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Autore: Mari Lace    17/03/2018    2 recensioni
[Cross-over DC/Yu-Gi-Oh!]
Dal primo capitolo:
Shinichi si accorse di tremare. Gin. In più, l’uomo che aveva dato l’ordine indossava una maschera con un corvo… Ricordava fin troppo bene le parole sussurrategli da Akemi in punto di morte.
“«Si vestono sempre di nero, come dei corvi…»” (...)
«D’accordo. Ma come troviamo l’obiettivo di quegli uomini? Devi darmi un indizio», disse Conan, una volta ritrovata la lucidità mentale. Il ladro aveva ragione, non era il momento di perdere la calma.
«L’uomo l’ha descritto così: un ragazzo di circa 17 anni, con i capelli neri e le punte viola, ritti a formare quasi una stella. Ha anche una frangia bionda, insomma non passa proprio inosservato. Ha anche detto che sarà quasi sicuramente spaesato, in giro per la città».

[Scritta per "The crossover challenge!" indetta da Elettra.C sul forum di EFP]
Genere: Avventura, Fantasy, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Ai Haibara/Shiho Miyano, Gin, Kaito Kuroba/Kaito Kid, Shinichi Kudo/Conan Edogawa
Note: Cross-over | Avvertimenti: Spoiler!
Capitoli:
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Kaito sorrise. «Sei molto determinata. Questo posto dev’essere molto importante per te».

La ragazza scosse la testa. «Non è il luogo in sé», disse. «Devo trovare i miei amici».

Sentendo quella frase Kaito si riscosse. Anche lui doveva trovare qualcuno, non poteva dilungarsi oltre con quella ragazza. Gli dispiaceva, però. «Capisco. I tuoi amici sono fortunati» affermò. Con un agile movimento del polso fece nuovamente apparire la rosa. «Ti auguro buona fortuna, signorina».

Lei guardò qualche secondo il fiore, pareva indecisa se accettarlo o meno. Alla fine lo prese.

«Mi chiamo Anzu» disse. «Questa rosa è il tuo modo di salutarmi?»

A Kaito sembrò che le tremasse la voce, ma non ci avrebbe messo la mano sul fuoco: lo strano accento della ragazza rendeva difficile distinguerne bene l’intonazione.

Osservandola più attentamente, notò che stava stringendo la rosa con decisamente troppa forza.

Si era lasciato distrarre dalla sua determinazione: era comunque una ragazza sola in una città che, apparentemente, non conosceva. Era normale che fosse spaventata.

Ma lui doveva andare. Mentre chiacchierava con Anzu, un ragazzo da qualche parte in città rischiava la vita.

Lo sguardo gli andò sui suoi capelli. Erano piuttosto normali, non come quelli che doveva cercare lui. Eppure era così spaesata… e ora che la guardava meglio, notò anche delle evidenti occhiaie.

Maledicendosi mentalmente, decise che non poteva semplicemente lasciarla lì.

«Da quant’è che sei in giro, Anzu? Hai mangiato qualcosa oggi?»

«No, io… Non ci ho pensato» rispose incerta la ragazza. Presa com’era dalla ricerca di Yugi e dal tentativo di raccapezzarsi in quella città sconosciuta, mangiare era stato l’ultimo dei suoi pensieri.

Era strano, ma non si sentiva neanche affamata. Era come avere un nodo alla bocca dello stomaco. «Non penso che riuscirei a mangiare» aggiunse per chiudere l’argomento.

Quando il ragazzo si era fermato a parlarle, prima persona amichevole di quella giornata, aveva provato un senso di sollievo. Si era rassicurata, ed istintivamente aveva sperato che non la lasciasse.

Era stanca, aveva girato inutilmente per ore. Non aveva ottenuto niente se non risposte sgarbate o, nel migliore dei casi, perplesse. Ma sembrava che nessuno avesse del tempo da dedicarle.

Poi era apparso lui e le aveva regalato un fiore.

Anzu sospirò. Che cosa aveva sperato? Era un ragazzo gentile, d’accordo. Ma non poteva aiutarla.

Doveva andare avanti. Certo il fatto che fosse ormai buio non l’aiutava. Vorrei che Yugi e Atem fossero qui… Scosse la testa decisa, scacciando quel pensiero. Stavolta erano loro ad aver bisogno di lei, e avrebbe fatto il possibile. Non aveva il tempo di lamentarsi.

«…mi senti?»

La voce del ragazzo la riportò alla realtà. Arrossì. Si era persa nei suoi pensieri e l’aveva completamente ignorato. «Scusami», mormorò. «Ti ho rubato abbastanza tempo. Vai pure, non preoccuparti», l’incoraggiò.

Kaito alzò lo sguardo e si grattò la testa. «Devo esserti antipatico», commentò. «Ti ho proposto di venire con me a mangiare un boccone e raccontarmi la tua situazione così da poterti aiutare, ma se la tua risposta è cacciarmi…»

Anzu non credeva alle sue orecchie. Le stava davvero proponendo il suo aiuto? E lei poteva accettarlo?

«Non so neanche come ti chiami».

Non sapendo cosa rispondere disse la prima cosa che le passò per la testa.

Kaito non riuscì a trattenere una risata.

Non se n’era reso conto, ma durante tutta la giornata aveva accumulato parecchio stress. Rilasciarlo in quel modo gli fece bene.

«Kaito Kuroba, al tuo servizio» si presentò con un mezzo inchino. «Ora però ti pregherei di andare. Dovrei cercare una persona anch’io».

Ancora un po’ incredula, Anzu annuì e seguì il ragazzo per le vie a lei sconosciute di Tokyo.

¤

«No…»

Un proiettile si conficcò nel pavimento a meno di un centimetro dalla testa di Yugi. La cosa peggiore era lo sguardo freddo dell’uomo che aveva premuto il grilletto.

Yugi non aveva mai visto uno sguardo così puramente crudele, nemmeno in Bakura. Quell’uomo biondo sembrava seriamente pronto ad ucciderlo, il liceale si ritrovò ad interrogarsi su quando sarebbe successo. Aveva paura. Non voleva morire in quel modo, senza neanche sapere in che condizioni fossero i suoi amici – specialmente Atem. Doveva fare qualcosa… ma cosa?

L’assassino vestito di nero alzò nuovamente la pistola.

«Non farmi perdere altro tempo, ragazzino. Dimmi dov’è il puzzle o muori, lo troverò comunque».

Stavolta puntava direttamente alla sua fronte. Yugi si riscoprì a tremare. Era così che finiva quindi? Veniva ucciso da uno psicopatico senza avere la possibilità di reagire?

Ingoiò un po’ di saliva.

Quelli potevano essere i suoi ultimi momenti, ma certo non avrebbe tradito i suoi amici.

Fissò la canna della pistola in religioso silenzio.

¤

«Non è carino prendere in giro gli altri», si lamentò Shinichi. «Soprattutto i bambini».

Atem aveva appena finito di raccontargli come fosse finito lì, senza omettere alcun dettaglio. Nemmeno quello di essere un Faraone vissuto migliaia d’anni prima.

Il bambino l’aveva ascoltato con aria scettica, assumendo un’espressione seccata quando aveva concluso. Era evidente che non credesse ad una parola.

«Non sono io quello che mente, qui» replicò Atem piatto. «Un ladro ha casualmente sentito un uomo sospetto ordinare di cercarmi, d’accordo. Posso crederlo. Ma perché avrebbe chiamato te?» fece una pausa e rivolse uno sguardo significativo a Conan. «Ho percepito subito qualcosa di strano in te. Non ne ero certo, ma ora lo sono. Tu non sei affatto un bambino».

Shinichi sussultò. Quella non era una domanda, quello strano ragazzo l’aveva affermato con sicurezza. Com’era possibile? Aveva scoperto il suo segreto in pochi minuti, mentre Ran – che lo conosceva da sempre – si era fatta ingannare per mesi.

Non era l’unica cosa strana. La storia raccontata dal ragazzo era piuttosto fantasiosa, palesemente inventata – la magia non esiste, su questo Shinichi non aveva dubbi –, ma lui era sembrato sincero. Non aveva dimostrato la minima incertezza mentre parlava. Uno dei vanti del giovane detective era l’essere in grado di capire quando una persona mentiva. In quel modo riusciva a scoprire molti assassini ancora prima di capire che trucco avessero usato. Ma il suo talento non sembrava funzionare con quel ragazzo. Doveva essere o un bugiardo veramente abile, o completamente pazzo. Non riusciva a capire.

«Non fare quell’espressione sconvolta, Kudo»

Shinichi si riscosse. Haibara era entrata nella stanza – o era lì da prima? Non avrebbe saputo dirlo. Aveva concentrato tutta la sua attenzione sull’estraneo.

Shiho continuò. «Da un punto di vista puramente scientifico, l’esistenza di più dimensioni alternative è estremamente probabile. Perché dovrebbe esistere un solo universo? Le probabilità sono infinite. E non mi stupirebbe affatto scoprire che alcuni di questi universi si differenziano dal nostro solo per piccoli dettagli – la magia, ad esempio».

Shinichi la guardò scettico. «La magia è un dettaglio piccolissimo, in effetti…» commentò.

Atem osservò incuriosito la piccola scienziata. Emetteva un’aura simile a Conan, probabilmente non era una bambina neanche lei. Senza probabilmente, pensandoci meglio. Mai vista una bambina che parla con tanta sicurezza della probabilità scientifica dell’esistenza di infiniti universi…

Conan si avvicinò ad Ai per non farsi sentire dal terzo ragazzo. «Vuoi dirmi che gli credi?»

Shiho socchiuse gli occhi, prendendosi qualche secondo per scegliere con cura le parole.

«Che altri universi esistano, è estremamente probabile. Che sia possibile attraversarli lo è molto meno» disse. «Certo, è più facile pensare di farlo con la magia piuttosto che con la scienza… Ma non ne so abbastanza in merito per poter giudicare». Sentiva su di sé lo sguardo del Faraone, ma non batté ciglio, anzi, prese a fissarlo a sua volta. Se la sua storia era vera, poteva essere un soggetto di studio estremamente interessante.

«C’è qualcuno» affermò Atem all’improvviso.

Conan lo guardò storto. Ora voleva convincerlo anche dell’esistenza dei fantasmi, magari?

In quel momento suonò il campanello.

Shiho non nascose la sorpresa, mentre Shinichi non sapeva come reagire. Come faceva a saperlo? Seduto sul divano dava le spalle alla porta, non poteva aver visto arrivare nessuno.

Qual era il suo trucco?

Doveva per forza esserci un trucco. Se non ci fosse stato – se fosse stata magia – tutte le sue convinzioni sarebbero state messe in discussione. Il detective non poteva neanche pensarci.

Continuando ad esaminare ogni possibilità – una volta eliminate le più assurde avrebbe trovato la verità, per quanto improbabile fosse; così insegnava Sherlock Holmes – andò alla porta.

“Qualcuno” non spiegava comunque chi fosse.

Prima di aprire esitò. Possibile che fossero gli uomini in nero..?

Potevano aver rintracciato il ragazzo in qualche modo? Se così fosse stato, il dottore era a rischio.

Non sembrava un’ipotesi probabile, però…

Con un groppo in gola, Conan aprì la porta.

Davanti a lui vide un ragazzo che non conosceva. Lo guardò meglio. Sembrava familiare…

«Shinichi?!»

La voce scioccata del dottor Agasa, materializzatosi accanto alla porta, lo stupì.

Ecco chi gli ricordava quel ragazzo: sé stesso.

Gli occhi del bambino si spalancarono mentre comprendeva.

Non sarà…

Lo sconosciuto sull’uscio sfoderò un sorriso a 32 denti. «Ti trovo bene, detective~»

¤

«Non… lo so…»

La lotta interna al ragazzino era evidente, ma contro il pentothal poteva ben poco. Non che le sue informazioni fossero troppo utili, comunque.

Se Gin fosse stato ancora nella stanza gli avrebbe sicuramente sparato; fortunatamente Vermouth l’aveva allontanato prima di procedere all’iniezione.

Studiò incerta il volto della loro vittima, Yugi Muto. Lei era l’unica nell’Organizzazione a conoscere la sua reale identità, l’unica a cui il boss avesse parlato delle altre dimensioni.

Stando a ciò che sapeva, Yugi e il Faraone, che poi era il loro vero obiettivo, condividevano lo stesso corpo. Prendere uno sarebbe dovuto equivalere a prendere l’altro. Ma quando l’aveva trovato, il ragazzo non aveva con sé il Puzzle del Millennio, l’oggetto che permetteva il contatto fra le due anime. Inizialmente aveva pensato che con il cambio di dimensione avesse cambiato forma o qualcosa del genere, ma durante l’interrogatorio di Gin lo spirito millenario non si era fatto sentire in alcun modo. Ma dov’era finito allora? Vermouth non sapeva più che pensare.

Decise che non era compito suo trarre le conclusioni di quella vicenda; le informazioni le aveva ottenute, ora l’unica cosa da fare era riferirle al boss. Spettava a lui decidere la prossima mossa.

Con lo sguardo fisso sul ragazzo ormai scivolato in uno stato d’incoscienza, considerò che poteva ancora essergli più utile da vivo che da morto; uscendo chiuse la porta a chiave, più per proteggere l’ostaggio dai più psicopatici fra i suoi colleghi che per un reale timore di una sua fuga.

  
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