Demelza
scese per fare colazione
ma, prima di entrare in cucina, decise di affacciarsi oltre
l’uscio della porta
d’ingresso per gustarsi un po’ di quel calore che
non si faceva sentire da parecchio
tempo lì a Nampara.
Con una mano si adoperò a
proteggere gli occhi dai potenti fasci di luce emanati dal sole, in
modo da
osservare più facilmente le foglioline d’erba che
piano piano rispuntavano
dalla terra e la bellezza di un cielo finalmente carico di nuvole
candide e
spumose. Da lontano riuscì a scorgere Ross che, insieme a
Valentine, si
affrettava a dirigere il suo cavallo verso Trenwith, ma aveva
l’impressione che
le cose sarebbero andate diversamente da come quella giornata raggiante
sembrava volerle promettere.
Non
si sarebbe di certo aspettata
che George avrebbe consentito a Ross di riconsegnargli suo figlio senza
spiegazioni e nemmeno Ross avrebbe fatto in modo che il suo
comportamento assomigliasse
a un disgustoso sgattaiolare furtivamente via da quella casa prima che
qualcuno
potesse sorprenderlo a restituire la “merce” del
padrone, come se si trattasse
di un criminale da quattro soldi.
Dalla cucina arrivò l’eco della voce di Prudie che la esortava a rientrare per evitare di prendere troppo freddo, permettendole di districarsi dal groviglio di quei pensieri. “Signora, il dottor Enys vi manda questa…” le lanciò una busta immacolata lungo il tavolo che le separava. Demelza sorrise, supponendo che Dwight le avesse mandato le sue scuse per non aver potuto avvertirla prima del fatto che Ross fosse a conoscenza di tutto. In realtà, la lettera conteneva un invito da parte di entrambi i coniugi a trascorrere una serata in loro compagnia a Killewarren, per festeggiare insieme la scoperta delle due gravidanze.
Si
versò un bicchiere d’acqua,“Prudie,
pensi che dovrei
accettare quest’invito?”
La
donna la guardò con
un’espressione perplessa, “Sinceramente, non mi
sembra che moriate dalla voglia
di andarci…”
Demelza
scosse la testa,
stringendosi nel suo scialle di lana, “Oh, Prudie.
E’ per colpa di Ross!” Posò
una mano sulla sua pancia appena pronunciata e trasse un respiro
profondo, “No,
non se lo meritano. Puoi aiutarmi a preparare i bagagli? Staremo via
per una
notte.”
Valentine
si accorse soltanto
allora della cicatrice sul volto di Ross. Fino a quel momento, infatti,
non
aveva auto modo di farci troppo caso, ma non ne fu per
niente intimidito. Cavalcarono in
silenzio, ognuno assorto dai propri pensieri, per cercare di non
enfatizzare
troppo l’evidente freddezza che c’era tra di loro.
La
casa sembrava la reliquia di
un passato glorioso, defraudata però del suo volto familiare
che per anni
l’aveva resa
emblema assoluto della
storia dei Poldark. Smontò da cavallo, inconsapevole di
essere già l'oggetto di interesse di George, che dalla
finestra dello studio
osservava la scena stringendo i pugni contro il vetro opaco.
Valentine
si aggrappò alle sue
braccia per scendere giù, sulla ghiaia del sentiero che
portava al portone
principale, poi si voltò indietro per cercare lo sguardo di
Ross.
“Eccoci
arrivati. Sei felice di
essere tornato a casa?”
Il
bambino annuì in maniera
incerta e fissò la porta senza fare nemmeno un passo in
avanti per avvicinarsi.
Ross capì il suo disagio e lo precedette, bussando con
enfasi per farsi sentire.
Dopo
qualche minuto aprì loro un
anziano valletto in livrea, tutto incipriato e con indosso una parrucca
polverosa.
“Come
posso aiutarvi, signore?”
Lo squadrò da capo a piedi fino a quando non si accorse del
piccolo Valentine,
nascosto dietro di lui. “Ah, capisco…”
aggiunse, ritirandosi nell’ombra per
consentire loro di entrare. Attesero nel salotto d’inverno
dove il padrone era
solito ricevere gli ospiti, ma l’aria di
cordialità che si respirava quando la
casa apparteneva ai Poldark era svanita completamente, lasciando il
posto alla
manieristica affettazione dell’accoglienza dei Warleggan.
Ross fissò assorto il bicchiere di brandy che aveva tra le mani, mentre Valentine prese a gironzolare lì intorno, ritrovandosi circondato da tutti quei mobili e quegli oggetti che per lui erano così ordinari, ma che di fatto possedevano un valore eccezionale: uno sfarzo che era diventato un’abitudine noiosa per lui.
Ben
presto lo stesso valletto che gli
aveva ricevuti ricomparve improvvisamente nella stanza, “Il
signor Warleggan vi chiede
cortesemente di spostarvi nel suo studio.” Ross
iniziò a seguirlo
svogliatamente, ma il lacchè impedì a Valentine
di procedere oltre, “No,
padroncino. Per voi vostro padre ha disposto che rimaniate
qui.”
Ross
si intenerì nel vedere
l’espressione dispiaciuta sul suo piccolo volto. Se fosse
stato George non
avrebbe esitato un secondo per riabbracciare suo figlio, dopo aver
trascorso
giorni interi senza sapere se fosse vivo o morto, ma la
realtà gli ricordò che non
poteva essere più diverso da lui, quindi, il suo
atteggiamento risultò, anche in quell'occasione, parecchio incomprensibile ai suoi occhi. Ma forse dimenticava
che
Valentine non era propriamente suo figlio…
George
lo accolse di spalle e,
soltanto quando, con un brusco cenno della mano ebbe ordinato al
servitore di
lasciarlo solo col suo ospite, orientò il suo viso verso di
lui. Fece una lunga
pausa prima di parlare, come se stesse ancora decidendo cosa dire,
infatti fu
evidente che aveva appena cambiato idea quando finalmente
aprì bocca, “Ti vedo
in forma, Ross.”
Il
suo interlocutore si avvicinò
alla scrivania, “Non posso dire altrettanto di
te…”
George
lo guardò con aria di
sfida, “Eppure credevo che l’avresti presa peggio
tu. Sbagliavo a pensarlo?
“George…”
“No,
di certo. Alla fine sei stato
tu quello che ha perso di più, devo ammetterlo.”
Ross
tentò di decifrare quella
frase per cercare di trovarvi un senso meno offensivo, nonostante
avesse afferrato sin dall'inizio ciò a
cui alludeva.
“Al
contrario, al momento mi
reputo più che soddisfatto della mia vita.”
“Già,
dimenticavo che hai sempre avuto
delle ambizioni piuttosto modeste. Tranne quando si trattava di dover
interferire nella vita degli altri, allora ciò che avevi non
ti bastava più...”
La
risatina nervosa che ottenne
come risposta lo convinse che aveva colpito nel segno. Si
accomodò sulla sua
poltrona, invitando Ross a fare altrettanto.
“Tua
figlia sta bene?” Chiese
Ross, quasi vergognandosi di averlo fatto.
“E’
una vera Warleggan, lei. Non
si lascia intimidire dalle prime difficoltà della vita, contrariamente a
suo fratello. A proposito, vorrei sapere nello
specifico per quale dannata ragione è stata necessaria la
tua intromissione
nella mia carrozza, circa due giorni fa.”
“Beh,
se consideri dannata la
ragione che mi ha portato a salvare la vita di tuo
figlio…”
“Certo
che no…” distolse lo
sguardo da lui, concentrandosi sui fogli che aveva davanti,
“ma mi domando se
fosse proprio necessario portarlo a casa tua e non fare il sacrificio
di
avanzare per qualche chilometro, lasciandolo qui. Credi che non sappia
perché
hai preferito agire così? Continui a volermi provocare, anche
adesso che non dovresti
averne più motivo.”
“Era
una notte gelida. Sarebbe
morto se lo avessi spinto a resistere al freddo per raggiungere questa
casa,
quando Nampara era notevolmente più vicina e mia moglie
avrebbe sicuramente arginato
il rischio con più successo di quanto i tuoi
servitori imbellettati avrebbero potuto fare. Dovresti essermi grato
per averlo salvato, piuttosto.”
“Grato?”
Un
ospite inatteso bussò
ripetutamente alla porta dello studio, costringendo George a recuperare
la
calma. Una testa dorata fece capolino nella stanza e non ci volle molto
tempo affinché
Ross riconoscesse suo nipote: Geoffrey Charles era tornato per
trascorrere gli
ultimi giorni di vacanza con i suoi parenti, prima di ritornare al
collegio.
Quando vide suo zio gli rivolse un sorriso colmo di nostalgia,
“Zio Ross, che
cosa ci fai qui?” Andò subito ad abbracciarlo.
“Ma l’ho appena visto, non ci posso credere! Mi è
sembrato che
si sia ripreso, no?” Si stava riferendo a Valentine,
dopo aver ascoltato dalla
voce di Ross la storia del suo salvataggio in extremis.
“Finalmente
respira un po’ d’aria
pura, ora che è tornato.” George lo
fissò, facendogli capire chiaramente di
non essere più il benvenuto. Allora Ross si alzò
e mise un braccio attorno alla spalla
del nipote, “Sei sempre più simile a tuo padre, lo
sai?”
“Si,
è vero. D’altronde nessuno di
noi ha ereditato i geni della mamma…”
Calò
un silenzio imbarazzante e
Ross sentì l’urgente bisogno di andarsene. Prima
di lasciare Trenwith però,
Geoffrey Charles lo prese da parte e gli consegnò un piccolo
foglio di carta,
su cui era incisa la firma di Elizabeth.
“Quando
la mamma è morta, ho ricevuto
questo in eredità. Voleva che te lo consegnassi
personalmente.”
Valentine
aveva aspettato nella
stanza di Ursula, ma le voci che finalmente riusciva a sentire lo
portarono ad
affacciarsi nel corridoio, trovando Ross e suo fratello intenti a
borbottare
tra di loro. Vide il suo salvatore afferrare qualcosa dalle mani del
giovane al
suo fianco e per pochi secondi intercettò il suo sguardo, ma
fu nel giro di
altrettanti secondi che lo vide scomparire dalla sua
vista, forse per sempre.