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Autore: calmali    02/03/2018    0 recensioni
I suoi occhi erano pennellate curve di un pittore malinconico. Azzurri come il cielo nei giorni di metà Aprile che urla respiri di primavera. Che profuma di fiori.
Il suo naso era la vetta più aggraziata e armonica che avessi mai visto; vetta sulla quale erano nevicate lentiggini. Attecchite come i primi fiocchi di inizio Dicembre sulle strade scoscese delle Alpi.
Genere: Angst, Introspettivo, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: FemSlash
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago, Universitario
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Capitolo 2




Ero appiccicata ad un impasto di banalità e incontinenza emotiva. Incapacità di trattenermi che non riuscivo a spiegare, seppure facessi sforzi e ragionamenti su ragionamenti.
La guardavo e non riuscivo a trovare niente di sconosciuto nella pronuncia di parole accentate diversamente dal mio mondo.
Non riuscivo a trovare niente di sconosciuto nel modo che aveva di poggiare il peso della testa sulla mano destra.
Non riuscivo a trovare niente di sconosciuto neppure nel calore del suo corpo, che percepivo, anche se eravamo divise da un tavolo di legno.
E sì, mi sentivo tremendamente banale. Che neanche avrei avuto il coraggio di pronunciare una singola parola di quelle che galleggiavano nella mia testa, che erano a bizzeffe ma nessuna andava bene, tutte uscite da serie tv di basso livello e righe di libri scritti egregiamente ma che non replicavano la realtà.

“Allora?”

Mi chiese ad un certo punto.

“Mi sembra di aver parlato abbastanza, tocca a te.”

Era sicura, non avevo sentito la sua voce titubare una mezza volta da quando avevamo iniziato quella conversazione.
Aveva parlato per lo più lei, era vero.
Mi aveva detto che il treno che avrebbe dovuto prendere un’ora prima avrebbe dovuto portarla a Roma, ma era stato soppresso per qualche problema tecnico e per il successivo doveva aspettare un bel po’ ancora.
“Non sono paziente io.” Mi aveva sussurrato, come in confessione, mentre un sorriso le accartocciava il volto. Non lo era, lo sapevo bene.
Mi aveva detto che avrebbe compiuto ventiquattro anni a breve, che ancora non sapeva che cosa fare della sua vita, che non aveva risposte alla maggior parte degli interrogativi da classiche cene in famiglia. Che lei era quella che si nascondeva vicino al caminetto per evitare domande sul futuro.
Che le piaceva disegnare ma il mondo degli illustratori non aveva lasciato neanche una porticina aperta per lei. Che le sarebbe bastata, anche minuscola, che tanto lei era piccola. Ma ancora nulla all’orizzonte.
Mi aveva detto che si chiamava Alice come quella del paese delle meraviglie, ma che si sentiva più come un palmipedone.

“dov’è che vai?”

Aggiunse per accompagnarmi all’ingresso della nostra conoscenza.
Abbassai lo sguardo per un istante sulla tazzina di caffè che tenevo stretta tra le mani, un po’ per cercare calore, un po’ come valvola di sfogo di un nervosismo bello da morire.
L’avvicinai alle labbra e ne presi un sorso. Amaro, macchiato, già tiepido. Deglutii e l’attimo dopo i miei occhi si posizionarono nuovamente sul suo volto.
Era concentrata su di me.
Lei mi guardava come chi ama da una vita in silenzio, che non vuole dirlo, che aspetta il momento giusto per non farlo. Perché farlo vorrebbe dire troppo e quel troppo diverrebbe reale, puro dolore.

“Torno a casa.”

Scollai quel pensiero dalla mente e lo posizionai nel retro della mia testa, nascosto sotto scartoffie di ricordi inesistenti. Centinaia di fogli bianchi.

“Frequento l’università qui, ho finito lezione poco fa ma i treni ultimamente non sono dalla mia parte.”

“A chi lo dici!”

Aggiunse subito Lei ed io risi.
No, non potevo proprio lamentarmi, la mia attesa non era neanche lontanamente paragonabile a quella che avrebbe dovuto sopportare Lei.

“Spero non diventi un’Odissea la tua”

Le mie parole non l’avrebbero consolata e nel prenderne coscienza mi morsi la lingua.

“Ed io spero solo che la mia Itaca mi attenda.”

Rispose lei prontamente.
Uno sbuffo scappò dalle sue labbra al fine di far raffreddare il thè bollente che teneva tra le mani giunte. Il profumo di vaniglia mi raggiunse come fosse la profumazione naturale del vento d’inverno.
Pensai al pentolino sul fornello storto di casa mia, all’acqua bollente e alla bustina gialla di thè, scartata di fretta, buttata nel contenitore sbagliato della raccolta differenziata, quello del vetro che somiglia così dannatamente tanto a quello della carta.

“Cosa studi?”

Ancora una volta la voce di Alice mi riportò alla realtà, in modo tutt’altro che brusco, ma comunque faticoso per me e per tutti quei pensieri.

“Lettere, studio lettere moderne.”

Annuii leggermente, anche se quel gesto non aveva davvero senso se non per me.
Un po’ come la carriera universitaria che avevo intrapreso. Aveva senso solo alla luce di ciò che volevo ma nulla riguardo a ciò che sarei potuta diventare. Non sentio di poter vantare un piano per il futuro. 
Lei aprì bocca, per commentare, chiedermi qualcosa o semplicemente per iniziare un nuovo argomento, non lo sapevo e non l’avrei saputo. Il mio telefono si illuminò e sullo schermo la scritta “Mamma”.
Deglutii a fatica mentre mettevo a fuoco l’orario sull’angolo a destra dello schermo. Mi alzai, di colpo, tanto in fretta che la sedia dietro di me perse pericolosamente l’equilibrio, cadde a terra con un tonfo.
Infilai il telefono nella tasca del cappotto verde, che ancora tenevo indosso.

“Devo andare.”

Farfugliai in modo stretto, quasi incomprensibile anche a me.
Paonazza in volto tirai su la sedia con mani tremolanti e occhi bassi. Il mio telefono continuava a vibrare, lo sentivo che si agitava nella tasca.
Non potevo permettermi di perdere un altro treno, non così tardi.
Alice impiegò qualche istante a metabolizzare tutta quella fretta improvvisa. A rilento si alzò pronta a seguirmi mentre ancora si infilava il cappotto nero.
La tazza di thè, azzurra, lasciata sul tavolino, ancora mezza piena, faceva vapore. La memorizzai, quasi avessi la necessità di ricordare solo stupidi dettagli. Inutilmente.
L’attimo dopo mi stavo già muovendo per andare al binario. Il 2, sicura che il mio treno sarebbe partito da lì.

“Ei, non puoi andartene così!”

Sembrava il tono di chi alza la mano durante una conferenza e ha già pronta una replica ben costruita. Pianificata da minuti.
Cosa le potevo dire? Cosa le dovevo dire? Cosa le volevo dire? Cosa volevo fare? Cosa dovevo fare? Cosa diamine potevo fare?
Niente, non potevo niente, se non prendere quel treno per Pontremoli.

“è l’ultimo.”

Mi giustificai con me stessa ma a voce alta. Avrà pensato che ce l’avessi con lei, ma non era così. Non volevo dimenticarla, inconsapevole di averlo già fatto una volta. Ma non potevo procurare altri pensieri alla mia famiglia. 

“Senti, io ti voglio rivedere.”

Disse lei, che a stento teneva il mio passo, spedito come quello di un soldato dell’esercito durante la marcia mattutina.
Girai l’angolo, il gate presidiato da due ragazzi, sulla trentina, con la divisa di trenitalia.
Frenai, di colpo. Lei non avrebbe potuto varcare quella porta. Iniziai a frugare dentro al mio zaino alla ricerca del biglietto che avevo piegato e messo in una delle tante tasche interne.
Sentii il sospiro che cercò di nascondere malamente tra le pieghe del cappotto.

“Lo sto perdendo”

E no, non avevo tempo, di niente. Sentii il fischio del controllore e l’attimo dopo ripresi a camminare verso il gate.

“Io ti aspetto ancora qui Alessandra.”

Sentii quell'ultima frase, alle mie spalle mentre mostravo il biglietto a uno dei due addetti. Varcai il gate e mi fiondai verso una delle porte ancora aperte del mio treno.
Non mi ero voltata neanche una volta in più.
Avevo memorizzato troppo poco di lei, un’immagine che si sarebbe sfocata con la prima luce del sole. Come un negativo non ancora stampato.  
Ripresi a respirare solo quando il treno iniziò la sua corsa verso casa mia.
E solo in quel momento nella mia mente le ultime parole che Alice mi aveva detto vennero analizzata.
Io non le avevo mai detto il mio nome.
 
 
 
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Al contrario di ogni mia aspettativa sono tornata per scrivere il secondo capitolo, è una storia che mi sta a cuore e il fatto che in molti l'abbiano letta non può che farmi piacere.
Ringrazio chi ha perso del tempo per lasciarmi una recensione e vi invito a farlo se avete voglia e/o tempo. Mi è molto utile sapere cosa ne pensate. 
Alla prossima!
 
 
 
 
   
 
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