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Autore: mikyferro    28/02/2018    0 recensioni
Diana Verquez è una giovane fattrice presso la fattoria di famiglia. Un giorno conosce Conrado Romero, famoso avvocato. I due si sposeranno ma vivranno un matrimonio triste e infedele. La povera donna riesce a scappare dalle grinfie del marito trasferendosi a Londra. Di seguito conosce Harvie, un giovane uomo inglese. I due si innamoreranno perdutamente, anche se il passato di entrambi continua a tormentarli.
La storia è disponibile anche su Wattpad. Il mio nome utente è: iron_11
Genere: Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: Cross-over | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Storico
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Capitolo XIV

La gravidanza di Diana proseguiva regolarmente. Nella sua mente già vedeva la grande villa invasa da oggetti per bambini: culle, giocattoli, passeggini, biberon e pannolini. Desiderava avere un maschio perché non voleva crescere una figlia in quel mondo in cui soltanto la figura maschile era importante. Harvie era ancora ignaro della situazione, nonostante vedesse la “compagna” con qualche chiletto in più. Era oramai il 1871; un nuovo anno di progressi scientifici e culturali. Era una notte di fine gennaio quando Diana era nel suo solito letto alla solita ora leggendo il solito giornale. Tutti i giornali del mondo riportavano la stessa notizia: l'assedio di Parigi.

Dopo averlo letto tutto, lo poggiò sul suo comodino e soffiò sulla candela per spegnere il fuoco. Era una notte abbastanza particolare perché in genere la donna leggeva romanzi prima di andare a dormire. Forse qualcosa le turbava l'animo, qualcosa di improvviso!

Verso le tre del mattino nella casa di susseguirono delle urla terrificanti provenienti dal salotto. Harvie, preoccupato, si accertò che Diana fosse al sicuro, ma non era nella sua stanza. Scese le lunghe scale della villa, che sembravano infinite, e avanti a lui vide una scena raccapricciante. Il corpo della sua domestica era disteso per terra in un lago di sangue. Sul corpo vi erano molte escoriazioni. Il viso presentava numerose e profonde graffiature, mentre la gola aveva lividi nerastri e molteplici graffi. Sull'addome vi era una ferita causato da una lama di un coltello ben affilato. La finestra vicino al camino era andata in frantumi e tra i vetri vi era un filo di cotone nero e rosso. Diana era sul divano con il viso tra le mani che piangeva. Il cuore le batteva all'impazzata ed era sporca di sangue. L'unico indizio disponibile era una foto di Harvie strappato in mille pezzi nel sangue rosso.

Il mattino seguente il cortile e la casa di Harvie era invaso da numerose guardie. Il commissario interrogò sia Harvie che Diana; gli unici indagati, oltre alle domestiche, per la morte della povera Matilde. Interrogatorio Diana

Commissario: - Mi racconta bene come sono andati i fatti!

Diana: - Stavo dormendo quando improvvisamente ho sentito il rumore dei vetri della finestra del piano inferiore rompersi. - esitò – Ho subito pensato che fosse un ladro. Mi sono armata di coraggio e sono scesa di sotto. C'era un silenzio tombale fino a quando ho sentito delle grida disumane.

Commissario: Non ha visto chi possa essere stato?

Diana: No, è stato tutto molto veloce ed era anche buio.

Commissario: Altre domestiche hanno testimoniato che lei e la domestica non andavate molto d'accordo. Mi conferma ciò?

Diana: Si, cioè in verità era lei che mi odiava. Ma posso assicurarvi che non sono stata io ad ucciderla.

L'interrogatorio terminò dopo mezz'ora. Harvie e Diana restarono alla villa per pranzare. La donna aveva il terrore di restare in quel posto, a pochi metri dal luogo dell'omicidio della povera domestica. Il pranzo fu breve e tormentoso; regnava l'assoluto silenzio. Le altre domestiche erano taciturne; senza dubbio pensavano che Diana fosse la responsabile della morte di Matilde. La guardavano con sguardi dubbiosi e pungenti. Harvie, invece, pensava che la giovane compagna fosse del tutto innocente alla vicenda. Non era in grado di commettere una cosa del genere.

Dopo il pranzo, Diana salì in camera sua e non uscì fino alla sera. Harvie cercò in tutti i modi di convincerla della sua innocenza; ma in realtà neanche lei stessa sapeva se fosse colpevole oppure no.

Passò qualche giorno. Una visita inaspettata stupì Harvie: sua moglie Hannah. Indossava un vestito nero lungo e i capelli legati. Portava alle spalle una sacca con all'interno: abiti, soldi e bambole. Era ossessionata dalle bambole. Quando era sposata con Harvie, la villa era invasa da bambole che mettevano i brividi. Non aveva con se suo figlio, ma era completamente sola.

- Cosa ci fai qui? - domandò Harvie incredulo.

- Anche io sono felice di vederti – ironizzò la donna dirigendosi nel salone.

- Esci fuori dalla mia casa! - ordinò l'uomo indicando la porta.

- La tua casa?! Sei patetico Harvie. Questa è anche casa mia...-

- E' stata casa tua fino a quando mi hai abbandonato come un cane. Sai cosa ho passato per causa tua? - iniziò ad alzare la voce.

La donna rideva spudoratamente. La sua risata era un tormento e un dolore per Harvie. La odiava con tutte le sue forze; era una strega.

- Ah Harvie, sei sempre stato una persona molto fragile. Un bambino per i miei gusti. -

- Allora perché mi hai sposato? - domandò l'uomo con le lacrime agli occhi.

- Secondo te? Per convenienza. Mio padre mi obbligò. Odiavo il fatto di sposarmi con un uomo che non amavo e che non conoscevo affatto. Odiavo persino condividere il mio stesso letto con te. -

- Sei una vipera! Dov'è mio figlio? -

A quella domanda, la donna lo guardò negli occhi e gli si avvicinò. I loro volti erano a pochi millimetri di distanza. Il respiro di Hannah era forte e l'alito puzzava di alcol.

- Non è tuo figlio e non lo sarà mai! -

In quel preciso momento, Diana entrò nel salotto e rimase senza parole. Era incredula di chi fosse quella donna. Balbettando, iniziò a parlare.

- Harvie, chi è questa donna? - domandò Hannah guardò prima Diana e poi Harvie.

- Lo dici tu oppure io? - minacciò la giovane moglie. Harvie non batté ciglio e si avvicinò a Diana. Il cuore le batteva peggio di un treno in corsa. Il suo viso era bianco e le mani tremavano. Poi pronunciò la funesta frase:

- E' mia moglie! -

Un ennesimo dispiacere per Diana, oramai era abituata.

   
 
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