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Autore: Old Fashioned    16/03/2018    14 recensioni
L'Ordine Templare sta attraversando una profonda crisi: i possedimenti in Terra Santa sono perduti, e la sua funzione di difensore della fede sta venendo meno.
Da una delle ultime zone di combattimento contro gli infedeli, un cavaliere viene richiamato in Francia, destinato a una commenda apparentemente tranquilla e pacifica. Allo stesso tempo, un cavaliere Teutonico non particolarmente ligio agli ordini viene inviato al castello di Metz, poco lontano dalla commenda in questione, e un giovane nobile di un feudo nei dintorni desidera disperatamente entrare nell'Ordine Templare. I destini di questi tre personaggi si incroceranno con quello del celebre ordine del Tempio, ed essi saranno testimoni degli eventi terribili che cominciarono con la fatidica data del 13 ottobre 1307.
Seconda classificata al contest "Leggende, Luoghi misteriosi e Miti" indetto da Fiore di Cenere sul forum di EFP.
Prima classificata al contest "Raccontami una Storia" indetto da milla4 sul forum di EFP
Genere: Azione, Drammatico, Mistero | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Medioevo
Capitoli:
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Salve gente, eccomi qui con un altro mappazzone tutto per voi!^^
Scusate se posto i capitoli cosi velocemente, e se sono così lunghi. Esigenze di contest, non posso fare altrimenti.

Ringrazio per prima cosa l’ottima, coltissima e gentilissima Saelde_und_Ehre, che ha supervisionato il mio Medioevo e mi ha fornito i termini in Mittelhochdeutsch. Sappiate che è merito suo se l’ambientazione è credibile.

Ringrazio poi sentitamente tutti coloro che sono passati a dare un’occhiata, e soprattutto ringrazio chi è stato così gentile da commentarmi, ovvero Saelde_und_ehre, John Spangler, by a lady, queenjane, mystery_koopa, evelyn80, alessandroago_94, innominetuo, Syila, _Polx_ e Yonoi.



Capitolo 2

Ansante, con gli abiti ormai fradici di sudore e farfalle bianche che gli danzavano davanti agli occhi, Gwenel de Jussy disse: “Ancora una volta.”
Giunse lapidaria la risposta del maestro d'armi: “Siete troppo stanco, juncherre.”
Il ragazzo strinse i denti. “Devo imparare a combattere in qualsiasi situazione, anche esausto, anche ferito. Andiamo avanti, meister Wulf.”
L'uomo lo fissò impassibile, quindi rispose: “Ho detto no, juncherre. Vostro padre non mi ha fatto venire da Norimberga, dopo tutti i maestri francesi che avete avuto, per insegnare a voi come spaccare la legna. Vostro padre vuole che io faccia di voi un cavaliere perfetto.”
Gwenel aggrottò le sopracciglia in un'espressione adirata. “Il mio futuro, meister Wulf, non è quello di fare qualche torneo ogni tanto, quando gli impegni del feudo me lo consentiranno. Io voglio diventare cavaliere del Tempio, e combattere contro i nemici della fede.”
A maggior ragione, allora, dovete padroneggiare perfettamente l'uso delle armi,” commentò l'altro.
È da quando avevo sette anni che ho maestri d’armi,” ringhiò il ragazzo. “Ora le armi le voglio usare!” Scattò in avanti caricando un fendente.
Meister Wulf, che sembrava quasi distratto, in un attimo alzò la spada in una parata alta, quindi con un secco movimento del polso girò l'arma in un tondo dritto. Il ragazzo si immobilizzò con la lama dell'istruttore sul collo.
Capite cosa voglio dire, juncherre?” domandò l'uomo in tono pacato. “Dovete imparare a non farvi prendere dall'emozione, e a dosare le vostre forze come un bravo amministratore.” Fece una pausa, poi abbassando la lama soggiunse: “Se al posto mio ci fosse stato un saraceno, voi sareste morto.” Il duro accento tedesco rendeva quelle parole ancora più ferali.
Gwenel abbassò lo sguardo.
Riposate, ora.”
Va bene, ma dopo voglio combattere ancora.”
Al momento giusto. Ora non serve.”
Ma perché?”
Il maestro d'armi emise un sospiro. “Venite qui,” disse prendendolo per una spalla. Lo condusse a una panca e gli fece cenno di sedersi, poi prese posto accanto a lui. “Io ho combattuto in Outremer [1],” disse poi.
Gwenel fece tanto d'occhi. “Davvero?”
Sono stato crucesignato per dieci anni, all'assedio di San Giovanni d'Acri sono stato tra gli ultimi ad abbandonare la città assieme ai Tempelritter... ai Cavalieri del Tempio.”
Non me l'avevate mai detto, meister Wulf,” mormorò Gwenel, in preda alla sensazione di vago imbarazzo di chi si accorge di aver parlato a sproposito senza rendersene conto.
Ecco perché quando vi parlo di combattimenti veri so quello che dico,” fu la secca risposta dell'uomo. “Con la preparazione che avete adesso, voi non durereste un'ora in una guerra. Quello che sapete fare va bene per le giostre di corte, non certo per veri nemici che vogliono uccidervi con ogni mezzo.”
Il ragazzo ebbe l'impressione che quel tono duro avesse oltre a quello di educarlo anche il compito di rintuzzare qualche brutto ricordo, e non replicò. Rimase in silenzio per un po', i gomiti appoggiati alle ginocchia e il viso tra i palmi delle mani. Infine rialzò la testa, si voltò fino a fissare il maestro d'armi negli occhi e gli disse: “Allora insegnatemi, meister Wulf. Io voglio diventare un Cavaliere del Tempio. Voi li avete visti combattere, io voglio imparare a combattere come loro.”
L'uomo annuì, i suoi lineamenti legnosi sembrarono vagamente addolcirsi. “Voi imparerete a combattere anche meglio, se mi obbedirete.”

§

Fratello Roland smontò da cavallo. Mathias, un ragazzo che a quanto aveva capito era stato accolto per carità alla commenda di Vaux, si affrettò a prendere l'animale per le briglie, quindi con deferenza lo condusse accanto al carro, in una zona della piazza che si trovava all'ombra. Il Templare lo udì parlargli a bassa voce.
Si voltò verso il confratello Olivier, che era dritto in piedi, immobile e con lo sguardo rivolto in avanti come se fosse stato a guardia del Santo Sepolcro.
Fece scorrere lo sguardo tutt'intorno: bancarelle, chioschi. Un venditore di cibarie cotte stava magnificando a gran voce i suoi prodotti; l'esposizione di una merciaia sedicente parigina aveva attirato una compagine di donne e ragazze, che si stavano contendendo nastri, stoffe e fili da ricamo. Il macellaio stava tranquillamente eviscerando una carcassa appesa per le zampe posteriori, e alcuni randagi appostati a distanza di sicurezza dalle sue pedate non lo perdevano d'occhio.
Accanto alla porta della chiesa era in corso una rissa tra mendicanti e saltimbanchi su chi avesse il diritto di elemosinare lì. Un paio di sbirri annoiati stavano seguendo da lontano la contesa, pronti a intervenire ma al tempo stesso ben decisi a non effondere energie non necessarie.
Per l'ennesima volta, il suo pensiero andò a Murcia. Quando era arrivato là, la prima notte c'era stato un assalto dei saraceni, e prima che la pressione si allentasse quel tanto da consentire almeno qualche ora consecutiva di sonno, erano passate due settimane. Aveva ancora sul braccio la larga cicatrice biancastra di una ferita che era guarita da sola, come Dio aveva voluto, perché non c'era stato il tempo di darle nemmeno un'occhiata.
E dopo tutto ciò, abito candido e usbergo lucidato a sabbia di fiume dall'instancabile Mathias, era finito a montare la guardia ai denari raccolti con la vendita degli ortaggi.
Probabilmente, il Signore aveva voluto punire la sua superbia, costringerlo alla giusta umiltà.
La voce soddisfatta di fratello Olivier lo distrasse dalle sue meditazioni: “Oggi è una buona giornata.”
Cosa?”
Non vedi? Il buon fratello Nazaire quasi non riesce a stare dietro ai conti.”
Chiamato in causa, il tesoriere, un ometto curvo, con pochi capelli grigi e un paio di lenti sul naso, annuì compiaciuto.
Fratello Roland non replicò. Si chiese quanti giorni sarebbe durato un cavaliere come fratello Nazaire a Murcia, e la risposta fu chiaramente pochi.
Seguì un lungo silenzio, rotto solo dal vociare lontano della piazza e dai polli della commenda che chiocciavano piano nelle stie.
Alla fine, fratello Olivier gli chiese: “Qualcosa non va?”
No, è tutto a posto.”
Mentire è peccato, caro fratello. Coraggio, aprimi il tuo cuore, dimmi cosa ti turba.”
Roland emise un sospiro. “Non lo so. È che non mi aspettavo… questo.”
Olivier annuì consapevole. “Oh, certo. Capisco.” Lo prese per una spalla e lo sospinse per qualche passo. “Credo che anche se ci allontaniamo un po’ nessuno penserà di derubare fratello Nazaire,” disse con un mezzo sorriso. “Non certo dopo la tua prodezza nel bosco.”
Camminarono per un po' fianco a fianco.
Le cose stanno cambiando,” soggiunse poi fratello Olivier quando si trovarono a debita distanza. “Il mondo sta cambiando, e così anche l’Ordine.”
Roland aggrottò le sopracciglia. “Che intendi dire?”
Outremer è persa...”
La riconquisteremo!” lo interruppe l’altro con foga, ma il primo scosse la testa con un sorriso quasi di indulgenza. “Costerebbe troppo, e nessuno ha più tempo e voglia di imbarcarsi nell’impresa. I saraceni sono sempre più forti, i margini di guadagno sempre minori. A chi interessa ormai?”
Ma noi siamo i difensori della fede.”
E dov’è più minacciata, ormai, la fede? I Teutonici se ne sono dovuti andare fino in Livonia, per trovare dei pagani. No, dà retta a me, non è più questo il nostro compito. Presto smetteremo di essere guerrieri sudici, che dormono per terra e vivono con la spada in pugno.”
Fratello Roland strinse gli occhi. “Per diventare cosa?” domandò cupo.
L’altro alzò le spalle in un gesto noncurante. “Diplomatici, finanzieri, uomini di studio. È così che manterremo il nostro potere: consigliando e ispirando i regnanti, curando nel migliore dei modi i loro interessi.”
Ma noi siamo cavalieri.”
Non più, ormai. Non solo, perlomeno. Prendi fratello Nazaire, per esempio: io credo che non sappia tenere in mano nemmeno un coltello da cucina, ma i libri mastri sono il suo pane. E non è neppure nobile, è un borghese che è entrato nell’Ordine quando è rimasto vedovo.”
Fratello Roland rimase per un po’ chiuso in un silenzio meditativo, infine chiese: “E i briganti nella foresta? Pensi che avrei dovuto usare la diplomazia per convincerli ad andarsene?”
Come hai visto tu stesso, è bastato un solo cavaliere per farli scappare. I tempi delle battaglie sono finiti.” Gli batté una mano sulla spalla con fare amichevole, poi aggiunse: “Io me ne torno da fratello Nazaire, è sempre bene non indurre i ladri in tentazione. Tu resta qui ancora un po’, se vuoi. Magari puoi fare un giro per la piazza, così la gente ti vede.”
A che serve che la gente mi veda?”
Il nostro manto bianco è sempre apprezzato. Farai buona impressione.”
D’accordo.”
Mantieni atteggiamenti dignitosi.”
Come se ci fosse bisogno di ripeterlo,” brontolò fratello Roland, quindi si allontanò torvo, con le braccia allacciate dietro la schiena e le spalle ingobbite.

Nonostante le raccomandazioni del confratello, il Templare si tenne lontano dalla folla del mercato: aveva bisogno di riflettere. Si sedette sul bordo di una fontana un po’ in disparte ed emise un sospiro. Aveva passato anni a combattere, praticamente sapeva fare solo quello. Come avrebbe potuto trasformarsi in un diplomatico o in un mercante?
Un rumore alle sue spalle lo fece scattare: si girò rapido e si trovò di fronte un ragazzo. Lo osservò attento: poteva avere sui diciotto anni, e non era sicuramente un popolano. Aveva vesti pregiate, e portava i capelli biondi lunghi fino alle spalle. Al fianco aveva una spada di buona fattura.
Fratello Roland si alzò in piedi. “Salute a voi,” gli disse.
Salute a voi, cavaliere,” rispose il giovane, e poi rimase fermo a fissarlo. Il Templare si accorse che gli stava rivolgendo lo stesso sguardo che anche lui, a suo tempo, aveva rivolto ai cavalieri dell’Ordine. “Posso fare qualcosa per voi?” gli chiese.
Il ragazzo si fece avanti. “Mi chiamo Gwenel de Jussy,” si presentò.
De Jussy?” fece eco l’altro, “Appartenete per caso alla famiglia del signore di questo borgo?”
Sono suo figlio.”
Piacere di conoscervi, io sono fratello Roland.”
Il ragazzo annuì. “Fratello Roland,” ripeté.
Posso fare qualcosa per voi?” chiese di nuovo il Templare.
L’altro prese un gran respiro. “Posso rimanere qui a parlare un po’ con voi?” domandò.
S, certo. Naturalmente. Che cosa volete sapere?”
Qualcosa sulla vita nell’Ordine, magari.” Fece una breve pausa, poi con aria sognante soggiunse: “È bella, vero?”
A quelle parole, fratello Roland si sentì invadere dall’amarezza. Senza rispondere alla domanda, disse: “Voi state meditando di entrare nell’Ordine.”
Sì, è così!” esclamò il ragazzo con slancio.
Beh, non fatelo,” lo raffreddò il Templare, “a meno che non abbiate tutta questa voglia di passare la vita in povertà, a obbedire senza discutere a ogni ordine che vi viene impartito dai vostri superiori.”
L’altro abbassò gli occhi, poi rispose: “Io non sono fatto per la vita di corte, signore. Non amo le feste e lo sfarzo, mentre ricerco la semplicità e la vita in comune con altri fratelli. Voglio dedicare la mia vita a combattere per Cristo e per la Vergine Maria.”
No, meglio di no,” replicò il cavaliere. “Magari sareste contento per i primi mesi, forse per un anno, ma poi ve ne pentireste, e io avrei il rimorso di non avervi dissuaso quando ne avevo la possibilità.”
Voi non potete dissuadermi, signore,” fu la candida risposta del ragazzo, “Io ho già preso la mia decisione. Non ambisco ad altro che a portare la croce e a combattere i nemici della fede.”
L’amarezza di fratello Roland si fece se possibile ancora più profonda. “Combattere, dite? Guardate un po’ laggiù,” gli indicò il gruppetto di fratelli di mestiere impegnati a vendere i prodotti della commenda, “Quelli sono gli unici combattimenti cui potrete anelare se entrerete nell’Ordine.”
Il ragazzo lo fissò ammutolito.
Voi immaginavate Outremer, vero? Sconfiggere i saraceni, liberare il Santo Sepolcro.”
Sì, è così.”
Beh, nulla di tutto questo vi aspetta, se entrerete nell’Ordine. Andate a parlare con fratello Olivier, se non credete a me, è quello in piedi laggiù.” Gli indicò il confratello. “E ora, scusatemi, devo tornare ai miei doveri.” Si alzò, rivolse al ragazzo un rapido inchino del busto, quindi se ne andò.

Gwenel rimase per un po’ a fissare confuso le ampie spalle del Templare che si allontanava. Forse aveva sbagliato qualcosa, aveva parlato a sproposito senza rendersene conto. Non riusciva a spiegarsi, altrimenti, perché il cavaliere se ne fosse andato in quel modo così brusco.
Si voltò verso il gruppetto di fratelli di mestiere, ponderando l’eventualità di andare a parlare anche con quel fratello Olivier di cui fratello Roland gli aveva parlato, ma mentre stava per farlo udì un aumento dei clamori nella piazza. “I cavalieri!” sentì gridare.
Subito si infilò tra la folla e corse a vedere.
Quando capì di cosa si trattava, stabilì che era il Cielo che gli stava mandando un messaggio: stava passando un drappello di Templari in armi. Cavalcavano a due a due, disciplinati e maestosi nei loro manti bianchi con la croce scarlatta sulla spalla. Uno dei cavalieri della prima fila reggeva il Beauceant, che sventolava lieve nella brezza. Non provenivano dalla colonna altri rumori che lo scalpiccio degli zoccoli e il tinnire del metallo.
Gwenel sentì il cuore balzargli nel petto. Fu certo di non aver mai visto uno spettacolo più bello, più solenne e più esaltante della silente compagine che stava in quel momento percorrendo la strada maestra, e desiderò con tutto se stesso di farne parte.

§

I pugni puntati sui fianchi, fratello Adrien fece scorrere lo sguardo critico sul cortile. “Spazzate di nuovo,” ordinò poi. I servi raccolsero le ramazze e in silenzio cominciarono a darsi da fare.
Il cavaliere si diresse alle scuderie. “Qui è tutto a posto?” chiese, scrutando dubbioso il candido edificio.
Sì, signore,” rispose il capo dei garzoni di stalla.
I cavalli sono stati strigliati? I pavimenti sono puliti?”
Sì, tutto a posto, signore.”
Vediamo.” Si introdusse risoluto nella costruzione.
Poco distanti, fratello Roland e fratello Olivier, le braccia conserte sul petto, fissavano i servi che spazzavano l’immacolato cortile. “È la terza volta che glielo fa rifare,” constatò il primo perplesso.
Devi avere pazienza,” rispose l’altro, “è un po’ agitato.”
Perché?”
Oggi vengono i cavalieri tedeschi, non vuole sfigurare.”
Arrivano dei Templari dalla Germania?”
Fratello Olivier scosse la testa. “No, i cavalieri Teutonici di Metz. Fratello Adrien è preoccupato di non fare un’impressione sufficientemente solenne sui nostri fratelli minori.”
L’altro non rispose. Almeno i cavalieri Teutonici combattevano contro i pagani in tutta l’Europa dell’est. Almeno non erano famosi perché prestavano denaro al re, ma perché facevano le crociate. Rievocò l’immagine dell’imponente maniero di Metz e di nuovo trovò la parola ‘minori’ decisamente fuori luogo. “Cosa vengono a fare?” chiese dopo un po’. Sperò che fosse un incontro in previsione qualche attività marziale.
Fratello Geoffroy ha comprato da loro dei cavalli da tiro della Livonia. Oggi ce li portano.”
Capisco,” fu la delusa risposta.
Ti aspettavi per caso una giostra?” chiese fratello Olivier, con l’aria di considerare la cosa molto buffa.
L’altro non rispose. Da qualche mese a quella parte, nulla di ciò che accadeva corrispondeva più a ciò che si sarebbe aspettato, per cui rinunciò a parlare.
Poco dopo, vide il fratello portinaio saltare su dalla sua sedia. L’uomo era lo stesso che lo aveva accolto al suo arrivo, ma questa volta gli era stato categoricamente vietato di stare a piedi nudi e vestito in modo sciatto: aveva le scarpe ben lucidate e una tunica di lana scura [2] su cui spiccava la croce scarlatta.
Tutti si voltarono in direzione del portone che si stava lentamente aprendo.
Il primo a entrare fu un cavaliere in sella a un poderoso destriero da guerra grigio. Portava un semplice elmo alla normanna, l’usbergo e il mantello bianco con la croce nera sulla spalla. Dietro di lui venivano un sergente e alcuni soldati. Quattro di essi conducevano per la cavezza altrettanti cavalli da tiro dal manto baio lucidato a specchio, alti ciascuno non meno di diciassette palmi al garrese.
Belle bestie,” commentò qualcuno alle spalle di Roland.
Quelle a quattro zampe,” specificò un altro. Serpeggiò qualche risatina.
Silenzio!” ingiunse fratello Geoffroy, quindi andò incontro al cavaliere che stava smontando di sella.
Fratello Roland lo seguì attento con lo sguardo. Non riusciva a sentire quello che si dicevano, ma vide il tedesco togliersi l’elmo e farsi scivolare indietro il cappuccio di maglia, rivelando una capigliatura biondo pallido. Era alto un bel po’ più di fratello Geoffroy, e dava l’impressione di potersi caricare in spalla senza sforzo uno dei quattro cavalli che aveva portato.
Evidentemente parlava il francese, perché lui e fratello Geoffroy si scambiarono una serie di convenevoli. Infine fece un cenno, e i soldati gli condussero i cavalli da tiro.
Di nuovo lui e il commendatario parlarono un po', poi le lunghine passarono di mano, e le bestie vennero menate alle scuderie.
A quel punto, fratello Roland si rivolse a fratello Olivier: “Che ne pensi?”
L'altro corrugò appena la fronte. “È uno abituato a stare con la spada in mano, viene dal nord della Germania, tende ad essere di carattere irruente. Posso anche ipotizzare che non sia qui in Francia da tanto tempo, sebbene parli bene il francese.”
E tu come fai a saperlo?”
Fratello Olivier si strinse nelle spalle. “Ho osservato, ho dedotto,” rispose semplicemente. E al silenzio del confratello soggiunse: “Sembra che stia parlando amabilmente, ma non vedi come tiene d'occhio tutto? Questo è uno che ha imparato a sue spese a non abbassare mai la guardia.”
Fratello Roland annuì con uno strano senso di soddisfazione. “Vado a presentarmi,” disse poi.
L'altro aggrottò le sopracciglia. “Cosa? Perché dovresti farlo?”
È un cavaliere, sono curioso di conoscerlo.”
Non ci pensare nemmeno, si farà l'impressione che siamo un branco di cialtroni insubordinati. Che figura fai fare a fratello Geoffroy?”
Fratello Roland rispose: “Farà la figura di un commendatario cortese, che presenta i suoi fratelli cavalieri all'ospite.” Detto questo, si mosse per avvicinarsi ai due.
Non aveva fatto il primo passo che il cavaliere tedesco aveva già rivolto verso di lui uno sguardo acuto di rapace. Si fissarono, e fratello Roland vide nella sua espressione una conferma delle ipotesi di fratello Olivier. Gli sorrise.
L'altro gli restituì il sorriso, poi si voltò verso fratello Geoffroy e disse: “Tutti parlano con giusta ragione del grande valore dei Templari. Posso avere l'onore di conoscere i cavalieri di questa magione?”
Questa è solo una piccola commenda,” si schermì fratello Geoffroy, “ci sono più che altro fratelli di mestiere e studiosi.” Fece una breve risata e soggiunse: “Come me, ad esempio. Non ho più l'età per combattere, per cui ora mi dedico ai libri.”
Voi non siete di certo più vecchio del priore che comanda il castello da cui provengo, signore,” replicò il tedesco, “e lui è quello che combatte più di tutti, a Ritterswerder.”
C'è anche da dire che qui, come vedete, non abbiamo molte occasioni di combattere.”
L'altro annuì. “Lo so fin troppo bene, signore,” rispose con un sospiro.
Roland, che stava seguendo lo scambio, a quel punto si avvicinò ulteriormente. Il commendatario sembrò accorgersi di lui solo in quel momento. Sorrise in un modo che al cavaliere parve quasi di sollievo, poi disse: “Ma ecco qui un vero combattente, direttamente da un castello dell'Andalusia: fratello Roland.” Lo prese familiarmente per una spalla, lo sospinse verso l'ospite. “Fratello Roland, questi è fratello... Friedrich?” Il tedesco annuì, l'altro assunse l'espressione dell'alunno che ha risposto a una domanda tirando a indovinare e vede il precettore soddisfatto. “È fratello Friedrich, dell'Ordine Teutonico. Vorresti essere così gentile da fargli visitare la commenda?”
Ma certo, signore.”
Ah, molto bene. Molto bene. E ora scusatemi, ma i miei doveri mi reclamano. È stato un piacere, fratello Frédéric.”
I due lo guardarono allontanarsi, poi si scambiarono un'occhiata. “Friedrich von Rotburg,” si presentò di nuovo il tedesco tendendo la mano.
L'altro la strinse. “Io sono fratello Roland.”
Piacere di conoscervi.”
Piacere mio,” rispose il Templare, quindi disse: “Beh, venite con me. Da cosa preferite cominciare, la vigna, il forno o la stalla?”
La risposta del tedesco giunse lapidaria: “Da dove vi addestrate con le armi.”
L'altro, che aveva già mosso qualche passo, si immobilizzò e si girò verso di lui. Si scambiarono un secondo lungo sguardo. Alla fine, fratello Roland ripeté: “Venite con me.”
Lo condusse al campo di addestramento. Si accorse di guardarsi intorno, e l’inconfessato motivo era evitare che altri confratelli si unissero a loro. Aveva l'impressione di essere un animale selvatico che ha finalmente trovato del cibo, e va a nascondersi nel folto della foresta, al riparo da chi possa portarglielo via.
Arrivarono al limitare di uno spiazzo circondato da una pista da galoppo e disseminato di manichini di paglia e ostacoli di vario genere. Non c'era nessuno. “Qui è dove ci alleniamo,” disse.
Il tedesco annuì grave, poi replicò: “Il valore in battaglia dei cavalieri Templari è leggendario. Tutti ne parlano, per cui ero curioso di vedervi combattere.”
Ecco... come vi ha detto fratello Geoffroy, questa è solo una piccola commenda.”
Ma voi siete un cavaliere.”
L'altro sentì il cuore accelerare i battiti. “Che intendete dire?”
Che nessuno ci impedisce di combattere un po' fra noi.”
Fratello Roland esitò qualche secondo, ma poi scosse la stessa. “Ecco, veramente dovrei chiedere il permesso a fratello Geoffroy. La Regola ci vieta di esercitarci senza l'autorizzazione di un superiore.”
L'altro annuì grave. “Capisco,” disse. Poi, dopo una pausa: “Siete qui da molto?”
Qualche mese.”
E vi piace?”
È il mio dovere, che mi piaccia o meno è irrilevante.”
Cominciarono a camminare fianco a fianco. L'aria era tiepida, e piena del cinguettio degli uccelli e del frinire di migliaia di insetti. Le viti rigogliose mostravano già i frutti che di lì a qualche mese le avrebbero piegate verso terra. Intenti alle loro occupazioni, i fratelli di mestiere si inchinavano rispettosamente vedendoli passare.

Oltrepassarono i campi, raggiungendo una zona incolta nella quale c'erano i resti di un’antica cappella. Il rudere era ombreggiato da grandi alberi e coperto di rampicanti. “Questo è il posto che preferisco,” disse il Templare.
Fratello Friedrich si guardò intorno, poi si girò verso la commenda, che da lì appariva come un insieme di casette bianche col tetto di paglia, disposte intorno ai due edifici di pietra come le pecore intorno a un pastore. Sembrava un pacifico villaggio di contadini, più che un convento di frati guerrieri.
Si voltò di nuovo verso il Templare: alto, dritto, una cicatrice bianca che gli tagliava una guancia. La pelle era abbronzata, le mani indurite dall’uso della spada. Gli occhi erano scuri, penetranti, ma vi si coglieva una malinconia profonda, da animale selvatico obbligato alla cattività.
Dove avete combattuto?” gli chiese.
L’altro sembrò animarsi. “Sono stato tre anni ad Arcos de la Frontera, tre ad Aguilar e poi uno a Murcia.”
Avete sempre combattuto contro i saraceni, quindi.”
Sì, è così. E voi?”
Conoscete la Livonia?”
Ne ho sentito parlare. Voi avete combattuto là?”
Il tedesco annuì. “Quattro anni ad Ascheraden, due a Christmemel, uno a Georgenburg e due a Ritterswerder.”
È da parecchio che combattete.”
Da quando avevo diciassette anni, e voi?”
Diciotto.”
Fratello Friedrich si sedette su una pietra. “E adesso siamo qui,” concluse con un sospiro.
Fratello Roland prese posto accanto a lui e disse: “Nemmeno voi siete contento di aver abbandonato i combattimenti, vero?”
Il tedesco si girò a fissarlo negli occhi. “Vi risponderò come avete fatto voi con me: è il mio dovere, che io ne sia contento o meno è irrilevante.”
L’altro rimase in silenzio per qualche istante, quindi constatò: “Vedo che ragioniamo allo stesso modo.”
Mi pare di sì,” assentì il primo.
Passò un po’ di tempo, nel quale i due rimasero in silenzio ad ascoltare lo stormire delle fronde agitate dalla brezza. Infine il Templare chiese: “Come mai parlate così bene la mia lingua, fratello Friedrich?”
L’altro sorrise quasi con imbarazzo. “Da ragazzo volevo leggere i poemi di Chrétien de Troyes e non li trovavo tradotti in tedesco, così ho chiesto a mio padre di procurarmi un precettore che mi insegnasse il francese.”
Allora sono stato fortunato.”
Perché?”
Perché così posso parlare con voi.”
Fratello Friedrich rimase in silenzio per un po’, quindi rispose: “Anch’io sono stato fortunato.”
Simultaneamente si voltarono l’uno verso l’altro, ma prima che il tedesco potesse aggiungere altro, sentirono qualcuno chiamarli. Subito fratello Roland scattò in piedi. “Temo che ci siamo attardati oltre il consentito,” disse, e senza aggiungere altro si incamminò rapido.
Fratello Friedrich lo seguì pensoso. Forse era ancora troppo abituato agli spazi ampi della Livonia, alle pianure che si estendevano a perdita occhio e alle galoppate nella neve, ma più passavano i giorni, più i vigneti e i campi della Lorena gli sembravano soffocanti. E non erano solo le coltivazioni a inquietarlo, ma anche la generica aria laboriosa, pacifica e tranquilla che sembravano avere tutti, Templari inclusi.
L’incarico di portare i cavalli alla commenda, che inizialmente lo aveva riempito di aspettativa e curiosità, gli stava suscitando una sensazione di disagio simile a quella che avrebbe potuto provare nel vedere una belva feroce costretta alla catena.
Nel cortile c’erano altri tre cavalieri, che egli giudicò coetanei di fratello Roland. “Eccovi qui!” li apostrofò uno di essi, alto e con i capelli chiari. “Dove vi eravate nascosti?”
Ignorando la domanda, l’altro rispose: “Fratello Olivier, ti presento fratello Friedrich von Rotburg, dell’Ordine Teutonico.” Poi, rivolto al tedesco: “Questi sono i miei confratelli: fratello Olivier, fratello Philippe e fratello Séverin.”
Ci fu uno scambio di strette di mano, poi fratello Séverin, un giovanottone con le spalle larghe e l’espressione volenterosa, domandò: “Avete già visitato la nostra chiesa?”
In effetti no,” rispose fratello Friedrich.
Che ne direste allora di vederla? Abbiamo un po’ di tempo prima che suoni la campana della cena.”
Fratello Friedrich annuì. “La vedrei molto volentieri.”
Intervenne quello che era stato presentato come fratello Philippe: “Parlate molto bene il francese, signore.”
Il tedesco gli rivolse un leggero inchino del busto. “Grazie, i vostri poeti epici mi hanno conquistato e mi hanno spinto ad apprenderlo.”
L’altro parve stupito. “I nostri poeti epici?”
Chrétien de Troyes, Robert de Boron...” I volti perplessi dei suoi interlocutori lo convinsero a interrompere l’elenco.
Noi non leggiamo queste cose,” concluse lapidario fratello Olivier, “quando non siamo impegnati ad allenarci o a svolgere i nostri servizi, preferiamo ascoltare le Scritture.”
Capisco.”
Intervenne di nuovo fratello Séverin: “Entriamo in chiesa, fratello?”
Volentieri.”
Mentre lo seguiva all’interno dell’edificio, fratello Friedrich lo osservò: era sicuramente più muscoloso di fratello Roland, ma non aveva certo la sua andatura elastica da predatore. Le sue mani robuste davano l’idea di poter spezzare in due un ferro di cavallo, ma erano lisce come quelle di uno scrivano. Pensò che sarebbe potuto essere un ottimo boscaiolo, o magari un fabbro, mentre stentava a immaginarlo nell’atto di combattere.
Cercò con lo sguardo fratello Roland, che subito lo raggiunse e si portò al suo fianco.

§

Il primo mattino era la parte del giorno in cui nella commenda fervevano maggiormente i lavori: c’erano gli animali da rigovernare, bisognava cominciare a cuocere i pasti, si facevano le pulizie e si sistemavano gli alloggi.
Un po’ in disparte rispetto a tutta quell’attività, fratello Friedrich e fratello Roland camminavano lentamente fianco a fianco. “E così ve ne andate?” domandò il francese.
Sì, i miei doveri mi chiamano al castello di Metz,” rispose l’altro. Si voltò verso i suoi soldati, che gli stavano sellando il destriero, poi soggiunse: “Mi dispiace di non aver duellato con voi.”
Anche a me dispiace.”
Avremo altre occasioni, spero.”
Fratello Roland scosse la testa. “Non credo. Voi non conoscete la nostra Regola, ma vi posso dire che su certe cose è molto rigida. Se io combattessi senza permesso, perderei l’abito.”
L’altro lo fissò stupito. “Davvero?”
È la Regola.”
Come fate allora ad allenarvi? Il valore dei Templari è leggendario, e non posso credere che si acquisisca facendo poco esercizio solo quando lo permettono i superiori.”
Fratello Roland alzò le spalle e rispose: “L’avete visto anche voi: in questo posto si privilegiano le attività dei fratelli di mestiere rispetto all’uso della spada. Fratello Geoffroy è un uomo dedito alla contemplazione e allo studio, più che altro.”
Capisco,” rispose fratello Friedrich, anche se in realtà non capiva affatto. Che senso aveva essere cavalieri, passare una vita a imparare l’uso delle armi, se poi tale uso veniva sottoposto a tali e tante restrizioni da impedirne formalmente la pratica? Riconosceva i buoni combattenti a colpo d’occhio, e quel fratello Templare lo era senza dubbio. Possibile che i suoi superiori lo obbligassero alla sola vita da monaco, togliendogli quasi del tutto quella del guerriero?
Ci deve essere un modo,” disse dopo un po’.
In quel momento li raggiunse fratello Geoffroy. “Fratello Frédéric,” lo salutò, “volete già lasciarci?”
Come dicevo a fratello Roland, signore, i miei doveri mi chiamano a Metz.”
Ah, già. Certamente, vi capisco. I doveri non si possono trascurare.”
Cercando di ignorare il fatto che il commendatario appariva decisamente sollevato all’idea di vederlo partire, fratello Friderich lanciò una fugace occhiata a fratello Roland, quindi disse: “Avrei un’ultima grazia da chiedervi, signore.”
Fratello Geoffroy lo fissò stupito. “Una grazia?”
Sì, signore.”
Ebbene, che cosa vorreste, fratello? Se è in mio potere, ve la concederò volentieri.”
Il tedesco fece un lieve sorriso e rispose: “È di certo in vostro potere, signore. Tutti conoscono il valore in battaglia dei cavalieri del Tempio, vi chiedo la grazia di concedere a me e ai miei confratelli l’onore di combattere con loro in un torneo.”
La richiesta lasciò il commendatario per qualche istante senza parole. “Un torneo?” ripeté alla fine.
À plaisance [3],” specificò il tedesco.
L’altro scosse con decisione la testa. “Ma è un evento troppo mondano, cavaliere. È contro la Regola.”
Sarebbe solo per allenamento, signore. Niente spettatori, insegne o altri strumenti di vanità.” Lanciò uno sguardo a fratello Roland e concluse: “Solo onorevole combattimento.”
Fratello Geoffroy si sistemò la tunica con gesti vagamente nervosi, poi borbottò: “Beh, cavaliere, la vostra richiesta non è delle più usuali, lasciatemelo dire.”
Ne sono consapevole.”
Il commendatario si prese il mento fra le dita con fare pensoso. Fratello Friedrich ebbe l’impressione che volesse rifiutare, ma al tempo stesso non volesse mettersi in cattiva luce con l’Ordine Teutonico. “Voi cosa ne dite, fratello Roland?” chiese infine.
L’interpellato prese un respiro e socchiuse gli occhi come assorto nell’intento di dare la migliore risposta possibile. Infine disse: “Io credo che un torneo senza pubblico e insegne non sarebbe un evento mondano, ma solo necessario e utile allenamento.”
Fratello Geffroi annuì grave. “Ci penseremo,” proferì infine. “Valuteremo. Chiederò anche il parere del Siniscalco.”
Vi ringrazio, signore,” disse fratello Friedrich, poi fece un cenno al sergente, che subito inquadrò gli uomini per la marcia. Un soldato gli portò il cavallo.
Il cavaliere controllò il sottopancia, poi mise le redini sul collo dell’animale e si preparò a montare in sella. “Arrivederci, signore,” disse al commendatario, “è stato un onore conoscervi. Parlerò al mio priore della vostra cortese ospitalità.” Si voltò poi verso fratello Roland. “Arrivederci anche a voi. Confido che presto potremo incrociare le spade.” Si guardò intorno alla ricerca degli altri cavalieri, ma non li vide da nessuna parte.
Salì a cavallo, e con un ultimo cenno di saluto si diresse verso il portone.

§

La commenda di Vaux comparve dietro una curva. A quella vista, la mula bianca allungò il passo con tale vigore che il fratello di mestiere che la accompagnava rischiò di vedersi strappare dalle mani la corda della cavezza. “E sta’ buona!” protestò l’uomo, cercando di riportarla all’obbedienza con uno strattone.
Fratello Roland, che cavalcava qualche passo più indietro, osservò muto la scena. Pensò che bisognava proprio essere muli, per aver voglia di tornare in un posto dove non c’era altro da fare che lavori agricoli.
A quel pensiero, il senso di colpa lo attraversò come una fitta di dolore: stava mettendo in discussione il voto di obbedienza. Se i suoi superiori, ispirati da Dio, avevano stabilito di mandarlo a Vaux, dovevano avere delle ragioni che lui, nella sua imperfezione e fallacia, non poteva capire. Erano la superbia e l’orgoglio a instillargli pensieri simili, e probabilmente avrebbe fatto bene a parlarne quanto prima a fratello Geoffroy, aprendogli il proprio cuore e invocando il perdono. Si voltò verso fratello Olivier, che cavalcava come se stesse scortando la reliquia della Vera Croce. L’altro gli restituì lo sguardo e gli chiese: “Che c’è, sei stanco?”
Roland scosse la testa. “Stavo pensando.”
A cosa?”
Niente di particolare.” Tacque per qualche secondo, poi soggiunse: “Quando a Metz siamo passati davanti al castello dei cavalieri Teutonici, ho guardato se c’era fratello Friedrich.”
Fratello Olivier sollevò le sopracciglia come di fronte a un’inaspettata eccentricità. “E perché mai?” gli chiese.
Mi sarebbe piaciuto fermarmi a salutarlo.”
L’altro assunse un’espressione incredula. “Bontà divina!” protestò, con un tono a metà fra l’esasperazione e lo sbalordimento, “E perché mai avresti dovuto fare una cosa del genere? Quando andiamo a Metz non lo facciamo certo per svagarci, ma per servire il Tempio.”
Credo che potremmo intrattenere buoni rapporti con i cavalieri tedeschi.”
A che ci servirebbe?”
Sono cavalieri.”
E quindi?”
Le regole della cavalleria...” cominciò fratello Roland, ma fratello Olivier, in tono brusco, lo interruppe: “Noi abbiamo solo una Regola da seguire, ed è quella del Tempio.”
Ma...”
Ti prego di non insistere, se la gente ci vedesse discutere tra noi, potremmo dare un cattivo esempio. Ne riparleremo quando saremo arrivati, se proprio ci tieni.” Detto questo, fratello Olivier volse lo sguardo in avanti e si chiuse in un ostinato silenzio.
Fratello Roland chinò appena il capo. Stava calando la sera, e intorno alla commenda stava sorgendo un piccolo villaggio di ripari di fortuna, eretti dai medicanti che di buon mattino sarebbero andati a prendere le elemosine elargite dal Tempio. Qua e là brillava qualche piccolo fuoco di bivacco, gruppetti di bambini sudici si rincorrevano schiamazzando. Una vecchia che camminava reggendosi a una stampella si fermò a guardarli mentre passavano e si fece il segno della croce.
Fratello Roland pensò per l’ennesima volta al ritorno dalla fattoria di Pozo Aledo, e di nuovo una cocente fitta di nostalgia lo fece soffrire.
Il portone della commenda si spalancò, lasciando intravedere il cortile, nel quale i fratelli di mestiere si muovevano intenti alle loro occupazioni.
Anche il suo cavallo a quel punto allungò il passo, ed egli non fece nulla per trattenerlo. Si lasciò anzi portare quasi docilmente, e quando ebbe varcato la soglia gli permise di raggiungere lo spiazzo davanti alla scuderia.
A quel punto smontò di sella, e rimase piuttosto stupito nel sentirsi chiamare da fratello Geoffroy.
Avete bisogno di me, signore?” chiese rivolgendogli un breve inchino del busto. Per un attimo fu attraversato dal pensiero che il commendatario volesse riprenderlo per lo scarso entusiasmo con cui serviva a Vaux, ma l’altro gli disse: “Finalmente sei arrivato, fratello. Molto bene, ti attendevo con ansia.” Prima che l’altro potesse replicare, proseguì: “Vieni con me.”
Lo precedette all’interno dell’edificio del Capitolo. “Vieni,” ripeté, quasi in tono di rattenuta urgenza, poi raggiunse la porta del suo studio. La aprì e annunciò: “Eccolo.” Poi, rivolgendosi di nuovo a lui: “Vieni, entra.”
Lo spinse all’interno della stanza.
Fratello Roland si guardò intorno, e alla luce incerta di una candela che ardeva sulla tavola vide che sullo scanno normalmente usato da fratello Geoffroy sedeva un’altra persona. Si fermò perplesso: il nuovo arrivato portava il manto bianco dell’Ordine, ma il cappuccio calato fin sugli occhi impediva di distinguere qualsiasi cosa del suo volto. Le braccia erano conserte sul petto, e le mani infilate nelle maniche della tunica.
È lui,” disse fratello Geoffroy, rivolgendosi al misterioso personaggio.
Fratello Roland volse lo sguardo verso il commendatario in una muta richiesta di spiegazioni.
Credo sia quello più adatto,” proseguì questi, continuando a ignorarlo in favore del misterioso ospite, “ma l’ultima parola spetta a voi, naturalmente.”
Passò qualche istante di completa immobilità. Il silenzio era rotto solo dal lieve crepitare della candela, i tremolii della fiammella gettavano ombre inquietanti sulla figura paludata di banco.
Fratello Roland tese i muscoli mentre lo invadeva una sensazione di allarme, e dovette fare uno sforzo di volontà per non arretrare verso la porta.
Il commendatario sembrò accorgersene, perché gli mise una mano sulla spalla e di nuovo lo spinse avanti.
A quel punto, il visitatore si alzò lentamente in piedi. Il Templare percepì uno sguardo acuto provenire dal buio del cappuccio. Uno sguardo indagatore, attento, che lo scrutava con inquietante meticolosità.
Chi siete, signore?” osò chiedere.
Alla domanda fece seguito un lunghissimo silenzio. Poi, quando ormai fratello Roland si era convinto che non avrebbe ricevuto alcuna risposta, si fece udire la voce del nuovo arrivato: “Voi chi pensate che io sia, fratello?”
Il timbro era maschile, autorevole. Vi si percepivano saggezza e forza d’animo, ma anche un’inflessibile durezza.
Il Templare tentennò. “Non saprei, signore. Portate il mantello dell’Ordine, ma non credo di avervi mai visto, né ricordo la vostra voce.”
Non mi avete mai visto,” confermò l’altro pacato.
Seguì un altro lungo silenzio, poi fratello Roland chiese nuovamente: “E allora chi siete, signore?” Pur rispettoso, il tono aveva assunto una lieve nota di durezza.
Fratello Geoffroy fece per intervenire, ma l’uomo incappucciato liberò una mano dal viluppo delle maniche, e protendendola verso di lui in un gesto ieratico disse: “Lascia. Voglio vedere che indole ha.” Le braccia tornarono a incrociarsi sul petto. “Voglio vedere se è adatto ai nostri scopi.”
Quali sarebbero questi scopi?” ringhiò fratello Roland, facendo un passo indietro. Fratello Geoffroy cercò di trattenerlo, ma il più giovane si liberò con una nervosa scrollata di spalle. “Chi siete voi? Che cosa volete da me?”
Voi avete formulato un voto di obbedienza,” gli ricordò con voce dura l’uomo incappucciato.
Un voto di obbedienza ai superiori designati dal Tempio, non a chicchessia.”
Pensate che io non sia uno di essi? Eppure vesto il manto dell’Ordine, e come vedete il vostro commendatario mi porta rispetto.”
Fratello Roland strinse i denti. “Dimostratemi che appartenete al Tempio. Fatemi vedere il vostro volto.”
Altrimenti?”
Altrimenti devo pensare che siate un impostore,” disse l’altro. Il suo sguardo si fece cupo, ed egli arretrò mettendo mano all’elsa della spada.
Fratello Roland!” esclamò il commendatario afferrandogli il polso. “Che stai facendo?”
Chi è costui?” ringhiò l’altro di rimando. “Che cosa vuole da me?”
L’incappucciato, che aveva seguito impassibile la scena, a questo punto disse: “Ho visto abbastanza.”
Seguì qualche secondo di un silenzio carico di tensione, poi fratello Geoffroy chinò il capo e sospirò: “Vi prego di perdonarmi se non ho saputo scegliere in modo adeguato.”
Al contrario. La vostra scelta è stata ottima.” Si rivolse a fratello Roland: “Domani inizieremo.”
Domani inizieremo che cosa?” fu la diffidente replica.
Intervenne a questo punto fratello Geoffroy: “Torna agli alloggi, spogliati dell’usbergo e va a consumare il pasto serale con i confratelli. A tempo debito verrai informato sui tuoi nuovi doveri.”

Fratello Roland abbandonò pensoso l’edificio del Capitolo. Paragonata alla penombra opprimente che regnava nello studio del commendatario, la morbida luce del crepuscolo gli fece stringere gli occhi come il sole di mezzogiorno. Inspirò l’aria tersa della sera, cercando di liberarsi della sensazione di disagio che l’aveva pervaso.
Riandò con la mente al giorno in cui era arrivato a Vaux: qualcuno lo aveva scelto, ma per cosa?
Ricordò che in quell'occasione il commendatario aveva fatto un nome: fratello Urbain. Si chiese se si trattasse dell'uomo con cui aveva appena parlato.
Se fosse stato davvero lui, con il comportamento che aveva tenuto nei suoi confronti rischiava come minimo di perdere l'abito. La cosa in realtà non lo spaventò particolarmente, non perché non gli importasse di perdere l'abito, quanto piuttosto perché aveva avuto la sensazione che il misterioso visitatore avesse in un certo senso apprezzato la sua reazione violenta.
Ricordava bene quello che l'uomo aveva detto a fratello Geoffroy: la vostra scelta è stata ottima.
Fratello Olivier gli si affiancò. Ancora immerso nei suoi pensieri, turbato, fratello Roland reagì d'istinto facendo un salto indietro.
Che ti prende?” chiese l'altro stupito.
Scusa, ero distratto.”
Togli la mano dalla spada, almeno, prima che ti veda qualcuno.”
Fratello Roland abbassò gli occhi e si accorse di aver istintivamente portato la destra all'impugnatura dell'arma. “Scusa,” ripeté.
Se ti vede fratello Adrien è capace di farne un caso di stato.” Poi, imitando il tono del cavaliere: “Un fratello che minaccia con le armi un altro fratello, inaudito!”
Ero distratto, ho agito senza pensare.”
L'altro annuì. “Me ne sono accorto. Qualcosa non va?”
No, no. Tutto a posto.”
Mentire è peccato, te l'ho già detto. Che cosa voleva il commendatario?”
Fratello Roland si voltò a fissarlo negli occhi. “Perché vuoi saperlo?” gli chiese.
L'altro sollevò perplesso le sopracciglia. “Siamo confratelli,” rispose, “Viviamo insieme, condividiamo tutto. Se ti vedo turbato, mi sembra normale chiederti che cos'hai.”
A quelle parole fece seguito un lungo silenzio. Infine, fratello Roland rilassò le spalle, che un attimo prima aveva irrigidito, e si decise a dire: “Scusami. Forse devo ancora abituarmi a questo posto, prendo tutto come un'aggressione e reagisco di conseguenza. Fratello Geoffroy non voleva niente di particolare, non preoccuparti.”
Beh, meglio così. Ti aiuto a togliere l'usbergo?”
Sì, grazie.”

Nello studio del commendatario, i due uomini sedevano al tavolo uno di fronte all’altro. Fra loro palpitava la fiamma della candela ormai mezza consumata.
Sono contento che vi abbia soddisfatto,” disse fratello Geffroy, “ho fatto molta fatica a trovarlo proprio come lo volevate.”
L’altro si fece scivolare indietro il cappuccio, rivelando un volto ascetico, magro fino all’emaciazione, solcato da profonde rughe. Nelle orbite incavate brillavano occhi neri e acuti, dallo sguardo penetrante. “È importante che risponda a certi requisiti,” rispose in tono grave, “non possiamo rischiare di affidarci alla persona sbagliata.”
La voce del commendatario vibrò di apprensione: “Siamo dunque a questo punto?”
Il primo annuì in silenzio. La fiamma danzante della candela giocava con i suoi lineamenti scavati, conferendo loro l'aspetto grottesco di una maschera. “L'Ordine si trova su un baratro,” rispose in tono cupo, “e nessuno di noi ha il potere di impedire la sua eventuale caduta. Possiamo solo attendere gli eventi e prepararci a quello che verrà, e voglia Dio che non sia ciò che temo.”
Fratello Geoffroy emise un sospiro e pregò: “Ditemi che idea vi siete fatto della situazione in cui ci troviamo, fratello Urbain.”
Outremer è perduta,” esordì l'altro, e all'espressione incredula del commendatario, proseguì: “è inutile farsi illusioni: dopo l'assedio di San Giovanni d'Acri, nessuno ha più interessi per quelle zone, e nessuno vuole più impegnarsi in una riconquista che richiederebbe un immenso dispendio di uomini e mezzi.”
Mezzi che la maggior parte dei sovrani d'Europa non possiede o non vuole impiegare nell'impresa,” interloquì fratello Geoffroy.
L'altro annuì grave, quindi proseguì: “Stando così le cose, vedete bene che il nostro Ordine è in pericolo: siamo nati per difendere i luoghi santi, ma i luoghi santi non ci sono più. E quindi, i migliori combattenti della Cristianità, un esercito di ventimila cavalieri sparso in tutta l'Europa, che risponde del proprio operato solo al Papa, cominciano a non essere visti di buon occhio dai sovrani.” Fratello Urbain si alzò e cominciò a camminare lento per la stanza, apparendo e scomparendo nel cerchio di luce della candela. “C'è chi ci diffama,” giunse la sua voce dal buio, “chi ci accusa di aver perduto i luoghi santi a causa della nostra viltà e inettitudine.”
Questa, poi...” sbottò fratello Geoffroy. L'altro fece un gesto come per scacciare qualche insetto particolarmente molesto e disse: “Lo sdegno è fuori luogo, fratello. Quella che vi ho riferito non è solo un'ignobile diceria: è uno degli arieti di cui si stanno servendo per cercare di sfondare le porte della nostra cittadella.” Fece una pausa, poi in tono sibillino soggiunse: “E vi dirò: non è nemmeno il più pericoloso di essi.”
Che intendete dire?”
Il Codice Ombra,” fu la risposta, che giunse dal buio come se a pronunciarla fosse stato un fantasma. “È trapelato, e già cominciano a strisciare, come serpenti odiosi, le prime voci di eresia.”
Al costernato silenzio dell'interlocutore, fratello Urbain in tono ammonitore aggiunse: “Lo sapete anche voi cosa succede durante le investiture.”
L'altro non rispose, e a quelle parole cariche di minaccia fece seguito un lungo silenzio, rotto soltanto dal frusciare della veste e dai passi di fratello Urbain, che continuava a camminare per la stanza. Dopo un po' si fece udire di nuovo la voce del Templare: “E in tutto questo, l'Ordine, che dovrebbe affrontare la temperie compatto come un muro, si sta sfaldando in dissidi interni: da una parte abbiamo de Molay che sta cercando con tutte le forze di conservare la nostra struttura militare, ma dall'altra abbiamo il Visitatore dell'Occidente, de Pérraud, che vorrebbe trasformarci in banchieri e diplomatici.” Si sedette di nuovo. “Avrete sentito quello che è successo con il Tesoriere de la Tour, immagino.”
So che ha concesso un prestito alle casse reali senza chiedere l'autorizzazione di de Molay.”
Conoscete per caso l'ammontare del prestito?”
Fratello Geoffroy scosse la testa.
Allora ve lo dirò io,” rispose fratello Urbain, piegandosi in avanti come per confidare un segreto. “Trecentomila fiorini,” scandì.
L'altro rimase in silenzio per un bel po', poi ripeté: “Trecentomila? Ma è il bilancio annuale di una piccola nazione.”
Precisamente, e de la Tour gliel'ha concesso senza chiedere alcuna autorizzazione. Era tutto denaro di creditori privati, per inciso. Non appena l'ha saputo, de Molay l'ha espulso dall'Ordine, ma de Pérraud l'ha protetto, e dicono che il Tesoriere si sia comportato nei confronti del Gran Maestro con inaudita arroganza, come chi è sicuro della propria impunità.” Fece una pausa, poi soggiunse: “Il Re è avido, il Papa incerto. Credo che dovremo prepararci al peggio.”
Fu la volta di fratello Geoffroy di alzarsi in piedi. Il commendatario prese a girare su e giù come in preda a una frenesia incontrollabile. La fiammella della candela tremolava investita dalle folate d'aria mosse dal suo mantello. “Che cosa dobbiamo fare?” disse alla fine. “Non possiamo lasciare che vada perduto tutto quello che abbiamo acquisito. Tutti gli studi, le ricerche... dove andranno a finire?”
È per questo che vi ho suggerito di trovare un fratello cavaliere che rispondesse a determinati requisiti. Non abbiamo più molto tempo, credo.”

§

Fratello Roland affiancò il commendatario all'uscita dalla chiesa. “Signore?” lo chiamò.
L'altro lo fissò, e al cavaliere parve di cogliere un vago moto di imbarazzo. Pensò che temesse di sentirsi rivolgere domande su quanto era accaduto la sera prima, per cui lo prevenne: “Chiedo il permesso di fare allenamento con le armi, signore.”
A quelle parole, Fratello Geoffroy parve in effetti sollevato. “Con le armi?” ripeté, come se la cosa gli suscitasse qualche genere di stupore.
È troppo tempo che non faccio addestramento, signore, e questo non è bene.”
Il commendatario annuì. “Ma certo, l'addestramento è importante. Va' pure.”
Posso spingere il cavallo al galoppo [4], signore?”
Fratello Geoffroy lo fissò diffidente, e fratello Roland ebbe l'impressione che stesse valutando il rischio di un eventuale destriero azzoppato, di cui avrebbe dovuto rendere conto all'Ordine. Infine l'uomo emise un sospiro e disse: “Molto bene, va’ pure. Confido nel tuo buon senso.”
Grazie, signore.”
Fratello Roland si fece portare il cavallo dallo scudiero, montò in sella e si diresse verso il campo di addestramento.
Gli piaceva allenarsi, amava sentire in mano il peso dell’arma, e amava dominare il destriero con la forza delle gambe mentre lo lanciava alla carica, ma in quel frangente il piacere era l’ultimo dei suoi obiettivi. Aveva bisogno più che altro di pensare, e riusciva a farlo meglio se era impegnato in qualche attività marziale.
Aveva ancora davanti agli occhi l’immagine inquietante dell’uomo incappucciato. Ricordava la sua voce, autorevole e ferma, e i suoi movimenti misurati. Ne aveva tratto un’impressione di forza morale, come di chi sia in grado di porsi uno scopo e perseguirlo a discapito di qualsiasi cosa, e se da una parte quel pensiero gli aveva suscitato ammirazione, dall’altra lo aveva in un certo senso impensierito.
Ancora una volta, si chiese cosa significasse il fatto che era stato scelto. Per che cosa, poi?
Spinse il cavallo al piccolo galoppo, e a quell’andatura compì un giro di pista. Una volta che lo ebbe completato, guidò l’animale verso un rettilineo lungo il quale erano collocati a intervalli regolari dei manichini di paglia. Sfoderò la spada, che brillò nel sole del mattino, strinse le ginocchia e si piegò appena in avanti sulla sella. Allentò la presa sulle redini, e il destriero, che conosceva ormai bene il comando, si lanciò al galoppo sfrenato. Il vento nelle orecchie, gli occhi che gli lacrimavano per la velocità, fratello Roland oltrepassò i primi due manichini, godendosi semplicemente la cavalcata, quindi raggiunto il terzo sollevò la spada e sferrò un tondo dritto, decapitandolo di netto. Proseguì verso il successivo senza rallentare, ma all’ultimo momento scartò sollevando una nube di polvere, fece girare l’animale sulle zampe posteriori e invertì la direzione della corsa. Colpì di nuovo il manichino che aveva già decapitato, passò oltre e di nuovo scartò girando su se stesso. Il cavallo fece una mezza impennata, quindi riprese il galoppo.

Si allenò con intensità, sia a cavallo che a piedi. Da una parte rimpiangeva che non ci fosse qualche fratello cavaliere a condividere quell’attività, ma dall’altra si godeva quel momento di solitudine, così raro nell’Ordine.
Quando fu stanco, sedette su un tronco e si fece scivolare all’indietro il cappuccio di maglia, poi si sfilò un guanto e si passò la mano tra i capelli fradici di sudore. Piegò la testa all’indietro, e per un po’ rimase semplicemente a contemplare il cielo di smalto.
Una voce lo distrasse: “Fratello Roland?”
Con un movimento istintivo, il Templare scattò in piedi, e la mano come al solito gli corse al pomo della spada.
Fratello Olivier si stava avvicinando. “Sono solo io,” disse.
Fratello Roland emise il fiato che aveva involontariamente trattenuto. “Scusami,” rispose.
Fa niente, tanto non c’è fratello Adrien in giro.” Fece una risatina, poi soggiunse: “E io non ti denuncerò al Capitolo perché hai fatto il gesto di estrarre un’arma di fronte a un fratello, quindi puoi rilassarti.”
L’altro allontanò la mano dalla spada, quindi chiese: “Sei venuto a fare un po’ di allenamento, fratello?”
Il primo scosse la testa. “Scusami, ma oggi non ho tempo. Sono qui per chiederti un favore, in realtà.”
Un favore?”
Sì, un ragazzo vuole visitare la commenda, ma io ho da fare. Visto che tu sei libero, potresti accompagnarlo? Tanto ormai la conosci bene quanto me.”
Veramente mi stavo allenando,” gli fece notare fratello Roland.
L’ho lasciato in chiesa,” fu la risposta, “non farlo aspettare troppo, oppure diranno che i Templari sono scortesi con gli ospiti, e questo non è bene.” Detto questo, fratello Olivier si allontanò rapido. “Grazie, a buon rendere,” aggiunse poi senza nemmeno voltarsi.

Quando fratello Roland, dopo aver portato il cavallo in scuderia ed essersi tolto l’usbergo e il gambeson fradicio di sudore, entrò in chiesa, si trovò faccia a faccia con il figlio del signore di Jussy.
Voi qui?” gli chiese stupito.
La mia strada è questa,” disse il ragazzo per tutta risposta, “Io voglio entrare nell’Ordine.”
L’altro emise un sospiro. “Venite, visitiamo la commenda.”
Che cosa devo fare per entrare nell’Ordine?” insisté il ragazzo senza muoversi, “Devo parlare con il commendatario?”
Fratello Roland gli si avvicinò. Gli mise una mano sulla spalla, un gesto quasi da fratello maggiore, poi scosse la testa e disse: “Voi vedete le nostre belle armi e i bei cavalli, vedete la ricchezza delle nostre commende, ma non avete idea di quello che in realtà dobbiamo sopportare.”
A quelle parole, proferite in tono carico di amarezza, il più giovane dapprima gli rivolse uno sguardo interdetto, ma subito dopo la sua espressione si fece nuovamente decisa, ed egli disse: “Allora spiegatemelo voi, cavaliere. Voglio sapere tutto dell’Ordine.” Annuì come per sottolineare il concetto, quindi chiarì: “Voglio sapere cosa mi aspetta.”
Fratello Roland distolse lo sguardo da quello carico di entusiasmo del giovane. Per un attimo si rivide ragazzo, mentre rivolgeva le stesse identiche domande a un cavaliere con la croce scarlatta sulla spalla.
Fugacemente si chiese se, potendo tornare indietro, avrebbe fatto le stesse scelte. Se avrebbe sopportato fatica, umiliazioni, disciplina, ferite, digiuni… “Voi non sapete cosa vi aspetta,” ripeté, “Ma sapete qual è la cosa peggiore? Che se anche io vi raccontassi tutte le prove che Dio mi ha posto dinnanzi, una per una, esse non farebbero che accrescere il vostro entusiasmo e il vostro desiderio di entrare nell’Ordine.”
Ed è un male, cavaliere?”
Lo è per voi. Quella che l’Ordine ci impone è una vita molto dura, e una volta fatta la scelta di donarsi al Tempio, essa è irrevocabile. Voglio che pensiate molto bene al passo che avete in animo di fare, valutandone i pro e i contro con mente serena.”
Così parlando si spostarono nel cortile, e presero a camminare lentamente fianco a fianco. Come ogni mattina, le attività fervevano e i fratelli di mestiere andavano su e giù indaffarati come api intorno a un alveare.
Il giovane de Jussy si guardava intorno meravigliato. Vide passare un paio di cavalieri e quasi inciampò per seguirli con lo sguardo.
Fate attenzione,” gli raccomandò fratello Roland afferrandolo per un braccio. Avrebbe forse dovuto compiacersi di tanto entusiasmo, ma ne fu invece intristito, perché sapeva a quali e quante prove quello stesso entusiasmo sarebbe stato sottoposto nel corso degli anni di appartenenza all’Ordine, cominciando proprio dai primi momenti di essa, con la seconda parte della cerimonia di investitura.
Ditemi,” gli chiese, senza rallentare il passo, “Perché volete entrare nell’Ordine?”
Il ragazzo distolse a fatica lo sguardo dai due cavalieri e lo volse verso il suo accompagnatore. “Voi credete che il mio sia una specie di capriccio infantile,” disse, e il tono non era quello di una domanda.
Non lo so,” rispose il Templare con un sospiro, “Proprio per questo ve lo sto chiedendo. Ma vi avviso di una cosa: se la vostra motivazione non è pura, ben ponderata e salda, rischiate di soffrire molto nell’Ordine.”
L’altro si fermò e si voltò a fissarlo. I suoi occhi lampeggiavano ardenti. “Pensate che io adesso non stia soffrendo, imprigionato in una vita di corte che detesto?”
In tono duro, il Templare rispose: “Voi non avete idea di cosa significhi soffrire.”
Il ragazzo non replicò. Ripresero a camminare affiancati, fratello Roland si limitava a illustrargli in tono neutro le varie parti della commenda.
Alla fine, il ragazzo chiese: “Cavaliere, posso farvi una domanda?”
L’altro annuì. “Ma certo.”
Voi siete pentito della vostra scelta?”
Per qualche istante il Templare rimase in silenzio. Era pentito della sua scelta? Per un attimo rivide, nitidi come se li avesse avuti ancora davanti agli occhi, i confratelli di Murcia. Rivide le battaglie, risentì il clangore delle spade e gli acuti nitriti dei cavalli da guerra. E soprattutto rievocò il senso di calore, cameratismo e appartenenza che veniva dal rischiare la vita insieme tutti i giorni, uniti nella sofferenza come negli ideali.
No, non lo sono,” rispose.







[1] Con questo termine si intendevano genericamente i domini crociati in Siria e Palestina.

[2] L’abito bianco era riservato ai cavalieri. Sergenti, fratelli di mestiere e servi vestivano di bruno scuro, grigio scuro o nero.

[3] Ovvero un torneo nel quale ci si limita solo a lievi ferite.

[4] La Regola templare vietava espressamente di spingere il cavallo al galoppo negli addestramenti senza il permesso di un superiore.


   
 
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