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Autore: GuapaLocaa    19/03/2018    2 recensioni
Harleen lavora all'Arkham Asylum ormai da troppo tempo e non le è mai stato affidato un caso serio.
Finchè non arriva lui.
Lui che, con i suoi inconfondibili capelli e occhi verdi la plagerà, fino a portarla alla distruzione.
Perchè è molto meglio un solo momento di vita vissuta intensamente, piuttosto che cento anni passati a sopravvivere.
Genere: Angst, Introspettivo, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Harley Quinn, Joker
Note: Lemon, Lime, Missing Moments | Avvertimenti: Tematiche delicate, Violenza
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Capitolo 3

A Present for you

Il mattino seguente la dottoressa si svegliò con la schiena terribilmente indolenzita e la testa poggiata sulla scrivania.

Evidentemente doveva essersi addormentata durante il turno di vigilanza notturna, pensò ancora frastornata.

Ripensando a quello che era accaduto la sera prima, Harleen alzaò lo sguardo sulle scartoffie ancora da compilare, dove un oggetto in particolare attirò la sua attenzione.

Un bocciolo di rosa se ne stava in bella mostra sul grosso plico di fogli che invadeva il sio ufficio. Sotto di esso una carta da poker contenente un messaggio per lei:

 

Scendi a trovarmi, qualche volta.

                                                 -J

Il mittente del biglietto era abbastanza evidente.

La ragazza prese, istintivamente il fiore tra le dita, inspirandone l’odore che aveva un vago sentore di tabacco, ed immediatamente sentì le gote arrossarsi per l’imbarazzo.

Certi pensieri non sarebbero nemmeno dovuti balenarle per la testa.

 

Qualcuno bussò improvvisamente alla porta del suo ufficio, facendola sobbalzare, tanto da pungersi, accidentalmente, con una spina, osservando, nel frattempo, il suo impeccabile camice bianco, irrorarsi di quel fluido scarlatto comunemente chiamato sangue.

 

Una guardia la avvisava che il prigioniero zero era pronto a ricevere visite.

Harleen ficcò, con stizza, il bigliettino nella tasca del camice, avviandosi, poi, a grandi falcate verso la cella al centro della sua attenzione.

 

«Ti spiacerebbe spiegarmi come è arrivato nel mio studio?» chiese spavalda lei, una volta rimasti soli, al clown, mostrandogli il pezzo di carta che stringeva nervosamente tra le dite.

 

Provava un immane senso di collera ne confronti di quell’uomo che si stava bellamente facendo beffa di lei.

«Ce l’ho messo personalmente…» constatò, ovvio, lui, ridendo sornione, sdraiato sulla sua brandina.

«Non credo che alle guardie farà piacere sapere che sei uscito dalla tua cella!» lo rimbeccò la dottoressa incrociando le braccia sotto al seno, in segno di rimprovero.

Il senso di fastidio che provava in quel momento cresceva ogni attimo di più nel suo corpo.

«Beh, ma se avessi veramente voluto informarle lo avresti già fatto» la sfidò Joker, alzandosi dal letto per venirle incontro, afferrandole la mano con uno scatto veloce e portandosene l’indice tra le labbra, succhiando via un rivolo di sangue.

«Mi piace il tuo nome, Harleen… -sussurrò, poi, a un soffio dal naso della dottoressa, sistemandole dietro l’orecchio una ciocca ribelle, sfuggita al suo controllo maniacale- Sento che sei una persona con la quale potrei confidarmi, una persona che saprebbe ascoltare i miei più oscuri segreti.»

Quelle parole fecero scattare un perverso meccanismo di cause ed effetti nella mente della dottoressa.

Niente sarebbe stato più allettante dei racconti del Joker per lei, in quel momento. Si sentiva come una falena rapita dalla luce.

Aveva tra le mani un tesoro inestimabile per la stesura del suo libro. Il che le avrebbe permesso di completare il suo dottorato di ricerca col massimo dei voti.

L’offerta proposta dal detenuto era tanto invitante, quanto pericolosa, ma Harleen, in quell’istante, non se ne rendeva minimamente conto.

Tutto ciò che percepiva in quel momento era fiducia nei confronti di quello sconosciuto.

Il suo orario di lavoro era ormai giunto al termine, così, si vide costretta a rimandare la seduta al giorno successivo.

 

Una volta nel suo appartamento la dottoressa Quinzel si precipitò all’interno della doccia. Aveva bisogna di lavare via ogni traccia di spossatezza dal suo corpo martoriato.

Niente era più piacevole della sensazione purificante dell’acqua che scorreva su di lei.

Ripensò alle ultime ventiquattrore ed, immediatamente, un viso diafano, si fece spazio nella sua testa.

Harleen lasciò vagare la mente, cercando di immaginare quello che si nascondeva sotto l’austera camicia di forza del suo detenuto prediletto.

Quei pensieri poco casti si impossessarono prepotentemente di lei. Era da tanto che non frequentava un uomo e non poteva di certo negare quanto quel criminale fosse attraente.

Da sempre la donna nutriva un interesse per le personalità estreme, trovandole decisamente più impegnative e stimolanti.

All’inizio lei stessa si era diagnosticata la Sindrome di Stoccolma, capendo, solo in seguito, che ciò che più la attirava, in quei delinquenti, era l’assoluta oscurità del loro animo. Ogni avanzo di galera stuzzicava la sua mente, mostrandole fino a dove si poteva spingere un essere umano.

Joker però era diverso da tutti gli altri. Il suo paziente aveva la rara capacità di piegare gli altri al suo volere. Era una personalità totalmente carismatica ed Harleen lo vedeva come una sfida continua. Il detenuto aveva conquistato il suo cuore e la sua mente, dopo solo pochi incontri e la bella bionda, inevitabilmente, si era ritrovata ad immaginarlo nella veste di amante. Con quell’aria da dominatore, mr. Napier emanava una carica erotica capace di farle tremare le gambe al solo pensiero, facendola bagnare lì, dove nessuno entrava da tanto tempo.

Harleen, iniziò, senza rendersene conto, a stuzzicare la propria intimità, pensando a quel gangster dai capelli tinti, fino a quando non venne travolta da un violento orgasmo che la costrinse ad accasciarsi sulle fredde mattonelle del bagno.

 

Cercare di interrogare il pezzo da novanta dell’Arkham Asylum si rivelò un grosso buco nell’acqua.

Non sarebbe mai riuscita a cavargli una sola parola di bocca, lo sapeva bene, ma il piacere di sentirlo farneticare, trascinandola in quel valzer di pura follia, era impagabile.

 

Ben presto, nella dottoressa, sempre più assoggettata a quell’uomo, maturò l’idea che il Joker, descritto spesso come un pazzo furioso o come un pericoloso criminale, fosse in realtà una persona dall’animo sensibile e tormentato; un bambino afflitto e ferito che desiderava far sorridere il mondo alle sue buffonate, ma che veniva sempre ostacolato dal virtuoso e moralista Batman, determinato a rendere un inferno la vita del suo angelo.

 

Lo ammetteva: per quanto potesse sembrare poco professionale la dottoressa in poco tempo si era innamorata del suo paziente.

 

Sapeva che metà delle sue storie erano inventate, ma non le importava affatto.

Lei era stata educata a cogliere la verità tra le righe.

Jack Napier non aveva subito alcun trauma infantile, non era stato vittima di nessun abuso; lui era pazzo per scelta. Si divertiva a manipolare le menti fragili, per questo lui e la dottoressa erano due anime affini.

Quell’uomo era uno squilibrato, narcisista manipolatore pieno di sé, con un ego smisurato, ma era anche l’uomo più sexy e brillante che avesse mai conosciuto ed Harleen non riusciva a non amarlo per queste sue qualità.

Lui la stava plagiando e lei non stava facendo nulla per opporsi.

Era totalmente assoggettata a lui.

Stava lentamente diventando schiava di quel gioco perverso che l’avrebbe portata sempre più vicina al baratro.

 

Continuava a soddisfare, sottobanco, ogni vizio del detenuto, cercando di farselo amico. Non avrebbe sopportato una chiusura da parte sua.

Sei lui gliel’avesse chiesto, lei sarebbe stata capace di donargli la luna, o persino la testa del pipistrello su un piatto d’argento.

 

 

Una mattina d’autunno, come tante altre a Gotham, la dottoressa arrivò più tardi del solito al lavoro, trovando il prigioniero zero pronto ad attenderla in ufficio.

Il gangster la accolse immediatamente con un ampio sorriso, una volta valicata la soglia del penitenziario, notando che, quel giorno, la bionda era più truccata del solito.

«A cosa devo questo cambiamento dottoressa Quinzel?» domandò il carcerato, estasiato dal colore scarlatto che esaltava le labbra carnose della dottoressa.

 

«Mi dispiace Mr. J, ma questa domanda va oltre il nostro rapporto professionale» lo rimproverò lei, in realtà lusingata dalle attenzioni del suo paziente.

«Andiamo dottoressa, sono giorni che sono rinchiuso in isolamento. Mi lasci godere della sua visione» sussurrò, rilassandosi, a pochi centimetri dal collo sottile della donna che, a quelle parole, arrossì violentemente, destando l’ilarità del criminale.

 

«Perché non mi scioglie questa camicia di forza? -ammiccò poi nella sua direzione- sono sicuro che la seduta assumerebbe un aspetto più… divertente

Il cuore perse, per un momento, un battito, prendendo poi a martellare come un pazzo nel petto della povera Harleen che, senza farselo ripetere due volte, liberò il suo angelo da quel vincolo.

L’uomo con un gesto repentino assalì la donna, puntandole un machete alla carotide.

 

La psichiatra deglutì, violentemente, senza perdere la calma.

Non aveva affatto paura di quell’essere che, piuttosto, la faceva sentire… eccitata.

Lo sfidò, puntandogli contro i suoi grandi occhioni chiari.

Era una dottoressa; sapeva bene come utilizzare il linguaggio del corpo.

«Non hai paura, bambolina?» rise compiaciuto il clown, alla vista della spavalderia della ragazzina.

 

«Io credo semplicemente che quello che non ti uccide, ti rende più… strano! Me lo hai insegnato tu, no? -rispose lei afferrando la lama del coltello tra le esili dita- Se avessi voluto uccidermi lo avresti già fatto da un pezzo…» concluse poi, con un sorriso deviato stampato sul viso innocente, strappando definitivamente l’arma dalle mani del pazzo, squartandosi la pelle per riuscire nell’intento.

In un gesto disperato, la dottoressa strinse poi i capelli verdi del gangster, con la mano grondante di sangue, attirandolo a sé in un irrefrenabile bacio che avrebbe condannato, per sempre, la sua vita da quel momento in poi, fino alla fine dei suoi giorni.

 

 

 

ANGOLO AUTRICE:

Salve a tutti, mi scuso dal profondo per la mia lunghissima assenza.

Purtroppo gli impegni universitari hanno avuto la meglio sulla mia voglia di scrivere.

Stanotte mi sono mentalmente imposta di dover dare un seguito a questa storia,

così dopo un’infinità di tempo vi propongo un nuovo capitolo.

Spero di non aver tradito le vostre aspettative.

Un bacio,

                                                                                                                                           Nina

  
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