Gaara distolse lo sguardo seguito dal suono di un sospiro
emesso da Matsuri cercando di ritirarsi ancor di più
nell’ombra quindi rimase ad osservarla in silenzio. Lei si era alzata
dall’altalena e ora procedeva a piccoli passi verso il muro scrostato
dove si nascondeva: sembrava quasi aver intuito che lui era li. Gaara
rabbrividì infastidito accorgendosi di trattenere il respiro
che pensava avrebbe potuto tradire
la sua presenza; lei era terribilmente vicina ora, tanto che se lui avesse
allungato un braccio avrebbe potuto accarezzarle i capelli.
Ma non voleva essere
scoperto.
Si limitò ad
abbassare la testa per poterla osservare dall’alto della sua statura con
un misto di sconosciuta dolcezza che non aveva ancora imparato a provare e che
desiderava non provare. Si concesse un breve respiro per permettere al profumo
di lei di arrivargli ai polmoni poi la chiuse di nuovo fuori e prese ad
indietreggiare di alcuni passi per
abbandonarla definitivamente alla notte colma di vento.
Matsuri appoggiò una mano al muro screpolato:
- dove sei…- pronunciò a metà tra un sussurro
e un pensiero facendo così bloccare il Kazekage
nell’atto stesso di compiere un balzo.
Un mulinello di
sabbia prese vita in quel desolato spicchio di Suna
mettendosi a danzare con le sue curve sensuali finchè
una manata invidiosa del vento non lo distrusse spargendo la sabbia nel cielo; Matsuri rabbrividì constatando come la temperatura
fosse crollata. Non voleva lasciare quel luogo, sentiva una strana forza che la
invitava a non desistere, a cercarlo:
- ma dove?! –
gridò rivolta all’aria che si divertì a portare lontano le
sue parole – Gaara…- disse sussurrando
quel nome alle fredde stelle – Gaara…- lo
ripetè lasciandosi quasi inebriare da quel
nome che per lei era divenuto una calda consolazione durante tutte le notti
passate a guardare il soffitto buio della sua camera.
Il Kazekage scosse la testa tornando verso di lei e
ascoltandola mentre ancora una volta pronunciava il suo nome, si sentiva quasi
divertito e pieno di desiderio di uscire dal suo nascondiglio per dirle
infastidito di smettere di chiamarlo. Avrebbe voluto essere cattivo e
perché no, farla un poco soffrire, spaventarla.
Un ghigno ironico gli
salì alle labbra sottili, vederla così triste e spaventata dalla
solitudine gli procurava un perverso piacere.
La ragazza si
passò una mano sul volto e si girò dando le spalle al Kazekage per guardare l’opaca luna emergere da un
gruppo isolato di nubi sfrangiate quindi si scostò i capelli che avevano
preso a solleticarle il naso; Gaara inclinò la
testa da un lato seguendo i suoi movimenti.
Un altro ululato fece
eco dal deserto levandosi lugubre dalle barcane che procedevano come in
processione sospinte dal vento che ne erodeva le sommità perdendo nella
notte profonda i brandelli di sabbia che da loro staccava con rude accanimento.
Fu allora che, in una
frazione di secondi che sembrarono procedere al rallentatore per dargli il
tempo di vedere e fissarsi la scena nella testa, Matsuri
si voltò e scattò di corsa verso il luogo del suo nascondiglio
nelle tenebre finendogli addosso.
La botta che Gaara ricevette al petto quando la ragazza vi finì
contro gli tolse il respiro e lo mandò indietro di qualche passo
costringendolo ad appoggiarsi al muro per non cadere.
Matsuri, d’altra parte, era finita a terra e ora lo
fissava con gli occhi scuri e immensi che le divoravano il volto. Spalancati
per la sorpresa sembravano voler far trapelare tutto il loro imbarazzo, la loro
paura, la loro sorpresa e mille altri sentimenti che Gaara
non riuscì a cogliere.
Forse pure gioia.
Rimasero ad
osservarsi in silenzio per qualche istante poi Gaara,
più per dovere che per reale voglia, allungò un braccio verso la
ragazza e la aiutò a rialzarsi:
- Kazekage-sama…-
disse la ragazza abbassando lo sguardo e ringraziando la notte che celava il
rossore che l’aveva colta – mi spiace…-
si schiarì la voce accolta da una fitta di dispiacere quando vide Gaara
indietreggiare da lei ponendo un muro invisibile di distanza.
Il Kazekage si limitò a guardarla sovrastandola con la
sua statura:
- perché sei
qui Matsuri? – le chiese senza staccare lo
sguardo inquisitore da lei.
La ragazza
deglutì frastornata dall’onda di colpevolezza che proveniva dalla
voce di Gaara:
- io…-
- mi hai seguito?
– la anticipò lui senza attendere le sue ragioni iniziando
però a pentirsi del tono che aveva usato per porle le domande.
Matsuri si concentrò sulle impronte che le proprie
calzature avevano lasciato sulla sabbia senza riuscire a formulare nella sua
testa una frase adatta alla situazione:
- non era mia
intenzione seguirti Gaara…è…che…-
deglutì di nuovo cercando di raccogliere quanta più saliva
possibile per inumidire la gola secca e chiusa. Non aveva il coraggio di alzare
lo sguardo per affondare quello di lui:
- eri qui da solo…pensavo…-
- se ero qui da solo
avrò avuto i miei motivi! – si morse il labbro odiandosi per la
risposta infastidita che le aveva dato ma lei non se ne accorse – non
dovresti essere qui…- le disse per rimediare
all’errore che sentiva di aver compiuto.
La ragazza si strinse
la braccia attorno ai fianchi formulando parole di scusa che risultarono alle
orecchie del Kazekage solo un incomprensibile
farfugliamento:
- va a casa Matsuri…- le ordinò usando un tono di voce
più morbido – è tardi e dovresti riposare –
Finalmente lei
alzò gli occhi sul viso magro e un po’ spigoloso di lui prendendo
a studiarne i lineamenti: si soffermò sulle labbra sottili serrate in
una linea severa, sugli occhi grandi e così stanchi da fare pena:
- che succede Matsuri? – le disse Gaara
accorgendosi dell’insistenza dello sguardo di lei.
La ragazza scosse la
testa lievemente distogliendo gli occhi all’istante e celando un velo
luminoso che le aveva coperto lo sguardo :
- a dire la
verità – iniziò parlando quasi sottovoce – ti avevo
visto seduto da solo in quell’altalena e pensavo ti avrebbe fatto piacere
un po’ di compagnia – levò il volto solo per guardargli le
labbra poiché non se la sentiva di fissarlo su quegli occhi trasparenti.
Gaara d’istinto mosse il braccio quasi a volerle
accarezzare il volto in un atto di irrazionalità che però
riuscì a frenare all’istante finendo col spostarsi i capelli mossi
dalla fronte:
- non ho bisogno di
compagnia – le rispose con quell’accento di fredda compostezza che
gli faceva da scudo e che lei percepì non poter abbattere – ora vattene
Matsuri – le diede le spalle per non doverla
guardare.
La ragazza
sospirò desolata mentre una spirale di vento si insinuava tra i suoi
capelli asportando un po’ del loro profumo e portandolo con feroce
insistenza alle narici del Kazekage che chiuse gli
occhi inebriato.
Lei però non
lo vide.
E si limitò
perciò ad eseguire gli ordini del Kazekage,
come faceva sempre, allontanandosi da lui senza mai voltarsi a guardarlo per
paura di vedere del disprezzo nei suoi occhi.
Gaara sospirò accorgendosi di come fosse difficile
riempire i polmoni, ascoltò i passi di lei farsi sempre più
fievoli fino a scomparire inghiottiti dall’urlo del vento quindi si
voltò a fissare le impronte di Matsuri
dileguarsi sotto la coltre di sabbia che vi si depositava sopra.
Sentiva di non avere
alcuna voglia di tornare a casa e così tornò a sedersi sull’altalena
provocando note dolenti ad ogni movimento.
Un piccolo fennec
uscì di soppiatto da dietro dei bidoni utilizzati per i rifiuti e
levandosi sulle zampette prese a rovistare incuriosito tra i sacchi neri
abbandonati ai lati. Sembrò aver trovato qualcosa di attraente perché
con i dentini affilati iniziò a rompere il sacco spargendo avanzi di
ogni genere tutt’attorno poi, addentata quella che pareva il resto decomposto
di un pezzo di carne, si dileguò silenzioso attraverso il posto da dove
era venuto.
Gaara contorse il naso al refolo di spazzatura che gli
arrivò come un pugno in faccia e si accorse di desiderare il profumo di
lei, quella fragranza dolce e speziata che gli ricordava il sole. Con una
spinta improvvisa all’indietro fece gridare le catene arrugginite del
dondolo quindi si staccò da esso fermando la sua corsa con una mano:
- cosa ci fai ancora
qui? – disse senza voltare il capo.
Matsuri uscì dall’ombra del muro con aria
imbarazzata e colpevole:
- non potevo andare via….sembri così…-
non riuscì a finire la frase perchè Gaara le puntò in volto due occhi su cui era dipinta
un’espressione che non gli aveva mai visto. Fu solo un attimo, uno
sguardo fugace e nulla di più prima che il freddo muro dell’indifferenza
tornasse ad erigersi, ma le bastò per farsi coraggio e insistere a
rimanere con lui quella notte. Quello che aveva visto erano occhi stanchi,
tristi e dolci, traboccanti di cose da dire ma troppo private da poter essere
espresse, occhi che le permisero di dare uno scorcio ad un animo colmo di
dubbi.
Lui accennò un
breve assenso:
- non ti farei
cambiare idea vero? –
- no…-
stirò la piccola bocca in un sorriso
- sei testarda eh? –
la incalzò Gaara con aria di sfida mentre lei
gli si avvicinava
- mi hai insegnato tu
ad esserlo, maestro…-
- già –
disse di rimando guardando come lei fosse piccola a suo confronto – ho fatto
un buon lavoro –
- modesto, ma non
dimenticare che io ti ho sopportato – Matsuri lanciò
un risolino acuto – sei nevrotico, maestro! –
Gaara si rilassò di fronte alla spontaneità che
dimostrava e lei, dal canto suo, si accorse del cambiamento e decise come fosse
meglio non chiedere il perché di quella sua voglia di solitudine.
Si avviarono insieme
verso un punto più riparato formato da una vecchia tettoia appoggiata a
dei pali che serviva per il banco del pesce durante i giorni di mercato quindi
si sedettero sulla sabbia appoggiando la schiena ad un muro:
- sai che potresti
pentirti di non esserti riposata stanotte? – le disse lui
- fa niente, ho la
scorza dura, e poi…- si girò a guardarlo
sostenendo senza paura i suoi occhi – le occhiaie potrebbero stare bene
anche su di me! – rise chiudendo gli occhi in un’espressione che la
faceva sembrare una bambina.
Gaara lasciò che le labbra gli si incurvassero un poco
verso l’alto abbassando lo sguardo quasi intimidito quindi rimase ad
ascoltarla in silenzio mentre lei gli raccontava con voce rapita ed entusiasta
il successo ottenuto nell’ultima missione.
Si accorse che era
piacevole.
Si accorse che era
lenitiva la voce di lei.
E le concesse di
abbattere un po’ l’armatura ghiacciata che copriva il suo animo.
Ormai ho perso il conto di quanto
tempo è passato dall’ultimo aggiornamento…
mi scuso e mi riscuso del ritardo ( se così
può essere definita questa lunga mancanza…)
ma ho sempre un sacco di impegni e un sacco di cose da fare! Spero mi
perdoniate!
Abbiate pazienza che piano piano scriverò ancora e continuerò questa storia…
Intanto bacioni a tutti quanti!