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Autore: Blablia87    06/03/2018    4 recensioni
John Watson, ex medico militare, non ha mai utilizzato - benché gliene sia stato fornito uno come sostegno durante il periodo di riabilitazione a seguito di un ferimento in missione - un R'ent. 
Preferisce continuare a percepire la realtà attraverso i sensi, invece di riceverla sotto forma di impulsi elettrici.
John Watson non comprende come possano esistere persone, i Ritirati, che decidono di isolarsi in modo permanente dal mondo lasciando ai propri Sostituti il compito di unico filtro tra loro e l’esterno.
John Watson è convinto che, per lui, la guerra sia finita.
Fino a quando il R'ent di un Ritirato, Sherlock Holmes, non compare sulla porta del suo studio in cerca di aiuto.
[Sci-Fi!AU][Johnlock][“Android”!Sherlock]
Genere: Angst, Science-fiction, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Slash | Personaggi: John Watson, Lestrade, Mycroft Holmes, Quasi tutti, Sherlock Holmes
Note: AU, OOC | Avvertimenti: nessuno
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Non si ricordano i giorni, si ricordano gli attimi.
(Cesare Pavese)
 
 


18. 
(ovvero di di assenze e ritorni)
 
 
 
«Allora? Che succede?» chiese John, con una leggera apprensione, non appena svoltato l’angolo che dal corridoio affacciava sulla hall d’ingresso.
Sarah si voltò verso di lui, scuotendo le spalle ed indicandogli uno dei telefoni posizionati dietro il bancone, la cornetta sollevata e poggiata di fianco al corpo principale.
«È una donna… Non ha voluto dirmi il suo nome, ha semplicemente ripetuto più volte che doveva urgentemente parlare con lei…» cercò di giustificarsi, arrossendo davanti allo sguardo di disappunto del medico. «Le ho detto di aspettare, ma non ha voluto sentire ragioni…!»
John rallentò l’andatura, riprendendo a gravare con il peso sulla gamba sinistra. Con camminata pesante e discontinua si avvicinò al bancone, le labbra tirate.
Sollevò la cornetta e se la portò all’orecchio sinistro, incrociando lo sguardo irrequieto di Sarah.
«Pronto? Qui John Watson, chi parla?» domandò, accennando un sorriso rincuorante alla segretaria che, di colpo, rilassò i lineamenti e le spalle.
«Pronto?» provò ancora il medico, non riuscendo a sentire altro dall’altro capo del telefono se non un respirare lento e profondo.
«Sto per riagganciare» disse quindi, aggrottando le sopracciglia. «Le do cinque secondi e p-» Si interruppe, sorpreso dal cadere improvviso della linea. Abbassò la cornetta e rimase a guardarla per qualche secondo, stupito.
«Ha riattaccato» spiegò a Sarah, ripassandole il telefono. «Non riesco a capire. Non ha accennato a cosa volesse?»
Lei scosse la testa, in silenzio. «Mi dispiace Dottor Watson» sussurrò, mordendosi il labbro inferiore. «Spero di non averla disturbata in un momento delicato…»
«Ma no, non ti preoccupare. Stavo solo…» iniziò lui, dandole una veloce stretta rassicurante al polso destro. Un pensiero, rapido e dai contorni sfaccettati, gli attraversò la mente, bloccandogli le parole in gola. «Oh» sussurrò, a mezza voce, dando due colpetti al bancone con le mani per darsi la spinta e ripartire nuovamente in direzione dell’ascensore.
«Che succede?» chiese Sarah, seguendolo con gli occhi. «Dottor Watson?» riprovò, allontanandosi di qualche passo dal desk.
«Devo controllare una cosa, scusami!» le rispose lui sbrigativamente, la voce ovattata dalla distanza.
Premette più volte il pulsante di chiamata, alzando lo sguardo sul contatore per capire a quale piano si trovasse l’ascensore. Quando realizzò che si stava mettendo in moto dall’attico, si lasciò andare ad un respiro esasperato. Si girò verso destra, lanciando un’occhiata alle scale che si aprivano oltre una piccola porta di metallo.
Tornò con gli occhi sul contatore, adesso fermo al quarto piano.
«E va bene…» soffiò, lanciandosi verso le scale.
 
 
Le labbra socchiuse e il fiato corto, sbatté un paio di volte le palpebre. Non riusciva a comprendere se lo sconvolgesse di più aver avuto un’intuizione che poi – seppur il suo realizzarsi fosse del tutto improbabile - si era rivelata sorprendentemente corretta, o lo scenario che si presentava davanti ai suoi occhi increduli.
Mosse qualche passo all’interno della sala visite, quasi si aspettasse che con il mutare della propria posizione – e con essa del modo nel quale la luce colpiva i suoi occhi - potesse cambiare la realtà alla quale si trovava al cospetto: il corpo del R’ent era scomparso.
Sul lettino, adesso completamente vuoto, era rimasta solo una piccola goccia di sangue all’altezza del poggia testa. Il medico ci passò un polpastrello sopra, guardandola stendersi in una striscia allungata.
Rimase ad osservare la punta del dito per qualche secondo, un unico pensiero a ripetersi ininterrottamente nella testa: “non è possibile. Cinque minuti. Non mi sono allontanato per più di cinque minuti.”
Fece una rapida giravolta, osservando la stanza. Non sembrava essere stato toccato nulla, ed ogni cosa appariva dove ricordava che fosse. Solo lo schedario, ancora riverso a terra, era ruotato in parte in senso orario. Probabilmente, si trovò a pensare, chi aveva afferrato il corpo lo aveva trascinato fino alla porta, colpendolo.
«La porta…!» esplose, correndo verso il corridoio. Chiunque avesse prelevato il corpo del Sostituto non poteva aver coperto una distanza eccessiva, considerato il tempo trascorso ed il peso di un R’ent disattivato. Lui stesso aveva impiegato quasi dieci minuti a trascinare il corpo di Sherlock sino al taxi che li aveva portati a casa sua la sera prima.
Si appoggiò agli stipiti della porta con entrambe le mani, sporgendosi nella corsia. Davanti a sé l’ascensore che aveva usato per tornare al piano terra. Impossibile che qualcuno lo avesse adoperato per portare fuori dalla struttura l’uomo.
Si voltò a sinistra, scrutando con attenzione le quattro porte chiuse che si affacciavano sul corridoio. Fece saettare lo sguardo da una all’altra, irrigidendo la mandibola.
«E va bene…» sussurrò, tornando ad osservare l’interno della stanza in cerca di qualcosa che potesse, in caso di necessità, fungere da arma. Alla fine afferrò velocemente il bastone per le flebo finito a terra sotto il lettino. Lo fece girare su se stesso fin quando l’asta non si staccò dalla base. Poi l’imbracciò con la mano sinistra, uscendo.
Si mosse con passo lento verso la prima porta, il respiro rapido e superficiale. Rimase in ascolto per qualche secondo, non riuscendo a percepire altro se non il suono del proprio cuore che batteva veloce nelle orecchie. Con attenzione appoggiò la mano al pomello, facendolo roteare verso destra con un leggero cigolio. Poi spalancò speditamente la porta, portandosi il bastone a protezione del viso. Lo studio, vuoto, lo accolse nella penombra. John si lasciò andare ad un sospiro di sollievo, accorgendosi solo in quel momento con quanta forza stesse tirando i muscoli di schiena e petto. Scrollò le spalle, in modo da rilassarle il più possibile.  
Poi uscì dalla stanza, diretto a quella di fronte. Compì gli stessi gesti per tutte e quattro le sale visita che occupavano il piano, trovandole sempre avvolte da semioscurità e silenzio, deserte.
Quando, con un sospiro rassegnato, si chiuse alle spalle anche l’ultima porta, lasciò cadere a terra il bastone, sentendosi terribilmente sciocco.
C’era sicuramente una spiegazione plausibile per quanto successo. L’accesso al piano terra non era l’unico modo per condurre fuori dall’edificio qualcosa, o qualcuno.
Gli inservienti potevano aver spostato momentaneamente il corpo in uno dei ripostigli al piano superiore per poter provvedere alla ripulitura della stanza. Oppure, nello scendere nella hall, poteva aver evitato per pochissimi minuti la ditta di recupero alla quale aveva accennato Sarah che - con molta probabilità - avrebbe portato il Sostituto al piano interrato, per poterlo caricare con calma su un furgone apposito. 
Scuotendo la testa si avviò nuovamente verso le scale, mentre l’adrenalina cominciava a defluire lentamente da muscoli e nervi, lasciando dietro di sé solo un tiepido torpore.
Una volta di fronte all’ascensore, si voltò in direzione delle scale. Attese qualche secondo, muovendo il peso da una gamba all’altra. Poi, con un sorriso appena accennato sulle labbra, iniziò a scendere i gradini con passo veloce, le mani affondate nelle tasche e la sensazione di essere – per la prima volta dopo molto, moltissimo tempo – di nuovo in sé.
 
Vivo
 
 


 
Angolo dell’autrice:  

Sto passando uno dei periodi più complicati della mia vita.
Si pensa di conoscere il valore delle cose ma - come spesso si dice “per saggezza popolare” - giunge sempre il momento in cui qualcosa arriva a mescolare le tue priorità, mostrandoti il loro vero ordine.
La mia rivelazione mi ha raggiunta il venti febbraio, rinnovandosi via via tutti i giorni che, a partire da quella data, ho sentito di stare per perdere tutto.
Ad oggi non so ancora come andrà, come sarà la mia vita fra un mese, o alla fine di questo anno.
Ma so che, se aggiungessi la perdita della scrittura a tutto quello che – al momento – mi è precluso, farei un torto a me e all’epifania stessa che mi avvolge.
 
Niente di grave, ad ogni modo. E lo sottolineo perché ho la fortuna di sapere di avere, anche tra queste “mura”, persone che si preoccupano per me.
 
Se però, come in passato mi è già capitato di chiedervi, voleste dedicarmi ogni tanto un pensiero positivo, sarebbe per me meraviglioso. ^_^
 
Scusate per la lunga attesa. Non escludo che ne seguiranno altre. Spero solo, al più presto, di potervi dire come e perché, e ridere con voi anche di questo.
 
Grazie, come sempre e di cuore, a chiunque abbia letto fin qui.
 
A presto,
B.
   
 
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