all’immagine di Shouyou, solo e sporco di sangue e polvere, steso sui binari, ai piedi di Oikawa.
Tutto il resto era svanito. Non aveva aspettato un secondo di più.


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Note e chiarimenti
Chiedo scusa per l'immenso e imperdonabile ritardo, spero che abbiate trovato comunque la voglia di leggere questo capitolo.
Il titolo è un celebre verso preso dal nono libro dell'Eneide, in particolare dall'episodio della morte del giovane Eurialo. La traduzione è "Come un fiore purpureo quando, reciso dall’aratro, languisce morendo". L'associazione tra i giovani morti prematuramente e i fiori recisi è un'immagine ricorrente nell'epica e ovviamente non potevo lasciarmi scappare l'occasione di proiettarla sulla mia storia, e associare Tobio alle kalanchoe- sì, sono un mostro, la mia coinquilina me l'ha già detto.
Spero che continuerete a seguire questa storia, grazie di aver letto!


 
   
 
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