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Autore: The Custodian ofthe Doors    20/03/2018    3 recensioni
Sei volte in cui Robert Lightwood è stato un padre esemplare ma solo Alec se n'è accorto ed una in cui tutti lo hanno visto.
♦ First memory.
♦ A little secret for us.
♦ The fourth son.
♦ Have a quality.
♦ Eyes of glass.
♦ Remember.
♦ Father.
Genere: Generale, Malinconico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het, Slash | Personaggi: Alec Lightwood, Robert Lightwood
Note: Missing Moments, Raccolta | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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2- A little secret for us.
 

Max è appena nato, il grande evento è avvenuto ben sedici giorni fa e Alec lo sa perché li ha contati, così come ha contato i giorni che l'avrebbero separato dalla nascita del fratellino quando sua madre annunciò la sua gravidanza – 258 se a qualcuno potesse mai interessare-, perché lui è grande ormai, ha ben nove anni, uno sproposito in confronto al piccolo Maxwell. E visto che è grande, certo non è stupito: ha sentito spesso sua madre e suo padre parlare di quanto il bambino sia agitato, che non dorma bene la notte ma solo il giorno, che ha orari impossibili e che non fa riposare la mamma, proprio come faceva Izzy, e Alec se lo ricorda solo vagamente un pianto ininterrotto nelle notti di tanti anni fa, ma è abbastanza sicuro che fosse molto simile a quello che sentiva durante quelle, di notti.
Mamma è stanca, Alec lo vede, vede il volto sciupato, la pancia non più gonfia e soda, le spalle curve e le occhiaie e suo padre se ne è accorto come lui, per questo le aveva detto che “le notti le faceva lui”. Qualunque cosa significasse.
Izzy dorme e non sente nulla, ma come potrebbe? La sua dolce sorellina ha il sonno così pesante che è difficile farla alzare anche alla mattina, figuriamoci la sera dopo una giornata intera passata in giro per l'Istituto a correre e giocare. La camera dei suoi genitori invece è più avanti, più lontana dalle scale e dall'ascensore, quindi è possibile che il pianto di suo fratello non arrivi proprio alle orecchie della mamma e può scommetterci che Hodge deve aver applicato una runa del silenzio alla sua porta.
Ma Alec invece sente, con quella sua dannata ipersensibilità che avrà anche in futuro verso tutti coloro che ama, in particolare i suoi fratelli; sente Robert che cammina avanti e indietro un paio di piani sotto di lui, nel silenzio dell'Istituto che di notte pare ancora più lugubre di quanto non sia di giorno. Parla con il figlioletto cercando di farlo dormire, glielo chiede per favore, cullandolo e sospirando ogni volta che riceve un lamento più forte in risposta.
Alec ci sta male, dispiaciuto per entrambi, per uno che evidentemente non riesce a dormire e l'altro che vorrebbe tanto farlo ma non può, così scosta le coperte azzurre, si alza dal letto e cerca le pantofole nel buio della sua cameretta, tanto spoglia da non sembrar minimamente quella di un bambino di nove anni. Ma lui non ha mai conosciuto altri bambini della sua età, quindi non ha la più pallida idea di come sia una camera normale e forse è anche meglio, già si sente fuori posto così, non abbastanza forte e bravo per essere già allenato al combattimento come invece facevano i suoi genitori ad Alicante, figurarsi se sapesse che di solito le stanze dei bambini sono colorate e piene di giochi, di vita.
Esce di soppiatto senza far rumore, magari non sarà già pronto per il combattimento vero e proprio, ma nessuno poteva dirgli che non avesse il passo felpato degno di un cacciatore, quello proprio no, Alec era un mito nel passare inosservato. Ma purtroppo l'ascensore non è bravo come lui ed il bambino si ritrova a pensare che, aprendo le porte, avrebbe fatto troppo rumore e magari Max si sarebbe spaventato, piangendo ancora di più. Deve ammettere che l'idea di scendere le scale scure e praticamente non illuminate non gli va troppo a genio, certo, ma se vuole arrivare in salone e fare compagnia al suo papà deve rischiare.
Che nessuno osasse dire che uno Shadowhunter ha paura delle ombre, ecco.

 

Quando socchiude la porta della sala Robert gli da le spalle, è in piedi e culla goffamente il piccolo mostriciattolo urlante che si dimena tra le sue braccia, i pugnetti alzati al cielo come a voler imprecare contro quell'uomo che non stava facendo le cose nel modo giusto, che stava sbagliando approccio. Non si poteva certo dare tutta la colpa a lui però, l'unico bambino che Rober aveva fatto addormentare da neonato era stato Alec, ma dopo di lui non aveva osato toccare Izzy, forse perché sapeva che lei non l'avrebbe potuta portare da nessuna parte, a conoscere nessuno, ma ancora una volta Alec non poteva saperlo, non gli era venuto neanche lontanamente in testa, dava così per scontato che suo padre si fosse occupato anche di loro due come faceva per Max.
Quei pensieri erano bastati a farlo stazionare sulla soglia abbastanza tempo affinché l'uomo lo notasse.
Si fissarono imbarazzati per dei lunghi minuti, mentre Max continuava ad urlare come se non ci fosse un domani, ancora più irritato dall'improvvisa stasi dell'uomo.

 

<< Mamma canta sempre per farlo calmare, funziona anche con Izzy.>>

La vocina di Alec è delicata come un fiore, quel timbro cristallino e bianco che hanno i bambini, acuto come campanelle di vetro ma estremamente dolce dalle labbra di quella piccola miniatura di suo padre, i toni bassi di Alexander gli sarebbero valsi per tutta la vita una voce melodica.
Almeno quando non avrebbe tenuto il broncio e comunicato a grugniti e risposte sarcastiche.
Robert lo guarda come incantato, ricordi di una vita passata e distante che si rincorrono nella sua testa e si ripropongono con prepotenza, senza lasciargli via di fuga.

 

<< Non so cantare, sono stonato.>>

Lo confessa come farebbe un figlio al proprio genitore, come se i ruoli si fossero invertiti per un momento e rimangono tali quando Alec gli concede un piccolo sorriso, incoraggiato da quella risposta così semplice veritiera che gli fa sperare che suo padre accetti il suo aiuto, che gli fa credere che potranno condividere quel momento, quel rarissimo momento di intimità e unione, come non ne hanno mai di solito, come ne ha visti alle volte tra Izzy e Maryse quando parlavano di cose da “donne”. Ci spera veramente anche se non sa che quella dovrebbe essere la normalità tra genitori e figli e non un evento straordinario.
Alec non può saperlo, non conosce altri bambini, altre famiglie, non ha esempi a cui paragonare la sua di famiglia e ciò non gli sembra neanche un problema perché è così che è cresciuto, è normale, tutto normale esser soli e non aver amici, non aver praticamente mai visto un bambino.
 

<< Posso provarci io se vuoi.>> fa un passo avanti e poi un altro, sempre più incoraggiato dall'imbarazzo sul volto del padre che invece che infastidirlo o sorprenderlo gli allarga il cuore: hanno qualcosa in comune, anche Robert arrossisce quanto è imbarazzato, anche lui fa quella smorfia con la bocca e muove il naso a destra e sinistra, proprio come lui.
<< Non sono molto bravo, ma posso provarci.>> lo ripete per mettere le cose in chiaro, per fargli capire che non è una cosa che sa fare ma che lo farà lo stesso perché è quello che fanno le persone grandi, provano anche se non ne sono capaci, affrontano il problema, come gli ripete sempre lui in palestra, quando deve saltare e fare le capriole: “ora non ci riesci ma se non provi non potrai mai farlo. Non esiste il 'non essere capace' esiste solo l'averci provato o meno”.
L'uomo annuisce e gli fa cenno di sedersi sul divano, Max continua a piangere e non apprezza molto quando anche lui si siede affianco al figlio.
Rimangono di nuovo in silenzio, fermi senza il coraggio di guardarsi in faccia, finché Robert non gli chiede cosa vuole cantare e rimane spiazzato dalla risposta.
 

<< La canzone che canta mamma di sicuro gli piace, ma se non funziona ne ho un altra che mi suonava da piccolo.>>

 

Suonava? Ma Maryse non suonava. Certo, sapeva pigiare qualche tasto sul pianoforte, le musiche più semplici e quelle da manuale per ogni buona ragazza di famiglia che si rispetti, ma era abbastanza certo che non lo facesse più da anni perché gli ricordava troppo Alicante.
Alec si schiarisce la voce e comincia da prima piano e poi sempre più sicuro a cantare in francese.
E da quando suo figlio conosce il francese?
Ha imparato a memoria la canzone di Maryse, Alec ne è molto fiero in effetti, e quella sembra tranquillizzare un poco Max che comunque, quasi per ripicca, non smette di piangere.
Ma Robert è perso, quel suono così bello e melodico sta davvero uscendo dalle labbra di suo figlio? Lo riporta indietro di anni ed anni, nella sala dei balli, dove in un tripudio di oro e marmi, su una scalinata, dei bambini in tunica color crema intonano canti cerimoniali con le loro vocine acute. Qualcuno gli colpisce la spalla e Robert si ritrova vicino ad un adolescente dai capelli castani che gli indica i ragazzini con un cenno della testa , “ Sono voci bianche ora, ma aspetta qualche anno e metteranno su quell'improponibile vocione che è venuto pure a te.”
Poi la canzone finisce e l'uomo si ritrova a fissare il suo primogenito per la prima volta in quella nottata, sorpreso, spiazzato, incantato, triste al pensiero che crescendo Alexander perderà quella voce così celestiale.
Il bambino interpreta male quel silenzio e quello sguardo ed abbassa la testa mortificato.
Non è riuscito ad aiutare il suo papà e ora è deluso.

 

<< Scusami, non sono stato di nessuna utilità.>>

 

Sono parole come spade, spilli roventi che gli si infilano nel cuore: un bambino non dovrebbe conoscere il senso di una frase del genere, non dovrebbe usarla.
Non sa spiegarsi quale pensiero gli passi per la testa, ma decide che da padre non può fargli credere che sia inutile, che è suo dovere fargli credere fermamente nel contrario.
 

<< No.>> gli dice lapidario attirando la sua attenzione, << Questa è la canzone di tua madre, Max lo avverte, sa che non è lei, per questo non puoi riuscirci.>>
 

Gli occhi di Alec si fanno ancora più tristi, non solo non è riuscito a cantare bene, ma suo fratello non vuole quella canzone perché è lui a cantarla, non per altro motivo. Quindi è lui il problema.
Probabilmente Robert si stava maledicendo in tutti i modi che conosceva, aveva di certo detto la cosa sbagliata ma ora cosa poteva fare? Lui mica era bravo con i bambini.
Poi l'idea.

 

<< Hai detto che se questa non funzionava ne conoscevi un'altra. Provala.>>

 

Ora è sicuro di aver detto la cosa giusta, quegli enormi occhi blu, blu come il mare di notte ed il cielo stellato, come i colori di una tavolozza ed i fiori più rari, brillano di speranza e di sorpresa, probabilmente pensava di averlo deluso e non si aspettava che gli chiedesse ancora il suo aiuto.
 

<< Aspetta però, mettiti seduto bene, più vicino allo schienale. Tienilo così e non farlo cadere.>>

Gli passa Max che ancora piange ed Alec rigido come una statua lo tiene con una cautela ammirevole, abituandosi in fretta a quel peso frignante e prendendoci confidenza, gli sorride e lo culla.
Robert li guarda con uno strano calore che gli si espande nel petto e poi corre via, a cercare qualcosa di troppo caro e che ha nascosto per troppo tempo.

 

Alec era rimasto fermo su quel divano per davvero un infinità, o così gli pareva. Max aveva cominciato a piangere di meno e Alec aveva mormorato canzoncine per tutto il tempo, aveva praticamente finito il repertorio e gli mancava solo la canzone che aveva detto al suo papà.
Si era ormai convinto che Robert avesse interpretato male le sue parole e avesse creduto che Alec volesse addormentare Max da solo, magari se ne era anche tornato al letto.
Proprio quando stava abbandonando tutte le speranze l'uomo era tornato in salone con una vecchia chitarra in mano.
 

Il bambino lo fissa sorpreso, Robert immaginò perché non aveva mai visto una chitarra e soprattutto non ne aveva mai vista una in mano a lui, ma si sbagliava: Alec non poteva credere ai suoi occhi, quella era la stessa che aveva sognato tante volte!
 

<< Come fa la canzone?>>

Il bambino si riscuote, suo padre si siede davanti a lui, un piede sul tavolino basso, curvato sulla chitarra la sta accordando e Alec per la seconda volta si schiarisce la voce e canticchia il primo pezzo.
Robert annuisce.
Era proprio come aveva immaginato, non sapeva spiegarsi bene come ma Alexander ricordava la canzone che lui e Michael gli suonavano quando era piccolo. Si ritrova a sorridere amaramente, diviso tra la dolcezza di un ricordo e il dolore che gli comporta. Prende un respiro e parte con gli accordi, seguito da Alec che non si domandò neanche per un momento, anche in futuro, come facesse il suo papà a conoscere la musica giusta.

 

Quella notte, padre e figlio, la passano a suonare una vecchia chitarra su cui è incisa una M ed una W, dove vicino c'erano state aggiunte una R e una L. Cantando con voce angelica una ballata mondana senza saperlo davvero, non entrambi almeno. Lo fanno per un piccolo mocciosetto che ha pianto ininterrottamente per ore e che improvvisamente si ferma, rapito da quella musica che non ha mai sentito e da quella voce che sembra nata per cantare quel brano. O forse è il brano ad esser stato composto per quella voce?
Max la ascolta fissando il fratellone finché non si addormenta, stretto tra le sue braccia, quelle braccia che lo avrebbero sempre protetto e ripreso al volo ogni volta che sarebbe caduto, le stesse che un giorno di nove anni dopo sarebbero state le ultime ad abbracciarlo, nel silenzio di una cripta.
Robert e Alec fanno addormentare Max tutte le notti finché il bambino non diventa abbastanza grande da prendere un ritmo suo, da non necessitare più di quelle serenate notturne che con il tempo dimenticherà, credendole un sogno esattamente come aveva fatto suo fratello con le sonate di suo padre e del suo parabatai.


Non lo diranno mai a Maryse, mai ad Izzy e non lo saprà mai Jace, in uno di quei momenti in cui lui ed Alec si confessavano i giorni di un passato che non avevano condiviso. Alec non avrebbe più cantato a dir il vero, non lo avrebbe più fatto perché era una cosa che faceva con suo padre e solo per suo fratello. Non lo avrebbe più fatto finché un altro Max non ne avrebbe avuto bisogno, quando un giorno il suo papà bravo con la musica non ci sarebbe stato e Alec si sarebbe ritrovato a dover calmare il piccolo da solo, senza aiuto. Solo quel giorno un'altra persona avrebbe scoperto quella storia ma probabilmente non l'avrebbe mai ricordata.
Ma quello sarebbe successo un giorno, troppo lontano da quella notte e da quelle che sarebbero venute.
Ora non lo sanno: è il loro segreto e lo sarà per sempre.

 







 

Cos'è un segreto se non la dimostrazione di fiducia più grande che possiamo fare?
Un amico, un fratello, un amante, sono tutte persone con cui per la vita condividerai i tuoi segreti, segreti che la maggior parte delle volte saranno stupidi ed imbarazzanti o grandi onte o quella multa che hai preso ma i tuoi non devono scoprire.
Non è curioso? Passiamo i primi anni della nostra vita a correre dai nostri genitori per raccontar loro ogni cosa, detentori assoluti di tutto il sapere sulle nostre più piccole azioni, poi un giorno smettiamo di dir loro tutto e cominciamo ad aver segreti su segreti, a nascondere verità per noi imbarazzanti o fastidiose e loro non sanno più nulla.
A nostra madre cominceremo a dire solo le cose che reputiamo più importanti e personali.
A nostro padre solo quelle più stupide per cui mamma si sarebbe arrabbiata e lui invece ride come un matto.
Ecco, credo che sia qui che si intuisce la più grande differenza tra i genitori: è la madre che ti stringe e ti consola, che ti dice che va bene e che non devi preoccuparti. È il padre invece che insegna a ridere delle brutte esperienze, a vedere il lato più comico, a farti capire che cretino sei stato.
Lei ci insegna ad accettarci.
Lui ci insegna a ridere di noi.
Entrambi sono essenziali, entrambi li ameremo e ci ameranno anche nei momenti peggiori.

Resta il fatto che è mio padre che si è messo a ridere come un deficiente quando il mio cane mi ha dato una testata sul naso e me lo ha quasi rotto. O quando sono quasi affogato perché mi ha tappato il boccaglio. O quando sono volato giù dalle scale. O quando non ho visto il vetro e gli ho dato una facciata. O quando ho aperto lo spumante e mi sono tirato il tappo in un occhio.
Non lasciate mai i bambini soli con il padre a meno che non vi fidiate di lui.
Non con qualcuno che sia a sua volta un bambino.
Non con qualcuno e ti spruzza il profumo sulle ferite perché tanto dentro c'è l'alcol e disinfetta.
Non con mio padre.
E neanche con me, che sono il suo degno figlio. Magnificamente stupido come lui.

   
 
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