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Autore: ArwenDurin    28/02/2018    3 recensioni
Johnlock vittoriani/ John POV
"Mi accasciai sulla mia poltrona portandomi il sigaro alla bocca, e cominciai a riflettere su come risolvere quell'ingarbugliato enigma che Sherlock Holmes sicuramente mi stava proponendo..."
Genere: Fluff, Generale, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: John Watson, Sherlock Holmes
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
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Piccole note: ​È un piccolo tributo a Granada Holmes, telefilm che sto adorando!! Della puntata del "segno dei quattro" ma potete leggerlo anche se non avete visto l'episodio, tenendo presente i Johnlock del canone. Anche per John Watson mi sono ispirata a quello del telefilm ma che è praticamente uguale a quello del canone XD

Quella mattina la giornata non era tra le più luminose per il mio Sherlock. Difatti fu abbastanza chiaro che, per quanto un inusuale sole brillasse sulle strade di Londra e sulle persone gioiose di riceverlo, il fatto non l'aveva minimamente toccato. Non che fosse una novità che il detective più geniale al mondo seguisse un flusso di suoi umori  ed un suo filo personale di ragionamenti, che nulla poteva mutare e tantomeno una bella giornata.
Nemmeno io per quanto molte volte mi sforzassi di aiutarlo, talvolta riuscivo a far mutare il suo umore.
Avendo dunque esperienza su ciò, sapevo fin troppo bene quando capitavano momenti come questi come comportarmi di conseguenza. Il suo malumore era iniziato alle prime ore notturne; infatti quella notte Morfeo poco mi aveva fatto visita, a causa dell'insistente suono del violino, prodotto sino ad orari poco ragionevoli. Non volendolo turbare e irritare più del dovuto, deducibile dalle note alte e piuttosto irritate che stava suonando, feci forza sui miei nervi da soldato e mantenni la calma, armandomi di quella pazienza infinita che avevo nei suoi confronti, e non lo interruppi.
Attesi piuttosto inutilmente che smettesse di suonare, visto che come dissi, continuò fino all'alba. Non ne feci parola con lui nemmeno il mattino seguente, quando lo trovai ancora lì nella sua vestaglia color cammello, affacciato alla finestra e con aria piuttosto corrucciata, a suonare il violino con vigore. La sua figura alta e slanciata faceva ombra al sole di quella mattina, come se volesse annebbiare quella giornata con il suo malumore. La melodia che produceva infatti rispecchiava ciò: aveva un tono leggermente più triste e intriso di varie emozioni rispetto a quello che aveva suonato di notte, e per di più lo conoscevo... un'andante di Mozart*, mi sembrò.
Mi chiesi che cosa stesse succedendo, visto che di solito suonava certi brani quand'era ingarbugliato in un caso. Era il suo metodo per pensare, a parte fumare il suo tabacco, ma non avevamo casi all'orizzonte o di cui ero a conoscenza almeno. Non osai chiedere, poiché in quel momento il nervosismo che lo invadeva, non lo avrebbe posto nella condizione di rispondermi, e continuai a consumare la mia colazione in silenzio, osservandolo di tanto in tanto.
Non potevo supervisionarlo come desideravo, poiché dovevo lavorare e più tardi, passare dalla signorina Morstan e come potevo io rifiutare la visita ad una donna tanto delicata e cara?
Ciò nonostante, sentì i morsi del senso di colpa prendermi lo stomaco sicché non riuscì a finire la mia colazione, e mi alzai prima del previsto da tavola. Eravamo da soli e in quei momenti d'intimità potevo sia chiamarlo per nome, che donargli il mio affetto in una forma decisamente più esplicita. Avrei tanto voluto farlo quella mattina, ma non mi fu possibile, così mi limitai ad un sospiro e carezzai le sue spalle con gli occhi.
«Cerca di mangiare qualcosa prima del mio ritorno tesoro, d'accordo?»
Lui non mi rispose, come previsto, e con un senso opprimente di preoccupazione lasciai l'appartamento non insistendo oltre. Confidai che al mio ritorno sarebbe stato meglio e che la nuvola di nervosismo sarebbe passata; ma sarebbe stato anche possibile il contrario.
Mentre scendevo le scale sentì la melodia giungere di nuovo a toni tesi e irrequieti. Sospirai, cercando di rimanere positivo e sperando di trovare il mio Sherlock in condizioni più “notevoli” al mio ritorno.
 
Quando ritornai non fui sorpreso, per quanto adirato, che non avesse ascoltato il mio consiglio sul cibo, ma piuttosto che avesse passato la giornata nella sua poltrona accartocciato su se stesso, condizione nella quale lo trovai. La pipa alla bocca, quella d'onice che usava quand'era di malumore e in una nuvola di fumo dalla quale poco si intravedeva la sua figura. Era con la testa appoggiata sulle ginocchia, in piena crisi nervosa, e solo la pipa fuoriusciva da un piccolo spazio tra le sua gambe. Sospirai, chiamando poi la signora Hudson, e con uno sguardo d'intesa tra noi, le chiesi se poteva preparare qualche leccornia al miele, le mandorle tostate per la precisione, e del pandolce (che spesso lei teneva di scorta, per questi momenti), al quale sapevo che il mio detective poco poteva resistere.
Quand'ella uscì dalla stanza, mi accasciai sulla mia poltrona portandomi il sigaro alla bocca, e cominciai a riflettere su come risolvere quell'ingarbugliato enigma che Sherlock Holmes sicuramente mi stava proponendo.
Tentai la strada più ovvia.
«Abbiamo un nuovo caso?»
Ebbi un “grugnito” come risposta e questo equivaleva ad un no; ragion per cui restai in silenzio, portando lo sguardo altrove dalla sua figura, accartocciata in modo tale che sembrava volesse celarsi agli occhi del mondo, e persino ai miei.
Una sensazione di malessere prese il mio stomaco e deglutii una pressante nausea.
Non riuscivo a comprendere che cosa passasse in quel suo geniale cervello da renderlo di quell'umore scontroso e taciturno. Sapevo che aveva i suoi "momenti particolari", ma di solito si faceva toccare da me in qualche modo; magari alle volte ci volevano ore, ma alla fine dava cenno d'essere di nuovo incline a compagnia.
Ma non quel giorno.
Mi incupii a tal punto, che poco mi accorsi della signora Hudson che stava entrando con il dolce da me richiesto, e sobbalzai quando la donna posò il vassoio sul tavolo, ringraziandola solo in quel momento, e avvicinandomi poi alle pietanze. Mi sedetti e attesi qualche istante ma, vedendo che il mio compagno non si muoveva, preferendo rimanere avvolto nella sua stessa figura, mi spazientii.
Potevo sopportare e comprendere che non fosse dell'umore di conversare, per quanto la preoccupazione serpeggiava in me sempre più puntigliosa e profonda, ma non concepivo che non toccasse cibo.
«Sherlock.» così lo chiamai in quel raro tono fermo che usavo nei suoi confronti, uno alla quale non si ometteva replica, e fui contento di vedere che obbedì alzandosi con uno sbuffo e sedendosi di fianco a me.
Probabilmente sapeva che altrimenti avrei agito o prendendolo di peso, o costringendolo a mangiare, e che non mi sarei fermato su questo.
Ma mentre consumavamo il nostro pasto in silenzio, mi dispersi spesso ad osservarlo e notai come il suo volto s'era fatto impassibile in quella maschera che spesso gli vedevo indossare con gli estranei, tranne che con me.
Strinsi le labbra e deglutii posando una mano sulla sua, cercando di dargli in qualche modo conforto o solidarietà; ma fu con quel gesto che la mia preoccupazione toccò le vette massime, poiché, per quanto non si distanziò dall'affetto che gli stavo donando, guardò la mia mano come fosse una fonte estranea.
Fu il suo sguardo freddo e distante a ferirmi più di quanto tutto il suo comportamento aveva poc'anzi fatto; era come una coltellata alla quale non ero preparato e dalla quale non potei prendere precauzioni.
Ma prima che potessi esclamare il mio sgomento e tormento, la signora Hudson entrò nella stanza. Non era inusuale che ci cogliesse in accennati momenti teneri, ma tolsi la mano appena in tempo, prima del suo ingresso totale nel salotto. Annunciò che un nuovo cliente richiedeva le attenzioni di Sherlock Holmes, e il mio detective com'era ovvio non gliele negò. Visto che qualcosa nel suo piatto aveva toccato, non potei nemmeno ribattere e così ci preparammo ad accogliere l'esigente cliente.
E per quanto prestai attenzione alla sua storia, lo feci con il cuore oppresso e lo sguardo vuoto avvolto dalle nebbie del dubbio e dell'incertezza, mentre spesso i miei occhi si posavano su Sherlock.
 
 
Il secondo giorno eseguì più o meno la stessa “routine” di quello prima, e tornato dal mio lavoro e di nuovo da una visita alla signorina Morstan, lo trovai davanti alla finestra a suonare un brano di così struggente natura, che il cuore mi si strinse nel petto.
E dopo aver passato ancora la notte da solo, in assenza del mio compagno che imperterrito continuava nella sua nuvola di irrequietezza, e poco incline a volerne disquisire, cominciai a vacillare. Non avendo poi ricevuto un indizio su un possibile caso al quale stava lavorando, o a causa del suo comportamento, la mia pazienza crollò.
E probabilmente fu complice quella melodia, il sentirmi impotente nei suoi riguardi e senz'altro la preoccupazione che sentivo, a far sì che mi avvicinassi a lui. Chiusi i pugni tirando un grosso sospiro, pronto a qualsiasi risposta poco educata o esclamazione irritata avrebbe fatto. Decisi di voler risolvere quella situazione quanto prima, ed era quello il momento.
«Gliel'hai chiesto, Watson?» quand'ecco che il mio compagno acquistò nuovamente la sua voce, e poggiò il violino interrompendo quel suono triste che però ancora si ripercuoteva in tutto il suo corpo, avvolgendolo di un alone cupo. Solamente il fatto che mi chiamò per cognome, nonostante ci fossimo soltanto noi due, mi ferì e mi fece capire che qualcosa davvero non andava.
La preoccupazione che la nostra relazione avesse preso una piega di rottura sopraggiunse nel mio cuore: ma perché? Non mi sembrava di aver fatto nulla che potesse mettere a rischio il nostro amore o che lo facesse comportare in tal modo.
Comunque, come al solito la sua mente era assorbita nei suoi ragionamenti e non mi fu chiaro a cosa si stesse riferendo.
«Di cosa stai parlando, Holmes?» optai per usare il suo stesso tono, congelandomi sul posto mentre il cuore bruciava d'incertezza.
Sospirò ma rimase voltato verso la finestra, dandomi le spalle cariche di una  tensione corrente ben visibile ai miei occhi, allenati nel conoscere ogni sua espressione, o ogni suo movimento. Era come se non avesse il coraggio di guardarmi negli occhi, cosa che pensai anche il giorno prima, visto che aveva ben evitato di farlo, avvolgendomi così di paura; un terrore gelido che stava scorrendo nelle mie viscere.
Avrei voluto girarlo verso di me, stringerlo forte e baciarlo fino a consumare quelle sue belle labbra perfette; sussurrargli che tutto si sarebbe sistemato, qualunque cosa fosse, e che l'avremmo risolta insieme.
Ma non mi mossi, e rimasi incollato al suolo facendo vincere la ragione e attendendo piuttosto nuove informazioni da Sherlock Holmes.
«Intendo con la signorina Morstan ovviamente, so che è sei andato sovente a farle visita e dunque immagino un lieto annuncio sia giunto, o stia per giungere. Posso capirti, qualunque gentiluomo desidera sposarsi prima o poi.»
Rimasi basito per qualche secondo, poi lo interruppi.
«Sherlock!? Come puoi avere un tale pensiero?» il mio tono fu decisamente alto e incrinato dall'emozione. Stava pensando che lo stessi lasciando per lei...e non potei crederci. Aveva frainteso la situazione sul perché mi fossi recato quei due giorni dalla signorina Morstan, e mi parve anche inconsueto che lui, il mio grande detective, avesse sbagliato a trarre conclusioni, ma sapevo quanto poco delle emozioni umane egli conoscesse.
Per quanto il suo paragonarmi a chiunque, non fece che peggiorare il mio stato d'animo e disperdere i miei sensi. In effetti era in vero che non glielo avessi detto, ma non volevo disturbare la sua mente e il suo umore irritato con una situazione così banale.
Riflettei a lungo su cosa dire, poiché le parole si erano raggruppate in gola incapaci di uscire, come se fossero trattenute dalle mie stesse emozioni confuse e sovrapposte le une alle altre. Ma Sherlock Holmes a quel punto mi bloccò, voltandosi e guardandomi finalmente negli occhi; e “Buon Dio”... erano così colmi d'emozione che il mio cuore sussultò.
«Ma tu la trovi attraente e l'ho notato ben oltre la tua ammissione verbale, quando la osservasti dalla finestra, che si incamminava verso il calesse. Mi sono chiesto perché non l'avessi seguita, ma visto che anche lei mostrava interesse nei tuoi confronti, avevo ipotizzato l'avresti fatto da lì a qualche giorno.
Vuoi altre prove di ciò che dico? Trovavate sempre il modo per appartarvi da soli voi due durante il caso, ed io stesso ho voluto spesso esaudire questo vostro desiderio. Non lo dico per essere lodato, o qualsivoglia altra pretesa, Watson: mi limito ad esporre i fatti. I suoi modi gentili e delicati ti spingevano a darle conforto e più volte aveva attirato la tua attenzione. Come anche fu chiaro che, a caso concluso, volesse che le facessi visita, come poi hai fatto.»
Per quanto cercò di essere distaccato, provò del dolore nel pronunciare quelle parole che sputò fuori velocemente e nervosamente, come fossero relative a un caso per il quale non nutriva molta simpatia. Tale sofferenza si istallò nel mio cuore, liquido e freddo come una cascata d'acqua gelida che paralizzò il mio corpo; mi ci volle qualche istante per riprendere il controllo di me.
Ma fu Sherlock Holmes che mi scosse nuovamente dal torpore, quando aggiunse
«In questi due giorni la tua aria era soddisfatta al ritorno dalle visite alla signora Morstan, ed assumeva solo tinte di preoccupazione quando mi vedevi, ovviamente a causa del mio umore. Tutto questo segue una logica e se mi devo congratulare con te, lo farò senza alcun rancore.»
Un pizzico di gelosia nel suo tono mi fece sbloccare e inevitabilmente sorrisi avvicinandomi a lui. Avevo notato un certo fastidio da parte sua alla presenza di Mary Morstan, ma non avevo optato per questa possibilità, visto che lui era l'essenza del tutto per me.
«È senz'altro attraente e lo hai ammesso anche tu, questo è un dato di fatto...ma non è te, nessuno potrà mai essere te.»
Lo osservai con ammirazione perché lui, l'uomo più straordinario che avessi conosciuto e che più amavo sulla terra, metteva il mio bene prima del suo. Poteva non sembrare così ad un occhio superficiale, ma le parole che pronunciò, e il fatto che fosse disposto a sacrificarsi se io mai avessi avuto desiderio di sposarmi, mi fecero stringere il cuore.
Quando fui vicino a lui, così vicino da poterlo finalmente toccare, presi una sua mano tra le mie, e la baciai qualche istante.
«Non provo nulla per lei e mai potrò, non la amo,» gli diedi un altro bacio prima di aggiungere «Amo soltanto te.» e lo ripetei più volte, mentre riempivo di devozione la sua mano.
Lo sguardo di Holmes si addolcì, ma assunse comunque un piglio confuso, espressione alquanto rara da vedere sul suo bellissimo volto. Non gli diedi il tempo di porre altre domande, poiché capì che gli dovevo una spiegazione.
Presi le sue mani, le strinsi calorosamente nelle mie e dissi.
«La signorina Morstan, aveva bisogno di alcuni consigli su un imminente viaggio che l’attende. Le avevo narrato che alcuni miei parenti provengono dall'America, e mi ha chiesto alcune informazioni su quei luoghi, visto che dovrà recarsi laggiù per incontrare il suo futuro marito. Volevo anche darle un addio adeguato.»
Era soltanto questo, la signorina aveva bisogno di aiuto e consiglio da parte di un gentiluomo, e come potevo io rifiutare questo ad una dama?
Tutta la tensione accumulata nel suo corpo parve abbandonarlo quando, sospirando,  la maschera cadde dal suo volto, rivelando finalmente l'uomo che amavo in tutto e per tutto. Sherlock Holmes scosse la testa indignato verso se stesso, in un severo rimprovero, perché ben conoscevo quello sguardo, dandosi mentalmente dell'idiota; e io non potevo permetterlo.
«Mi dispiace se hai frainteso, avrei dovuto parlartene ma non lo ritenevo di rilevante importanza dato il tuo umore, poiché non avevo compreso che dipendesse da me.  Non volevo aggiungerti altre frivolezze di questo genere...»
Lui lasciò la mie mani, facendo un gesto di noncuranza alla cosa, e poi mi strinse i fianchi con un eccessivo bisogno, e mi piacque come mi avvicinò a lui. Puntò i suoi occhi chiari nei miei, ed erano così brillanti e vivi dal colore dell'erba toccata dal sole e della superficie del mare. Vi era racchiuso del sentimento per me che, per quanto da anni entrambi avevamo manifestato, mi emozionava ancora oltre ogni misura.
«Mio caro John, ho seguito la logica sul perché le avessi fatto visita questi due giorni e perché non me lo avessi detto: ma ho errato a quanto pare, non capiterà più. I sentimenti annebbiano la mia ragione, ecco perché li ho sempre evitati e considerati inconvenienti.»
Ridacchiai, avvicinando il mio volto al suo bramoso d'un contatto con le sue labbra.
«Oh, mi dispiace mio caro Sherlock, essere una tale fonte d'emozioni.»
Sorrise con me.
«In realtà ti aggrada.»
«Il mio detective ridicolo.» lo provocai ulteriormente ma lui non rispose a questo ma piuttosto esaudì il mio desiderio di un bacio, che con un gemito d'approvazione, accolsi. Mentre le nostre labbra si univano, pensai a quanto ero fortunato d'avere l'amore di chi anche io amavo, di quella meravigliosa creatura che per quanto irritante era anche sorprendente: Sherlock Holmes, il mio Sherlock Holmes.
E sorrisi nelle sue labbra a tale consapevolezza.


*Il brano se vi interessa è questo a 13:48



Angolo autrice:Ciao a tutti ^_^ ebbene per questo racconto avevo un sacco l'ansia per via di Sherlock, perché lo so che è strano che lui sbagli XD ma ho pensato che appunto essendo un'incomprensione amorosa e lui non è molto bravo con sentimenti umani o emozioni, al quale egli stesso è nuovo pensavo ci stesse e ho voluto scrivere ciò *blush* spero vi piaccia. Oltretutto come si è ben capito, ho preso spunto dall'ep "il segno dei quattro" dove secondo me, Sherlock mostra sia gelosia che gesti di altruismo come ho cercato di spiegare, e spero sia chiaro anche se lo legge qualcuno che non ha visto l'ep.
Grazie a chiunque leggerà e/o commenterà ^_^


 
   
 
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