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Autore: NPC_Stories    25/02/2018    7 recensioni
Nell'oscura città di Menzoberranzan, una nobile Casata vive i suoi ultimi momenti nel sangue. Il sangue della morte, il sangue della vita. Dopo quel giorno, il nome di Casa Menz'brez non verrà mai più pronunciato, come se fosse cancellato dalla memoria. Ma la Casata è veramente estinta? La sua eredità è perduta per sempre?
Forse c'è più di un modo in cui un'eredità può estinguersi.
Oneshot sulle origini di Daren (uno dei personaggi principali di Lezioni di Sopravvivenza) e di sua sorella. Forse un giorno avrà un seguito, ma per ora sta in piedi anche come oneshot.
Genere: Dark, Drammatico, Fantasy | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
- Questa storia fa parte della serie 'Forgotten stories of the Forgotten Realms'
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1102 DR: L'ultima pagina di un libro, l'inizio di una nuova storia


Città di Menzoberranzan, Buio Profondo, Nord di Faerûn
 

La stanza era quasi insonorizzata, grazie alle pareti di pietra spesse mezzo metro, ma le grida di guerra e di morte provenienti dall'esterno si sentivano comunque. Là fuori doveva essersi scatenato l'inferno.
Tanith'ey urlò, un grido di rabbia, di determinazione e di dolore. Dentro quella stanza, stava combattendo la sua battaglia personale. Distesa su un lettino di pietra, con due soldatesse molto nervose come unica compagnia, Tanith'ey strinse i denti, prese un respiro profondo e spinse con tutte le sue forze, gridando di nuovo. Il parto non stava andando come aveva sperato, era in travaglio ormai da troppo tempo.
“Forza, Signora.” La incoraggiò una soldatessa, spronandola a portare a termine il suo compito... o a fare presto? Tanith'ey la guardò con odio, cercando di memorizzare il suo viso per poterla uccidere quando tutto fosse finito. Se fosse finito.
Il rumore di combattimenti sembrava avvicinarsi sempre di più, contro ogni logica. Non avrebbero dovuto essere già dentro. Non avrebbero dovuto riuscirci affatto. Il palazzo di Casa Menz'brez avrebbe dovuto essere inespugnabile, avrebbe dovuto...
Con un ultimo sforzo, Tanith'ey riuscì a espellere dal suo corpo la creatura che l'aveva fatta tanto penare nelle ultime ore.

“Una femmina!” Esclamò la soldatessa, poi con gran cura sollevò la bambina per ripulirla dal sangue. “Forse è un buon segno, Signora. Forse Lady Lloth ci ha concesso nuovamente il suo favore!”
Tanith'ey prese la neonata che le veniva messa in braccio, e la guardò per un breve momento. Era così bella. Un peccato che la sua vita sarebbe stata così breve. Non sapeva come rispondere all'affermazione della sua serva, ma quando alzò lo sguardo per parlarle, vide una folle scintilla di speranza brillare negli occhi delle due soldatesse. D'un tratto, con chiarezza disarmante, capì che le due drow avevano bisogno di crederlo. Decise di non dissuaderle dalla loro speranza, ma dentro di sé sapeva che le cose stavano diversamente. Quando provava a usare i suoi poteri innati per protendere la sua coscienza verso la Regina Ragno, come aveva imparato a fare fin da bambina, incontrava solo un muro di rifiuto e rabbia incandescente. Lady Lloth è in collera con la mia famiglia, e sono io la causa di tutto questo, pensò, ma si guardò bene dal dirlo. Era stremata, dolorante, e sentiva che il suo travaglio non era ancora finito. L'ultima cosa che voleva era perdere la flebile lealtà delle sue soldatesse.
“Signora, dobbiamo andare, adesso. Dobbiamo fuggire.” Una delle due femmine si mosse verso la nobile per aiutarla a sollevarsi.
Tanith'ey stava per obiettare, ordinando loro di restare perché non aveva ancora finito; ma prima che potesse dire qualcosa, un coltello trapassò la nuca della guardia più vicina, spuntando da sotto il mento delicato. L'altra drow mise mano alla frusta e alla spada, pronta a combattere l'avversario invisibile, ma venne buttata a terra da una potente scarica di elettricità magica.
Mentre la soldatessa moriva in silenzio sul pavimento, il nemico invisibile parlò.
“Una femmina. Ben fatto, Tanith'ey. Sembra che le tue preoccupazioni fossero vane. Chissà, forse tutta questa guerra si sarebbe potuta evitare.”
La nobile conosceva bene quella voce. Era Kazran, il mago della Casata. Avrebbe dovuto essere un loro alleato!
“Kazran, non ho ancora finito. C'è un altro bambino!” Disse con tono urgente, all'apparenza senza preoccuparsi affatto della sua posizione vulnerabile davanti a qualcuno che aveva appena ucciso le sue guardie.
Il drow tornò visibile, giusto in tempo perché Tanith'ey vedesse la sua espressione mutare dal divertimento alla preoccupazione.
“Non hai tempo, Tanith'ey. Sono già qui.”
“Come possono essere già qui?!” Gridò lei disperata, mentre cercava di spingere, ancora, per dare alla luce quella creatura che non si decideva a uscire.
“Perché li ho fatti entrare io.” Rispose lui, in tono perfettamente neutro.
Tanith'ey rimase senza fiato. Per un momento dimenticò tutto, anche il dolore delle doglie.
“Mi dispiace, Tanith'ey. Mi serviva un diversivo per fare ciò che mi hai chiesto.”
La giovane drow lo guardò scioccata, senza parole. In quel momento si sentì addosso tutto il peso dell'ingenuità dei suoi settant'anni. Poi, dallo stupore e dal dolore del tradimento, sentì sorgere una ventata di rabbia. La collera la avvolse come una benedizione, mitigando la sofferenza e la paura.
“Ti ho chiesto di prendere il nostro bambino e portarlo via, se fosse stato un maschio. Non ti ho chiesto di aiutare... o addirittura organizzare!... una ribellione contro la mia Casa!” Gridò, inframmezzando le proteste a urla di dolore e profondi respiri. Quel maledetto bambino doveva decidersi a nascere! Senza accorgersene, stava stringendo spasmodicamente la sua primogenita, che aveva ricominciato a piangere.
“Non lo capisci, piccola?” Kazran le andò accanto e con una mano le accarezzò i capelli bianchi, mentre con l'altra andò a stringere la sua mano. “Proprio i tuoi sentimenti troppo indulgenti hanno attirato sulla tua Casa il rancore della Regina Ragno. La tradizione della tua famiglia vuole che tutti i maschi non autorizzati a nascere vengano uccisi, e tu hai disobbedito, anche solo con l'intenzione.”
“Mi pareva che tu fossi d'accordo con me!” Lo freddò lei.
“Quello che voglio io non conta. Sono un maschio, e nemmeno un tuo consanguineo, sono solo un servo. Tu sei una nobile! Appena altre Case potenti si sono accorte che avevate perso il favore di Lloth, si sono coalizzate per distruggervi. Casa Menz'brez è la Seconda di Menzoberranzan... una posizione invidiata da molti. Non ho organizzato la rivolta. Mi sono limitato a prendere accordi per avere un tornaconto personale se li avessi aiutati ad entrare.”
Tanith'ey avrebbe voluto gridargli addosso che era un serpente traditore, che lo odiava, che malediceva lui e i suoi figli... ma la verità è che lui era un drow, e lo era anche lei, e sapevano bene entrambi come funzionava il loro mondo.
“Tu sei una nobile, e sei una sacerdotessa che ha perso il favore della Regina Ragno, quindi morirai. Come tua madre e le tue sorelle.” Constatò lui. Non c'era crudeltà nel suo tono, solo rassegnazione.
Lei annuì. Lo sapeva, naturalmente. I rumori della battaglia erano sempre più vicini.
“Fai quello che hai promesso, allora. Prendi i bambini.”
Lui sollevò un sopracciglio per esprimere perplessità, e lei sentì che lo odiava di nuovo, più di prima.
“La femmina deve morire.” Obiettò il mago, stringendosi nelle spalle. “E se ne hai un altro dentro, maschio o femmina, non hai il tempo di partorire.”
“No!” Negò lei, con forza, anzi, con cocciutaggine. “Ti sei preso il tuo tornaconto in questa faccenda. Ora mantieni la tua schifosa parola. Porta fuori da qui i nostri figli.”
Kazran la guardò negli occhi, affascinato suo malgrado dalla sua tenacia. Le sue sorelle avevano pateticamente implorato per la loro vita. Guardò la giovane femmina spossata dal parto e disperata per la sua morte imminente, ed ebbe la sensazione che fosse la persona più forte in quella casa.
“Dovrò tirarlo fuori.” Si arrese, estraendo un altro pugnale dalla sua scorta.
La drow annuì. Sarebbe morta in ogni caso.
“Ti amo, Tanith'ey” mormorò lui, prima di procedere con l'incisione.
Lei guardò il coltello, sentendo di nuovo la morsa del panico, ora che era giunto il momento.
“Io ti amerò di nuovo se porterai via anche la femmina” mormorò, tentando un'ultima volta di convincere il suo ex amante. Ma un attimo dopo lei era morta, e non seppe mai se lui avesse accolto la sua richiesta o no.
Kazran prese la bambina prima che scivolasse fuori dalla presa della madre, e l'appoggiò con cura ai piedi del cadavere. Poi riuscì in qualche modo ad estrarre anche l'altro. Un maschio. Tanith'ey aveva avuto ragione a preoccuparsi, dopo tutto.

Kazran non era il mago della Casata per niente. Figlio cadetto di una famiglia nobile minore, aveva fatto strada fra i ranghi della città dimostrando una grande predisposizione per le arti arcane. Era stato reclamato dalla Seconda Casa solo in base al merito, una posizione ambita da molti visto che Casa Menz'brez era nota per non avere figli maschi da impiegare.
E ora un maschio non pianificato è sopravvissuto, pensò il mago, sollevando tra le braccia quel bambino che era figlio suo e della principessa più giovane della Casata. Il bambino piangeva ed era coperto di sangue, ma lui non aveva il tempo di calmarlo o di pulirlo. Aveva preparato un piano di fuga, naturalmente, e nella sua mente stava già preparando l'incantesimo. Rivolse un'ultima occhiata alla sua amante morta, riversa sul lettino del parto, e sentì una punta di tristezza da qualche parte nel suo cuore indurito. Tanith'ey era stata l'unica femmina a trattarlo con un po' di decenza, perché era stupida e giovane e si era invaghita di lui. Scacciò questi pensieri dalla mente. Tanith'ey era morta, quindi era come se non fosse mai esistita. Poi il suo sguardo cadde sulla bambina.
Ti amerò di nuovo se porterai via anche la femmina.
La voce di Tanith'ey gli risuonò nella mente, ancora una volta, un'ultima volta.
Con un sospiro, maledicendo la sua stupidità, Kazran raccolse anche la bambina.

Pochi istanti dopo il drow con i due neonati in braccio scomparve dalla stanza del parto, un attimo prima che gli invasori riuscissero a sfondare la porta con una scarica di energia magica.
Kazran si teletrasportò nella stanza di una locanda, nella zona più esotica del mercato. Quello era uno dei quartieri più snobbati dai nobili di Menzoberranzan, perché era l'unico in cui fosse consentito l'accesso ai mercanti umani, duergar, e delle altre razze che si azzardavano a commerciare con i drow.
Il mago posò i bambini sul suo letto e usò alcuni incantesimi elementari per ripulirli e farli addormentare. Non avrebbe sopportato il loro pianto un secondo di più.
Kazran uscì dalla stanza e scese le scale, con calma. Alcuni giorni prima aveva preso alloggio, ovviamente sotto falso nome, in quella locanda senza infamia e senza lode. Era comunque una topaia per gli standard di un nobile, ma l'aveva scelta secondo un preciso criterio: la locandiera, una giovane mezza-drow, aveva partorito da pochi mesi.
“Tu!” L'apostrofò, non appena riuscì a trovarla. “Hai abbastanza latte per altri due bambini?”
La locandiera lo guardò con stupore, presa in contropiede dalla richiesta improvvisa.
“Altri due? Io non... non lo so, forse, ma dovrò dare del latte di rothé al mio.” Ragionò, riferendosi agli animali che nel Buio Profondo venivano allevati come mucche.
“Allora fallo.” Le ordinò lui senza tante cerimonie, mettendole in mano una moneta d'oro. “Ti pagherò bene per il disturbo... e per il tuo silenzio.”
La donna si rigirò la moneta nel palmo, poi annuì. Se il drow intendeva pagarla in oro, avrebbe potuto anche abbandonare il suo bambino in un pascolo di rothé con un bacio e un augurio di buona fortuna. “Verrò appena posso. Datemi dieci minuti.”

Kazran tornò nella sua stanza. I bambini dormivano ancora, l'uno accanto all'altra. Il maschio aveva trovato una delle manine della femmina e l'aveva stretta in un piccolo pugno. Kazran rimase ad osservarli per alcuni lunghissimi minuti, avvertendo una strana sensazione nel petto. Erano così... avrebbe detto teneri, ma non aveva una parola per definirli. Decise di ripiegare su deboli.
Ma guarda come dormono beati. Pensò, con un sorriso amaro. È come se appartenessero allo stesso rango. Come se uno dei due non fosse stato destinato a morire, o a diventare un semplice servo della sorella.
Dovrò dare loro un nome. Decise infine. Un nome che rimanga sconosciuto a tutti. I nomi hanno potere. Devo decidere il loro Vero Nome, altrimenti lo farà qualcun altro e sarà di dominio pubblico.

Il mago sciolse la stretta delle loro mani e sollevò delicatamente il maschietto, che si mosse nel sonno ma non si svegliò.
“In nome del sangue che ci lega, figlio mio...” si rese conto di come fosse strano, chiamare qualcuno figlio, “Io, Kazran, dichiaro che il tuo nome è Dhaunryn.”
Il nome significativa, letteralmente, sangue infestato o colui che ha il flagello nel sangue. Era un buon nome per un bambino che aveva causato la morte di sua madre, un bambino che aveva nel sangue una maledizione millenaria che la sua famiglia aveva coltivato gelosamente. La purezza genetica era il motivo per cui non potevano nascere maschi che non venissero accuratamente pianificati. Se Kazran ci avesse riflettuto bene, avrebbe capito che era stata la folle idea di purezza della Casata, non i naturali sentimenti materni di Tanith'ey, a causare la rovina di quella famiglia. Ma era un drow, cresciuto in una città spietata, e non sarebbe stato capace di un simile ragionamento.
Posò il piccolo Dhaunryn e stavolta prese in braccio la bambina. Se per il maschio provava sentimenti contrastanti, per la femmina era certo di non provare assolutamente nulla. Era un'estranea, una creatura aliena e superflua, e lui non aveva mai desiderato una figlia femmina. L'avrebbe lasciata al suo destino, se la sua giovane madre non avesse implorato in modo così struggente.
“In nome del sangue che ci lega, figlia mia, io, Kazran, dichiaro che il tuo nome è Cri'nthrye.” Decise brevemente, poi la posò di nuovo sulla coperta accanto al fratellino.
La bambina sospirò nel sonno, pacificamente inconsapevole che suo padre l'avesse chiamata Colei che è causa di pianto.

La locandiera arrivò alcuni minuti dopo, per portare latte e fasce pulite per i bambini. Kazran decise che avrebbe delegato a lei i compiti più triviali. Doveva occuparsi di trovare degli agganci, qualcuno a cui scaricare i due neonati, possibilmente molto lontani l'uno dall'altra. La bambina in particolare non sarebbe dovuta crescere sotto la cappa soffocante del culto di Lloth, altrimenti la sua vera ascendenza sarebbe stata rivelata fin troppo presto. Doveva lasciare Menzoberranzan, subito.
Kazran cominciò a fare piani nella sua mente, pensando a chi conosceva e a chi poteva corrompere, mentre lasciava vagare lo sguardo sulla locandiera che allattava i piccoli. Era graziosa, notò. Assomigliava più a una drow che ad una donna umana, e il suo atteggiamento sottomesso lo eccitava. Era un piacevole risvolto del fatto che lei appartenesse ad una razza inferiore, cosa che le precludeva l'accesso alla casta sacerdotale e al potere sociale che avevano tutte le femmine drow. Fece scivolare lo sguardo sui suoi seni rigogliosi, e si scoprì a pensare che, se lei fosse stata gentile con lui, forse avrebbe anche potuto sprecare un incantesimo per farle dimenticare quei giorni... anziché ucciderla come aveva inizialmente deciso.
Ah, Kazran, vecchio mio. Ti stai rammollendo.



     

   
 
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