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Autore: Teddy_bear    12/03/2018    3 recensioni
In musica, un preludio (dal latino praeludium) è generalmente un brano piuttosto breve, di solito senza una forma codificata, collocato all'inizio dell'esecuzione di una composizione o di una sua parte. In anatomia, preludio, era il cuore di Shaoran. Ma Sakura sapeva benissimo ascoltare e salvare i cuori.
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AU fanfiction, dove Shaoran è un pianista con il cuore spezzato e Sakura è una studentessa di medicina, specializzanda in cardiologia.
[Se volete, per capirci meglio, ho pubblicato un’introduzione ed un trailer].
Genere: Malinconico, Romantico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Li Shaoran, Sakura Kinomoto, Un po' tutti | Coppie: Shaoran/Sakura
Note: AU | Avvertimenti: Tematiche delicate
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SAKURA 

 

La sveglia suona, facendomi aprire piano piano gli occhi, ci metto qualche secondo prima di riprendermi e capire che è ora di alzarsi. Prendo la mia sveglia in mano e controllo l’ora: mi sono stranamente svegliata in orario, normalmente, trilla almeno due o tre volte prima che io mi svegli e che io mi alzi. Mi sposto di poco per vedere, dalla finestra vicina al mio letto, com’è il tempo fuori, e noto che è sereno. Sbadiglio e mi stropiccio gli occhi, mentre penso che è una bella giornata. Sposto di lato le mie coperte azzurre ed infilo i piedi nelle mie pantofole, attenta a non pestare il mio gatto che ama dormirci in mezzo. 

“Kero-chan, sei sempre il solito”. protesto, mentre gli faccio due carezze. Poi vado subito verso il mio armadio: la mia università ci tiene particolarmente all’essere impeccabile, tant’è che dobbiamo indossare una divisa con lo stemma riguardante essa. La prendo e vado verso il bagno adiacente a camera mia, con l’intenzione di farmi una doccia. Quando apro la porta noto il tappeto del bagno più spostato verso dov’è di solito, quindi lo prendo per un lembo e lo tiro verso l’altro lato. Ecco, così va meglio. Apro il getto della doccia e tocco l’acqua, ci mette sempre qualche secondo prima di scaldarsi come piace a me, quindi nel mentre aspetto, mi svesto, posando il mio pigiama fucsia su di un mobiletto. Poi mi viene in mente di toccare il termosifone e lo trovo già caldo, nonostante sia mattina presto, decido perciò di metterci sopra la mia divisa. Tocco ancora una volta l’acqua e, quando noto che la temperatura è giusta, ci entro dentro. 

 

***

 

Mi do un’ultima occhiata allo specchio, sistemandomi i capelli. Quando ero piccola li portavo molto più corti di adesso, che mi arrivano alle spalle. Ho sempre invidiato quelli di Tomoyo: lunghi, mossi e sempre ordinati. Io faccio molta fatica già ad averli di una lunghezza pressapoco media, trattandoli sempre con balsamo ed altri vari prodotti, lei invece potrebbe anche usare solo lo shampoo che li avrebbe comunque perfetti. Che fortuna. 

Scuoto la testa, guardando l’ora al mio orologio da polso: devo sbrigarmi. Apro la porta del bagno e mi fiondo giù dalle scale, diretta a fare colazione in cucina. 

“Buongiorno!” esclamo, raggiante, una volta giunta lì. 

“Guarda un po’, il mostro si è alzato”. 

“Sei il fratello più antipatico del mondo”. 

Mio fratello è sempre stato poco carino con me, lo so che non lo fa con cattiveria, ma solo perché gli piace molto -forse troppo- vedermi infastidita. Lui è diverso da me, ha i capelli e gli occhi castani, mentre io ho i capelli biondi e gli occhi verdi. Siamo differenti anche nel carattere e non siamo coetaneai, infatti è di sei anni più grande. Non capisco come il suo compagno, Yukito, lo sopporti. Quel ragazzo è un angelo, sono fidanzati dalle superiori e non si sono mai lasciati, non vedo altra spiegazione se non il fatto che sia straordinariamente paziente: mio fratello è pestifero. 

“Touya, comportati bene con la dottoressa di casa. Buongiorno”. dice mio padre, sorridendomi. Ecco, mio padre è la persona più cara e buona che io conosca. Nonostante io e mio fratello abbiamo perso nostra madre da tanti anni, lui non ci ha mai fatto sentire soli. Certamente mia mamma mi manca, e purtroppo ho pochi ricordi di lei, essendo deceduta quando io avevo solo tre anni, ma come dicono mio padre e quello scorbutico di mio fratello, lei è sempre qua con noi e, a dimostrarlo, è anche la foto che abbiamo in cucina, che ogni mattina salutiamo con un sorriso. È importante per noi. 

“Sì, dottoressa, certo. Al limite potresti diventare una veterinaria, non vuoi curare i tuoi simili, mostro?” mi guarda, beffardo. Io prendo posto a tavola di fronte a lui e, nel mentre, tento di dargli un calcio sotto il tavolo che lui, dispettoso, schiva. 

“Chiudi il becco!” ribatto, isterica. 

“Ragazzi, buoni”. ci sorride mio padre, prendendo posto anch’egli a tavola, servendoci la colazione. 

“Oh! Succo d’arancia e pancakes!” esclamo, golosa.

Ci auguriamo un buon appetito ed iniziamo a mangiare. 

“Che lezioni hai questa mattina, tesoro?”

“Stamattina ho tirocinio. Ieri ho seguito le lezioni, quindi oggi preferisco andare in ospedale”. rispondo alla domanda di mio padre. Annuisce.

“Tu, Touya?”

Mio fratello studia architettura, è all’ultimo anno, ha iniziato tardi gli studi perché voleva pagarsi l’università da solo, quindi prima ha guadagnato qualcosa per i fatti suoi tramite diversi lavori. Ecco, un altro difetto di mio fratello, -oltre alla sua antipatia, si intende-, è che non chiede mai aiuto a nessuno. Mai. Un suo pregio, invece, -suo malgrado-, è che aiuti te ne da, se hai bisogno. 

“Stamattina non ho lezioni, mi trovo in biblioteca a studiare con Yukito”. 

“Ma lui non sta studiando per il dottorato in lettere?” domando.

“Sì, ma ripetiamo gli argomenti l’uno all’altro con davanti il libro di testo”. 

“Capisco, in effetti anch’io lo faccio con Tomoyo”. dico più a me stessa che a lui. 

“Come vanno i preparativi per il trasloco?” gli domanda mio padre, addentando un pezzo di pancake. Toyua andrà a vivere con Yukito tra poche settimane, giusto il tempo di sistemare la burocrazia. Quando ho visto il loro appartamento ne sono rimasta felicemente colpita: è modesto, ma adorabile. Sono davvero contenta per loro. 

“Bene, siamo a buon punto. Tu, papà, oggi lavori fino a tardi?” gli chiede. Mio padre lavora all’università: è insegnante di archeologia, anche un bravo insegnante, devo ammettere. Rammento quella volta, di quando ero alle elementari, che venne nella mia classe a spiegarci alcune nozioni di egittologia; i miei compagni erano rimasti a bocca aperta e continuavano a porgergli domande. Sorrido al ricordo.

Finisco poi i miei pancakes e bevo l’ultimo sorso di aranciata. Era tutto squisito. 

“Non penso di finire tardi, ma vi tengo comunque aggiornati”. 

Sentiamo poi suonare il campanello ed io faccio per alzarmi, ma mio fratello mi ferma.

“Vado io, penso sia Yukito”, annuisco, prendendo la mia valigetta ventiquattr’ore, per dirigermi verso la porta. 

“Io vado papà, ciao”. gli do un bacio sulla guancia.

“A stasera, tesoro! Fa’ attenzione lungo la strada”. mi ricorda. Annuisco e sorrido. 

Mentre vado verso la porta non sento la voce di Yukito, ma di un altro ragazzo. 

“Hisato!” esclamo, gioiosa, abbracciandolo al volo.

“Sakura, ciao”. ricambia la mia stretta, ridacchiando probabilmente per il mio essere così euforica ogni volta. 

“Toyua, perché non mi hai detto subito che era lui?” 

Non mi risponde, da un’occhiata al mio moroso, che non viene ricambiata, ma anzi, Hisato rimane impassibile, e poi se ne va. 

“Mio fratello è strano e scorbutico, perdonalo”.

“Non mi sopporta, a parer mio”. bofonchia, imbarazzato. 

“Mi sembrava di aver sentito la voce di Hisato, ciao! Come stai?” mio padre arriva sulla porta, salutandolo cordialmente. 

“Bene, tutto bene, signor Kinomoto. Sono venuto a prendere Sakura per andare insieme in università, abbiamo orari simili”. gli spiega. Hisato è veramente un ragazzo d’oro. Nonostante i suoi occhi azzurrissimi, -"di ghiaccio", come li definisce Tomoyo-, possano far pensare che lui sia una persona schiva e malfidente, in realtà non è affatto così: è socievole, estroverso, aperto con il prossimo, solare. Insomma, come me. 

“Sono contento, buona giornata, ragazzi!” ci saluta, tornando in casa, lasciando aperta la porta alla mie spalle, che affretto a chiudere. 

“Fa corrente”. mi giustifico con Hisato. 

“Vogliamo andare?” domanda. Annuisco. 

“Tirocinio, oggi?” chiedo, mentre ci dirigiamo verso la metropolitana. 

“Sì, non impazzisco all’idea. Credimi, ero convinto che chirurgia fosse la specializzazione migliore, ma vedere tutte quelle persone stare male, doverle operare… mi stanno venendo dei dubbi”. 

Gli prendo la mano e gliela stringo forte. 

“Puoi sempre cambiare specializzazione”.

“Per fare cosa? Ho ventisei anni, Sakura. Abbiamo la stessa età e tu sei contenta di cardiologia ad ogni giorno che passa, mentre io, anche se cambiassi, avrei comunque contatti con il dolore umano. È questo che non sopporto: non la vista del sangue, la vista degli organi. Non sopporto pensare che una persona ha un dolore e doverglielo togliere io, in qualche modo, magari anche sbagliando”. mi spiega, sento il suo pollice accarezzarmi le dita. Nel suo discorso trovo anche una vena filosofica, forse stare a contatto con il fidanzato di mio fratello mi sta facendo vedere le cose con milioni di sfumature diverse, ma l’idea che lui non voglia curare gli altri mi fa pensare che lui sia solo spaventato all’idea di non esserne all’altezza. 

“Di cosa hai paura?” gli domando, quindi.

“Di non essere portato per fare il medico chirurgo. Mi sembra una responsabilità troppo grossa”.

“Lo capisco, ma non va bene pensarla così. Credi forse che tutti i medici che operano non abbiano avuto paura?” fa spallucce. Sospiro. Giriamo l’angolo e quasi mi scontro con una signora. 

“Attenta”. mi dice. Faccio cenno di sì e domando scusa. 

Quando ella se ne va, riporgo la mia attenzione su Hisato che, nel frattempo, si sta scompigliando con la mano che non è stretta nella mia, i suoi capelli bruni. 

“Devi credere in te stesso”, continuo il mio discorso. 

“Io credo in me stesso. Magari è solo una fase, forse è perché mi sento ancora spaesato. In ogni caso, non preoccuparti troppo. Farò del mio meglio”. 

Sorrido e fermo il mio passo, facendo fermare anche lui. 

“Grazie”. gli sto facendo capire, ringraziandolo, che per me è importante che lui realizzi se stesso: è da quando lo conosco che non dice altro che il suo sogno è diventare medico chirurgo, non voglio che si scoraggi proprio ora. Lui comprensivo, mi sorride, poi si china e mi bacia. Mi stacco poco dopo, portandomi una mano alla fronte.

“Cosa?”

“Il camice! Oggi dovevo portare il camice!” e lui ride, beffandosi della mia mancanza. Ma come faccio ad essere così tra le nuvole? Riprendiamo a camminare, manca poco e siamo arrivati in metropolitana. Ho un’idea!

“In metro ricordami di scrivere a Misa, lei porta sempre con sé il camice, magari me lo presta stamattina. Altrimenti me ne farò dare uno in ospedale”. 

“Non ti conviene lasciarlo negli armadietti dell’ospedale? Io faccio così”. mi consiglia, siamo quasi entrati in metro, dobbiamo solo scendere gli scalini. 

“Mh”. bofonchio. Forse ha ragione. Dopo aver fatto passare le nostre tessere nelle macchinette che ci lasciano il passaggio, andiamo alle scale mobili, verso la nostra fermata. 

“Tre fermate, no?”

“Sì, ti dico io quando dobbiamo scendere, non preoccuparti”. 

Sono anni che prendo la metro e devo prestare sempre attenzione. Che rottura di scatole essere imbranati. 

Arriviamo alla fine delle scale mobili e, ancora mano nella mano, ci avviciniamo alla linea gialla. Lo fermo quando, secondo me, siamo troppo vicini. 

“Oh, dimenticavo, scusa”. mi dice quando ricorda la mia paura del vuoto, scuoto la testa, portandomi più vicina a lui. Do un’occhiata in giro, oggi c’è più gente di ieri. Poco dopo, riconosco il pianista. Li,

-mi sembra di ricordare il suo cognome-, è nella stessa posizione di ieri. Noto che, appena mi giro verso la sua direzione, lui mi stava già guardando, forse pensa che io a stare così distante sono buffa. Be’, lui a stare così vicino è folle. Non essendo sgarbata, lo saluto con la mano libera. In risposta alza un sopracciglio, voltandosi subito. 

Maleducato e scortese. 

Fa’ la brava, Sakura, mi ricorda, poi, la mia coscienza. 

“Tutto bene?” mi domanda Hisato, distraendomi dai miei pensieri. Annuisco. 

La metro arriva quasi subito dopo, per fortuna. Io ed Hisato ci mettiamo alla destra della prima porta vicina a noi, non stacca nemmeno per un momento la sua mano dalla mia. Il cielo solo sa quanto gli son grata. Aspettiamo che tutte le persone scendano, poi saliamo noi, sostendoci subito dopo al primo palo che troviamo, come sempre. Le nostre mani non sono più unite e questo mi rattrista un poco, ma comprendo, tuttavia, che è inevitabile questo distacco. 

“Mando il messaggio a Misa”. 

“Che brava, te lo sei ricordata da sola”. scherza, pizzicandomi una guancia. Gonfio le gote e protesto con versetti inesistenti. 

 

Da: Sakura

A: Misa

Ciao collega, oggi tu segui le lezioni, vero? Io ho dimenticato il camice. Riusciresti a prestarmi il tuo prima che io vada a tirocinio?

 

Inserisco l’emoticon imbarazzata ed un cuoricino rosso e rileggo, poi invio. Ripongo il mio iPhone in tasca e, subito dopo, guardo fuori dal finestrino.

“Oggi pranzi con le tue amiche?”

“Stacco a mezzogiorno e mezza, mangio con Tomoyo e Meiling”. rispondo alla sua domanda.

“Meiling?” chiede a sua volta. 

Dimenticavo che non gliene ho parlato tanto, anzi. Forse non sa nemmeno che la ragazza che studia scienze sociali, all’ultimo anno, che avevo conosciuto a causa di un caffé che le avevo rovesciato addosso, si chiami così. Fatto sta che da quel giorno siamo diventate molto amiche. 

“La ragazza del caffé”. spiego.

“Ah sì, ora ricordo. Meiling, capito”. 

La metro si ferma ed io quasi cado. Chiedo subito scusa ad Hisato. 

“Ma figurati, tesoro”. mi bacia la fronte per rassicurarmi ed io arrosisco. Non salgono molte persone e, poco dopo, il mezzo riparte. 

“Tu mangi con i tuoi colleghi?”

“Penso di sì”. 

“Cosa mangi di buono?” domando. 

“Non lo so, prenderò qualcosa al bar, magari”. 

Annuisco. Poi, il mio cellulare trilla. 

 

Da: Misa

A: Sakura

Certamente, ci vediamo davanti all’università! 

 

La ringrazio subito ed invio il mio messaggio, quando la metro si riferma. Le porte si aprono e, questa mattina, non c’è Rika. Probabilmente ha lezioni più tardi; mi appunto mentalmente che le scriverò dopo per sapere come sta. Le porte si chiudono, sono saliti in pochi. Quando la metropolitana riparte, rammento mentalmente che devo scendere alla prossima. Mi guardo in giro e poco dopo noto il pianista, seduto sui sedili vicino al palo di fronte a quello dove ci stiamo reggendo io ed Hisato, che ha gli occhi fissi su un quaderno, sembra pentagrammato. Poco dopo li alza ed incontrano i miei. Imbarazzata sposto lo sguardo da lui a fuori dal finestrino. Non vorrei passare per una maniaca. 

“Hai saputo del dottor Tanaka?” riporto il mio sguardo sul mio ragazzo e scuoto il capo. Tanaka è uno dei medici che lavora all’ospedale dove facciamo il tirocinio io e Hisato, ma non ho saputo niente su di lui. 

“Sua moglie aspetta un bambino”. Alla notizia mi brillano gli occhi: è stupendo. 

“Davvero?”

“Davvero. Se è femmina la chiameranno Hana, se è maschio Eizo. Lui è euforico all’idea”. 

“Posso immaginarlo”. e sono sincera, so che volevano da tanto un figlio e finalmente ce l’hanno fatta. La metro si arresta piano; dev’essere la nostra fermata. Hisato mi sorride e va un poco avanti, prendendomi subito per mano. Lo ringrazio mentalmente. Le porte si aprono ed io, con la solita goffaggine e il solito spauracchio, scendo. 

“Dovresti scendere, ragazzina”. mi ricorda il mio cervello. Gonfio le gote e scaccio il pensiero. Che ragazzo poco gentile. 

Quando poggio i piedi oltre la linea gialla tiro un sospiro di sollievo: sono finalmente al sicuro. 

“Devi vederti con Misa, quindi?”

“Mi aspetta fuori dall’università”. 

“Sarà meglio sbrigarsi, sai che in ospedale ci tengono alla puntualità”.

“Giusto”. 

Un altro mio problema è la puntualità, sono una ritardataria cronica. Per questo Hisato si sposta verso sinistra, e saliamo le scale mobili come se fossero scali normali. Alla fine di esse ho il fiatone. 

Facciamo passare le nostre tessere al macchinario per uscire, ed eccoci, liberi. 

Saliamo le ultime scale della metro ed il paesaggio della città lo riconosco al volo. 

Prendo la mano ad Hisato e andiamo avanti. 

“Allora, come ti senti per la giornata di oggi?” domanda. 

“Sono affiancata alla solita dottoressa, devo solo guardare come visita i pazienti. Sai, cardiologia non è così tremenda, è abbastanza tranquilla”. ridacchio. 

“Un medico che dice che la sua specializzazione è -abbastanza tranquilla- non è un medico credibile, tesoro”. mi prende in giro, scompigliandomi i capelli. Rido perché, in effetti, non ha torto. Giriamo a destra e davanti a noi appare la nostra maestosa università: ogni giorno mi meraviglio di quanto sia grande. Come a leggermi nella mente, Hisato mi chiede:

“Sei anni non bastano per rendersene conto, vero?”

“Già”. sorrido. 

Come previsto, Misa è davanti all’edificio, con il telefono in mano. 

“Misa!” la saluto, andandole incontro, Hisato resta un pochino più indietro. 

“Ciao, amica mia!” mi abbraccia, chiedendomi dopo poco come sto. Le rispondo che sto bene. 

“Tieni, il camice”. apre la borsa e mi porge l’indumento bianco in una busta di plastica. L’abbraccio, ringraziandola. 

“Ti farò dei biscotti come ricompensa!” mi allontano, poi, diretta con Hisato verso l’ospedale.

“Me ne ricorderò!”, esclama, contenta, salutandomi con una mano ed entrando in istituto. Sospiro di sollievo. 

“Io ho già fame”. 

“Hisato”. ridacchio.

“Parli di biscotti, è colpa tua”. 

“Sei peggio di Kero-chan, lo sai?”

Fa le spallucce e mi passa un braccio sulla spalla, per poi baciarmi la tempia. 

 

***

 

Appena arrivo in ospedale, saluto Hisato, augurandogli una buona giornata e dicendogli che ci saremo visti la sera stessa a cena. Mi precipito quindi, verso gli armadietti, dove appendo la mia giacca universitaria e cambio le scarpe. Indosso il camice, mi do una sistemata, lavo le mani e sono pronta. 

“Dottoressa Kinomoto, buongiorno”. 

“Buongiorno a lei, Tanaka”. sorrido come un ebete pensando al bambino che aspetta sua moglie. È talmente meraviglioso. 

“Ha saputo?” mi domanda. Lo guardo e, non faccio in tempo a rispondere, che lui mi precede. 

“Mia moglie aspetta un bambino”. 

“Ne sono davvero felicissima”. dico ad occhi lucidi. Mi sorride a sua volta augurandomi una buona giornata, ed io mi dirigo subito al mio reparto. 

“Dottoressa Kinomoto”. mi saluta il medico a cui sono affidata da un po’ di tempo. Entro nel suo studio. 

“Buongiorno”, la saluto. 

“Bene, possiamo iniziare le visite”. 

Detto questo esce, chiamando una coppia. Ed io devo iniziare ad imparare, come ogni mattina. Ne sono veramente contenta. 

 

***

 

“E poi mi ha detto che il francese è una lingua sopravvalutata. Ma secondo me non è vero”. 

Essere a pranzo con Tomoyo è una scoperta ogni volta: parla di lingue straniere con la stessa capacità con cui io parlo di scatole di cereali. Come fa a conoscere così tanto del mondo?

Annuisco, non sapendo cosa dire. 

“Meiling non arriva più?” domando, guardando il mio orologio. 

“Aspettiamola ancora un po’. Dimmi di te, Sakura. Com’è andata la tua mattinata?”

“Intensa, ma meglio se non ne parliamo mentre mangiamo”. le suggerisco, le sorride comprensiva ed annuisce. 

“Con Hisato come…” mi sta per chiedere, ma non fa in tempo. 

“Ragazze! Scusate l’attesa!” un uragano con dei codini corvini arriva, sedendosi accanto a me, al tavolo della mensa con il suo vassoio per il cibo.  

“Non ti preoccupare, siamo qui da dieci minuti. E poi, siamo abituate ai ritardi di Sakura”. brucio Tomoyo con lo sguardo, Meiling ride. 

“No, è che dovevo organizzare le ultime cose. Ora che è tutto pronto, posso darvi la notizia ufficiale”. 

Eh? Che notizia?

“Io e Hanko ci sposiamo”. 

Quasi sputo l’acqua che stavo bevendo. Davvero? Dice sul serio? Stamattina sono circondata di notizie meravigliose! Io e Tomoyo siamo su di giri, la soffocchiamo di abbracci e, una volta calme, lei ci spiega meglio il tutto. 

“Sabato sera ci sarà la mia festa di fidanzamento con annuncio ufficiale, ho già invitato Rika per messaggio stamattina, ma non è la stessa cosa come dirlo a voce. E siete invitate anche voi, sarei solo contenta se veniste. Oh, dimenticavo, l’invito è valido anche per Hisato, Sakura. E, Tomoyo, alla festa vorrei farti conoscere un amico di Hanko. Ha una passione per la moda come te, sai?” dice tutto euforicamente, Tomoyo ha gli occhi che si illuminano alla notizia ed io comunque non sono da meno. 

“Meiling, è meraviglioso”. 

“Con tutta la fatica che ho fatto poi, per invitare mio cugino, come minimo dev’essere una festa dalle alte pretese e ho la sensazione di avercela fatta”. dice, altezzosa. Meiling è veramente speciale. 

Aspetta. Suo cugino?

“Tuo cugino? Non ci hai mai detto di avere un cugino!” la forchetta che aveva in mano per mangiare il purè le cade di mano.

“È che…”, inizia, triste “non abbiamo mai avuto buoni rapporti. Non ha avuto un vissuto molto facile, almeno, così mi hanno detto le sue sorelle. Ma non ne so nulla, perché non ho mai avuto contatti con lui. Però stiamo provando ad andare d’accordo, ora”. sorride, concludendo. 

“Mi raccomando, ragazze, cercate di esserci sabato. Ci tengo molto”. poi cambia argomento, tornando a mangiare il suo purè. 

“Non mancheremo per nulla al mondo”. Tomoyo le accarezza una mano. 

“Assolutamente”.

Sono sicura sarà una bella festa. 

 

 

 

 

 

 

 

ANGOLO AUTRICE: eccomi qua. Primo e proprio capitolo :) cosa ne pensate? Ditemi la vostra! Alla prossima. Bacioni x.
   
 
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