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Autore: Crilu_98    25/02/2018    2 recensioni
Gli occhi severi di Ronja nascondono una bambina che non ha mai avuto davvero la possibilità di crescere, protetta dal mondo e dimenticata dal padre, un guerriero troppo occupato a conquistare nuovi territori per occuparsi di lei. Quando le viene imposto di comprare un nuovo schiavo, lei prende la prima decisione azzardata della sua vita: sceglie Aurelio, un ragazzo testardo che cova un malcelato disprezzo nei confronti di tutti i barbari. Lui sa che le deve la vita e il legame che si instaura tra la nobile Ostrogota e l'ex-legionario mescola antipatia e rispetto, lealtà e discussioni.
In un mondo sorretto a stento da alleanze deboli come ragnatele, i due dovranno sopravvivere non solo all'ostilità di un misterioso cavaliere vestito di nero che osserva ogni loro mossa, ma anche alle spietate lotte di potere che minacciano di trascinare di nuovo l'Italia nel caos.
Genere: Avventura, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Antichità, Antichità greco/romana, Medioevo
Capitoli:
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La prima cosa che Aurelio percepì fu un delicato profumo di erba fresca, subito seguito dalla voce burbera di Ingegärd:
"Ronja! Cosa vi ha ridotto in questo stato?"
"Ho portato Angus a fare una cavalcata, sono appena tornata. Come sta?"
Al suono di quella voce, incrinata da una sottile preoccupazione, il ragazzo provò ad aprire gli occhi e mugolò quando la luce intensa del sole di mezzogiorno lo colpì.
Dopo qualche istante riuscì a mettere a fuoco le due donne, entrambe chine su di lui.
"Come ti senti?" chiese Ingegärd. Non poteva giurarci, ma gli parve di aver sentito una lieve nota sollevata nel suo tono tagliente.
Aurelio fece leva sui gomiti e si mise a sedere.
"Bene, credo!" borbottò, piegando il capo di lato, confuso, nel vedere che Ronja distoglieva lo sguardo.
Abbassò gli occhi e si rese conto di essere nudo, eccezione fatta per la coperta aggrovigliata attorno ai fianchi; cautamente fece scorrere due dita lungo il bordo frastagliato della ferita, ritirandole umide per l'unguento che Ingegärd vi aveva spalmato sopra.
"Io mi ritiro, Ingegärd!" balbettò Ronja, evitando di guardarlo e dirigendosi in fretta verso la porta.
Aurelio rimase a fissarla mentre si allontanava lungo il corridoio, meditando sul suo comportamento:
"E' naturale che sia totalmente inesperta, ma io sono uno schiavo: lei non mi ritiene neanche un uomo, quindi perché si è imbarazzata a quel modo?"
Fu richiamato alla realtà da uno scappellotto di Ingegärd.
"Smettila!"
"Di fare cosa?"
"Di fissarla a quel modo!"
Aurelio si voltò verso di lei con espressione offesa:
"Non so di cosa tu stia parlando. Io sono un romano e voi dei barbari… Ricordi?"
La serva lo squadrò con sufficienza:
"Tu sei un uomo e la padrona è una magnifica ragazza… Tutto il resto viene dopo."
Prese a spalmargli un secondo strato di unguento sulla ferita ed Aurelio sussultò per il bruciore.
"Ciò nonostante" continuò la donna con voce più severa "Non puoi guardarla a quel modo e sarebbe bene che tu iniziassi a mostrare più rispetto… Io lo dico per te!"
"Altrimenti?" replicò lui, sprezzante "Cosa farai? Ti lamenterai col padrone?"
Un'ombra di dolore attraversò le iridi grigie di Ingegärd come un lampo.     
"No. Sarà il padrone ad accorgersene e a quel punto per te non ci sarà nulla da fare: Bror ti ammazzerà!"
Aurelio si passò una mano tra i capelli per allontanarli dal viso:
"Ne ho abbastanza di questi discorsi. Dammi qualcosa da fare!"
La serva lo guardò, perplessa e stupita:
"Non avrai intenzione di alzarti in piedi, spero!"
Aurelio sorrise e le fece l'occhiolino, stiracchiandosi e balzando in piedi senza neanche un lamento.
"Sono uno schiavo, giusto? Beh, è ora che torni al lavoro: non sarei di alcuna utilità se rimanessi qui a dormire!"
Ingegärd scosse la testa con disapprovazione, ma sorrideva mentre lo seguiva fuori dalla villa.
 
Ronja si rigirava inquieta nel letto, mentre i rumori discreti della notte filtravano attraverso gli scuri accostati. L'unica fonte di luce nella camera erano i raggi lunari che disegnavano bizzarri arabeschi sul pavimento e sul suo viso.
La ragazza sbuffò, calciando via le coperte e tirandosi a sedere sul letto; le sue dita presero a districare nervosamente i lunghi capelli, mentre i suoi pensieri scorrevano senza soluzione di continuità: i briganti, il cavaliere misterioso, il corpo di Aurelio… Tante immagini diverse le si paravano davanti agli occhi spalancati, sovrapponendosi le une alle altre.
Alla fine decise di alzarsi e percorrendo senza far rumore i corridoi bui della villa giunse davanti alla misera porta di legno dietro la quale il suo schiavo stava sicuramente dormendo. Ronja si morse il labbro inferiore, indecisa se continuare o meno quella pazzia così lontana dal suo modo di fare: non aveva mai confidato a nessuno le sue paure, neanche ad Ingegärd. Non per vergogna o per paura di un giudizio; semplicemente, erano cose che preferiva tenere per sé.
In quel momento, però, aveva bisogno di chiarire i propri pensieri ed era consapevole del fatto che c'era una sola persona che potesse aiutarla.
Quando entrò nella stanza fece attenzione a fare il minimo rumore possibile, ma Aurelio balzò a sedere sul letto con aria allarmata. La ragazza vide lo sconcerto farsi lentamente strada nei suoi occhi annebbiati dal sonno mentre si rendeva conto della situazione.
"Cosa ci fate voi qui?" sibilò il ragazzo. Ronja si strinse nelle spalle e appoggiò le spalle alla porta; la luce della luna rendeva il viso di Aurelio, contratto dalla preoccupazione, molto più vecchio di quanto fosse in realtà. Lasciò vagare a lungo lo sguardo su di lui, prima di rispondere:
"Non riuscivo a dormire."
Il ragazzo sbuffò e ricadde sul letto con un grugnito infastidito:
"Non potevate andare a disturbare Ingegärd per questo problema? Sono spiacente, ma non so cosa potrei fare per voi!"
"Ho delle domande da farti."
Questo sembrò catturare l'attenzione di Aurelio, che si mise nuovamente a sedere in maniera più composta e la fissò con una nuova luce nello sguardo.
"Perché hai reagito a questo modo?" mormorò lei, pensierosa. "Perché mi hai salvato, mettendo a repentaglio la tua stessa vita?"
Lui inarcò un sopracciglio con fare beffardo:
"Mi avete comprato per proteggervi da ogni minaccia… E' il mio compito, no?"
Ronja scosse la testa:
"Sarà anche il tuo compito, ma non è ciò che vuoi. Tu vuoi tornare libero sopra ogni altra cosa! Odi tutti noi, te lo leggo nello sguardo! In queste settimane ti abbiamo dovuto osservare in ogni momento, per timore che scappassi… Sono sicura che se si presentasse l'occasione fuggiresti anche adesso!"
Aurelio si chinò leggermente verso di lei, che aveva fatto qualche passo verso il suo giaciglio; gli occhi scuri ardevano di rabbia e sdegno.
"Sono un uomo nato libero, mia signora" ringhiò, senza traccia di deferenza nella voce. "Vi stupite che io voglia liberarmi della schiavitù che mi è stata imposta con la forza?"
"Affatto! Ciò che mi stupisce è che nonostante tutto questo tu abbia posto la mia salvezza prima della tua! Mi hai ordinato di scappare e hai coperto la mia fuga anche se sapevi di avere poche speranze contro quegli uomini… Sappiamo entrambi che non l'hai fatto per fedeltà, allora perché?"
Per un po' il silenzio fu rotto solo dai rumori della notte che filtravano attraverso gli scuri dell'unica finestra. 
"Perché non meritate di morire" sussurrò infine il ragazzo, a voce così bassa che Ronja faticò a comprendere le sue parole.
"E tu sì?"
Aurelio piegò le labbra in un ghigno amaro:
"Forse."
"Spiegati meglio!"
"E' tardi, mia signora, e voi dovreste tornare a riposare. Vostro padre si infurierebbe se vi scoprisse ad intrattenervi con uno schiavo a quest'ora della notte!"
Ronja non raccolse la provocazione insita nel suo tono canzonatorio e socchiuse gli occhi:
"E' un ordine, Aurelio."
Il ragazzo sussultò nel sentire il suo nome pronunciato da quella voce tagliente ed austera, che sembrava conferire alle poche lettere un suono totalmente nuovo.
Ronja aspettava, paziente ed irremovibile; Aurelio si sentì invadere da una rabbia sorda nei confronti di quella ragazzina che giocava a fare la donna senza sapere a cosa andava incontro.
"Vuole la verità? E sia!"
"Sono un bastardo traditore!" ringhiò e fu soddisfatto quando la vide sussultare. Poi si irrigidì e distolse lo sguardo, mentre i ricordi si riversavano oltre le labbra senza che lui potesse fermarli:
"Avevo sei anni quando Ravenna fu conquistata dalle truppe di Odoacre e l'ultimo imperatore dei romani venne deposto: all'epoca ero solo un bambino sporco e malaticcio che girovagava per le strade di Capua in cerca di cibo… Avevo sempre fame. Una fame tremenda, che non credo voi possiate comprendere; ti torce le viscere, ti divora lo stomaco, ti toglie la vista ed il fiato. E' stata la fame a spingermi verso ciò che sono, facendomi lottare fino allo stremo per un tozzo di pane; ma è stato un altro uomo a fare di me un soldato."
Ronja ascoltava con il fiato sospeso, timorosa di poter rompere l'equilibrio della stanza con un respiro troppo rumoroso.
Aurelio tornò a guardarla negli occhi, apparentemente più calmo, sebbene l'espressione grave non fosse sparita dal suo viso:
"Si chiamava Demetrio ed era ancora fedele ad un ideale che in quegli anni era già morto e sepolto. Sognava di rovesciare Odoacre e riportare la corte a Roma, ma per farlo aveva bisogno di un esercito forte e specializzato… Aveva bisogno di nuove legioni e di soldati che non fossero mercenari barbari.
Li cercava tra i ragazzini come me, orfani e bastardi che non avevano mai creduto in niente se non nell'ingiustizia della strada; ci osservava a lungo e poi ci proponeva di seguirlo, promettendo cibo, un rifugio caldo e la gloria. Devo ammettere che di quest'ultima me ne importava ben poco, ma ero affascinato dal progetto di Demetrio e mi lasciai coinvolgere. Per anni lo seguimmo per tutta la penisola, spostandoci in continuazione per non farci scoprire dalle spie di Odoacre e addestrandoci secondo le antiche usanze di Roma. Era un bellissimo sogno… E noi eravamo quasi una vera legione."
"Poi cos'è successo?"
Ronja lo ascoltava affascinata, come se la sua storia fosse una di quelle che i bardi cantavano attorno ai focolari nelle locande.
"Poi siamo scesi in guerra. Una guerra vera, non un addestramento, anche se in realtà si trattò di numerosi, piccoli scontri, per sperimentare la nostra efficienza. Ed eravamo davvero temibili, credetemi, una macchina creata per uccidere che non si fermava davanti a nulla: tremila uomini scelti pronti a dare la vita per cacciare Odoacre. Ci chiamavano la legione fantasma e per molti eravamo gli spiriti degli antichi eroi, tornati dall'oltretomba per portare giustizia al nostro popolo in disgrazia; noi giovani ridevamo di queste dicerie, ma in parte ne eravamo orgogliosi. La visione di Demetrio, però, si tramutò velocemente in follia: ci condusse in spedizioni sempre più pericolose ed azzardate nel tentativo di destabilizzare il governo dei Goti, convinto che nonostante le perdite subite non avremmo avuto bisogno di alcun aiuto. Ovviamente non è stato così: Demetrio non aveva capito che Odoacre ormai aveva vinto. Un bel giorno la legione venne accerchiata e sterminata."
Ronja trattenne bruscamente il fiato e ciò fece tornare entrambi alla realtà, in una piccola cella fredda, nel cuore della notte. Qualcosa negli occhi tetri di lui fece capire alla ragazza che non avrebbe fornito altri dettagli su quel giorno.
"Come hai fatto a salvarti?" bisbigliò allora, ancora frastornata dall'improvvisa confidenza. Aurelio socchiuse gli occhi, ma non distolse lo sguardo: così Ronja poté vedere bene il dolore e la vergogna che gli illuminavano lo sguardo.
"Sono scappato. Quando ho capito che per noi non c'era speranza l'istinto ha avuto il sopravvento e mi ha spinto a cercare una via di fuga. Non fui l'unico, ma non sono mai riuscito a rintracciare i miei compagni."
Il giovane si chinò verso di lei con le labbra piegate in un sorriso amaro:
"Non era questa la storia che volevate ascoltare da me, vero?"
Ronja scosse la testa, sbuffando:
"Il passato non si può cambiare, per quanto dolore continui a portare con sé. E non avrei neanche voluto ascoltare una menzogna: volevo solo imparare a capirti."
"Anche se sono uno schiavo?" borbottò Aurelio, scettico. La ragazza ridacchiò:
"Proprio perché sei il mio schiavo!"
Lui grugnì e Ronja si ricompose in fretta:
"Ti propongo un patto, Aurelio."
 
 
Angolo Autrice:
Eccomi di nuovo qui!
Scopriamo qualcosa in più del passato di Aurelio e devo avvertire che ho lavorato molto di fantasia, dato che siamo in un'epoca di transizione in cui la penisola italiana era attraversata dagli eserciti più disparati, regolari e non.
Detto ciò, sappiate che la nottata ancora non è finita, anzi!
A presto, spero
 
   Crilu 
   
 
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