Anime & Manga > Boku no Hero Academia
Segui la storia  |       
Autore: Roquel    04/03/2018    1 recensioni
I fiori sbocciano dalla sera al mattino, come dei nei, anche se somigliano più a dei tatuaggi sbiaditi. Ogni fiore, così come ogni colore, dice qualcosa riguardo la personalità del suo proprietario. L'ubicazione identifica il tipo di persona. Petto, scapole e spalle per gli Apha (forza, protezione e ferocia); mani, gambe e viso per i Beta (duro lavoro, sicurezza e fiducia); infine addome, stomaco e fondoschiena per gli Omega (maternità, dolcezza e sensualità). Di anno in anno, i tatuaggi crescono, fioriscono e si diffondo sul corpo del portatore.
A sedici anni, Izuku non ha alcun fiore, ma nei suoi ricordi brilla il rosso del gladiolo sulla pelle di Katsuki. È quel ricordo a far rivivere il suo desiderio di tornare a casa; ma le cose non sono mai semplici.
(AU. Tre regni e una guerra sul punto di esplodere.)
[Katsudeku - Kirikami]
Traduzione di "Flower Bouquet" di Maia Mizuhara, che è a sua volta una traduzione inglese dell'originale "Bouquet de Flores" originale spagnola di Roquel.
Link nella pagina dell'autore e nelle note al fondo del primo capitolo.
Genere: Angst, Introspettivo, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Shonen-ai, Yaoi | Personaggi: Izuku Midoriya, Kaminari Denki, Katsuki Bakugou, Kirishima Eijirou, Un po' tutti
Note: AU, Lime, Traduzione | Avvertimenti: Contenuti forti, Tematiche delicate, Violenza
Capitoli:
 <<    >>
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A

Capitolo 2 - Incenso Nero










 

Spesso uno dei genitori di Izuku mancava alcuni giorni, per visitare pazienti che abitavano fuori dal villaggio. Di solito era suo padre a sparire per diverse settimane, che fosse per andare alla capitale allo scopo di acquistare materiale o fare visite di routine nei villaggi vicini. Ci fu una volta però, in cui dovettero assentarsi entrambi.

Fu colpa di una tempesta che causò un crollo a Est. Il villaggio più vicino al disastro venne in parte ricoperto di detriti e alberi. Tutti gli adulti del villaggio partirono per aiutare i feriti e prendersi cura dei più piccoli, e restarono tutti i bambini al di sotto dei dodici anni con un piccolo gruppo di Omega e Beta ad occuparsene.

Quella sera, mentre pioveva, Katsuki si svegliò per andare al bagno. Si strofinò gli occhi e ci mise un po’ a realizzare che il fagottino di calore accanto a lui era Izuku, che aveva delle ciocche bagnate attaccate alla fronte. La sua solita espressione tranquilla era sparita, si accigliava e muoveva le labbra come se stesse parlando da solo. Quando fuori tuonò, Izuku si irrigidì involontariamente e si corrucciò ancora di più.

Katsuki reagì in automatico. Allungò il braccio e gentilmente gli accarezzò i capelli verde scuro. Mentre glieli spostava, strofinò delicatamente la sua fronte finché l’espressione tesa non sparì.

Una volta soddisfatto, Katsuki si alzò e andò in bagno. Si erano riuniti nella sala delle assemblee, le panche erano state spostate così che i bambini potessero sdraiarsi per terra mentre gli adulti dormivano vicino all’entrata. Il bagno era a non più di dieci passi dall’edificio, ma Katsuki ritornò comunque fradicio.

Il Beta che aveva continuato a tenerlo d’occhio gli diede una coperta. La usò coscienziosamente e si allontanò senza dire una parola. Quando tornò al suo materasso, trovò Izuku sveglio.

“Kacchan?” Chiese il ragazzo ad alta voce.

“Shh, Deku, sveglierai tutti.” Si sistemò accanto a lui e si avvolse con le coperte.

“Scusa,” mormorò il ragazzo, avvicinandosi fino a far toccare le loro fronti. “Mi sono svegliato e non c’eri.”

“Ero andato in bagno.”

“Ti sei bagnato.”

“Sta piovendo di nuovo.”

“Lo so, il tuono mi ha svegliato prima e per questo sono venuto qui, ho sbagliato?”

“Dormi adesso.”

Izuku obbedì. Chiuse gli occhi e gli ci vollero meno di cinque minuti per tornare nel mondo dei sogni. Katsuki restò fermo, assimilando il tepore e il profumo. Era come avere un piccolo falò tutto per sé, anche se era un altro tipo di calore, questo era radioso ma non bruciava. Katsuki si lasciò avvolgere da quella sensazione. Chiuse gli occhi e inspirò lentamente… se ne ubriacò e si assopì.










 

Una volta sveglio ci mise un po’ a separare il sogno dalla realtà. La sensazione era stata così reale da convincersi che se soltanto avesse allungato il braccio avrebbe trovato Izuku addormentato al suo fianco. Rise della sua ingenuità, il cui suono non fu affatto piacevole. Katsuki si girò e guardò il soffitto grigio, avvertendo la solita rabbia invaderlo ancora. Si era svegliato di cattivo umore, come sempre quando sognava lui. Ovvero tutti i giorni.     

Si strofinò il viso imponendosi di alzarsi. 

Il suo compagno, nella cella dall’altro lato del corridoio, stava già facendo il suo riscaldamento mattutino. Katsuki lo ignorò, iniziando il proprio. Qualche distensione, flessioni e addominali. Terminò completamente sudato, i muscoli tesi e la sensazione che il suo umore non sarebbe migliorato di lì a breve.

Suonò la campanella. 

Dai due canali che attraversavano le sbarre iniziò a scorrere l’acqua. Katsuki e il resto dei prigionieri vi si avvicinarono. Qualcuno beveva direttamente dal canale, altri — come Katsuki — riempivano i propri secchi finché non suonava di nuovo la campanella, segnando la fine del rifornimento.

Katsuki bevve e si lavò alla meno peggio con uno straccio bagnato di acqua fresca; ne tenne un po’ di scorta poiché di pomeriggio la calura all’interno delle celle diveniva insopportabile. Poi attese. 

La colazione arrivò mezz’ora dopo. Un paio di guardie scesero al piano di sotto scortando due Omega. Due Omega per due file di celle, anche se non tutte erano occupate.

Inconsciamente, lo sguardo di Katsuki vagò sui corpi di entrambe. Le due ragazze indossavano dei sarashi bianchi attorno al petto, polsini bianchi con degli anelli di metallo e un collare di pelliccia con un anello attorno al collo, il quale non lasciava dubbi riguardo il suo uso, anche se la parte peggiore era che non potessero coprire il proprio addome. Tutti gli Omega che aveva visto nel corso degli anni indossavano un fundoshi che copriva il davanti, ma lasciava scoperta la schiena e gran parte della pancia. Venivano trattenuti da dei cappi attorno alla vita, il cui scopo era far risaltare l’intricato motivo dei fiori, nati per essere un segreto condiviso tra un Omega e il suo Alpha. 

Da lontano, Katsuki vide di sfuggita il petalo bianco sulla pelle della ragazza, evitando il suo sguardo e serrando i denti.










 

Il cambiamento fu improvviso. Un giorno non c’erano bende, quello dopo eccole lì. 

Katsuki non era nelle vicinanze quando ad Izuku spuntò il fiore; nessuno dei testimoni lo vide ma riuscirono a scorgere i contorni degli steli e delle foglie prima che il ragazzo corresse a casa.

Quando Katsuki vide le bende non fece domande né ne parlò mai. Nel suo villaggio veniva insegnato agli Alpha che era irrispettoso chiedere del fiore di un Omega. Una volta abbastanza grande da capire, sua madre gli disse che il laghetto degli Omega era assolutamente proibito e che c’era una punizione severa per gli sciocchi che avessero cercato di disturbare la privacy dei propri compagni. 

Katsuki capì e rispettò la regola, ma era comunque curioso.

Non era l’unico, ad ogni modo. Gli Alpha più adulti erano soliti riunirsi per parlare dei possibili fiori degli Omega, ridevano fantasticandone, ma presto o tardi si sarebbero inevitabilmente messi insieme ad uno di essi per poi non partecipare più a tali conversazioni. Era considerato di cattivo gusto chiedere a un altro Alpha del fiore del suo Omega. Quindi la curiosità di Katsuki era naturale e non poteva farci niente. 

Il problema era… che Izuku faceva sempre il bagno con loro, nuotava con loro, faceva castelli di sabbia sulla spiaggia con loro. Era sempre insieme a loro, con le bende e tutto il resto. Izuku non voleva andare al laghetto degli Omega e Katsuki doveva scoprire perché, anche se non avrebbe dovuto chiedere. Sapeva che era incredibilmente scortese cercare di toccare le bende senza permesso, ma non poteva farne a meno.

E la sua imprudenza fece piangere Izuku. 

“Scusa,” disse quella sera, dopo essersi preparato ad offrire il ramoscello d’ulivo. “Ho sbagliato.”

L’espressione triste di Izuku si addolcì, accettando le sue scuse con un sorriso. 

“Grazie, Kacchan.” Il ragazzo si era avvicinato, dandogli un abbraccio che sentiva di non meritare. “Mi dispiace di averti colpito.”

“Me lo sono meritato,” disse Katsuki ricambiando l’abbraccio con affetto. Sentì il corpo tremare a causa della risata di Izuku, e capì che l’amico l’aveva perdonato. 

Katsuki si tenne le domande per sé, ma la sua curiosità rimase, com’era naturale che fosse.










 

“...coperta,” una voce lo fece tornare alla realtà e Katsuki si voltò verso la ragazza dai capelli castani, il viso tondeggiante con un’espressione amichevole. “Devo cambiare la tua coperta e i vestiti. È ora di lavare quelli che hai lì.”

Katsuki si alzò, piego la coperta e si avvicinò per dargliela. A quella distanza, l’aroma della ragazza lo avvolse — castagne e bacche — e per una frazione di secondo fu tentato di inspirare profondamente; invece indietreggiò fino al muro più distante e le lanciò la coperta, che finì contro le sbarre e cadde a terra. Poi si spogliò e calciò i pantaloni verso il fagotto. 

La ragazza non disse nulla, raccolse la coperta e i vestiti, passando un cambio pulito attraverso le sbarre. Sopra vi poggiò la colazione: rotolo alla cannella, un frutto, del pane e avvolta nella carta della carne secca. Anche se la mansione era relativamente semplice, la ragazza si prese il suo tempo per farlo prima di passare alla cella successiva.

Dopo così tanto tempo incarcerato, Katsuki si era abituato alla routine. Sapeva che il compito degli Omega era di calmarli, sommergerli di feromoni così che il trasferimento fosse il più tranquillo possibile, ma quel giorno il biondo non riuscì ad avvicinarla senza evitare di pensare alla menta e alle spezie. Nella sua mente il ricordo era ancora fresco e non voleva che nessun altro profumo lo oscurasse. 

Le Omega finirono il loro lavoro e se ne andarono insieme alle due guardie. Aveva notato che solo altri suoi due compagni si erano allontanati dalle Omega e mangiavano con la stessa espressione di diffidenza che doveva avere lui, il resto di loro calmi e rilassati, senza dubbio ubriachi del dolce aroma delle Omega. Katsuki mangiò in silenzio, lontano dalle coperte e dai vestiti che profumavano di castagne.










 

“Nejire profuma di fragole.” Katsuki sentì dire a uno degli Alpha più grandi. Avevano finito l’allenamento e si erano seduti per fare stretching e bere un po’ d’acqua.

“Lo so,” rispose un altro Alpha unitosi alla conversazione. “Mi sono seduto vicino a lei al...”

Katsuki si allontanò dal gruppo, aiutando sua madre a mettere a posto le spade di legno usate per allenarsi, ma uno dei suoi amici aveva ascoltato la conversazione, continuandola poi con i coetanei. A Katsuki l’argomento non interessava, finché qualcuno non fece il nome di Izuku.

“Midoriya odora di medicine,” disse uno, storcendo il naso.

“Sì,” rispose subito un altro. “Sa di menta, o zenzero.”

“Io penso che odori di fiori,” disse un terzo. “Mi piace.”

Katsuki abbandonò la sua mansione e si voltò verso di loro.

“Se non avete niente di meglio da fare, andatevene. Non mi va di ascoltare certe stupidaggini.”

“Secondo te odora di medicine?” gli chiese il primo e Katsuki ruggì.

“Vi ho detto di andarvene!” Li spinse finché non scapparono tutti. “Via!”

Katsuki finì di raccogliere il tutto e si fermò a riflettere. Sì, Izuku profumava sempre di piante medicinali, come di fiori infusi, odorava di quegli impasti che Inko preparava sempre e che Izuku cercava di replicare, ma non aveva sempre quell’odore. Dopo il bagno e prima di tornare a casa e venire impegnato dell’aroma delle piante, il profumo di Izuku era inconfondibile.

Sapeva di menta e spezie. Sapeva di casa.






 




 

Dopo la colazione e prima che l’effetto degli Omega si affievolisse, arrivò un altro gruppo di guardie per spostarli. Per prime aprirono le celle sul lato sinistro, facendone uscire gli occupanti in fila. Katsuki prese i pantaloni e, trattenendo il respiro, li strofinò per terra, poi contro il corpo finché non fu sicuro che il suo odore avesse coperto quello di chiunque altro; inoltre, accanto al muro teneva delle foglie secche, così le prese di nascosto e le mise in tasca.

Quando fu il turno della sua fila di uscire, Katsuki contò il numero di guardie e delle loro armi. Era inutile ovviamente, prima di lui in molti avevano tentato la fuga; che diavolo, lui stesso ci aveva provato e portava sulla schiena i segni del suo fallimento. Quelle dannate celle stavano sottoterra ed erano un labirinto. L’unica uscita conosciuta era quella del campo di allenamento ma quel posto era infestato da guardie che ne controllavano i parapetti. L’uscita era fatta di metallo e la porta poteva essere aperta solo dall’esterno. 

Ma invece di dirigersi verso la superficie, andarono di sotto. Prima per le scale, poi con un ascensore. Entrarono nelle montagne, in una zona poco illuminata da delle torce, e accanto ad ognuna di esse vi era un supporto alto con dell’incenso sulla sommità. Katsuki si maledì non appena riconobbe l’inconfondibile aroma di latte e miele. Udì molti respiri profondi e sentì, più che vedere, l’ambiente intorno a lui rilassarsi. Inevitabile. Era nella loro natura ed era difficile combattere un’abitudine radicata a fondo nell’organismo.

Era l’odore di un Omega incinto. Un Omega felice e in pace. Trasmetteva calore e tranquillità, e una volta respirato la reazione naturale era di rilassarsi, fare le fusa quasi. Il profumo li rendeva docili, gestibili. Nonostante la riluttanza, Katsuki sentì il corpo rilassarsi.

Per combatterlo, mise le mani in tasca e strofinò le foglie, portandosi poi il palmo al naso e coprendolo con l’aroma della menta. Era tenue, ma si concentrò su esso. Uno alla volta, gli Alpha si divisero in gruppi. Alcuni presero i picconi e iniziarono a scavare, altri raccoglievano le pietre portandole al montacarichi, l’ultimo gruppo si occupava di caricare il materiale. Katsuki fece oscillare il piccone e per un attimo pensò di conficcarlo nella guardia più vicina, ma rinunciò a quell’impulso una volta ricordatosi che anche se avesse sconfitto tutte le sentinelle, ne sarebbe bastata una sola per far suonare l’allarme; tutti gli ascensori si sarebbero bloccati, senza via d’uscita.

E Katsuki doveva andarsene. Doveva uscire. Aveva dei conti in sospeso da riscuotere. Così prese il piccone e iniziò a usarlo. L’alzò sopra la testa e lo conficcò nella roccia, immaginandovi un volto in particolare.










 

Si risvegliò legato, gli faceva male la testa e non riusciva a ricordare gli ultimi momenti prima di esser svenuto. Guardò al cielo, inspirò il sale del mare e voltandosi sentì la sabbia sul collo.

“Oh, guarda. Questo qui si è svegliato.”

Katsuki si girò verso la voce, scoprendo un terribile volto sconosciuto. Capelli azzurro chiaro, quasi bianchi, e occhi rossi circondati da rughe. Sorrideva, ma i suoi gesti non erano gentili, emanava un’aura di ostilità pura. Ricordò cos’era successo nella foresta, l’uomo, Izuku a terra. ‘Spero non ci sia.’ Pensò disperatamente mentre cercava di liberarsi dalle catene.

“Forse dovrei rimetterti a dormire,” biascicò l’uomo e a Katsuki salì la nausea vedendo una delle sue mani avvicinarsi.

“Non c’è tempo, Shigaraki.” Mormorò qualcun altro. Katsuki non riusciva a vederlo perché era fuori dalla sua vista, ma non ne avrebbe mai dimenticato la voce. “Gli Alpha adulti stanno arrivando.”

Katsuki pensò a sua madre e si mise immediatamente in ginocchio. Aveva mani e piedi legati ma doveva guadagnare tempo, fare in modo che sua madre—

Ogni possibile pensiero evaporò dalla sua mente nel momento in cui il suo peggior incubo divenne realtà. Izuku era sulla sabbia, svenuto; la vista del suo corpo legato gli paralizzò il cuore. Vedere uno degli uomini prenderlo e metterlo su una piccola barca fece esplodere qualcosa dentro di lui.

“Lascialo andare!” Ruggì Katsuki e incespicò cercando di alzarsi, dimenticando di avere mani e piedi impossibilitati.

Qualcun altro lo tirò su e lui si agitò come un bruco, ma era solo un ragazzino di dodici anni — legato — non c’era molto che potesse fare. Lo misero su una barca diversa, insieme ad altri Apha del suo villaggio, tutti incoscienti e sotto i quindici anni. Shigaraki lo teneva bloccato a terra con un piede, quindi Katsuki poteva solo urlare, dimenarsi e guardare il cielo.

Vide il profilo di una nave e quando riuscirono a farlo entrare Katsuki si guardò intorno. C’era un’altra nave nelle vicinanze, entrambe completamente diverse dalle piccole gondole che si usavano al villaggio per pescare. Erano navi gigantesche, con enormi vele bianche, e all’interno grandissime stanze piene di celle.

Quando Shigaraki lo gettò dentro una di quelle, a Katsuki mancò un respiro e gli ci volle un attimo per riprendersi. Quando riuscì a voltarsi, la porta era stata chiusa e l’uomo dai capelli azzurri sorrideva.

“Lui dov’è?!” Gridò Katsuki, ignorando il dolore alla testa.

“Il tuo amico?” Chiese l’altro con una risatina inquietante. “Viaggia sull’altra nave ma chissà, un giorno, se ti comporti bene, potresti convincermi a fartelo incontrare.”

Katsuki urlò e lo maledì. Il suo incubo era a malapena iniziato.










 

Il piccone si incastrò, portando via Katsuki dal suo sogno a occhi aperti. Si prese un momento per respirare e realizzò di aver lavorato in modo automatico. La fronte era imperlata di sudore e sentiva le spalle intorpidite; raddrizzandosi la sua schiena scricchiolò, ma non aveva importanza. Si sentiva bene, rilassato e in pace, ispirò il delicato aroma di miele e il suo fisico malandato fece un sospiro di sollievo.

Non pensò che il lavoro fosse monotono, noioso ed estenuante, non pensò al tempo, al cibo cattivo e insapore. Lavorò godendosi l’aroma del latte.





 

“Kacchan?”

La sua voce; era difficile sentire la sua voce. 

“Kacchan?”

Era come un eco distante. Un eco distorto. 

“Kacchan!”





 

Si svegliò dalla sua trance, ed esaminò subito l’ambiente circostante. Era tornato nella sua cella, la giornata di lavoro finita. Scosse la testa, che sentiva leggera e piena di fumo; nonostante il fastidio, poteva certamente dire che l’incenso aveva perso il suo effetto.

Katsuki si avvicinò al secchio dell’acqua, sciacquandosi il viso e il corpo, vagamente consapevole del fatto che la cella fosse stata pulita, il suo secchio delle feci svuotato e del vago odore di Omega nell’aria. Bevve fino a sentirsi pieno e riprese lentamente controllo del suo corpo. Distese con cautela la schiena e si massaggiò i tendini delle braccia, come aveva fatto ogni notte negli ultimi anni. Era così concentrato nel suo compito da non capire subito le parole giunte dalla cella accanto. Si voltò verso la voce e fu molto sorpreso di vedere un volto nuovo. 

“Cosa?” Ringhiò, studiando i tratti del viso dello sconosciuto.

“Brutta giornata?” Chiese l’altro con un sorriso. 

E Katsuki non avrebbe saputo dire cos’era più straordinario, quel sorriso spensierato o la sensazione che il ragazzo non avesse la minima idea di dove si trovasse.

“Come ti chiami?” Gli chiese lo sconosciuto, avvicinandosi alle sbarre che separavano le gabbie. “Io sono Kirishima, o Eijirou se preferisci.” 

Katsuki lo ignorò ringhiando, non era in vena di chiacchiere.

“Te l’ho chiesto prima,” continuò quello come se niente fosse. “Ma non hai risposto, nessuno l’ha fatto. Piuttosto strano. Avete tutti la stessa espressione, a metà tra il mondo dei sogni e la realtà. Che è successo?” 

“Ha importanza?” Grugnì Katsuki, sciogliendo il collo. “Domani lo saprai.”

“Oh...” Tacque per un secondo, solo uno. “Ti spiace darmi qualche dettaglio in più a riguardo?” 

“Sì.”

“...sì cosa. Ti spiace o me li dai?” 

Katsuki sentì il cattivo umore tornare a tutta forza.

“Sta’ zitto!” 

“Capisco che sei arrabbiato, pensi che—”

“Shh!” 

Sorprendentemente lo sconosciuto tenne la lingua a freno, forse perché anche lui aveva sentito dei passi. Il rituale venne ripetuto e le guardie scortarono due Omega che portarono loro la cena; non erano le stesse della colazione, e uno di loro era un ragazzo.

Katsuki sentì il suo compagno di cella trattenere il respiro. Percepì la sorpresa, l’agitazione, lo shock e la corrente di infinite emozioni crescere in lui. Tutti i nuovi arrivati Alpha avevano la stessa reazione nel vedere per la prima volta un Omega senza le proprie bende in pubblico. 

Katsuki lo guardò e non si sorprese di vederlo arrossire, né del modo in cui improvvisamente cercò di guardare ovunque tranne che agli Omega. Tutta la sua sicurezza era sparita nel momento in cui l’Omega biondo si era inginocchiato accanto alla sua cella per passargli la cena attraverso le sbarre, restò immobile guardandolo direttamente in faccia e quando il biondo si alzò per andarsene, lo sconosciuto volse lo sguardo al suolo.

Quando l’Omega appoggiò la sua cena dentro la cella, Katsuki gli si avvicinò. Stavolta non gli importava di respirare l’aroma di arance. 

“Ho bisogno di altra menta,” mormorò, prendendo il pasto mentre cercava di nascondere il volto dalle guardie. L’altro non rispose, ma Katsuki sapeva di essere stato sentito. Dopotutto, non era la prima volta che la chiedeva.

Gli Omega se ne andarono e Katsuki mangiò la sua cena in pace, almeno finché i passi delle sentinelle non scomparirono in lontananza e il suo vicino decise di riprendere la loro conversazione. 

“Perché loro—?”

Katsuki diede un taglio al discorso sentito centinaia di volte. “Pensi che abbiano scelta?” 

Sentì l’Alpha fare un respiro profondo e Katsuki suppose che la conversazione fosse finita, ma si sbagliò.

“Cosa gli hai detto?” Chiese a bassa voce, dandogli le spalle. 

“Non sono affari tuoi.” Borbottò Katsuki masticando pigramente.

“Wow, sei davvero affascinante.” 

Infine il cattivo umore di Katsuki scoppiò, aveva mal di testa, si sentiva impotente e la disperazione che strepitava dentro di lui era senza fine. Si alzò e con due falcate raggiunse la cella adiacente. Allungò il braccio e afferrò il nuovo arrivato per il bavero.

“Senti, imbecille. Qui nessuno è in vena per le tue battute o le tue domande. È chiaro che si tratta del tuo primo giorno. Vuoi sapere cosa succederà? Lo scoprirai domani. Un consiglio? Chiudi il becco! E lascia cenare gli altri in pace.” 

Lo sconosciuto lo studiò con assoluta attenzione. Katsuki lo fissò a sua volta e cercò di farsi un’idea dell’uomo esaminando il suo fisico. Aveva degli ampi tratti spigolosi e un aspetto saldo e robusto. Al centro del petto facevano capolino dei fiori di loto scarlatti. Nel momento in cui Katsuki fece per voltarsi e tornare alla sua cena, lo sconosciuto disse:

“Ti piace vivere qui?” 

Katsuki ringhiò, un suono minaccioso e di rabbia.

“Sei stupido?” 

“Vorresti tornare a casa?”










 

“Vorresti tornare a casa?”

Sentì la domanda ma il suo cervello non fu in grado di processarla. Il dolore alla schiena era sordo e si diffondeva nel corpo, abbattendo qualsiasi altra sensazione. Aprì gli occhi e sbatté le palpebre finché non riuscì a focalizzare il volto che aveva davanti. Quando lo riconobbe, venne pervaso da un denso odio liquido.

“Ti ho sentito dire che vuoi tornare a casa, anche se forse è colpa dell’incenso, non saprei.”

Katsuki grugnì e cercò di gettarsi addosso a lui, ma aveva le braccia incatenate al muro.

“Oh, abbiamo un gatto selvaggio.” L’uomo dai capelli azzurri rise e Katsuki sentì le interiora contrarsi dal disgusto. “Ne abbiamo diversi, in realtà.”

Solo allora Katsuki realizzò di non essere solo. C’erano altri ragazzi incatenati come lui nella stanza. Avevano tutti più meno la sua stessa età, qualcuno anche più giovane.

“Sai,” continuò Shigaraki senza guardarlo. “Mentre dormivi bisbigliavi un nome… Deku? Ti suona familiare?”

Katsuki ruggì e il suono allertò gli altri che iniziarono a tremare nelle loro catene.

“Shigaraki! Smettila di provocarli.”

“Chiudi il becco e porta altro incenso.”

Uno dei suoi lacchè corse ad accontentarlo e Katsuki lottò con più forza. Detestava quell’incenso. Lo odiava con tutto se stesso. Odorava di Omega, un Omega felice e incinto, ma aveva qualcosa di sbagliato perché non solo li rassicurava, ma li lasciava anche deboli e faceva perdere loro la cognizione del tempo.

Ma non c’era via di scampo, presto la stanza si riempì di un’aroma irresistibile. Ignorandoli, i loro carcerieri continuarono il loro discorso.

“Quanto ci vuole per il condizionamento?” Chiese Shigaraki.

“Tra un paio di settimane li manderemo dal Generale.”

“E gli Omega?”

Katsuki si irrigidì, era la prima volta che li sentiva parlare di loro.

“Non abbiamo tempo per andare a cercarne altri. Non possiamo rischiare di essere intercettati dalle navi della Yuei. Dobbiamo consegnare questo gruppo alla città.”

“Il Generale non sarà soddisfatto.”

“Il Generale capirà che non è colpa di nessuno se quella dannata nave è affondata. Siamo fortunati che i nostri non abbiano incontrato lo stesso destino.”










 

“Ehi? Mi hai sentito?” 

Katsuki sbattè le palpebre e lo guardò. Gli ci volle un secondo per recuperare la conversazione. Tornare a casa? No, non c’era più niente lì per lui. Sua madre, forse, se era ancora viva. Ma quello che desiderava davvero, quello che voleva sopra ogni altra cosa… era la testa dell’uomo chiamato Shigaraki.

“Voglio vendetta,” disse, e la sua voce risuonò bassa e grave, come il ringhio di un animale selvaggio.





 
   
 
Leggi le 1 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<    >>
Torna indietro / Vai alla categoria: Anime & Manga > Boku no Hero Academia / Vai alla pagina dell'autore: Roquel