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Autore: Reginafenice    07/03/2018    1 recensioni
Ho immaginato come, qualche mese dopo la morte di Elizabeth, Ross avrebbe potuto reagire ad un incontro non pianificato con il frutto della suo adulterio, Valentine, e quali sentimenti avrebbe suscitato in lui l’avere a che fare concretamente con quel figlio mai riconosciuto una volta messo finalmente di fronte alla realtà che, per quanto dolorosa, lui non è mai stato in grado di accettare.
Genere: Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Un po' tutti
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
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Demelza scese per fare colazione ma, prima di entrare in cucina, decise di affacciarsi oltre l’uscio della porta d’ingresso per gustarsi un po’ di quel calore che non si faceva sentire da parecchio tempo lì a Nampara.
Con una mano si adoperò a proteggere gli occhi dai potenti fasci di luce emanati dal sole, in modo da osservare più facilmente le foglioline d’erba che piano piano rispuntavano dalla terra e la bellezza di un cielo finalmente carico di nuvole candide e spumose. Da lontano riuscì a scorgere Ross che, insieme a Valentine, si affrettava a dirigere il suo cavallo verso Trenwith, ma aveva l’impressione che le cose sarebbero andate diversamente da come quella giornata raggiante sembrava volerle promettere.

Non si sarebbe di certo aspettata che George avrebbe consentito a Ross di riconsegnargli suo figlio senza spiegazioni e nemmeno Ross avrebbe fatto in modo che il suo comportamento assomigliasse a un disgustoso sgattaiolare furtivamente via da quella casa prima che qualcuno potesse sorprenderlo a restituire la “merce” del padrone, come se si trattasse di un criminale da quattro soldi.

Dalla cucina arrivò l’eco della voce di Prudie che la esortava a rientrare per evitare di prendere troppo freddo, permettendole di districarsi dal groviglio di quei pensieri. “Signora, il dottor Enys vi manda questa…” le lanciò una busta immacolata lungo il tavolo che le separava. Demelza sorrise, supponendo che Dwight le avesse mandato le sue scuse per non aver potuto avvertirla prima del fatto che Ross fosse a conoscenza di tutto. In realtà, la lettera conteneva un invito da parte di entrambi i coniugi a trascorrere una serata in loro compagnia a Killewarren, per festeggiare insieme la scoperta delle due gravidanze.

Si sedette, in preda alla nausea. Come avrebbe potuto sorridere e gioire dell’arrivo di una nuova vita in presenza di Dwight e Caroline, avendo al fianco un uomo che continuava a considerare la sua famiglia niente più che una distrazione dal dolore immenso di aver dovuto seppellire, insieme ad Elizabeth, la speranza di poter cambiare idea e redimersi dall’errore di essere tornato tra le sue braccia?

Si versò un bicchiere d’acqua,“Prudie, pensi che dovrei accettare quest’invito?”

La donna la guardò con un’espressione perplessa, “Sinceramente, non mi sembra che moriate dalla voglia di andarci…”

Demelza scosse la testa, stringendosi nel suo scialle di lana, “Oh, Prudie. E’ per colpa di Ross!” Posò una mano sulla sua pancia appena pronunciata e trasse un respiro profondo, “No, non se lo meritano. Puoi aiutarmi a preparare i bagagli? Staremo via per una notte.”

Valentine si accorse soltanto allora della cicatrice sul volto di Ross. Fino a quel momento, infatti, non aveva auto modo di farci troppo caso, ma non ne fu per niente intimidito. Cavalcarono in silenzio, ognuno assorto dai propri pensieri, per cercare di non enfatizzare troppo l’evidente freddezza che c’era tra di loro.

La casa sembrava la reliquia di un passato glorioso, defraudata però del suo volto familiare che per anni l’aveva  resa emblema assoluto della storia dei Poldark. Smontò da cavallo, inconsapevole di essere già l'oggetto di interesse di George, che dalla finestra dello studio osservava la scena stringendo i pugni contro il vetro opaco.

Valentine si aggrappò alle sue braccia per scendere giù, sulla ghiaia del sentiero che portava al portone principale, poi si voltò indietro per cercare lo sguardo di Ross.

“Eccoci arrivati. Sei felice di essere tornato a casa?”

Il bambino annuì in maniera incerta e fissò la porta senza fare nemmeno un passo in avanti per avvicinarsi. Ross capì il suo disagio e lo precedette, bussando con enfasi per farsi sentire.

Dopo qualche minuto aprì loro un anziano valletto in livrea, tutto incipriato e con indosso una parrucca polverosa.

“Come posso aiutarvi, signore?” Lo squadrò da capo a piedi fino a quando non si accorse del piccolo Valentine, nascosto dietro di lui. “Ah, capisco…” aggiunse, ritirandosi nell’ombra per consentire loro di entrare. Attesero nel salotto d’inverno dove il padrone era solito ricevere gli ospiti, ma l’aria di cordialità che si respirava quando la casa apparteneva ai Poldark era svanita completamente, lasciando il posto alla manieristica affettazione dell’accoglienza dei Warleggan.

Ross fissò assorto il bicchiere di brandy che aveva tra le mani, mentre Valentine prese a gironzolare lì intorno, ritrovandosi circondato da tutti quei mobili e quegli oggetti che per lui erano così ordinari, ma che di fatto possedevano un valore eccezionale: uno sfarzo che era diventato un’abitudine noiosa per lui. 

Ben presto lo stesso valletto che gli aveva ricevuti ricomparve improvvisamente nella stanza, “Il signor Warleggan vi chiede cortesemente di spostarvi nel suo studio.” Ross iniziò a seguirlo svogliatamente, ma il lacchè impedì a Valentine di procedere oltre, “No, padroncino. Per voi vostro padre ha disposto che rimaniate qui.”

Ross si intenerì nel vedere l’espressione dispiaciuta sul suo piccolo volto. Se fosse stato George non avrebbe esitato un secondo per riabbracciare suo figlio, dopo aver trascorso giorni interi senza sapere se fosse vivo o morto, ma la realtà gli ricordò che non poteva essere più diverso da lui, quindi, il suo atteggiamento risultò, anche in quell'occasione, parecchio incomprensibile ai suoi occhi. Ma forse dimenticava che Valentine non era propriamente suo figlio…

George lo accolse di spalle e, soltanto quando, con un brusco cenno della mano ebbe ordinato al servitore di lasciarlo solo col suo ospite, orientò il suo viso verso di lui. Fece una lunga pausa prima di parlare, come se stesse ancora decidendo cosa dire, infatti fu evidente che aveva appena cambiato idea quando finalmente aprì bocca, “Ti vedo in forma, Ross.”

Il suo interlocutore si avvicinò alla scrivania, “Non posso dire altrettanto di te…”

George lo guardò con aria di sfida, “Eppure credevo che l’avresti presa peggio tu. Sbagliavo a pensarlo?

“George…”

“No, di certo. Alla fine sei stato tu quello che ha perso di più, devo ammetterlo.”

Ross tentò di decifrare quella frase per cercare di trovarvi un senso meno offensivo, nonostante avesse afferrato sin dall'inizio ciò a cui alludeva.

“Al contrario, al momento mi reputo più che soddisfatto della mia vita.”

“Già, dimenticavo che hai sempre avuto delle ambizioni piuttosto modeste. Tranne quando si trattava di dover interferire nella vita degli altri, allora ciò che avevi non ti bastava più...”

La risatina nervosa che ottenne come risposta lo convinse che aveva colpito nel segno. Si accomodò sulla sua poltrona, invitando Ross a fare altrettanto.

“Tua figlia sta bene?” Chiese Ross, quasi vergognandosi di averlo fatto.

“E’ una vera Warleggan, lei. Non si lascia intimidire dalle prime difficoltà della vita, contrariamente a suo fratello. A proposito, vorrei sapere nello specifico per quale dannata ragione è stata necessaria la tua intromissione nella mia carrozza, circa due giorni fa.”

“Beh, se consideri dannata la ragione che mi ha portato a salvare la vita di tuo figlio…”

“Certo che no…” distolse lo sguardo da lui, concentrandosi sui fogli che aveva davanti, “ma mi domando se fosse proprio necessario portarlo a casa tua e non fare il sacrificio di avanzare per qualche chilometro, lasciandolo qui. Credi che non sappia perché hai preferito agire così? Continui a volermi provocare, anche adesso che non dovresti averne più motivo.”

“Era una notte gelida. Sarebbe morto se lo avessi spinto a resistere al freddo per raggiungere questa casa, quando Nampara era notevolmente più vicina e mia moglie avrebbe sicuramente arginato il rischio con più successo di quanto i tuoi servitori imbellettati avrebbero potuto fare. Dovresti essermi grato per averlo salvato, piuttosto.”

“Grato?”  

Un ospite inatteso bussò ripetutamente alla porta dello studio, costringendo George a recuperare la calma. Una testa dorata fece capolino nella stanza e non ci volle molto tempo affinché Ross riconoscesse suo nipote: Geoffrey Charles era tornato per trascorrere gli ultimi giorni di vacanza con i suoi parenti, prima di ritornare al collegio. Quando vide suo zio gli rivolse un sorriso colmo di nostalgia, “Zio Ross, che cosa ci fai qui?” Andò subito ad abbracciarlo.

“Ma l’ho appena visto, non ci posso credere! Mi è sembrato che si sia ripreso, no?” Si stava riferendo a Valentine, dopo aver ascoltato dalla voce di Ross la storia del suo salvataggio in extremis.

“Finalmente respira un po’ d’aria pura, ora che è tornato.” George lo fissò, facendogli capire chiaramente di non essere più il benvenuto. Allora Ross si alzò e mise un braccio attorno alla spalla del nipote, “Sei sempre più simile a tuo padre, lo sai?”

“Si, è vero. D’altronde nessuno di noi ha ereditato i geni della mamma…”

Calò un silenzio imbarazzante e Ross sentì l’urgente bisogno di andarsene. Prima di lasciare Trenwith però, Geoffrey Charles lo prese da parte e gli consegnò un piccolo foglio di carta, su cui era incisa la firma di Elizabeth.

“Quando la mamma è morta, ho ricevuto questo in eredità. Voleva che te lo consegnassi personalmente.”

Valentine aveva aspettato nella stanza di Ursula, ma le voci che finalmente riusciva a sentire lo portarono ad affacciarsi nel corridoio, trovando Ross e suo fratello intenti a borbottare tra di loro. Vide il suo salvatore afferrare qualcosa dalle mani del giovane al suo fianco e per pochi secondi intercettò il suo sguardo, ma fu nel giro di altrettanti secondi che lo vide scomparire dalla sua vista, forse per sempre.

   
 
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