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Autore: Hi Im a Kupo    13/03/2018    1 recensioni
"Mi muovo svogliatamente, rotolando su un fianco per affondare il viso nel cuscino ed allungare le gambe al di sotto della leggera pressione del lenzuolo. Prendo un gran respiro, prima di aprire gli occhi ed affrontare quei pochi raggi di sole che evadono la protezione delle tapparelle chiuse. Respiro che, ahimè, mi muore nella gola nell’istante stesso in cui esso nasce.
Non sono da sola in stanza. Spalanco gli occhi e mi immobilizzo, incapace di realizzare davvero l’accaduto."
Insieme di Slice of Life riguardanti la storia di una ragazza che si trova a dover convivere con qualcuno di, decisamente, inaspettato.
Genere: Commedia, Romantico, Slice of life | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Monkey D. Rufy, Nuovo personaggio, Roronoa Zoro, Trafalgar Law
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
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Capitolo VI
 


Osservo la mia figura snella riflessa nello specchio. Prendo un respiro profondo e provo a soffocare i pessimi presentimenti che gravano pesantemente sul mio stomaco, andrà tutto bene. Sospirando afferro distrattamente il rossetto bordeaux dal mobiletto del bagno e comincio a passarmelo sulle labbra, uno strato dopo l’altro ed esse assumono una colorazione sempre più intensa, definendone bene i contorni morbidi. Lo richiudo e lo infilo nella piccola pochette di pelle lucida nera, che riflette debolmente sotto la luce bianca del bagno. Scruto ancora una volta, attentamente, il mio riflesso. Deduco di potermi definire finalmente pronta.
Giro su me stessa ed inizio a camminare verso l’ingresso, attraversando il breve corridoio che collega le varie stanze. Il ritmico rumore sordo dei tacchi sulle piastrelle del pavimento risuona fra le pareti, ed annuncia chiaramente il mio arrivo.
“Finalmente la principessa si è degnata d’arrivare” ghigna Zoro, appoggiato con le spalle alla parete del salotto. Gli rivolgo un’occhiata scocciata e mi passo una mano fra i capelli ben lisciati, che si spargono ordinatamente oltre le mie spalle. Soffio indispettita dal naso mentre un sorrisetto divertito sulle labbra tradisce la mia espressione snervata.
“Anche tu non sei male stasera, tranquillo” gli strizzo l’occhio suadente e sposto lo sguardo verso l’interno della stanza per cercare gli altri due. Rufy, che si accinge a far giocare il gatto (il quale sembra aver sviluppato una sorta di accettazione nei confronti del pirata) pressoché non si accorge neanche del mio arrivo, troppo preso nel suo inconsueto dialogo con il suddetto animale. Law, seduto a gambe accavallate sul divano, mi esamina con lo sguardo. Sento le sue iridi grigie risalire dal sottile sandalo nero che mi avvolge i piedi e le caviglie, lungo le gambe ulteriormente slanciate dal tacco alto, scivolare sul corto vestito nero, e poi fermarsi contro i miei occhi. Si alza.
“Era ora” dice solo, sprecando già fin troppo fiato per i suoi standard, un istante prima che un familiare suono di clacson riecheggi nella strada.
Lo liquido con uno sguardo gelido, dandogli le spalle disinteressatamente, e precedendolo verso la porta d’ingresso. Li lascio uscire tutti, prima di chiudermela alle spalle con un sonoro tonfo ed infilare con i soliti gesti abitudinari le chiavi nella toppa. Devo ricordarmi di chiedere a Laura il numero di quel tipo che mi voleva appioppare l’altro giorno. E anche di ridarmi la maglia che le ho prestato tre mesi fa, già che ci sono.
Valutando l’effettiva, improvvisa, necessità di riavere indietro il suddetto indumento, incastro le chiavi fra il telefono ed il sottile portafoglio, e ticchettando rumorosamente sulla scalinata mi avvio verso la macchina, dove i ragazzi già si stanno affaccendando nelle prime presentazioni.
“La” la saluto con un sorriso mentre apro la portiera e mi lascio ricadere con leggerezza sul sedile del passeggero.
“Gin” mi risponde lei ingranando la prima e partendo con un’improvvisa accelerata, degna della sua sconsiderata guida sportiva “Potevi anche presentarmeli prima i tuoi amici, sai? Non sono affatto male”. La vedo lanciare un’occhiata furba dallo specchietto retrovisore verso i ragazzi incastrati sui sedili posteriori, umettandosi con la lingua le labbra rosse.
“Volevo portarteli come regalo di compleanno, ma l’hai scoperto troppo presto” rispondo laconica, osservando i cartelli stradali scorrere veloci lungo il ciglio irregolare della strada.
“Meglio così, allora” prosegue lei, premendo ancora un po’ di più l’acceleratore.
“Fai la brava” la redarguisco accennando con un movimento del capo al contachilometri in rapida ascesa. Ride, rallenta un poco e sbuffa divertita guardandomi di sottecchi. Io tengo lo sguardo fisso davanti a me, ma mi rilasso ed incrocio le caviglie distendendo meglio le gambe. La conosco abbastanza da sapere che l’ha fatto solo per farsi notare, come se il suo aspetto rigorosamente perfetto non sia già abbastanza.
“Quindi, James, dicevi di venire da..? “ il bel testolino di Laura, incorniciato dalle morbide onde bionde, si solleva nuovamente verso lo specchietto, puntando con gli occhi scuri in direzione di Law. Aggrotto le sopracciglia confusa.
“James?” chiedo prima di realizzare che sarebbe stato più intelligente tacere. Mi mordo la lingua.
“Si, James! Giusto, no?” domanda lei con un’espressione preoccupata, avvolta dal dubbio di aver sbagliato nome. Mi porto una mano fra i capelli e li ravvio all’indietro, prima di grattarmi nervosamente il capo. Law, dopo appena un secondo di silenzio in cui si è probabilmente mangiato lo stomaco per impedirsi di dirle che, in realtà, lui non stava dicendo proprio niente, le risponde con stoica educazione.
“Si, è giusto”
Al che mi giro completamente verso di loro. Evidentemente si sono dimenticati di dirmi qualcosa d’importante, quei tre casi umani. Law mi fissa negli occhi, e poi torna a guardare la strada oltre le mie spalle. Prendo un respiro profondo, appuntandomi di chiedere specifiche alla prima occasione buona.
“Mannaggia a te Gin” ridacchia lei, inserendo la freccia per svoltare in una stradina secondaria “Mi hai fatto credere di aver già fatto una figura di merda con loro”.
“Anche fosse, non sarebbe stato così grave, fidati” sollevo un angolo della bocca in un sorriso esasperato e torno a sedermi compostamente. Allungo la mano ed accendo la radio, alzo il volume fino a non sentire neanche più il rombo del motore sotto di noi. Le note di Smell Like Teen Spirit riempiono violentemente l’abitacolo dell’automobile.
 
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Un parcheggio veloce ed indolore, quanta invidia provo, e siamo arrivati. La bionda ragazza al mio fianco si sistema i capelli con un rapido gesto della mano e si spruzza un po’ del profumo della boccetta abbandonata nel portaoggetti. Una buona fragranza femminile mi solletica il naso. Sbuffo divertita.
“Che lady” la sfotto aprendo la portiera, appoggiando con delicatezza i tacchi sul nero asfalto del parcheggio. Apro la pochette e recupero il pacchetto di Camel Blue ordinatamente incastrato fra le altre cose, estraendone una sigaretta sottile ed il piccolo Clipper di un bel giallo smagliante. Me la porto fra le labbra e ne allungo un’altra verso l’amica. Scuote appena il capo, e dice di preferire iniziare ad entrare per comprare i biglietti della visione. Faccio spallucce mentre la rinfilo nella confezione e ripongo quest’ultima nuovamente nella borsa. Accendo con cura la sigaretta ed il gusto di tabacco mi impregna subito le pareti della gola. Soffio fuori il fumo osservando incuriosita la scena in fronte a me. Laura sorride a Zoro con fare affabile, e chiede a qualcuno di accompagnarla. Rufy, ben felice, accetta, e lo spadaccino si aggrega al suo capitano. Law rimane fermo al suo posto, a fissare gli altri due. La ragazza, felice per la sua nuova compagnia, mi raccomanda di raggiungerla in fretta, ed io acconsento con un rapido cenno della testa. Forse prima di aspettare la mia risposta, il suo sguardo torna sul muscoloso ragazzo alla sua destra. Sorrido, d’altronde ha sempre avuto un debole per i palestrati.
Inspiro e butto fuori una consistente nuvola di fumo, mentre li vedo allontanarsi con passo allegro. Scuoto la testa tra il rassegnato ed il divertito, mentre mi appoggio con la schiena alla macchina della ragazza.
“Quindi, James, potresti spiegarmi da quando ti chiami così?” continuo a fissare verso l’ingresso del cinema, conscia della presenza del Chirurgo della Morte a pochi passi da me.
“Da oggi” risponde semplicemente, portandosi una mano in tasca e l’altra a spostare alcune ribelli ciocche di capelli lontano dai suoi occhi, ora che non sono tenute a bada dal cappello sempre ben calcato sulla sua testa. Lo studio osservandolo di sottecchi, ed arriccio le labbra compiaciuta. Davvero affascinante, per l’essere così cinico. Lui inclina il capo all’indietro e scruta distrattamente le poche stelle che brillano nel cielo scuro, offuscate dall’opaco strato di inquinamento luminoso.
Rimaniamo in silenzio mentre finisco la mia sigaretta, che poi butto a terra e schiaccio col tacco sottile, mentre sembriamo prenderci una pausa da tutto il resto. Quanto meno, pare apprezzare la momentanea assenza di rumore e disturbo che questo momento gli sta fornendo, e non fa niente per interrompere quell’istante di pace. L’ultimo sbuffo di fumo mi accarezza le labbra mentre si dissipa nell’aria calda della serata estiva. Mi lancia giusto uno sguardo con la coda dell’occhio, evidentemente contrario al mio nocivo vizietto. Dal mio, mi lecco le labbra assaporando l’amarognolo gusto che vi rimane sopra, continuando a fissare in fronte a me. Sposta lo sguardo nella mia stessa direzione. Ancora silenzio. Comincio a valutare l’idea, alquanto probabile, che sia rimasto lì fuori solo per tenere le momentanee distanze dagli altri, e le mie labbra assumono una piega divertita al realizzare che, nonostante tutto, mi considera evidentemente il male minore.
“Entriamo” io stessa non saprei definire ciò che ho detto come un’affermazione, un invito, o un semplice avvertimento. Sta di fatto che inizio a camminare, i tacchi che risuonano ritmicamente nel parcheggio momentaneamente deserto, se non per una famiglia che proprio ora si sta affaccendando per scendere dalla macchina e dirigersi verso l’entrata. Presumo mi guardi allontanarmi per qualche istante, prima di sollevare la schiena dalla portiera dell’automobile contro cui si è appoggiato. Il rumore dei suoi passi si accavalla al mio.
 
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La sala d’ingresso del cinema è ampia e piuttosto deserta. Evidentemente la proiezione deve essere già iniziata. Sbuffo, sollevando lo sguardo verso i tabelloni con gli orari. Mannaggia a me e al vizio del fumo, mi sono persa persino l’inizio.
“Vuoi qualcosa da bere?” domando al ragazzo al mio fianco, che sposta lo sguardo su di me prima di deviarlo verso il bancone poco distante.
“Si” dice laconico, e si infila le mani in tasca. Sollevo le spalle, mi passo le dita fra i capelli.
“Okay” inizio a camminare, e arrivata a poca distanza dall’annoiato barista ordino una Coca-Cola piccola per me e una birra media per lui. Non sono certa gli piaccia, ma se la farà andar bene. Mi ricordo di aggiungere una confezione per due di Popcorn proprio un’istante prima di pagare, ed il commesso mi scarica un’occhiata snervata. Sorrido cortesemente, facendo finta di non notarla, mentre gli abbandono l’importo esatto sul vassoietto di pagamento. Una vera signora insomma.
“Per te” gli scarico in mano il bel bicchiere di plastica traboccante di liquido ambrato, e poi, abbracciata al resto delle cose, inizio a camminare verso la sala indicata sul biglietto. Questo pacifico momento di tregua, in cui sto finalmente cominciando a prendere in considerazione di poter costruire un rapporto civile con i malcapitati pirati, viene interrotto da uno strillo esagitato proveniente dall’interno della sala.
“Oh buon dio” esclamo, con una fitta di strizza lancinante allo stomaco. Non è stato difficile riconoscere il proprietario di tale voce, e ciò non fa presumere niente di buono.
“Perdono” mi rivolgo sbrigativa a Law mentre gli appioppo senza troppi complimenti il resto degli acquisti fra le braccia, e con una velocità felina che quasi stento a riconoscere su di me, mi precipito oltre il portellone tagliafiamme che ci separa dall’interno della Sala 4. Inorridisco.
Rufy, con una gamba oltre la fila precedente di sedili, tutto intento a sporgersi e ad urlare contro la sua stessa figura, viene disperatamente trattenuto per un braccio da Laura, che, imbarazzata fino alla punta dei capelli, gli sibila rabbiosamente di tornare a sedersi alternando avvilite scuse verso il resto del pubblico. Impreco fra i denti, mentre mi arrampico su per i bassi scalini alla massima velocità consentitami dai tacchi alti. Mi infilo fra la gente, rischiando di inciampare una volta o due sulle maledette borsette abbandonate si piedi delle poltrone, e poi piombo come un avvoltoio sul pirata dal cappello di paglia. Lo afferro per la maglia e con uno strattone deciso (con mio probabile conseguente strappo muscolare), lo faccio capitolare sul suo posto a sedere.
“Se riprovi a fare una cosa simile vi trovate senza un tetto sotto cui stare prima che tu riesca a dire One Piece, siamo chiari?” gli ringhio addosso ferocemente. Il resto della sala sbuffa lagnosamente, e poi sembra superare il trauma per tornare a guardare pacificamente il film. Laura si domanda da quando io sia così aggressiva. Chiudo gli occhi ed inspiro a fondo.
Decido di sedermi al fianco di Rufy, giusto per affibbiargli occhiate d’avvertimento ogni tanto. Laura, a fianco a me, si sporge gradualmente sempre un po’ più vicina a Zoro. Comincio a valutare l’idea di essere uscita in una gabbia di pazzi.
“Gin” sento sussurrare la suddetta ragazza verso di me. Mi giro e le espongo un’espressione interrogativa.
“Ma non ti sembrano davvero simili ai protagonisti, i tuoi amici?”
Un popcorn mi si incastra in gola. Tossisco ed inizio ad annaspare alla ricerca di ossigeno. Un ometto grasso e occhialuto dietro di me mi intima di fare silenzio, ed io mi giro verso di lui furente fra un colpo di tosse e l’altro. Con calma e nonchalance Laura mi passa la birra di Law, il quale solleva un sopracciglio indispettito. Glielo si legge negli occhi la fremente voglia di mandare a stendere lei e tutti noi altri. Per non farmi mancare niente, guardo male anche lui. Dopo un abbondante sorso mi sento meglio, e l’aria torna a fluire nei miei polmoni.
“Ma sei impazzita?” le chiedo con la voce ancora troppo roca “Loro sono molto meglio” indico con un cenno della testa lo schermo, ed una sorrisetto sicuro sulle labbra.
“Mah” mugola lei, tornando ad osservare con disinteresse la scena. Mi do della cogliona mentalmente per aver accettato un’uscita tanto rischiosa. Meno male che la ragazza, in fin dei conti, sembra più interessata ai bicipiti dello spadaccino in carne ed ossa che a quelli della sua versione 2D. Rendiamo grazie a lui ed ai suoi testosteroni.
Con lampante tempismo, lo schermo si oscura e l’immensa gialla scritta recitante fine primo tempo lampeggia davanti ai nostri occhi. Rufy mugola indispettito, e io lo guardo in cagnesco. Non che abbia un particolare ascendente su di lui, intendiamoci, visto che continua a fare ciò che gli pare, ma l’idea di aver per lo meno fatto tutto il possibile nelle mie capacità mi fa stare meglio con me stessa.
“Ho bisogno di una siga” borbotto verso Laura, afferrando la pochette dimenticata sulle mie gambe ed alzandomi in piedi sotto al suo sguardo allegro. Per quanto l’inizio possa essere stato difficile, lo ha evidentemente rimosso dai suoi ricordi, ed ora si gode spensierata la serata in compagnia dei ragazzi. Beata lei, io non sono ancora riuscita a superare lo stress dell’ultimo esame che ho dato, figuriamoci quello del loro avvento.
Mi divincolo in uno slalom acrobatico fra borsette e gambe per uscire dalla fila di poltrone ed immettermi nella più spaziosa scala laterale. Cammino velocemente in equilibrio splendido sui tacchi, e mi catapulto verso l’uscita. Il corridoio sembra ancora più lungo dell’andata, e quando finalmente riesco a percepire l’aria secca estiva contro la pelle, alzo gli occhi al cielo estasiata. Questa serata, o forse questo periodo in generale, mi costerà un patrimonio in Xanax.
Porto la sigaretta alle labbra ed aspiro, lasciando per un istante librarsi nell’aria tutti i miei problemi insieme al fumo.
“Ginevra?”
Chiudo gli occhi disperata. Ma per dio, cos’ho fatto di male?
Mi giro tirando le labbra in un sorriso rigido.
“Luca”
Faccio un altro tiro, più lento del precedente.
“Tutto bene? Non mi hai più risposto ai messaggi, ho pensato fosse successo qualcosa”
Mi astengo con tutta me stessa dal correggerlo sul fatto che in realtà non è che non ho più risposto ai messaggi, è che direttamente non ho mai risposto ai suoi dannati messaggi. Mi stringo nelle spalle e sorrido, affibbiandogli la più banale giustificazione dell’essermi semplicemente dimenticata di farlo, si sa, con tutte le cose che ci sono da fare è facile che passi di mente. Incassa di buon grado e mi sorride di ricambio. Ed eccomi qui, incastrata col povero, ostinato, ragazzo dell’altra sera che speravo fortemente di non rivedere mai più.
Si guarda per un attimo intorno, e poi si avvicina pericolosamente a me, la mano tesa per passarmela dietro alla nuca con dolcezza. Sposto un piede indietro e mi allontano di mezzo passo, aprendo la bocca per fermarlo da tale sconsiderato gesto.
Quando, rimango a dir poco sbalordita, qualcuno mi precede nel farlo.
“Ginevra” la voce controllata del Chirurgo della Morte lo blocca di colpo. Si gira verso di lui, e poi guarda me gelato.
“Ah” un istante di silenzio “Non sapevo ti fossi fidanzata, in questi tre giorni”
Mi guarda con un’espressione che vacilla dal furente all’umiliato, e poi sposta gli occhi contro di lui. Law rimane in silenzio, non nega e non conferma.
“Infatti non lo sono” ringhio io, guardando confusa il pirata che continua a fissare gelido il ragazzo. Per quanto avrei voluto togliermi Luca da piedi, ce l’avrei fatta benissimo da sola, senza che il suddetto chirurgo dovesse sentire la necessità di ficcare il naso nei miei affari. Comincio a sostenere Kidd nella tesi sulla sua insopportabilità.
“Beh, questi fortunatamente non sono problemi miei, buona serata” fa gravare ancora lo sguardo su di me accompagnato, e poi si gira e se ne va. Rimango lì a fissarlo andarsene allibita, la sigaretta quasi del tutto consumata fra le dita. La butto a terra, e sollevo gli occhi contro Law.
“Prego?” gli chiedo stizzita, pestando violentemente la cicca contro l’asfalto.
Si porta le mani alle tasche, flemmatico, e sostiene il mio sguardo senza problemi.
“È necessario che tu non ti distragga, sei probabilmente un elemento chiave per il nostro ritorno a casa”
Spalanco per un istante gli occhi, e poi arriccio le labbra innervosita.
“Hai quindi intenzione di mettermi i bastoni fra le ruote per qualsiasi relazione sociale io intenda sostenere da ora in avanti?”
“Se necessario”
Socchiudo le labbra sorpresa, indecisa su come rispondere. Nel dubbio fra l’esporre dettagliatamente una tesi sul fatto che, se solo si azzarda, il suddetto elemento chiave potrebbe benissimo decidere di non collaborare e condannarli ad una vita su questo pianeta, e l’idea di fargli una scenata avente come tema principale l’importanza del libero arbitrio, opto per un sempreverde “Ma vaffanculo”. Giro sui tacchi e me ne vado pestando rumorosamente il pavimento del corridoio verso le sale, più che convinta che l’inizio del secondo tempo meriti più attenzioni di quell’indisponente pirata.
 
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Il film prosegue. Rufy sbraita, ed io, attualmente indifferente ad ogni cosa, lo lascio fare. Persino Zoro si è lasciato coinvolgere più del dovuto e si ritrova a sbattere la sua bibita contro il bracciolo della poltroncina, inondando il bimbo al suo fianco. Quest’ultimo si mette a piangere e la madre ad urlare. Si aggiunge anche l’addetto alla sicurezza alla simpatica scenetta, che minaccia tutti gli altri di essere sbattuti fuori senza troppe cortesie. Io rimango con la tempia appoggiata alla mano a fissare lo schermo. Laura è indecisa se ridere o essere preoccupata, e Law, almeno una volta o due, mi ha spiato con la coda dell’occhio. Presumibilmente sta valutando nel suo machiavellico cervellino quante sono le possibilità che disturbi la sua pacifica serata con scenate inutili, una volta tornati a casa.
Dopo svariato tempo, la visione finisce. Rufy è palesemente depresso e affatto sazio di azione.
"Magari continua Gin, ancora un attimo!"
"Dio mio, i titoli di coda sono finiti ed è arrivato il tizio delle pulizie, direi che sarebbe proprio il caso di andare, ora" esordisco seccata, dopo che persino l'addetto del cinema mi è arrivato di fianco armato di una scopa chiedendomi di alzare le gambe.
"Ma.."
"Niente ma! Si va a casa" mi alzo snervata, osservandolo dall’alto al basso. Laura mi intima di rilassarmi, ridacchiando. Conto fino a dieci.
 
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Il viaggio in macchina del ritorno è passato velocemente: Laura, Rufy e Zoro hanno chiacchierato animatamente commentando il film, ed io ho canticchiato la canzone in sottofondo rispondendo sporadicamente alle domande che mi sono state fatte. Una volta giunti davanti a casa ci siamo salutati, Laura mi ha abbracciata, si è congedata dagli altri, e poi è risalita in macchina per partire sgasando. Siamo rientrati in casa, e dopo aver velocemente dato una mano ai ragazzi per sistemare il divano letto sono volata in bagno per struccarmi.
Mi sto guardando allo specchio da cinque minuti buoni, senza fissare in realtà nulla. Già avvolta nella maxi maglia, i capelli ancora stirati e delle leggere occhiaie viola sotto agli occhi, sembro l’emblema di una casalinga disperata. I tacchi alti ed il vestitino nero abbandonati in un angolo del pavimento sembrano risalire ad un'altra era.
Mi passo le dita fra i capelli e li lascio ricadere morbidi sulle spalle, mentre trovo la forza di girarmi ed uscire dal bagno per lasciarmi finalmente crollare sul letto. Law è già lì, maglia a mezze maniche e i pantaloni larghi di una tuta dismessa da mio padre. La giornata mi è crollata addosso e mi sento talmente spossata da non aver neanche voglia di rimanere arrabbiata con lui. Giro intorno al letto e mi vado a coricare pesantemente. Lui inclina la testa appena verso di me, e sembra vacillante dal volermi dire qualcosa. Lo guardo con occhi stanchi, in attesa, mentre mi passo un braccio sotto alla testa. Evidentemente lui valuta come superfluo quanto gli è passato per la mente, perché si gira dall’altra parte per spegnere la luce e poi si corica. Un caso disperato, questo ragazzo.
“Law” lo richiamo io mollemente, e lui si volta verso di me “se ti dovessi tirare ancora un cazzotto stanotte, sappi che te lo saresti meritato”
Gli do le spalle e chiudo gli occhi prima di vedere ogni qualsiasi sua possibile reazione, ammesso che, cosa poco probabile, ne abbia una. Mi addormento prima di ricordarmi di non aver chiesto indietro, neanche questa volta, la mia maglia a Laura.


SPAZIO AUTRICE
Salve gente,
​ho fatto il possibile per pubblicare velocemente (anche se velocemente non è). Nonostante l'impegno, devo essere onesta, non mi fa impazzire come ho steso questo capitolo. Allo stesso tempo, più di così non sono riuscita a fare, quindi volevo scusarmi per la brutta materia di lettura che vi ho appena fornito. Chiedo umilmente perdono.
​Vi ringrazio comunque tantissimo per averlo letto, come sempre sono felice del vostro sostegno.
Vi auguro una splendida serata!
Con Affetto, alla prossima!
   
 
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