Anime & Manga > Boku no Hero Academia
Segui la storia  |       
Autore: Roquel    22/02/2018    3 recensioni
I fiori sbocciano dalla sera al mattino, come dei nei, anche se somigliano più a dei tatuaggi sbiaditi. Ogni fiore, così come ogni colore, dice qualcosa riguardo la personalità del suo proprietario. L'ubicazione identifica il tipo di persona. Petto, scapole e spalle per gli Apha (forza, protezione e ferocia); mani, gambe e viso per i Beta (duro lavoro, sicurezza e fiducia); infine addome, stomaco e fondoschiena per gli Omega (maternità, dolcezza e sensualità). Di anno in anno, i tatuaggi crescono, fioriscono e si diffondo sul corpo del portatore.
A sedici anni, Izuku non ha alcun fiore, ma nei suoi ricordi brilla il rosso del gladiolo sulla pelle di Katsuki. È quel ricordo a far rivivere il suo desiderio di tornare a casa; ma le cose non sono mai semplici.
(AU. Tre regni e una guerra sul punto di esplodere.)
[Katsudeku - Kirikami]
Traduzione di "Flower Bouquet" di Maia Mizuhara, che è a sua volta una traduzione inglese dell'originale "Bouquet de Flores" originale spagnola di Roquel.
Link nella pagina dell'autore e nelle note al fondo del primo capitolo.
Genere: Angst, Introspettivo, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Shonen-ai, Yaoi | Personaggi: Izuku Midoriya, Kaminari Denki, Katsuki Bakugou, Kirishima Eijirou, Un po' tutti
Note: AU, Lime, Traduzione | Avvertimenti: Contenuti forti, Tematiche delicate, Violenza
Capitoli:
   >>
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A

Capitolo 1 – Gladioli Rossi

 
 
 

Sending you forget me not

To help me to remember

Baby please forget me not

I want you to remember
 

Forget me nots – Patrice Rushen










 

Ci sono ferite che ci segnano, che lasciano cicatrici terribili e visibili. Ce ne sono altre che semplicemente esistono dentro di noi, ferite che teniamo nel profondo dei nostri cuori, facili da nascondere ma che tornano sempre inconsciamente.

Alcuni le chiamano ricordi.

Per Izuku, il ricordo torna in primavera, quando i boccioli si aprono e i campi si tingono di giallo, rosso, blu, verde e lilla... Il panorama è meraviglioso, pieno di colori, di vita e infinita speranza. Tuttavia, gli basta rivolger loro un solo sguardo per sentire il peso della memoria tornare più forte che mai.

Ad ogni primavera, quando i fiori sbocciano di nuovo, Izuku si siede ad ammirarli: chiude gli occhi e inala il profumo, cercando di riconoscerne ogni singola parte. Le prime volte piangeva, la vista dei fiori era abbastanza per farlo scappare nella direzione opposta fino a collassare al suolo e scoppiare in un pianto disperato. Con il passare del tempo, imparò a sopprimere quella reazione immediata e riuscì a prendere abbastanza forza da sedersi in mezzo ai campi, circondato da fiori e ricordi.

Gli bastava respirare l’odore della foresta per ricordare i suoi genitori.










 

Le valeriane bianche erano nate sulla caviglia sinistra della madre e si arrampicavano fino a nascondersi sotto il suo abito. Da bambino Izuku soleva sedersi ai suoi piedi per contarne i fiori, far scorrere le piccole dita lungo l’intricato distendersi degli steli verdi e dei piccoli petali. Erano tinti di un bianco brillante, simbolo di purezza e affetto.

Ed era senz’altro splendido che anche suo padre avesse un fiore bianco sulla mano destra. Era una bellissima magnolia, con petali a forma di goccia e un piccolo cerchio giallo all’interno che faceva risaltare il delicato biancore del fiore. Da lì, si distendevano sul suo avambraccio e terminavano sul gomito fila di rami verdi pieni di piccole magnolie bianche, nessuna splendida e magnifica come quella che brillava sul dorso della sua mano.

Erano i guaritori del villaggio. Accanto alla loro casa vi era una stanza dove si occupavano di raffreddori, cadute, lesioni, morsi, parti e tutti i malanni che ogni abitante del paesino potesse contrarre.

Izuku poteva star seduto per ore in un angolo ad osservare il padre diagnosticare influenze e curare ferite. Passava con sua madre pomeriggi interi macinando piante e semi per rifornire gli scaffali. Imparò a riconoscere le piante dalle foglie, dal colore dei fiori. Si metteva ai piedi dei genitori, bendato, mentre cercava di identificare i miscugli solo dall’odore, per lui era come un gioco.

Non avrebbe mai dimenticato il giorno in cui desiderò essere come loro, il giorno in cui desiderò salvare il mondo: aveva quattro anni e il suo migliore amico Katsuki era caduto da un albero, rompendosi un braccio. Izuku ricorda di esser stato lui a piangere per tutta la strada di ritorno mentre il biondo, pallido come una magnolia, serrava i denti e brontolava sommesso.

I suoi genitori non emisero un urlo, e nemmeno andarono nel panico; sua madre si affrettò a portare bende, acqua e medicine mentre suo padre sollevò Katsuki da terra mormorando parole tranquille e di incoraggiamento. Izuku si accostò al tavolo da lavoro, e anche se non osava stringere la mano dell’amico, si avvicinò il più possibile sperando di dargli conforto.

Quel giorno, Izuku sognò di ricevere un fiore bianco. Quel giorno, Izuku sognò di essere in grado di curare chiunque, di salvare chiunque.










 

Izuku non ha bisogno di sforzarsi per rievocare l’aroma di giglio e caprifoglio. Gli basta inspirare profondamente, così che tutti i profumi della foresta gli pervadano le narici e riempiano il suo corpo di freschezza, riportando l’odore della sua vecchia casa.

Resta lì per parecchio, riflettendo e ripensando a quel tempo diluito tra le sue dita. Quando torna in sé, il sole sta già calando. Il vento soffia dolcemente, conservando il calore del giorno, ma ben presto diventa una fredda folata, così Izuku sospira e si alza.

Quando torna a casa, Tokoyami ha già finito di accendere il fuoco e si intrattiene pulendo i conigli che diventeranno la loro cena. Mentre Izuku si scusa per il ritardo li vede: un mazzo di raggi rossi spuntano da un mucchio di altri fiori.

Qualcosa dentro Izuku si spezza.

“Ne ho portati altri,” dice Tokoyami, indicando il cumulo di fiori. “Sei a corto di lozione.”

Izuku sorride, anche se da come lo sguardo di Tokoyami si acciglia deve sembrare uno sul punto di piangere più che altro.

“Qualcosa non v–?”

“No!” urla Izuku senza farlo finire. “No,” ripete più calmo, avvicinandosi con passo incerto. “Grazie.”










 

Mitsuki Bakugou indossava un sarashi rosso che le permetteva di esporre i fiori, di un rosso ciliegia, che si estendevano su tutta la schiena e sulla nuca.

Aveva vinto il titolo di miglior guerriera per cinque anni consecutivi. Sapeva combattere, navigare, e possedeva un’abilità incredibile coi coltelli. Era bionda, alta e impetuosa; Izuku adorava sedersi ad osservarla insegnare tecniche di difesa ai giovani Alpha.

“Smettila di sbavare su mia madre, Deku.” Gli diceva Katsuki ogni volta che lo vedeva con quello sguardo di adorazione.

“Kacchan, tua madre è fantastica.”

La risposta dell’amico era secca. “Io lo sarei ancora di più.” Borbottava tra i denti mentre si voltava per andarsene.

Izuku lo seguiva tentando di scusarsi. Sapeva che Katsuki non sopportava quei paragoni. Detestava essere inferiore a chiunque, persino alla sua stessa madre.










 

Izuku si allontana dai fiori e dà una mano per la cena. Si siedono per mangiare in un insolito silenzio perché dopotutto, il ragazzo non ha le forze per parlare della sua giornata, né per fare domande.

“Midoriya,” la voce di Tokoyami lo risveglia dalla sua trance e Izuku gli rivolge lo sguardo.

“Sì?”

Il ragazzo dalla testa di uccello lo guarda per un lunghissimo istante. Izuku percepisce le domande dietro quel silenzio, ma è attento a non dire nulla e si limita a studiare la soffice superficie delle sue piume nere ed il modo in cui la luce del fuoco danza sul suo becco. Alla fine, il ragazzo sospira e mormora:

“Si sta facendo tardi, è meglio che vada. Ti serve qualcos’altro?”

Izuku sorride senza muoversi per alzarsi.

“Sto bene, grazie.” Dice piano. “Domani verrai?”

“Ci proverò.”

“Grazie di tutto, Tokoyami.”

“Ci vediamo, Midoriya.”

Tokoyami si alza e Izuku riporta la sua attenzione al piatto che ha di fronte. Finge di mangiare mentre ode l’altro ragazzo prendere le sue cose; lo sente andare via, il suono del suo passo robusto si affievolisce finché non sente altro che il crepitio del fuoco. Solo allora, Izuku guarda di nuovo i fiori.

Una brezza leggera agita i petali rossi. Socchiudendo gli occhi, i contorni dei fiori si perdono fino a diventare una macchia scarlatta. Una macchia lunga e sottile... come una spada.










 

Non fu una sorpresa quando il rumoroso figlio della miglior guerriera del villaggio mostrò orgogliosamente il gladiolo rosso appena sbocciato sulla giuntura che unisce il braccio al busto.

Il piccolo fiore era grande quando il pollice di sua madre, ma possedeva una tonalità cremisi inevitabilmente associabile a forza, passione e determinazione. Inoltre il gladiolo era uno dei fiori più belli: rappresentava vanità, carattere forte, onore e lealtà. Erano un assoluto simbolo di vittoria, perché una volta cresciuti avrebbero presto acquisito la forma di una spada, lunga e rossa.

L’unione del tutto rendeva senza alcun dubbio Katsuki Bakugou un Alpha.

Izuku ricorda perfettamente il giorno in cui vide il fiore rosso sul petto dell’amico. Ricorda il colore acceso e le piccole linee scure che germogliavano dal centro. Erano rosse come gli occhi del suo proprietario, rosse come il cielo al tramonto. Era dotato di un colore scarlatto estremamente brillante.

Izuku ne ricorda il contatto, saldo e tenue, ricorda la pelle liscia e delicata in contrasto all’ossatura rigida sottostante. Ricorda di aver passato giorni a sognare di petali rossi sullo sfondo di una pelle di alabastro. 










 

Il suono di un gufo fa tornare in sé il ragazzo, che solo allora nota il suo piatto ancora mezzo pieno dei resti del coniglio.

Izuku sospira.

Raccoglie i resti di cibo e li sotterra, poi lava il piatto. Invece di andare a letto, si dirige verso la borsa dove tiene l’ultimo quaderno della sua collezione. Si siede vicino al fuoco e cerca di fare uno schizzo della forma dei fiori.

Non si stupisce del fatto che il suo primo disegno si riveli essere un gladiolo invece che un oleandro, ma lo infastidisce che manchi di vita. Passa delle ore a disegnare, cercando di catturare il tenue e quasi ipnotico movimento delle foglie. Insoddisfatto, tira fuori la pittura dalla sua borsa e cerca di far possedere al suo disegno l’intensità di quel rosso, la forza, lo splendore che ricorda.

È inutile.

Frustrato, Izuku strappa la pagina, la appallottola e la lancia via. Più lontano che può. Nel suo battito sente chiaramente rabbia e frustrazione. Per contrastarle, si siede vicino al mazzo di fiori e inizia a sfogliarli, separando i petali in diverse ciotole, ma la sua rabbia svanisce quando vede la manciata di fiori tra le mani. Gli basta guardarli per sentire di poterli vedere di nuovo tutti insieme: valeriane, magnolie, gardenie, rose, margherite, gladioli rosso sangue… Tutti questi e altri ancora danzano intorno a lui, mostrando la forza e la bellezza dei loro proprietari.

Izuku prende un respiro, le sue mani piene di fiori recisi; gli viene da ridere per l’ironia ma l’idea di farlo è troppo dolorosa.

“L’hai già fatto prima d’ora,” dice a se stesso, cercando di riprendere la mansione.

Ma è inutile. Non riesce a smettere di pensare alle valeriane, alle magnolie e ai gladioli. Non riesce a smettere di vederli recisi e distrutti. Non c’è più nessun fiore, e non ne ha nemmeno uno sul suo corpo con cui potersi consolare.










 

Tutti i bambini della sua età ricevevano i propri fiori quasi allo stesso momento. Tutti, eccetto Izuku.

Izuku passava settimane a studiare il suo corpo con attenzione, aspettando il fiore che avrebbe definito la sua vita, ma quando arrivò, non era ciò che si era aspettato. Avvenne mentre faceva il bagno. C’era un altro gruppo di bambini con lui e fu uno di loro ad urlare “Omega”.

Izuku si voltò cercando la fonte del rumore e quando notò un dito puntato nella sua direzione si girò aspettandosi di trovare qualcuno dietro di lui. Non c’era nessuno e fu allora che capì. Si coprì la pancia con le mani e corse verso casa.

Non gli importava nemmeno di aver dimenticato i vestiti.

Arrivò senza fiato. Con il corpo ancora bagnato, si catapultò dentro la stanza delle visite dove suo padre si occupava dei pazienti. Entrambi scioccati nel vederlo nudo, sua madre riconobbe immediatamente il suo odore e corse verso di lui con una coperta tra le braccia. Izuku le si aggrappò con il cuore che gli martellava in gola.

Quella sera, sua madre gli mise davanti uno specchio così che potesse apprezzare il proprio marchio. Sul suo fianco destro c’erano tre foglie sottili e allungate... non c’erano fiori, solo quelle foglie di un verde intenso. Le due alle estremità erano estremamente sottili, come piccoli aghi, e quella al centro era un po’ più spessa con un cerchio; non più grande di un’unghia, verde scuro sulla punta.

“E il fiore?” chiese debolmente Izuku, deluso dalla mancanza di colore sulla sua pelle.

“Comparirà presto.” Disse sua madre, spostando lo specchio e preparandogli le bende. “Qualche volta ci mettono un po’ a sbocciare.”

“Ma che fiore è?”

“Finocchio.”

Izuku guardò accigliato sua madre.

“Quello non è un fiore. È una pianta medicinale,” mormora il bambino di sei anni, cercando di contenere il panico. Non protesta nemmeno quando sua madre inizia a fasciargli i fianchi con le bende.

“Il finocchio è una pianta usata in medicina e anche in cucina come aroma. Cresce dappertutto ed è resistente a diversi tipi di clima. È un’ottima pianta per un Omega.”

“Il finocchio non è un fiore.” ripete Izuku ostinatamente, sentendosi piccolo e impotente.

“Il finocchio ha un fiore giallo. È piccolo e adorabile, ma ci vuole tempo perché cresca. Prima o poi arriverà, non devi preoccuparti. Ora fai attenzione, hai visto come ti ho messo le bende? Perché ora devi farlo da solo.”

Izuku protestò borbottando.

“Perché devo usare le bende se non ho un fiore?”

Era risaputo che mentre gli Alpha e i Beta potevano sfoggiare i propri fiori, gli Omega dovevano coprirsi la pancia e lo stomaco, per evitare che chiunque all’infuori del partner li vedesse.

“Il fiore arriverà, Izuku, smettila di preoccuparti. Ora ti tolgo le bende e toccherà a te provare, ok?”

Mentre sua madre era impegnata col mucchio di fasce, Izuku prese lo specchio e fissò di nuovo il suo marchio. Aveva sei anni e non sopportava la vista di quel verde brillante senza alcun fiore, così prese le bende che sua madre gli porgeva e si fasciò i fianchi e l’addome. La prima volta erano troppo allentate, la seconda le strinse troppo, al terzo tentativo il nodo si sciolse mentre camminava, ma Izuku continuò ancora e ancora finché le bende non furono a posto. Non avrebbe permesso a nessuno di vedere le sue foglie senza fiori.

Chi amerebbe un senza fiore?

“Andrà tutto bene, Izuku.” Mormorò sua madre, che aveva odorato la sua angoscia.

Izuku la abbracciò e si lasciò coccolare dalle sue parole calde e dolci. Cercò di non pensare che avrebbe preferito essere un Beta, come suo padre, o un Alpha, come il suo migliore amico. Qualcuno che avesse un fiore affascinante e splendido di cui vantarsi.










 

Izuku abbandona i fiori, incapace di continuare a toccarli, e si alza per prendere il pezzo di carta con un grugnito di rabbia. Accende la lampada ad olio e si assicura di aver spento il fuoco prima di entrare nella caverna. Si toglie le bende che gli coprono lo stomaco e cerca di non guardare l’intreccio di foglie verdi che si estendono sulla sua pancia mentre spegne la luce. Al buio, si avvolge con la coperta con gli occhi ancora aperti - non riesce a cacciare dalla sua mente l’immagine dei fiori fatti a pezzi tra le sue dita.

Izuku non piange, ha da tempo esaurito le lacrime, ma il lamento che cresce dentro di lui minaccia di distruggere tutti i muri che ha eretto con cura nel tempo. Si concentra sul proprio respiro, cercando a tentoni la pallina di carta lasciata vicino al cuscino, e una volta afferrata vi si aggrappa e chiude gli occhi cercando di dormire.

Infine sogna; o meglio, ricorda.










 

Izuku si asciugò via l’acqua dal viso e si allontanò dal fiume, verso la foresta. Non appena le voci degli altri bambini diventarono un mormorio lontano, Izuku mise giù la borsa e iniziò a sciogliere le bende bagnate.

“Perché non fai il bagno con gli altri Omega?”

Izuku fece un balzo e si voltò con il cuore in gola.

“Kacchan!” urlò quando vide il biondo di fronte a lui, mentre si dimenava per rifare il nodo al fianco. “Che stai facendo?”

“Perché non fai il bagno con gli altri Omega?”

Izuku serrò i denti. C’era un laghetto segreto che gli Omega usavano per lavarsi senza doversi preoccupare degli sguardi altrui. Adulti e bambini facevano il bagno nel fiume, nel lago, o sulla spiaggia, sempre indossando le bende; ma nel laghetto potevano spogliarsi completamente e godersi un bagno in pace. Izuku aveva ormai il suo marchio da un anno e mezzo, ma non era comunque mai andato al laghetto con gli altri Omega.

“Allora?”

“Non sono affari tuoi!” urlò Izuku, avvilito. “E adesso vattene!”

“Qual è il tuo problema?!” Katsuki si avvicinò e allungò la mano verso il nodo al suo fianco. “Per caso hai un fiore così brutto che non vuoi farlo vedere a nessuno?”

Izuku reagì con rabbia. Schiaffeggiò con forza la sua mano e indietreggiò, sentendo le lacrime pizzicargli gli occhi.

“Non puoi guardarlo!”

“Eeeh? Perché no?!”

“No- Non puoi!”

“Il tuo Alpha lo vedrà.”

“Ma tu non lo sei!”

Izuku si voltò e corse; dietro di lui sentì Katsuki urlare.

“Ehi, Deku! Torna qua!”

Ma Izuku continuò a correre, non osava pensare a cosa avrebbe detto il suo amico se avesse scoperto che sul suo corpo non c’era alcun fiore.





 

Tutte le feste di primavera si svolgevano alla capitale, a cinque giorni di distanza. Quella, insieme al banchetto d’autunno, erano i due eventi più importanti che riunivano tutti gli abitanti dell’isola. I villaggi mandavano i migliori guerrieri per partecipare ai tornei, gli artigiani vendevano le proprie opere fabbricate durante l’inverno, le diverse coppie di novelli sposi potevano richiedere la benedizione della sacerdotessa… Le attività erano tanto varie quanto stravaganti.

Izuku aveva otto anni quando sua madre acconsentì a farlo partecipare alla festa.

“Non allontanarti dal tuo gruppo,” ripeté la madre per l’ennesima volta, mentre Izuku finiva di riempire di panini la sua borsa da viaggio.

“Ricordati di cambiare la fasciatura,” lo avvisò il padre, porgendogli un otre pieno d’acqua insieme a un altro pacco di bende.

I genitori abbracciarono e baciarono il figlio, finché non fu lui ad allontanarsi per mettersi di fianco a Katsuki.

“Starà bene,” disse Mitsuki Bakugou, sorridendo sicura. “Masaru verrà con noi e si prenderà cura dei bambini.”

Izuku li salutò e si unì al corteo del viaggio. Quel giorno, si rifiutò di salire su uno dei carri e preferì camminare con Mitsuki, facendole tutta una serie di domande. La donna rispose ad ognuna di esse sorridendo, e non sembrò mai essere stufa di lui.

La sera, Izuku cercò di piazzare la propria coperta accanto a quella di Katsuki, ma il suo amico si alzò e iniziò a piegare la propria.

“Kacchan?”

“Mia madre è laggiù,” mormorò il biondo indicando la piccola tenda dei genitori. “Puoi dormire vicino al loro letto.”

Izuku lo fissò a bocca spalancata mentre spostava le sue cose dall’altro lato del falò, sistemandole dandogli le spalle. Sentendosi abbandonato, Izuku si morse il labbro e si guardò intorno. Molte coppie, come Mitsuki e Masaru, si erano ritirate nelle proprie tende. I più giovani e i bambini dormivano vicino al fuoco, tenuti al sicuro dalle guardie intorno al perimetro. Con nessun altro posto dove andare, Izuku si rannicchiò e cercò di dormire.

Durante la notte si svegliò a causa del verso di un animale. Restò immobile, aspettandosi di sentire un movimento o delle voci, ma non avvertiva alcun suono e quel silenzio non fece altro che aumentare la sua inquietudine. Sapeva che le guardie avevano la situazione sotto controllo e sapeva di essere al sicuro, ma non riusciva a reprimere quel senso di paura che aveva iniziato a crescere dentro di lui. Non volendo attirare l’attenzione di nessuno, Izuku circondò il falò e si avvicinò a Katsuki.

“Kacchan.” Lo scosse piano, mormorando il nome vicino al suo orecchio. “Kacchan, svegliati.”

Il biondo sobbalzò e si voltò verso di lui, all’erta e vigile; non appena i suoi sensi avvertirono l’odore di Izuku, il suo corpo si rilassò.

“Che vuoi, Deku?”

“Posso dormire con te?”

“Cosa? No, se hai paura vai da mia madre. Hai passato tutto il giorno a saltellare e ridere con lei, no?”

“Kacchan, per favore.”

Cercò di imprimere nella propria voce tutto il bisogno e la paura che sentiva in quel momento, e sembrò funzionare, perché Katsuki storse il naso e prese la sua coperta per metterla accanto a lui.

“Smettila di piangere... e controlla il tuo odore o sveglierai tutti.”

Izuku si sistemò accanto a lui, si avvolse nella coperta e poggiò la testa così che la sua fronte fosse il più vicina possibile alla spalla di Katsuki. Poi respirò il profumo di pace e sicurezza che lui emanava, e si cullò col suono del suo respiro; si era quasi addormentato quando sentì il lieve mormorio della sua voce.

“...Deku.”

“Hm?”

“Non sposerai mia madre.”

Izuku sorrise tenendo gli occhi chiusi. “Non voglio sposare tua madre.”

“Allora perché le sbavi sempre addosso?”

“Perché è fantastica.”

Il silenzio si diffuse attraverso il suo corpo e Izuku si lasciò trasportare dal calore e dalla tranquillità di quel momento. Il sogno era lì, così vicino che avrebbe potuto toccarlo solo allungando le mani, e appena prima di attraversare la soglia dell’incoscienza, sentì chiaramente Katsuki.

“Più di me?”

Con l’ultimo spiraglio di coscienza, Izuku mormorò. “Nessuno è meglio di Kacchan.”





 

“Che stai facendo?”

Izuku alzò lo sguardo dal proprio album e osservò Katsuki sedersi accanto a lui.

“Hai finito di allenarti, Kacchan?”

“Perché sarei qui altrimenti? ...Non sei venuto a vedere l’allenamento oggi; mia madre ha chiesto di te.”

“Davvero? Oh, domani dovrò scusarmi con lei.”

“Non farlo!” Katsuki si chinò verso di lui e guardò l’oggetto che Izuku teneva in grembo. “Cos’è?”

Izuku sorrise e glielo mostrò.

“Mio padre mi ha regalato un quaderno.”

“Perché?”

“Ha detto che posso iniziare a elencare le piante che conosco già. Posso disegnarle e scriverne le proprietà e le qualità, gli usi e i benefici.”

“Ma ha già dei libri a riguardo.”

“Quelli sono suoi, questo sarà mio. L’ho appena iniziato. Non è colorato perché vendono la pittura solo alla capitale, ma non importa. Lo riempirò di tutte le piante che conosco e allora, se possibile, le colorerò.”

“E cosa te ne fai?”

“Voglio diventare un guaritore.”

“Gli Omega non sono guaritori.”

Izuku alzò le spalle e continuò a disegnare la pianta che aveva di fronte.

“Anume è un Omega e va a pesca con la sua barca.”

“Anume ha perso il suo Alpha in una tempesta, usa la barca per dar da mangiare ai suoi poppanti.”

“Even non ha un Alpha e in primavera ha vinto il torneo di tiro con l’arco.”

“Even è un’eccezione… È questo che vuoi, non avere un Alpha?”

“Nessun Alpha mi amerà mai.” mormorò Izuku, pensando alle sue foglie verdi senza fiori. Preferiva restare solo ed evitare l’umiliazione di mostrare il suo marchio a qualcun altro.

“E se qualcuno te lo chiedesse?” domandò il biondo, dopo un attimo di esitazione.

“Beh, dovranno accettare il fatto che diventerò un guaritore.” Non lo disse con arroganza o spavalderia. Era un semplice dato di fatto, come quando qualcuno dice che il cielo è blu.





 

Non riuscì a sentire cosa disse Katsuki, lo vide muovere le labbra, ma le parole non raggiunsero le sue orecchie. Ricorda che erano accovacciati uno accanto all’altro, il peso della spalla contro la sua, l’odore del suo corpo, ricorda di aver fissato i gladioli rossi sulla sua spalla.

Ricorda lo stupore nel vedere l’uomo comparire davanti a loro. Uscì dai cespugli e si fermò alla loro vista.

Izuku non aveva mai visto un uomo con la pelle viola, non c’era nessuno come lui al villaggio. Era grosso e tarchiato, indossava abiti chiari e larghi, i suoi capelli color neve.

L’uomo sorrise e immediatamente la paura si diffuse nel corpo di Izuku. La sua paura fluttuò come un incenso denso e amaro, a cui Katsuki rispose bloccando la strada allo sconosciuto. Il ringhio che fece era un suono che Izuku non aveva mai sentito prima, ma risvegliò in lui un senso di allarme.

Izuku si alzò proprio mentre altri due sconosciuti comparvero accanto al primo. Uno aveva la testa di una lince e il corpo da umano, e l’altro occhi enormi e corna grandi quanto il suo braccio.

“Scappa!” Katsuki reagì per primo, voltandosi e spingendolo a muoversi. Izuku obbedì, riuscendo a compiere tre passi quando qualcosa si attorcigliò attorno alla sua gamba e lo fece cadere.

Crollò a terra con le mani in avanti e si girò giusto in tempo per vedere Katsuki saltare addosso all’uomo con la frusta. Il biondo era agile e brutale, ma non poteva fare nulla contro la forza congiunta di tre uomini adulti. Izuku urlò quando il ragazzo cadde al suolo.

Ricorda di essersi mosso d’impulso, di aver strisciato verso di lui per poi vedere il sangue fluire dalla sua testa.

“Kacchan, Kacchan!” Aveva chiamato disperato, allungando la mano verso di lui, ma non riuscì mai a toccarlo; l’oscurità calò sul suo corpo come un enorme martello.

Perfino incosciente, continuò a urlare il suo nome, ancora e ancora, nel mezzo di un’infinita oscurità.










 

Izuku si svegliò pieno di paura e angoscia. Si mosse nel letto, respirando velocemente e sconnesso. Restò immobile, annusando il mondo, aspettandosi di sentire il movimento mite delle onde e l’odore del sale, invece respirò la fragranza della terra, e sentì il profumo della fredda mattina. Avvertì le lacrime asciutte sulle guance, e le strofinò via senza pensarci.

Si raddrizzò sul letto e si abbracciò con la coperta. Cercò di controllare il proprio respiro contando fino a cento e poi fino a mille. Poco a poco, i suoi occhi si adattarono all’oscurità e riuscì a visualizzare il contorno della lampada e l’ombra dei suoi vestiti accanto al letto.

Si vestì in silenzio, indossando le bende con movimenti quasi automatici. Si infilò i pantaloni grigi e mise la coperta sopra la camicia da notte. Quando uscì dalla caverna il mondo era di un grigio sporco, e quando inspirò profondamente, il calore del suo corpo si sollevò in spirali bianche.

Izuku ci mise un momento per riprendersi. Il ricordo era ancora troppo vicino e se non avesse fatto attenzione vi sarebbe sprofondato. Niente autocommiserazione, si disse aspramente, scuotendo la testa in modo deciso e mettendosi a lavoro. Lo fece con determinazione, senza esitare.

Non poteva permettersi di riflettere.

Fuoco, si disse e spostò la legna impilata dentro la caverna verso i resti del falò notturno. Acqua, prese i due secchi più grandi e camminò lungo il distendersi della corrente più vicina per riempirli. Lozione, fece un gran respiro e finì di sfogliare i fiori, mettendone una manciata di ognuno nei contenitori coi coperchi, procedendo poi a lavorarli ognuno con un metodo diverso. Colazione, uso un po’ dell’acqua lasciata da parte per prepararsi del tè e si coprì vicino al fuoco mangiucchiando i suoi cracker di grano duro.

Izuku guardò il cielo, che stava iniziando a schiarirsi, pieno di splendidi colori. Il rosso dominava sul resto.

Chiuse gli occhi.










 

Ogni festa era uguale e allo stesso tempo diversa. Anche se non era la prima festa a cui partecipava, Izuku non poté fare a meno di fermarsi ad ogni bancarella per ammirare la bellezza delle collane, braccialetti, coltelli e un’infinità di altri oggetti. La varietà e la perfezione di ogni prodotto erano talmente tante che non riuscì a decidersi su una cosa sola da comprare.

“Che c’è che non va?” Gli chiese Katsuki quella sera, quando lo vide imbronciato accanto al fuoco. Izuku gli parlò del suo dilemma e il ragazzo rise. “Solo uno come te passerebbe la serata a preoccuparsi di non aver comprato nulla.”

Izuku fece una smorfia.

“Tieni,” Katsuki gli lanciò addosso senza tanti complimenti un pacchetto dalla forma allungata. Era grande più o meno quanto la sua mano.

“Cos’è?”

“Se non lo apri non lo saprai mai.”

Quando lo aprì, vi trovò dentro una scatola con sei piccoli barattolini di pittura blu, rossa, verde, gialla, bianca e nera.

“Oh!” Mormorò Izuku sorpreso e felice. Si voltò verso Katsuki. “Per cosa-?”

“A che serve la pittura, eh? Per dipingere! ...Vuoi che i tuoi libri sulle piante siano noiosi?”

Izuku sbattè le palpebre e ricordò la loro conversazione di mesi addietro. Sorrise e fece una risata di pura felicità.

“Kacchan, grazie!” Lo abbracciò con la scatola di pitture ancora tra le mani e respirò il familiare profumo di legno e fumo. Per la prima volta da quando aveva sei anni, non gli importava della propria assenza di fiori.










 

“Me ne andrò da qui” si disse Izuku per l’ennesima volta, aprendo gli occhi. Lo ripeteva ogni giorno, anche cinque o sei volte per accumulare forza. “Ti troverò, Kacchan.”

 






______________________________________________________________________________________________________________



Nota della traduttrice: ciao a tutti, sono Tanuka! È la prima volta che mi cimento nella traduzione di una fanfiction, l'idea mi balenava in testa da parecchio (ogni volta che leggo qualcosa su AO3 in pratica) ma mi sono decisa dopo aver letto Flower Bouquet di MaiaMizuhara http://archiveofourown.org/works/13427598/chapters/30771978, che è a sua volta una traduzione inglese dell'ORIGINALE spagnola scritta da Roquel http://archiveofourown.org/works/12237507/chapters/27803703. Ringrazio moltissimo entrambe per avermi permesso di tradurla e pubblicarla, spero di non deludere loro né voi lettori!

La traduzione inglese ha all'attivo cinque capitoli in corso ma sono belli lunghetti (come avrete notato già da questo primo capitolo), cercherò di aggiornare il più presto possibile (lavoro e impegni permettendo). Alla prossima!

   
 
Leggi le 3 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
   >>
Torna indietro / Vai alla categoria: Anime & Manga > Boku no Hero Academia / Vai alla pagina dell'autore: Roquel