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Autore: Sayami    15/03/2018    1 recensioni
"-La vita non è fatta per essere semplice, Laney, non lo è per nessuno. Ma se non provi, se non fallisci, se non cadi e ti rialzi dieci, cento, mille volte, puoi dire davvero di aver vissuto?
Laney esitò per un breve intervallo, valutò, soppesò la dichiarazione di Samuel con la massima cura, infine rispose: -No, credo di no."

Laney odia il mondo. Letteralmente. Misantropa, remissiva e un tantino paranoica, si chiede spesso quale sia stato il momento esatto in cui la sua vita ha preso la piega sbagliata, portandola a crollare sull'ultimo gradino della scala sociale: quello degli emarginati. Mentre le sue giornate procedono monotone, tra una sistematica opera di autodemolizione e il penoso tentativo di sopravvivere all'ultimo anno di liceo, in città fa ritorno Samuel, cugino della sua migliore - nonché unica - amica. Niente di eccezionale, non foss'altro che il nuovo arrivato, oltre a essere un tipo bizzarro, è anche un grandissimo impiccione! Così, tra situazioni paradossali, equivoci, incontri-scontri e un piano infallibile per realizzare tutti i sogni, Laney e Samuel scopriranno pensieri e sensazioni che credevano di aver sepolto tempo prima, insieme a un'ultima solenne promessa.
Genere: Commedia, Romantico, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago
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1.2

Tiny Town era un modesto centro urbano situato sulla costa del North Carolina, delimitato a levante da Engelhard e a ponente da Middle Town, diviso tra l'oceano e le coltivazioni che fiancheggiavano la statale 264.
La popolazione non superava il numero complessivo di ottomila abitanti - sebbene in estate la media si alzasse di molto - e proprio per questo si trattava di un posto tranquillo e, per certi versi, perfino bizzarro.
Grazie soprattutto all'operosità dei residenti, negli anni la cittadina era cresciuta, e ora disponeva di ogni struttura necessaria a migliorare la qualità della vita: un ospedale, una scuola per ciascuna fascia d'età, un centro commerciale, botteghe artigianali, uffici, ristoranti e chi più ne ha, più ne metta.
Laney Barnes e i suoi genitori vivevano a House's Valley, il quartiere residenziale, e precisamente in una traversa di Firmament Lane, in una casa a pianta quadrata che, identica alle altre cinque che componevano l'isolato, disponeva di due piani, muri grigi, un tetto spiovente, un giardino, un garage, uno steccato bianco e una buca delle lettere rossa.
Non si poteva negare, quindi, che Tiny Town fosse un bel posto per vivere, anche se, da qualche tempo, per una lunga serie di valide ragioni, Laney aveva iniziato a credere che non fosse il posto giusto per lei.
La ragazza avrebbe voluto discutere del problema con Veronika, che però non sembrava molto propensa a darle ascolto in quel momento, presa com'era a sciorinarle la sua lunga paternale. Quella mattina di fine Agosto, infatti, Vera si era fiondata a casa sua, decisa a farla pentire di essersela svignata, la sera precedente.
Ora si trovavano nella camera di Laney, al secondo piano, la stessa dove si erano rinchiuse a chiacchierare, a ridere e a piangere di sciocchezze, la stessa che aveva ospitato paure e sogni di anni lunghi e tutti uguali.
In un certo senso, era l'unico posto al mondo in cui Laney riusciva a riconoscersi. Si specchiava nei colori sgargianti dei poster e negli schizzi di vernice che decoravano le pareti, nei bozzetti di abiti stravaganti appesi qua e là e nella moquette verde scuro, sempre disseminata di cianfrusaglie. Scovava la propria indole sulle mensole, tra un salvadanaio a forma di décolleté stiletto e una fotografia che la ritraeva con i Maroon 5, e in quei cinque cassetti della sua scrivania, nei quali era riuscita a stipare tutti i ricordi che le facevano male al cuore. Infine, c'era il fondo del suo armadio laccato di rosso, un rifugio incantato di vestiti dalle fogge più disparate, di stoffe e tessuti, di rocchetti di filo, di aghi, ditali, fettucce, cartamodelli, pizzi, forbici e perfino di una splendida macchina per cucire, un modello nuovo che le era stato regalato per il suo quindicesimo compleanno dai suoi genitori.
Forse, il fatto che si trovassero in quel posto (Veronika sul suo letto, in piedi di fronte a lei) la stava aiutando a non sentirsi in colpa, anche se l'amica le stava facendo la predica già da una buona mezz'ora.
-"Non ti avrei lasciata sola proprio stasera"!- la scimmiottò per l'ennesima volta, mentre la ragazza si affaccendava da una parte all'altra per prenderle le misure. C'era un tacito accordo, tra di loro: ogni volta che bisognava discutere di qualcosa, bella o brutta che fosse, Laney si adoperava per confezionare qualche bel capo di vestiario a Veronika, che era sempre più che entusiasta di farle da modella. -Mi sono allontanata un attimo per andare a chiamare Samuel e tu... puff! Sparita!-
Laney le avvolse il centimetro intorno al bacino e sbuffò. -Vera, mi dispiace da morire, sul serio- disse mortificata. -Quante volte devo ripeterlo prima che tu mi creda?-
-Ma io ti credo!- le rispose piccata l'altra. -Lo so che la tua ansia non è una cosa che puoi controllare, e so anche che ti dispiace ma, Laney...- Veronika si interruppe per guardarla dritta in faccia. -Se non riesci neppure a rimanere in un posto dove nessuno ti conosce per più di dieci minuti, come pensi di superare il prossimo anno?-
Laney rimase a fissare la giovane per qualche secondo, senza avere la più pallida idea di cosa replicare. Vera aveva ragione su tutta la linea. Il nuovo anno scolastico era alle porte, e se quelle erano le premesse... beh, c'erano grossi guai in vista.
Alla fine, Vera sospirò, esasperata. -Tra una settimana parto- annunciò, categorica. -Torno al campus per il nuovo semestre. Cercherò di chiamarti tutti i giorni e di venire in città spesso, ma non ti prometto niente. Anche tu però dovrai impegnarti.-
Laney annuì, ma senza reale convinzione. -Va bene- le accordò, dopodiché riprese a misurarla con attenzione, appuntando le cifre su un foglio di carta.
Per tutta risposta, Vera roteò gli occhi teatralmente. Laney sapeva benissimo quale discorso stava per aprire e, anche se avrebbe voluto impedirlo con tutta sé stessa, non riuscì a opporsi.
Come al solito.
-Laney, devi reagire!- sbottò la ragazza, portandosi entrambe le mani ai fianchi con fare minaccioso. -Per quanto ancora hai intenzione di piangerti addosso? Credi forse che il college sia meglio di così? Beh, ho una notizia per te: non lo è per niente.- Era partita. Laney pensò che la soluzione migliore fosse quella di rimanere in silenzio, ma il suo atteggiamento remissivo sortì il solo effetto di far arrabbiare Vera ancor di più.
In seguito, si scatenò un'interminabile ramanzina su quanto fosse sbagliato il suo comportamento, sulle difficoltà che costellavano la vita e sulla crescita personale. Ma Laney era fin troppo abituata a quel tipo di situazione. Rimase impassibile per tutto il tempo, incurante degli improperi che la stavano travolgendo, fin quando Vera non si decise a tirare la stoccata finale.
-Mi stai ascoltando?!- gracchiò, senza ottenere la benché minima reazione da parte sua. Allora trasse un lungo sospiro e tacque. Scese dal letto ormai sfatto con un saltello, atterrò morbidamente sulla moquette e puntò gli occhi celesti in quelli scurissimi di Laney, seria come non mai.
Vera non era un tipo serio, non lo era mai stata. Era capace di scherzare perfino nel peggiore degli scenari, e più volte l'aveva fatto, in quegli anni, ma in quel momento sembrava che non ci fosse proprio niente da ridere.
Quando parlò, Laney fu in grado di distinguere chiaramente una nota di bruciante preoccupazione nella sua voce, e sentì un brivido risalirle la schiena.
-Tu non eri così- le disse la ragazza. -Prima che succedesse... tutto quanto, tu eri un'altra persona. Giocavi sempre, parlavi con tutti e non avevi mai paura di essere te stessa. Invece adesso...-
Per qualche istante, non si udì neppure un fiato.
Laney si sentiva uno schifo. Lo sapeva, sapeva di essere cambiata, di essersi ripiegata su sé stessa, rinchiusa, trincerata dietro a un muro di pensieri grigi e pessimisti che a volte nemmeno la facevano dormire la notte. Ma il fatto era che niente era dipeso da lei. Erano stati gli altri a decidere che era sbagliata, che era un'infame, meschina, inetta, sacrificabile, che non faceva più parte della gioventù di quella città. Che era diversa. -Non l'ho chiesto io- sibilò solo. -Non l'ho chiesto io, tutto questo.-
Non importava cosa avrebbero detto gli altri. Lei aveva imparato a proprie spese che continuare a guardare il mondo attraverso un caleidoscopio di colori brillanti, che sperare, sognare e vivere in prima linea non faceva altro che peggiorare la situazione.
Doveva sparire.
Come aveva fatto per tutti quei mesi in ospedale, doveva solo chiudere gli occhi e fare finta di non esistere, muoversi nel mondo in punta di piedi, fin quando anche quell'ultimo anno non sarebbe trascorso e lei sarebbe stata libera, finalmente, lontana da tutti e lontana da lì. Per sempre.
Era semplice.
Bastava sopportare, solo sopportare.
-Di che colore la vuoi?- chiese all'improvviso, cambiando argomento e piegandosi a prendere la lunghezza della gamba di Veronika.
La diretta interessata le scoccò un'occhiata a dir poco avvilita. -Sappi che questa nuova gonna non cambia il fatto che sono molto amareggiata. E comunque blu.-
Laney ridacchiò. Veronika era fatta così, un metro e cinquantadue di leziosità e apprensione, sapientemente miscelate a una buona dose di sfacciataggine e a un pizzico di impulsività. Per non parlare poi del fatto che, sebbene fosse di ben due anni più grande, a volte riusciva a essere capricciosa come una bambina.
Erano completamente diverse, loro due, sia dentro che fuori: Veronika era piccola, robusta di costituzione ma molto ben fatta, con lineamenti dolci, carnagione olivastra, occhi azzurro cielo e una fluente chioma di capelli biondi e lisci come spaghetti; lei, al contrario, era di statura media, di corporatura gracile, mora, riccia e pallida come un lenzuolo, con due occhioni castano scuro che sembravano quelli di una civetta.
Inoltre era molto timida, riservata, estremamente riflessiva e taciturna, specialmente con gli estranei, un po' permalosa, soprattutto sulle cose che le stavano a cuore.
Dall'esterno sarebbe potuto sembrare che non avessero proprio nulla in comune, eppure, insieme, erano una coppia perfetta, poiché l'una compensava i difetti dell'altra ed erano sempre pronte a sostenersi a vicenda.
Proprio per questo Laney sentiva tanto la mancanza di Veronika, quando era lontana da casa. Non avere nessuno che la capisse veramente, lì vicino a confortarla, la intristiva molto, ma si consolava col pensiero che presto la scuola sarebbe finita e lei avrebbe potuto raggiungere l'amica al college.
Mentre era presa in questi e altri pensieri, armeggiando di qua e di là con il centimetro, Vera le comunicò: -Comunque è inutile che continui a evitare Samuel. Frequenta il tuo stesso anno, quindi tanto vale che provi a farci amicizia prima che ricomincino le lezioni.-
Laney si paralizzò sul posto, spiazzata. Le tornò alla mente l'immagine di lui in quella cucina, il polso teso a mostrarle il braccialetto di perline e conchiglie e gli occhi che gli luccicavano come dieci anni prima.
Dieci interi anni prima.
Un'infinità di tempo.
Sapeva di aver reagito nel peggiore dei modi, la sera precedente: si era fatta prendere dal panico senza un motivo, trascinata dal sospetto che lui potesse giudicarla, senza però averne la certezza. Ma ormai era quella la sua vita, vissuta nel terrore delle azioni altrui e nell'abbandono all'idea che non ci fosse niente da fare per cambiare le cose.
E, d'altra parte, ciò che pensava sul conto di Samuel non era mutato di una virgola.
In tutta onestà, Laney era convinta che chi aveva incontrato la sera precedente non poteva essere ancora lo stesso ragazzino gentile chele regalava le caramelle per ogni ginocchio sbucciato, lo stesso che le permetteva di giocare a calcio anche se era una femmina e che le stringeva forte la mano mentre saltavano i cavalloni, giù a Starcrossed Bay.
Perché era la vita a cambiare le persone e ad allontanarle. Nel bene e nel male.
Di certo, ora che anche Samuel era cresciuto, sarebbe cambiato e sarebbe stato... diverso.
"Noi due non saremo mai più amici."
A quel pensiero, un pesante groppo le si strinse in gola, ma cercò di non darlo a vedere. A Vera però non sfuggì la sua espressione cupa. -Stai pensando che non sarete mai più amici, non è vero?- disse sicura.
"Colpita e affondata."
Laney le rivolse uno sguardo colpevole e un po' imbarazzato, ma non parlò. A volte, avere un'amica che ti conosceva meglio delle sue tasche poteva rivelarsi un problema.
-Pensi di poterlo evitare per sempre?- fece la ragazza, inquisitoria. -Alla tua destra abito io e alla tua sinistra, ora, abita lui. Sbucherà fuori all'improvviso e non potrai farci niente. Quella lì è la sua stanza, lo sai?- infierì allusiva, indicando il chiarore del giorno, oltre le tende accostate. Laney alzò lo sguardo solo per un istante, per dare un'occhiata alle imposte. Sulla parete di fondo della sua stanza si apriva una grande porta-finestra, che dava su un balconcino laterale. Dall'altra parte, a pochissima distanza, un altro balconcino e una porta-finestra identici ai suoi bordavano una camera con le veneziane abbassate.
Allora quella era la stanza di Samuel... proprio dirimpetto alla sua.
Laney tornò di corsa a concentrarsi sulle misure.
Sapeva che Vera diceva la verità. Anche la famiglia di Samuel aveva sempre abitato nel loro isolato, proprio accanto ai Barnes (e di qui quella ridicola battuta di suo padre sul fatto che fossero "circondati da Carson"),per cui non c'era proprio verso che non si incontrassero, per un motivo o per un altro.
In quel momento, però, Laney non voleva pensarci: si sarebbe goduta in santa pace quegli ultimi giorni di vacanza, prima di ricominciare la scuola, e avrebbe finto di non sapere neppure chi fosse, Samuel Carson. Inoltre, a conti fatti, il suo ritorno in città non cambiava proprio un bel niente.
"Solo una persona in più da cui guardarsi le spalle."
Vera si passò una mano tra le ciocche bionde e ripiombò a sedere sul letto. -Samuel ti piaceva un sacco, quando eri piccola- commentò. -A volte credevo che volessi più bene a lui che a me. Lo seguivi ovunque, gli facevi un sacco di regali... vi siete anche promessi di sposarvi, te lo ricordi?- Ora, sulle sue labbra, si era disegnato un sorrisino divertito.
Laney si sentì avvampare. Si voltò di scatto e raccolse un largo quadrato di satin blu elettrico che aveva abbandonato per terra, dopodiché si armò di matita, approdò alla scrivania e iniziò a tracciare lunghe linee guida sul tessuto. -Piantala, Vera- borbottò. -Eravamo solo bambini.-
L'altra prese a sbattere rumorosamente i piedi a terra. -Vedi? Sei diventata una noia mortale!- si lagnò.
-E tu invece sei diventata una cornacchia capricciosa e insolente-rimbeccò Laney, iniziando a tagliuzzare qui e lì con le fobici da sarta. C'era un quesito, però, che l'assillava dalla sera precedente, dal momento in cui aveva riconosciuto il ragazzo. Così, si fece coraggio e parlò. -Vera, posso farti una domanda?-
-Spara- rispose l'altra, ormai abbandonata tra le lenzuola, proprio come fosse a casa sua.
Laney smise di armeggiare con le forbici e si voltò a guardarla. -Perché è tornato?- domandò.
Trascorse qualche istante.
Veronika sembrava intenta a riflettere, ma quel modo tipico che aveva di arricciare il naso suggerì a Laney che stesse solo valutando se rivelarle o meno la risposta. Infine, però, cedette. -I suoi si stanno separando- spiegò. -Non dirgli che te l'ho detto. Annika sta completando la specialistica, quindi resterà con suo padre ancora per un po', mentre Samuel ha deciso di seguire sua madre qui.-
-Oh- fece solo Laney. Ricordava i genitori di Samuel, quei signori distinti e simpatici che le avevano offerto una quantità incalcolabile di merende e succhi di frutta freschi. E ricordava anche quella volta che avevano litigato e Samuel si era intrufolato nel loro giardino per nascondersi con lei nella casetta degli attrezzi.
Come se qualcosa fosse crollato, si sentì improvvisamente vuota.
-Lui come l'ha presa?- domandò d'impulso.
-Bene, credo- rispose solo Vera. -Anche se, a dirla tutta, non ne abbiamo parlato molto.-
A quelle parole, Laney non disse altro. Rimase immobile a riflettere per qualche secondo ancora, valutando tante, troppe cose e come queste cambiavano nel tempo.
Poi si morse il labbro inferiore, tornò composta sul posto e iniziò a cucire.

Poi si morse il labbro inferiore, tornò composta sul posto e iniziò a cucire
 

Mancava poco meno di una settimana all'inizio delle lezioni. Edward e Penelope Barnes non sapevano più come comportarsi con la figlia.
Laney era una mina vagante: schizzava da una parte all'altra della casa, mangiava così poco da far paventare uno svenimento imminente e non riusciva neppure a dormire perché, ogni volta che chiudeva gli occhi, nella testa le rimbombava la risata crudele di Tyler.
L'ansia si era fatta ingestibile, e Laney stava perdendo rapidamente lucidità.
Non era pronta.
Come se non bastasse, anche Veronika se n'era andata. Laney credeva che Samuel avrebbe salutato sua cugina la mattina stessa della dipartita, ma, quando era arrivato il momento, di lui nessuna traccia.
A prelevare Vera era passato Peter. Il poveretto aveva dovuto attendere una mezz'ora buona, tra pianti isterici e lamenti di ogni genere, prima di caricare le valigie della fidanzata nel bagagliaio della propria Ford Fiesta e partire in quarta, diretto al Nowhere college.
Quanto alla madre di Veronika, Cindy Carson, sembrava che le fosse passato sopra un treno: armata di fazzolettini per asciugarsi gli occhi e capelli biondi cotonatissimi, la donna aveva ricoperto sua figlia di baci, raccomandazioni e dolcetti ipercalorici, neanche stesse partendo per la guerra.
Per parte sua, Laney aveva recapitato la famosa gonna blu, e Vera le aveva promesso che le avrebbe inviato una foto del capo indossato al più presto.
A distanza di tre giorni, però, di quella foto non si era vista neppure l'ombra, e ora una brutta sensazione di spaesamento si era impossessata della ragazza: per quanto cercasse di mantenersi calma, non sapeva più come gestire tutte le domande che, nella sua testa, continuavano a pestarsi i piedi a vicenda.
In preda all'agitazione, quel pomeriggio Laney non aveva fatto altro che marciare su e giù per il salone, instancabile, senza fermarsi neppure per sorseggiare il tè che le aveva offerto sua madre o per una partita a scacchi con suo padre.
-Laney,- aveva tuonato alla fine Penelope Barnes, completamente fuori dai gangheri -se proprio non hai niente di meglio da fare che scavare il pavimento a furia di camminare, di là c'è la spazzatura che aspetta di essere buttata!- E, detto questo, l'aveva caricata di sacchi compost straripanti di rifiuti puzzolenti e l'aveva spedita sul vialetto con un bel calcio nel sedere.
Fuori, l'isolato era immerso nel silenzio. Una debole brezza alitava sull'erba rinsecchita delle aiuole e il pallido sole dell'ultimo pomeriggio bagnava strade e abitazioni, senza però scaldarle veramente.
A Tiny Town, l'estate stava morendo.
In quel momento, di fronte alla porta della sua stessa casa, Laney si sentì persa, sfibrata da tutte le nottate insonni e svuotata di ogni forza di volontà. Era stufa, era triste ed era arrabbiata: ora che Vera se ne era andata, lei era rimasta nuovamente da sola. Non c'era nessuno che la capisse fino in fondo, nessuno che sapesse come prenderla, in quel luogo. Neppure i suoi genitori sembravano mostrarle un po' di comprensione.
Per un attimo si immaginò minuscola, piccola abbastanza da risultare invisibile all'occhio umano, da non essere notata mentre scappava via, lontano lontano, dove i problemi non esistevano e le cose andavano sempre per il verso giusto.
E poi eccola di nuovo lì, davanti a quella porta, soffocata dal tanfo dell'immondizia e dalla sua stessa vita. Avrebbe voluto che quel maledetto anno scolastico non iniziasse mai.
"Devi reagire!" le aveva detto Veronika. Ma la verità era che doveva resistere, stringere i denti e fare finta di nulla.
"Ancora per un po'."
Appellandosi a un'energia che non sapeva di possedere, Laney riuscì a trascinarsi fino alla fine del patio e poi in strada, borbottando come una pentola di fagioli. Percorse il marciapiede a testa bassa, più svelta che poteva, le lattine vuote che tintinnavano per ogni passo che avanzava.
Ma quando si trovò vicina ai cassonetti, qualcosa la sorprese.
O, per meglio dire, qualcuno.

 

   
 
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