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Autore: The Custodian ofthe Doors    21/03/2018    2 recensioni
Sei volte in cui Robert Lightwood è stato un padre esemplare ma solo Alec se n'è accorto ed una in cui tutti lo hanno visto.
♦ First memory.
♦ A little secret for us.
♦ The fourth son.
♦ Have a quality.
♦ Eyes of glass.
♦ Remember.
♦ Father.
Genere: Generale, Malinconico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het, Slash | Personaggi: Alec Lightwood, Robert Lightwood
Note: Missing Moments, Raccolta | Avvertimenti: nessuno
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3- The fourth son.

 

Quando arriva Jace Alexander ha undici anni ma tra un paio di mesi ne compirà dodici.
Lui ed Isabelle lo attendono davanti alle porte dell'Istituto, impazienti di conoscere un altro bambino, Max se ne sta tranquillo tra le braccia del fratello maggiore cercando di afferrare i capelli della sorella, abbastanza vicina da illuderlo di arrivarci.
Alla fine questo Jonathan Wayland non è poi così differente da loro: è più basso di Alec -ma questa non è una novità per lui- e alto quasi come Izzy. Ha i capelli di un biondo lucido e gli occhi di un oro denso come quello dei fregi della cappella, persino la sua pelle sembra dorata. A dirla tutta non è un gran ché, non a primo impatto, li fissa con il mento alzato, senza pudore e con superiorità e Alec vede sua sorella fremere dalla voglia di chiedergli mille cose, prima tra tutti chi cavolo si credeva di essere per guardarla con quella faccetta.
Alec aveva sospirato sconfortato, già prevedendo che quei due avrebbero fatto scintille.

Gli avevano detto che era il figlio del parabatai di suo padre, morto da poco, e che non aveva più nessuno al mondo. Robert non se lo era neanche fatto chiedere, se poteva prendere lui il bambino, lo aveva dato per scontato, si era semplicemente presentato ad Alicante per poterlo prelevare e portare con sé a NYC e, Alec doveva ammetterlo, al cosa lo riempiva d'orgoglio.
C'erano però delle discrepanze in tutta quella storia: per esempio, lui era un ragazzino – aveva dodici anni ora, non potevano più chiamarlo bambino- ben istruito e abbastanza intelligente, credeva, e aveva studiato molto compreso il legame parabatai, quella runa che legava due persone come neanche una runa matrimoniale riusciva a fare, che ti fa sentire l'altro anche a miglia di distanza, che ti fa condividere i sentimenti, la forza, le speranze, anche l'aria che respiri.
Allora perché lui non aveva visto il suo papà soffrire per l'improvvisa dipartita del fratello?
Secondo punto, non meno importante: Alec aveva visto la foto di tutti i primi membri del “Circolo” quando ancora non era una cosa terribile ma solo un gruppo di amici che volevano fare la differenza, lui sapeva chi tra quelli era Michael Wayland, e per l'amore del cielo non ci somigliava per niente! Quello non poteva essere il figlio del parabatai di suo padre, andiamo! Michael era castano, aveva gli occhi scuri, non era biondo con gli occhi d'oro! Somigliava molto più ad un altro tipo, no, non quello con i capelli quasi bianchi vicino alla rossa, uno sul lato, dopo Hodge e un tipo che si chiamava Lucian.
Ma ad entrambi ricevette risposte più che esaustive a cui non poté controbattere: al suo dubbio sul “sentire” la morte del compagno, che aveva chiesto ad Hodge -col cavolo che andava ad infilare il dito nella piega a suo padre- l'uomo gli aveva sorriso indulgente e gli aveva spiegato che con l'esilio la runa era stata “invalidata”, non funzionava più. Gli disse anche di chiedere a suo padre di mostrargliela, avrebbe visto solo un disegno sbiadito simile ad una cicatrice.
Alec non glielo chiese mai.
Per la seconda fu sempre il suo, come poteva definirlo? Amico? Precettore? Beh, fu sempre Hodge a dirgli che assomigliava tutto a sua madre.
In ogni caso Alec non era davvero interessato a quelle risposte, gli hanno detto che Jace da quel momento in poi sarebbe stato suo fratello e che avrebbe dovuto proteggerlo, amarlo e prendersi cura anche di lui come di Izzy e Max.
E Alexander lo avrebbe fatto come solo suo padre sperava segretamente e come invece sua madre e Hodge non avrebbero mai immaginato.
Alexander vede la dedizione e l'impegno che suo padre mette nell'educare anche lui, come sua madre lo reputi già un altro figlio -anche se Jace non se ne accorge perché quando la mamma canta per lui ormai già dorme-, come i suoi fratellini lo adorino e come anche Hodge sia fiero e soddisfatto dello Shadowhunter modello che è ed insieme a quel misto di ammirazione e gelosia, di attrazione e repulsione che prova per il bambino, c'è tantissimo orgoglio per come si sta comportando tutta la sua famiglia, per come lo stanno accogliendo e lo stanno facendo diventare uno di loro.

Era orgoglioso soprattutto di suo padre, perché sapeva che lo stava facendo per Michael.

 

Solo anni dopo, quando lui e Jace – Jace non Jonathan- sarebbero diventati parabatai, quando si sarebbe scoperta tutta la verità su di lui, quando non avrebbe più potuto ignorare le domande martellanti nella sua testa, domande che non avrebbe dovuto avere perché gli era stata fornita una risposta esaustiva, quando né le parole dei suoi genitori o di Jace stesso avrebbero più potuto convincerlo, quando avrebbe sentito la sua anima tendersi verso il baratro nel disperato tentativo di non separarsi dalla sua metà, di non far spezzare quella corda che partiva dritta dal suo cuore per finire in quello ormai fermo del parabatai, del suo miglior amico, di suo fratello, Alec avrebbe capito tutto.
Robert non poteva aver scambiato Jace per il figlio di Michael, non poteva proprio, era impossibile. Non poteva non aver avvertito la morte del suo parabatai, quella notte ad Alicante di sedici anni prima, non avrebbe mai potuto vedere in Jace suo fratello, quando Alec avrebbe riconosciuto un figlio di Jace tra mille, anche solo con uno sguardo o entrando semplicemente nella stessa stanza, quando lui di Jace avvertiva anche i suoi respiri.
E forse suo padre si era voluto illudere, che Michael fosse vivo, che quel dolore lancinante che aveva sentito quella notte era solo il bruciore della sconfitta e della lotta e che Jace assomigliava tutto a sua madre.

Ma poi si ricordava che quelle domande le aveva poste a chi aveva tradito la sua fiducia, la fiducia di tutti e che forse lo aveva ingannato, che Robert lo aveva sempre saputo.
Allora perché lo aveva adottato? Perché non aveva detto che non era un Wayland, perché non aveva detto che somigliava a Stephen Herondale e non lo aveva riportato da sua nonna?
Suo padre era ed è un uomo strano, davvero contorto -forse era da lui che aveva ripreso quel carattere del cavolo che aveva- ma anche se non sa dimostrarlo Alec sa che li ama, tutti quanti, e quando si rende conto che Robert sapeva e che ha accettato ed amato Jace come un figlio perché lo era, lo è, non per Michael, non perché si sentiva obbligato, Alec lo stima ancora di più.







 
Avere un fratello è un'esperienza di vita. Nessuno che non ne abbia uno può capire, è il lavoro più impegnativo che si ha per tanto, troppo tempo, prima di quando non si avrà un figlio tra le braccia.
I fratelli sono quegli esseri fastidiosi all'ennesima potenza, quelli che defenestreresti volentieri e gli tireresti un pugno in faccia, infierendo una volta caduti a terra.
I fratelli sono quelli che li vedi cadere e ti metti a ridere, perché ben ti sta, così impari, questo è il karma, te lo sei cercato, la vita ti ripaga di tutte le volte che hai rotto l'anima a me. Eppure poi sei a terra anche tu, seduto vicino a lui, a soffiargli sulla ferita e dirgli che non è niente, che ora passa. Poi ti ritrovi a caricartelo in spalla anche se è più grande di te, anche se sei tu il fratello minore, a cadere quasi sotto il suo peso solo perché si è sbucciato il ginocchio e ha pianto un po', solo perché mamma e papà fanno così quando vi fate male e allora lo fai anche tu.
Li odiamo, con tutto il nostro cuore. Odiamo i nostri fratelli con la stessa facilità con cui si odia il tipo che ti ha rubato il posto in metro dopo una giornata passata in piedi al lavoro. Li odiamo tutti i giorni della nostra vita e glielo rinfacciamo per altrettanti.
E lì, tra una lamentala e l'altra, tra un rimprovero, un pugno, una spinta e una cattiveria, si annidano i momenti in cui ridi fino a sentirti male, in cui ti basta un'occhiata e sai cosa sta pensando l'altro. Quando dici le cose al posto suo o spieghi a terzi i suoi mugugnii incomprensibili. Ci sono gli attimi in cui fai le cose in automatico come piace a lui, o per lui o pensando a lui, lo fai e basta, non gli chiedi se voleva anche lui un panino, ti presenti lì, davanti alla scrivania e gli molli il piatto sotto il naso.
Vanno odiati ed amati, questa è la regola base dei fratelli, ma mai vanno dimenticati, non è possibile, non ci si riesce.
I fratelli non te li scegli, così come non ti sei scelto il resto della tua famiglia, ma saranno per te i primi nemici ed i più grandi confidenti.
E ogni volta che a loro verrà concesso qualcosa tu sarai lì a roderti dalla gelosia, la stessa che ti prenderà quando li vedrai allontanarsi mano nella mano con qualcun altro. C'è un misto di sentimenti contrastanti e contraddittori che alberga nel cuore di ogni fratello, senza che noi possiamo farci niente.
Non ci rendiamo mai conto di quanto siano anche fonte d'orgoglio per noi, quanto una loro vittoria sia anche nostra. Come dei genitori che si vantano delle prodezze dei figli, noi ci vantiamo di quelle dei nostri fratelli, forse con ancora più orgoglio, perché credevamo in loro, perché credevamo che ce l'avrebbero fatta in quel modo sincero e disinteressato che solo un fratello può avere. E anche un poco ossessivo, va, ma alle brutte avevamo già il piano b, perché insomma, va bene la fiducia, ma mio fratello è sempre quel deficiente di mio fratello e poteva anche cadere all'ultimo passo, lo so perfettamente.
Riconosciamo negli altri l'amore fraterno, le azioni che loro intraprendono in loro onore e in loro nome.
Perché gli amici sono la famiglia che ti scegli, ma i fratelli sono gli amici con cui nasci e non potrai mai farne a meno, ovunque loro siano. Sempre.
   
 
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