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Autore: Redferne    22/03/2018    3 recensioni
A cosa pensa un uomo durante gli ultimi istanti della sua vita?
A che pensa, mentre si trova sul punto di morire?
Genere: Drammatico, Sportivo, Suspence | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Danpei Tange, Joe Yabuki, José Mendoza, Sorpresa, Yoko Shiraki
Note: Missing Moments | Avvertimenti: Violenza
Capitoli:
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CAPITOLO 10

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Quindicesimo round.

L’ULTIMO. IN TUTTI I SENSI.

Del match e della sua carriera.

Ancora tre minuti per cambiare il suo destino.

Ancora tre minuti per portarsi a casa il risultato. Tramite un’ultima, disperata possibilità.

L’unica che gli era ancora rimasta per ottenere una vittoria netta, chiara ed incontestabile.

UN KO.

Limpido, chiaro e preciso.

Ma, a quanto sembrava, non doveva essere il solo ad aver pensato a quell’eventualità.

ANCHE MENDOZA DOVEVA AVERLA MESSA IN CONTO.

E SIN DALL’INIZIO, PROPRIO COME LUI.

Nonostante stava chiaramente conducendo il combattimento, e non aveva nessun motivo di mettersi a strafare.

Avrebbe potuto fare melina, limitarsi a stare sulla difensiva e mettersi a giocare AL TORELLO, indietreggiando e chiudendosi a riccio, e rimanendosene comodo comodo al riparo dell’ombra offerta gentilmente dal suo OCCHIO CIECO a parare e schivare, fino al termine della ripresa. Ma…

La verità era che non se ne faceva niente della vittoria ai punti.

NON VOLEVA VINCERE COSI’, punto e basta.

Non esiste la parola RITIRATA, NEL VOCABOLARIO DELL’IMPERATORE. Non esiste la difesa, nella sua tecnica sovrana.

Limitarsi a resistere sapendo di aver già l’esito in tasca equivale ad ammettere UN DUBBIO, riconoscere UNA FALLA.

NE DEVE RIMANERE SOLO UNO, ALLA FINE DEL MATCH. ALLA FINE DI TUTTO.

Perché anche se ottieni la vittoria a quel modo, ti rendi conto che NON VALE NULLA. Lo capisci nel momento stesso in cui alzi lo sguardo e vedi che CE N’E’ UN ALTRO, IN PIEDI. E PROPRIO DAVANTI A TE.

UN ALTRO IMPERATORE.

E AL MONDO NON C’E’ POSTO PER DUE IMPERATORI. ALTRIMENTI IL CIELO E LA TERRA FINISCONO COL DIVIDERSI IN DUE.

NE RIMARRA’ UNO SOLO.

 

 

Il campione non spartisce niente con nessuno.

VERO, JOSE’?

 

 

Al suono del gong Mendoza era partito all’attacco con una serie di colpi a cavatappi. Sinistri e destri, senza pause. E tutti diretti al volto e alle tempie. Voleva chiudere la faccenda, una volta per tutte. E voleva chiuderla IN FRETTA.

Non ne poteva davvero più. Ma é proprio quando la belva é con le spalle al muro che bisogna iniziare a temerla. PERCHE’ DIVENTA PRONTA A QUALUNQUE COSA.

L’ultimo della serie lo aveva centrato all’arcata sopraccigliare sinistra, due dita sopra l’occhio ancora buono, facendolo stramazzare a terra sul fianco opposto.

DOWN.

Forse aveva veramente l’intenzione di fracassargli anche quello, rendendolo così cieco del tutto. O magari voleva ridurlo come Rivera. Un semi – deficiente che parlava e che si muoveva al rallentatore e che viveva con la testa proiettata nel passato, al tempo antecedente al trauma, e la cui forza residua era ormai paragonabile a quella di un bambino…

Non avrebbe potuto stendere nemmeno un neonato in fasce, messo com’era.

Voleva conciarlo allo stesso modo.

VOLEVA SPEGNERGLI LE LAMPADINE E STACCARGLI DEFINITIVAMENTE LA SPINA.

Stava tentando di rimettersi in piedi, agitando convulsamente le gambe e le braccia e impuntandosi sui gomiti e sulle ginocchia. Non gli era rimasto altro che puntellarsi su quelle estremità, utilizzandole come sostegno. Visto che erano le uniche parti ancora salde e rigide di cui disponeva, grazie alla loro durezza naturale.

L’arbitro aveva dato il via alla conta.

 

 

“UNO...”

 

 

Il suo sguardo aveva incrociato quello del vecchio, che al suo angolo stava stringendo la corda di mezzo con una delle sue manone, vicino al punto in cui era agganciata al palo. La stava strizzando fin quasi a STRAPPARLA.

 

 

“...DUE...”

 

 

“STA GIU’, JOE. RESTA DOVE SEI, FIGLIOLO. NON RIALZARTI...NON TI RIALZARE, IN NOME DI DIO...”

 

 

“...TRE...”

 

 

Poi aveva guardato Yoko. Si stava coprendo la bocca con entrambe le mani, e aveva gli occhi sbarrati dal terrore. La sua espressione smarrita diceva tutto. SIN TROPPO.

 

 

“...QUATTRO...”

 

 

Basta, Joe. TI PREGO, BASTA.

ANDIAMO VIA, AMORE.

 

 

Lo volevano tutti, a quanto sembrava.

Beh...era spiacente. Era spiacente DI DOVERLI DELUDERE. DI DOVER DELUDERE LE LORO ASPETTATIVE, ANCORA UNA VOLTA.

Ed in quanto al messicano...era L’ULTIMA CHE GLI CONCEDEVA. L’ULTIMA CHE GLI AVREBBE FATTO PASSARE.

NON LO AVREBBE MAI PIU’ BUTTATO AL TAPPETO.

POTEVA STARNE CERTO.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

“C’MON, ARBITRO! E’ DOWN! E’ DOWN, DANNAZIONE!! FINISCI DI CONTARE!!”

 

 

L’accorata esortazione era giunta dal manager di José. In effetti il direttore di gara era come imbambolato, e si era interrotto al QUATTRO.

Il numero che simboleggiava e richiamava LA MORTE. Guarda caso…

 

 

Un’altra volta, cazzo.

Ma si può sapere che ti sta succedendo?

PERCHE’ CAZZO CI CONTINUI A PENSARE, EH?

 

 

“EHM...SI, SI...SUBITO. MA IL FATTO...IL FATTO E CHE YABUKI STA...STA RIDENDO...”

 

 

Era proprio così. Stava ridendo a crepapelle. Stava ridendo COME UN MATTO. DI NUOVO.

Con una sola, unica differenza.

QUESTA VOLTA LO STAVA FACENDO SOTTO AGLI OCCHI DI TUTTI.

 

 

“EH, EH, EH...AH AH AH AH AH…”

 

 

Stava ridendo perché mentre si era messo seduto ed era sul punto di rialzarsi gli era venuta in mente una cosa DAVVERO BUFFA.

GIA’. PROPRIO UNA COSA BUFFISSIMA.

Si era appena reso conto che non aveva ancora reciso tutti i legami.

NE AVANZAVA ANCORA UNO.

Aveva rinunciato all’affetto del vecchio, che per lui avrebbe potuto svolgere più che degnamente il ruolo di SUO PADRE.

Aveva rinunciato all’amore di Yoko, che poteva rappresentare LA SUA DONNA. O PERSINO SUA MADRE, sempre per quella vecchia storia legata agli istinti protettivi di stampo femminile. L’aveva sostenuto qualche cazzo di PSICO – ANALISTA CRUCCO, o giù di li. Erano sempre loro gli specializzati in quella pletora di MINCHIATE STRIZZA – CERVELLO.

In quanto agli amici e ai parenti più prossimi...beh, alla gente del quartiere aveva già dato IL BACIO DI ADDIO GIA’ DA UN SACCO ED UNA SPORTA DI TEMPO.

Ma mancava ancora un elemento per completare quella sorta di BIZZARRA, DISFUNZIONALE FAMIGLIA che si era costruito attorno a sé, nel corso della sua vita. Da quando aveva transitato per quel dannato ponte.

Già. L’ALLEGRO ORFANELLO E LA SUA FAMIGLIA DEL PONTE DELLE LACRIME.

Sembrava proprio il titolo di uno di quei drammoni radiofonici da piagnisteo assicurato che tanto andavano in voga tempo fa. E anche adesso, visto che se una radio da quelle parti se la potevano permettere in ben pochi, un televisore non se lo poteva permettere UN ACCIDENTE DI NESSUNO. Fatta eccezione per la palestra e per la bottega di Noriko e i suoi.

Non aveva ancora rinunciato all’affetto DI UN FRATELLO.

O meglio, di quello che si era dimostrato IL SUO PIU’ VALIDO SOSTITUTO.

Il classico esempio di fratello maggiore presuntuoso, arrogante e prepotente ma che in fin dei conti sopporti anche se certe volte lo odi con tutte le tue forze specie quando ce la mette tutta, e di lena buona, A FARE IL BASTARDO.

Perché la verità é che, sotto sotto, GLI VUOI BENE. ANCHE SE E’ UN BASTARDO.

Perché sai com’é fatto, lo sai che E’ BASTARDO, lo sai che é così e te lo fai andare a genio, in un modo o nell’altro.

PERCHE’ E’ MILLE VOLTE MEGLIO AVERE UN FRATELLO BASTARDO E CAROGNA CHE NON AVERCELO AFFATTO. UN PO’ COME CERTI GENITORI.

E loro due, in fin dei conti, un po' fratelli LO ERANO DAVVERO.

Non di sangue. E nemmeno DI LATTE, come si dice in certi casi. E nemmeno lo erano DALL’INIZIO.

AVEVANO FINITO COL DIVENTARLO POI.

Frequentando lo stesso riformatorio, dormendo e risistemando le stesse brande, mangiando e bevendo negli stessi piatti e bicchieri e nelle stesse gavette, pulendo e pisciando nelle stesse latrine puzzolenti, coltivando la stessa terra nei medesimi campi e svolgendo gli stessi lavori.

Mmh...NO. Ripensandoci...L’ULTIMO PROPRIO NO. Visto che gli Shiraki avevano fatto in modo di fargli assegnare una mansione dove poteva starsene a zonzo in bicicletta tutto il santo giorno e sbattersi il meno possibile, in attesa di scontare il resto della pena.

Ah, si...quasi se lo scordava. Quasi gli era uscita di mente. Un vero peccato, visto che era senza alcun dubbio LA PARTE PIU’ INTERESSANTE DEL LORO RAPPORTO. E DELL’INTERA STORIA.

SI ERANO PRESI A BOTTE SULLO STESSO RING.

Se l’erano equamente diviso e si erano mischiati ben bene e a puntino la carne, il sangue e le ossa.

Creando tra loro un legame indissolubile. Come quello tra DUE AMANTI, ma più profondo.

SI ERANO SCAMBIATI UNA PROMESSA ETERNA, in quel momento.

Proprio come DUE SPOSI.

Proprio come DUE INNAMORATI.

Proprio come due FR…

Si, ecco. Per l’appunto. Sempre a pensare a pensare a queste robe DA INVERTITI.

Guarda tu che razza di scemenze gli devono venire in mente ad uno proprio un attimo prima di M…

 

 

EH NO, CAZZO!! NON E’ PROPRIO POSSIBILE!! ANCORA QUELLA FOTTUTA PAROLA!!

IO NON VOGLIO MORIRE!!

IO NON SONO QUI PER MORIRE, CAPITO?!

IO SONO QUI PER VINCERE, CAPITO?!

PER VINCERE!!

 

 

Meglio piantarla con certe cazzate e rimettersi in piedi, piuttosto.

Se l’era presa comoda e aveva riguadagnato un po' di fiato, ma ormai il conteggio era giunto al NOVE.

Tempo di rialzarsi e riprendere a combattere.

Per onorare uno stimato COLLEGA.

Colui che era stato il suo PIU’ GRAN SFIDANTE.

IL SUO PIU’ ACERRIMO RIVALE

IL SUO PEGGIOR NEMICO.

IL SUO MIGLIOR AMICO.

 

TOORU RIKIISHI.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

“Te...te la senti di continuare, Yabuki?”

“Vai tranquillo, AMICO. Col sottoscritto SEI IN UNA BOTTE DI FERRO. E CHI MI AMMAZZA, A ME? CHI VUOI CHE MI AMMAZZI A ME, EH?”

“Ehm...o – ok. BOXE! FIGHT!!”

 

 

Non faceva che ripensarci.

Non aveva fatto altro che ripensarci, a quel maledetto incontro.

Giorno e notte, fin dalla giornata successiva. E non solo per il semplice fatto che RIKIISHI NON C’ERA PIU’.

Almeno all’inizio pensava che fosse solo quella, la ragione. E, molto probabilmente, LO ERA ANCHE.

Era di sicuro il motivo principale. Ma, pian piano, aveva scoperto un’altra cosa.

Che NON ERA L’UNICO.

C’era UN ALTRO PERCHE’. Ma stavolta il rimorso e i sensi di colpa non c’entravano nulla. La spiegazione era molto più semplice. E TERRIBILE.

Talmente terribile che sulle prime l’aveva rifiutata. RIGETTATA IN TOTO.

Non era possibile. NON ERA DAVVERO POSSIBILE. NON SI POTEVA ARRIVARE AD ESSERE COSI’ FIGLI DI PUTTANA.

NEMMENO LUI, CHE AVEVA VISSUTO SEMPRE E SOLO PER SE’ STESSO, POTEVA ARRIVARE A TANTO. Eppure…

Eppure da quel giorno era come se la sua testa si fosse scissa in due parti nette.

Una era la parte razionale, che continuava a macerarsi coi rimpianti e a tentare di districarsi tra le variabili e le eventualità di ciò che avrebbe potuto essere e di ciò che invece non sarebbe stato mai. Una...la poteva percepire chiaramente. Era una piccola porzione situata nella parte anteriore destra del suo cervello. Quella dove si dice risiedano gli IMPULSI ANCESTRALI. I RIFLESSI PIU’ ANTICHI.

GLI ISTINTI PRIMORDIALI. COME QUELLO LEGATO ALLA SOPRAVVIVENZA E ALL’AUTOCONSERVAZIONE.

La prima era il ragazzo, il pugile...L’UOMO.

La seconda, invece...era il vagabondo ridotto a campare di espedienti. Il teppista. IL LUPO.

IL LUPO, FAMELICO E SELVATICO.

E quell’ultima aveva iniziato da subito A DISTACCARSI. A DISSOCIARSI. Da ciò che era successo e da tutto quanto il resto. E A SCOMPORRE, ANALIZZARE. Con metodo e perizia, ed in modo cinico e freddo.

Anche lei pensava e ripensava al match con Rikiishi. Ma non per capire se le cose avrebbero potuto andare diversamente. O se si sarebbe potuta evitare una simile CATASTROFE, no.

Quella parte della sua mente ragionava secondo schemi basilari ed elementari. E considerava le cose nella loro pura essenza. Togliendo qualunque implicazione filosofica a riguardo poiché le giudicava SUPERFLUE ED INUTILI. Ma solo perché NON CI ARRIVAVA, a formulare ipotesi più strutturate e complesse. TIPO L’IMPORTANZA DELLA VITA, SPECIE QUELLA ALTRUI.

E non perché fosse insensibile o ignorante. Rifletteva solo in termini UTILITARISTICI. Anche per lei la vita contava. Ma solo UNA.

QUELLA DELLL’ORGANISMO CHE SI TRASCINAVA APPRESSO, E CHE SI FOTTA CHIUNQUE ALTRO.

IO SONO IO, ‘FANCULO TUTTI.

Questo era il suo motto.

E aveva iniziato ad imbeccarlo, tirandogli qualche dritta. UNA, IN PARTICOLARE.

 

 

Rifletti, UMANO.

Pensaci bene, e vedrai che HO RAGIONE IO.

LA FINE E LA MORTE DI UNO, NEL MIO MONDO, POSSONO ESSERE LA VITA E LA SALVEZZA PER UN ALTRO.

POSSONO ESSERE LA VITA E LA SALVEZZA PER ME. E PER TE.

SE VUOI CHE IL FATTO DI AVER AMMAZZATO CON LE TUE MANI QUEL DISGRAZIATO SERVA A QUALCOSA, BEH...C’E’ SOLO UN MODO CHE CONOSCO. E TI CONVIENE DARMI RETTA.

INIZIA...INIZIA AD APPROFITTARNE, UMANO.

SI, HAI CAPITO BENE.

APPROFITTANE.

COME FACCIAMO IO E I MIEI FRATELLI DI BRANCO QUANDO NON C’E’ SELVAGGINA DA CACCIARE. E CI INFILIAMO TRA LE VOSTRE CASE, A ROVISTARE TRA I BIDONI DELL’IMMONDIZIA E A DEPREDARE POLLAI E CONIGLIERE.

APPROFITTANE. E VEDI SE PUOI RICAVARNE QUALCHE VANTAGGIO.

 

 

Era...era IMMORALE, una cosa simile.

 

 

Fuhuhuhuhh…IMMORALE.

COS’E’ MAI IMMORALE, UMANO?

COSA PUO’ MAI ESSERE IMMORALE PER ME?

COSA POTRA’ MAI ESSERE IMMORALE PER NOI?

COSA VUOI CHE SIA?

Eravate forse MORALI voi quando ci avete STERMINATO E SCACCIATO dai boschi e dalle foreste, per costruire LE VOSTRE CASE?

VI STIAMO RIPAGANDO CON LA VOSTRA STESSA MONETA, TUTTO QUI. NIENT’ALTRO.

Ci sono limiti che non andrebbero mai oltrepassati. E noi lo sappiamo bene. LO SAPPIAMO TUTTI, TRANNE VOI. PERCHE’ PENSATE SEMPRE DI ESSERE AL DI SOPRA DI TUTTO.

MONDI DIVERSI COME IL NOSTRO ED IL VOSTRO POSSONO SOLO AFFIANCARSI. PERSINO SFIORARSI, ALLE VOLTE.

MA NON DEVONO MISCHIARSI. MAI. O LE CONSEGUENZE POSSONO ESSERE TERRIBILI.

AVETE DISTRUTTO IL NOSTRO, E CI AVETE PRIVATO DI UN POSTO DOVE STARE.

MA NOI NON POTEVAMO SPARIRE. NESSUNO PUO’ SPARIRE DEL TUTTO.

E COSI’, PER CONTINUARE A VIVERE E A SOPRAVVIVERE...

CI SIAMO INFILATI IN MEZZO A VOI.

DENTRO DI VOI.

QUESTA E’ STATA LA NOSTRA VENDETTA.

DEVI SEGUIRE LA TUA NATURA. NON OPPORTI AD ESSA.

FUORI SEI UMANO, JOE.

DENTRO...SEI UN LUPO.

E ALLORA...SII UN LUPO. DIVENTALO, IN OGNI FIBRA DEL TUO CORPO.

FINO ALL’ULTIMO BRANDELLO E ALL’ULTIMA GOCCIA.

VIVI, MUOVITI, RAGIONA E COMBATTI DA LUPO.

E MUORI, DA LUPO.

 

 

Ancora con questa storia del MORIRE, cazzo…

MA PERCHE’ CONTINUAVA A PENSARCI?

Alla fine aveva deciso di assecondarlo. Non aveva scelta. Era l’unica possibilità che gli era rimasta per salvarsi e non impazzire.

Tentare di metabolizzare la tragedia affidandosi unicamente alla sua parte razionale significava PERDERSI. Significava varcare le porte DELLA FOLLIA, per intraprendere un viaggio di sola andata verso i meandri più oscuri del suo regno.

Con LUI, invece, c’era una possibilità di SALVARSI.

DI RIMANERE INTEGRI.

Di lasciare un pezzetto di sé ancora intatto, IMMACOLATO.

Perché IL LUPO, a differenza DELL’UMANO, non si sarebbe mai lasciato intaccare dal dolore. Quest’ultimo non lo avrebbe mai contaminato.

Ci viveva da una vita a braccetto con la morte ed il dolore, che razza di differenza avrebbe potuto mai fare UN LUTTO IN PIU’?

Aveva iniziato a riflettere su come aveva fatto Rikiishi a batterlo.

Certo che se l’era studiata davvero bene. Li aveva fregati alla grande.

Lui ed il vecchio non ci avevano capito nulla. Settimane di allenamenti massacranti e botte da orbi buttati al vento, visto che il risultato che avevano ottenuto e la strategia che avevano elaborato erano risultati TOTALMENTE INADEGUATI. SBAGLIATI. INUTILI.

Quello con il filippino LEO PANCHO era stato solo un colossale SPECCHIETTO PER LE ALLODOLE. E loro ci erano cascati come DUE MERLI.

Quei montanti così larghi, tirati all’aria ed in maniera quasi ossessiva, senza avere nemmeno di fronte un bersaglio...non erano così innocui come sembravano. Gli era bastato prenderne uno solo di striscio per rendersene tragicamente conto, visto che gli aveva aperto uno squarcio lungo tutta la guancia sinistra. Una larga, oscena bocca supplementare che pareva ridere di lui e della sua incapacità. Esattamente come stava facendo Rikiishi, sin dall’inizio del combattimento.

Avevano una potenza a dir poco DEVASTANTE, quegli uppercuts. Ne bastava uno per finire al tappeto. E se provava ad evitarli e ad infilarsi in mezzo a quella selva di colpi si pigliava in pieno muso un DIRETTO CORTO D’INCONTRO, tirato con tempismo perfetto. E finiva di nuovo giù.

Aveva provato a seguire i consigli del vecchio beone. No, non certo DI RITIRARSI. QUELLO MAI. Era tornato alle basi. Aveva alzato le braccia a difesa e stretto ben bene i pugni e ricominciato A FARE BOXE. Punzecchiando coi jabs, i diretti e quant’altro. Ma anche quello non era servito a nulla. Perché Rikiishi era UN PUGILE. UN PUGILE VERO. Mentre lui non lo era ancora. E a conti fatti, non lo sarebbe mai veramente stato. E mai al suo livello, comunque. Ma questo era un altro discorso…

Lui era solo UN PICCHIATORE. Un rissaiolo buono solo per i pestaggi e le zuffe da strada. E quando uno così incontra UN BOXEUR AUTENTICO, o lascia perdere o si butta allo sbaraglio sperando nella buona sorte e in una casuale ed improvvisa botta di culo.

Ma in un incontro TRA PROFESSIONISTI i colpi di fortuna NON ESISTONO. E per quanto li si invochi, NON ACCADONO MAI. Accade invece che quando ad un professionista lasci campo libero e gli fai fare ciò sa fare meglio, quello TI SURCLASSA. Specie se hai la presunzione di volerti mettere sul suo stesso piano pur NON ESSENDOLO AFFATTO.

Rikiishi era UN MAESTRO. Lui, al confronto, solo un povero demente che cercava disperatamente di imitarlo. Un primate che scimmiottava l’anello successivo della catena. LO STADIO SUPERIORE DELL’EVOLUZIONE DELLA SUA STESSA SPECIE.

Tooru VOLAVA, mentre lui STRISCIAVA.

Quel che lui a malapena cercava di mettere in pratica, quell’altro glielo ributtava in faccia eseguito DIECI, CENTO, MILLE VOLTE MEGLIO. E sempre con quel sorriso da schiaffi perennemente stampato sul volto.

E inoltre, quando meno se l’aspettava, con un rapido spostamento del busto all’indietro creava il vuoto di fronte a sé e ricominciava a scagliare quei micidiali UPPERCUTS A RASOIO. E senza alcun preavviso.

Era totalmente IMPREVIDIBILE. E lo aveva messo letteralmente con le spalle al muro.

Lo aveva INGABBIATO, ecco la verità. Poteva solo scegliere se prendersi un montante oppure continuare a schivarli fino a farsi beccare per sfinimento, farsi atterrare da un diretto corto se solo provava a reagire e a farsi sotto o farsi massacrare tentando un’improponibile scherma di braccia con lui, rimediando un sacco di botte e al contempo una figura RIDICOLA.

Qualunque cosa avesse scelto, l’esito non poteva che essere uno. E uno soltanto.

LA SCONFITTA. CERTA ED INEVITABILE.

Rikiishi aveva dato vita ad una trappola PERFETTA. UNA TRAPPOLA MORTALE. Soprattutto perché la VERA TRAPPOLA NON ERA ANCORA SCATTATA. Tutto quello a cui lo stava sottoponendo era solo UNA PREPARAZIONE. Un passaggio forzato, un condotto obbligato verso la TAGLIOLA IN CUI SAREBBE CASCATO CON LA CODA, TUTTE E QUATTRO LE ZAMPE E L’INTERA TESTA.

Altrimenti...per quale motivo, proprio mentre stava per centrarlo sulla punta del mento con un ennesimo montante e chiudere definitivamente l’incontro, SI ERA FERMATO AL SUONO DELLA CAMPANA?

Ormai era alla sua mercé. COMPLETAMENTE INERME. Anche se era contro le regole, poteva spedirlo nel mondo dei sogni e finirla lì. Stava dominando. Nessuno avrebbe avuto nulla da ridire.

Ma allora...perché aveva agito così?

PERCHE’?

Per umiliarlo fino all’ultimo istante godendosi ogni attimo della sua agonia, forse?

No.

Lo aveva fatto perché ERA L’UNICO MODO PER METTERE IN CHIARO LE COSE, E UNA VOLTA PER TUTTE.

L’UNICO MODO PER CONVINCERE QUELLA GRAN TESTACCIA DI CAZZO CHE SI RITROVAVA SU CHI FOSSE IL PIU’ FORTE TRA LORO DUE.

Rikiishi sapeva benissimo che non avrebbe mai accettato una sconfitta. Non si sarebbe mai accontentato di un simile verdetto. Si sarebbe aggrappato ad ogni alibi con tutte le sue forze, e avrebbe chiesto una rivincita. E poi ancora. E ANCORA. E ANCORA.

Perché non sarebbe rimasto soddisfatto fino a che non lo avrebbe BATTUTO.

Doveva risolverla AD OGNI COSTO, con lui. E QUELLA SERA. O non se lo sarebbe MAI PIU’ LEVATO DI TORNO.

E con gente così COCCIUTA, non c’é che un unico modo.

VANNO ANNICHILITI.

LA VITTORIA CONTRO DI LORO DEVE ESSERE NETTA ED INDISCUTIBILE. E LA LORO DISFATTA TOTALE E SENZA SCUSE.

Doveva minare tutte le sue sicurezze per poi ABBATTERLE, una alla volta. Una dopo l’altra.

ATTACCARLO, COLPIRLO E DISTRUGGERLO PROPRIO DOVE SI SENTIVA PIU’ FORTE. PROPRIO DOVE NON PENSAVA DI AVERE PUNTI DEBOLI.

Tutto il suo piano che aveva elaborato...era tutto studiato IN ATTESA DI QUEL MOMENTO.

Ecco perché rideva, nonostante lo sguardo e gli occhi ormai spenti.

Perché si trovava in preda ad una sensazione A DIR POCO ESALTANTE, ecco perché.

PERCHE’, ALLA FINE, ERA ANDATO TUTTO COME SPERAVA.

Anzi...ERA ANDATO TUTTO COME AVEVA PREVISTO.

Aveva corso i suoi rischi, ma...ALLA FINE DI TUTTO, ERA RIUSCITO IN CIO’ CHE VOLEVA.

AVEVA FATTO CIO’ CHE AVEVA VOLUTO. COME AVEVA VOLUTO.

PROPRIO COME LUI.

Erano davvero UGUALI. COME FRATELLI.

Ma questo lo aveva compreso solo ora. PER LA PRIMA VOLTA.

Ecco perché rideva. ECCO PERCHE’ STAVA RIDENDO PROPRIO COME RIKIISHI.

 

 

Attaccalo dove é più forte, Joe.

E’ proprio così che ti ho sconfitto, ricordi?

Devi trasformare il suo punto di forza nel suo punto più debole.

Ti é chiaro il concetto, oppure, no?

Ti é entrato in zucca, razza di CRETINO?

 

 

Ho capito, Tooru.

Ho capito, CHE CAZZO TI CREDI?

Non sono così scemo come pensi tu.

E va bene.

Basta che la finisci di ROMPERMI I COGLIONI.

Giochiamo secondo le tue regole.

Facciamo come vuoi tu.

A MODO TUO.

 

 

Aveva fatto un paio di passi verso il campione, e poi...si era fermato. IMMOBILE.

 

 

Siamo agli sgoccioli, gente.

Tempo di sganciare UN SILURO MARRONE E FUMANTE O DI LEVARE LE CHIAPPE DALLA TAZZA DEL CESSO.

E visto che dobbiamo chiudere…

Si chiude in bellezza, ragazzi.

Joe Yabuki chiude COI FUOCHI D’ARTIFICIO.

IT’S SHOWTIME, FOLKS.

 

 

Visto come sapeva bene l’inglese?

Persino Mendoza, per la sorpresa, si era bloccato sul posto come congelato. In modo talmente scomposto e scoordinato da scivolare ed evitare solo per un pelo di finire a gambe all’insù.

 

 

“M – MA...MA QUE...QUE...”

 

 

Era allibito. LETTERALMENTE ALLIBITO.

E poi era successo tutto in un attimo. Talmente lungo e dilatato che sembrava NON FINISSE MAI.

Aveva iniziato ad abbassare lentamente le braccia, fino a portarle all’altezza dei fianchi. Per poi farle penzolare inerti vicino ad essi, distese per tutta la loro lunghezza. Come se fossero senza vita.

Ma non era affatto così. E lui lo sapeva.

E lo sapeva anche l’intero Budokan, che era ammutolito di colpo. A tutti quanti, compreso lui, doveva esser sembrato di fare un viaggio a ritroso nel tempo. Agli inizi della sua carriera.

 

 

“OH, MIO DIO!!”

 

“NON CI CREDO!!”

 

“LO FA! LO FA!!”

 

“LO STA PER FARE DAVVERO!!”

 

 

Tutti lo sapevano, lì dentro.

Ma nonostante ne erano a conoscenza, a seguito di quei commenti entusiasti si era potuto notare un rumore alquanto singolare. Come se tutti gli spettatori fossero trasaliti in blocco. Come se avessero trattenuto tutti quanti il fiato oppure lo avessero esalato in un lungo, strozzato sospiro. O magari era scappato a tutti quanti un grosso SINGHIOZZO. Non era stato in grado di identificarlo con chiarezza. Così come non era riuscito a capire se quella reazione era dovuta a sorpresa, euforia o sgomento. O TERRORE.

Non che avessero tutti i torti, a fare così. Tentare anzi, AZZARDARE una mossa simile contro il campione del mondo o meglio, contro IL PIU’ GRANDE CAMPIONE DI TUTTA QUANTA LA STORIA DEI PESI BANTAM comportava un rischio mica male. Doveva equivalere al voler FERMARE UN PROIETTILE AFFERRANDOLO CON LE SOLE MANI NUDE. O A VOLER INTERCETTARE UNA FRECCIA SCAGLIATA VERSO UN PUNTO VITALE SCOCCANDO UNA FRECCIA A PROPRIA VOLTA. TENTANDO DI FAR COZZARE LA SUA PUNTA CONTRO QUELLA DELL’ALTRA.

PURA FOLLIA, almeno all’apparenza. Ma in realtà le cose erano molto più semplici di quanto dovevano pensare. Bastava solo avere le giuste dosi di coraggio e di incoscienza.

E lui ce le aveva. Eccome se ce le aveva.

CAZZO SE LE AVEVA. NE AVEVA DA VENDERE.

Ma al di la di ciò che pensavano...tutti si trovavano d’accordo con lui su una cosa.

Tutti sapevano cosa stava per accadere.

Da dove si trovavano, i suoi arti superiori erano come una coppia di serpenti pronti a scattare al minimo segnale di minaccia, per azzannare la vittima e spargere il loro mortale veleno.

Era la sua POSIZIONE SENZA GUARDIA, la tecnica che serviva ad imbastire il suo colpo più micidiale.

Tutti lo sapevano, lì dentro.

TUTTI TRANNE JOSE’.

 

 

“AAAARRGGHHH!!”

 

 

Aveva erroneamente interpretato quell’atteggiamento da parte sua come l’ennesimo sgarbo nei suoi confronti, e che aveva commesso IL GRAVISSIMO ERRORE di lanciarsi all’attacco mulinando colpi alla cieca, dopo aver lanciato un urlo di rabbia.

Era davvero fuori di sé.

Tsk. CHE STRONZO.

CHE POVERO STRONZO.

Non aveva la minima idea della tempesta che stava per abbattersi su di lui.

Non aveva la minima idea di ciò che di lì a poco lo avrebbe raggiunto, colpendolo tra capo e collo.

Aveva evitato abilmente tutti i suoi pugni uno dopo l’altro, grazie ad un eccellente lavoro effettuato col tronco. Aveva persino avuto la tentazione di chiudere gli occhi. O meglio, L’OCCHIO. Si sentiva in grado di schivarli senza nemmeno il bisogno di doverli guardare. Non sapeva nemmeno bene lui come ci riusciva, ma...percepiva lo spostamento d’aria di ogni singolo attacco. Riusciva ad intuirne la traiettoria ancora prima che questi partissero. Era come se leggesse le sue intenzioni nell’appena udibile fremito dei muscoli giusto un istante prima di contrarsi per eseguire una mossa. Era come se interpretasse i piani e i pensieri di Mendoza attraverso i suoi occhi ed il suo sguardo. Vuoi vedere che...vuoi vedere che a furia di apprendere al volo le abilità altrui aveva finito con l’imparare pure LA SUA TECNICA DI DIFESA PERFETTA?

E VISTO CHE GIA’ C’ERA...NON POTEVA IMPARARLA UN ATTIMINO PRIMA COSI’ SI POTEVA EVITARE TUTTE QUELLE GRAN MAZZATE SUL MUSO PRESE FINO AD ADESSO, PORCA DI QUELLA GRAN TROIA IMPESTATA?!

Aveva ripreso a danzargli intorno, trascinandoselo dietro e fin dove voleva. I loro ruoli si erano completamente invertiti, ribaltati. Ora era lui a condurre la danza. Era lui a giocare col messicano, che arrancava nel disperato tentativo di mettere a segno almeno qualche colpo. ALMENO UN COLPO, IN QUALUNQUE MANIERA POSSIBILE. Senza badare al fatto che si sbilanciava troppo in avanti, senza badare a proteggersi, senza curarsi più DI UN ACCIDENTE DI NIENTE.

Proprio come lui all’inizio del match.

Si era rovesciato tutto.

SI ERA CAPOVOLTO IL MONDO INTERO, CAZZO.

ROBA DA MATTI.

Ondeggiava con il busto avanti ed indietro, a destra e a sinistra. Flessibile e sfuggente come...come…

 

 

“GUARDA, AOYAMA! GUARDA!! YABUKI STA USANDO LA TUA TECNICA DELLA GELATINA!!”

 

 

Bravo, amico. Centro perfetto. Indovinato in pieno. La tecnica difensiva di Aoyama detto MICROBO, il piccoletto che lo aveva fatto tanto dannare ai tempi del torneo di Boxe dilettantistica organizzato all’interno del riformatorio speciale Toko. Chissà se c’era anche lui, lì in mezzo a tutta quella gente che lo stava guardando. E, a ben pensarci...gli era sembrato di riconoscere la voce che aveva appena pronunciato quelle parole. Forse era stato Yoshikawa detto GUERRIGLIA, ad aprir bocca. Il biondo con la faccia bella come il culo, che ce l’aveva così tanto a morte con lui...per il semplice fatto che SI FOTTEVA DI PAURA solamente al suo passaggio, o a sentirlo nominare. Come chiunque altro dentro a quel cazzo di posto, ogni volta che lo tiravano in ballo. Era lui QUELLO CHE PESTAVA PIU’ FORTE DI TUTTI LA’ DENTRO, PUNTO E BASTA. Rikiishi a parte, ovviamente. E forse era per questo che lo avevano montato su così tanto. Tutte le speranze di vederlo finalmente pesto di botte e con la faccia in mezzo alla polvere e al fango riponevano sulle spalle di Tooru. Ci ha aveva provato anche il biondino ad aggiustare le cose con lui, forse per timore di perdere quel poco di controllo che credeva di avere tra quelle mura.

PFUI. Proprio un gran bel controllo. IL CONTROLLO DEL RE DEL CAZZO E DELLA MERDA SU UN REGNO ORMAI IN ROVINA .

E comunque, ci aveva davvero provato, in combutta coi suoi leccapiedi, a regolare i conti. E le avevano prese di santa ragione. Ci avevano riprovato, e le avevano prese ancora più forte. E così ogni volta, anche se non quella gentaglia non finiva certo lì. NON FINIVA MAI. Non imparavano mai la lezione. Perché erano come e peggio dei MULI DA SOMA. A furia di prendere bastonate sul dorso facevano il callo anche alle nerbate più dure.

O magari ad aver spalancato la fogna era stato quel tipo pelle e ossa con la faccia da beccamorto...come cazzo é che si chiamava? TESCHIO? SCHELETRO? E chi cazzo se lo ricorda?

Gran bel pezzo da novanta pure quello. Che te lo raccomando, proprio. Inconsistente ed inutile proprio come il suo nomignolo, quale che fosse dei due. PIU’ SUPERFLUO DEL TORSOLO DI UNA MELA. E, al pari di quello, buono solo da buttare in un cassonetto dell’immondizia. Uno che di suo non aveva il coraggio di tentare proprio nulla nemmeno se fiancheggiato o spalleggiato dagli altri, sempre pronti a sobillare. Buono solamente a provocare a seminare zizzania stuzzicando, provocando e bisbigliando alle spalle, per poi darsela a gambe non appena ti accorgevi che c’era lui dietro a quelle dicerie e a quelle illazioni c’era lui.

ERA VERAMENTE UN ESSERE INUTILE. TOTALMENTE INSIGNIFICANTE.

Per uno così il massimo successo a cui poter aspirare nella vita era RIUSCIRE A CAPIRE CHE BISOGNAVA APRIRE LA LAMPO E TIRAR FUORI L’UCCELLO DAI PANTALONI, PRIMA DI POTER PISCIARE SENZA INZUPPARLI.

Possibilmente senza SGRULLARSELO TROPPO, che alla terza strizzata di seguito l’operazione veniva ufficialmente bollata come PUGNETTA.

E a giudicare dalle occhiaie aveva l’aria di tirarsene parecchie, DI SEGHE. Ovunque e quantunque ne avesse l’occasione e la possibilità. Magari ogni notte che era sopra al suo lercio FUTON ed intabarrato nella sua ancor più lercia coperta talmente spessa, dura ed ispida da sembrare la pelle rugosa di un pachiderma, pensando ad una certa signorina di sua conoscenza mentre torceva e strizzava senza sosta IL COLLO AL POLLO…

BLEAH. CHE SCHIFO.

Altro che rieducazione. Altro che inserimento. Ma non pigliamoci in giro, per favore.

Vite fallite. Ragazzi perduti. Per sempre. Col destino segnato dalla nascita.

Quello di tenie senza alcun futuro né intelligenza.

Quando nasci nella spazzatura, hai solo due possibilità.

O diventi LUPO, come lui...o rimani VERME vita natural durante.

FOR EVER AND EVER.

VISTO CHE SAPEVA BENE L’INGLESE?

Chissà...magari qualcun’altro di loro ce l’aveva fatta. E magari era PROPRIO LI’, quella sera. Ad incitarlo e a sfotterlo. O tutte due le cose.

Magari erano lì TUTTI QUANTI. Sparsi tra gli spalti oppure insieme, in gruppo. Come d’abitudine. Avevano preso l’occasione per fare una RIMPATRIATA E RIVANGARE I BEI VECCHI TEMPI ANDATI. Che belli non erano PER NIENTE.

Però gli era sembrato...come dire? BELLO.

Aveva pensato che doveva essere proprio bello, se le cose stavano davvero così. Non li aveva mai sentiti così VICINI A SE’, quei PENDAGLI DA FORCA. Perché erano comunque ragazzi come LUI. Con sogni, aspirazioni e speranze sepolti sotto chili e strati della polvere della povertà, dell’ignoranza e della violenza.

E se lo teneva stretti stretti, quei pensieri. Se li accudiva e se li coccolava dentro, mentre continuava a muoversi di lato e all’indietro evitando i colpi di Mendoza. Gli davano una sensazione di CALORE E DI AFFETTO, mentre iniziava a scomporre ogni attacco e movenza del messicano, Prendendogli il tempo e le misure, con estrema calma e tranquillità.

Poi...d’un tratto, anche quei ricordi erano svaniti. Aveva trovato l’occasione propizia, il varco giusto. Si trattava solo di decidersi quando entrare.

Aveva dato inizio al conto alla rovescia mentre una nuova, singolare sensazione aveva iniziato a fare capolino.

Era davvero strano, ma...aveva l’impressione che ad ogni schivata riuscita da parte sua, e ad ogni pugno che andava a vuoto da parte del campione una briciola, una stilla della sua energia e della sua forza si staccasse da quest’ultimo per venire catturata ed assorbita dalla sua.

Stava diventando SEMPRE PIU’ POTENTE. AD OGNI SECONDO CHE PASSAVA. Non sapeva più nemmeno lui fino a che punto sarebbe potuto arrivare.

O forse era l’energia della terra che dal pavimento saliva verso il tappeto e poi ancora più su, fino ad avvolgerlo come una spirale. Una spirale che si espandeva senza alcun limite, fino ad abbracciare ogni cosa.

L’energia della terra. DELLA SUA TERRA. La stessa terra che lo aveva generato e vomitato fuori ma che lo aveva accudito e nutrito al pari degli altri suoi figli.

 

 

Lo so...lo sento...LA SENTO…

Dalla discarica…

Dal profondo della discarica…

Dal profondo della discarica più putrida e puzzolente di tutta Tokyo…

COSA STA ARRIVANDO.

 

 

Forza, José.

Più forte. Ancora più forte.

Impegnati ancora di più.

Sbrigati a sbattermi giù perché sto già per iniziare a CONTARE.

E’ come nei VECCHI FILM WESTERN, ricordi?

Io e te, uno di fronte all’altro.

E ora, estrai la pistola.

ESTRAI, FIGLIO DI PUTTANA. E vediamo chi é il più veloce tra noi due.

 

 

Dal buco del culo…

Dal buco del culo più nero e fetido di tutto quanto il Giappone…

COSA CAZZO STA ARRIVANDO, GENTE.

 

 

Sto per partire, amico.

E quando il conto alla rovescia arriverà allo ZERO, beh...SARA’ LA TUA FINE.

Ci siamo. Io vado, eh? E poi non dire che non ti avevo avvertito.

Ok, vado.

 

 

Meno tre…

 

 

Meno due…

 

 

Meno uno…

 

 

 

 

KA – BOOOMM!!

 

 

 

 

 

Allo scadere della conta il suo pugno destro era scivolato sul jab di Mendoza finendo in leva, e moltiplicando la sua potenza distruttiva a dismisura. In quanto al resto...era stato ben facile da immaginare. Così come gli effetti. E le conseguenze.

Lo aveva preso alla mascella sinistra. IN PIENO. Il suono delle nocche che impattavano lungo la superficie lucida delle pelle e da lì si propagavano fin dentro i muscoli, i nervi e le ossa fino a raggiungere il midollo aveva rimbombato per tutto il palazzetto fino ad impregnare i muri e le orecchie di chi era all’ascolto. E di chi stava osservando. Un suono denso, grezzo e pesante.

COME L’ESPLOSIONE DI UN ORDIGNO.

DI UNA BOMBA.

Il pugno per domani numero tre. Offrire una porzione della propria carne per prendersi quella dell’avversario. Rinunciare ad un pezzo di sé per avere tutto di lui.

Così aveva sempre sostenuto Danpei Tange. E lui lo aveva sempre applicato alla lettera.

UN DIRETTO D’INCONTRO INCROCIATO.

Ne aveva appena sparato uno eseguito a regola d’arte.

Il leggendario colpo assassino con cui aveva sparso il terrore e fatto strage tra tutti i pugili e gli esordienti sulla scena della boxe nipponica costringendo molti di loro, anzi LA MAGGIOR PARTE DI ESSI ad un ritiro e ad un pre – pensionamento anticipato. Dopo tanto tempo…

Il guantone di Mendoza aveva iniziato a scendere, scivolando giù dalla sua guancia. Ed il suo proprietario gli si era accasciato addosso, tentando di avvinghiarsi all’altezza dei quadricipiti per poi crollare a terra disteso.

DOWN.

Un boato era esploso, scuotendo l’intera struttura dal tetto fino alle fondamenta.

Gli spettatori non dovevano davvero credere ai loro occhi. E a quel che stavano vedendo.

Era semplicemente PAZZESCO.

Persino lui aveva avuto una strana sensazione, mentre l’arbitro era prontamente accorso e aveva dato il via al conteggio.

Lo aveva già sbattuto al tappeto altre volte, prima di questa. Ma solo ora aveva percepito una certa cosa. Solo ora l’aveva percepita con così gran chiarezza.

 

 

Sta succedendo, cazzo.

Sta succedendo davvero.

Non lo avrei mai ritenuto possibile, ma...STA ACCADENDO SUL SERIO, CAZZO.

TI STO GUARDANDO DALL’ALTO, JOSE’.

Per la prima volta dall’inizio del match TI STO GUARDANDO DALL’ALTO.

SONO IO CHE TI GUARDO DALL’ALTO, ADESSO.

 

 

Già. Era proprio pazzesco. Pazzesco e strano al tempo stesso.

Strano come l’altra sensazione che aveva iniziato a far capolino e che lo aveva colto subito dopo, senza preavviso alcuno. In quest’ultima ripresa gli sembrava di aver dato vita ad una sorta di curiosa retrospettiva. Una retrospettiva in prima persona che lo riguardava da vicino.MOLTO DA VICINO. Una retrospettiva fatta di sudore che scorre, e tendini e legamenti di braccia e gambe tirati fino allo spasimo in un movimento sequenziale e concatenato. E DI PUGNI. SOPRATTUTTO DI QUESTI.

Prima la tecnica della gelatina, poi il diretto incrociato...

Stava riscoprendo, una dopo l’altra, tutte quante le tecniche che aveva appreso ed affinato, fino a tornare al principio. Non poteva trattarsi di un puro caso.

NO, NON POTEVA PROPRIO ESSERLO.

Funziona come il nastro di una videocassetta BETAMAX o la bobina di una cinepresa. Si dice che LA FINE DELLA VITA sia più o meno la stessa cosa. Al termine del film o dello spettacolo la pellicola torna indietro riavvolgendosi su sé stessa e tu puoi assistere o meglio RI – ASSISTERE a tutte le fasi salienti, fino a che non torna all’inizio.

FINO A CHE NON TI RITIRI, LENTAMENTE MA INESORABILMENTE, VERSO IL CENTRO DEL TUO ESSERE. PER POI DISSOLVERTI.

DISSOLVERTI COMPLETAMENTE NELL’INFINITO…

Aah. Basta con queste MENATE LUGUBRI, una buona volta!

Mendoza era di nuovo in piedi. Tempo di pensare di nuovo alle cose serie.

TEMPO DI TIRAR FUORI UN’ALTRA MAGIA.

 

 

E siamo finalmente giunti al termine di questa fantastica serata, amici! Ed ora, come di consueto, inizia la rubrica finale “A GRANDE RICHIESTA”!! Una rubrica dedicata solo a voi fedelissimi che da sempre seguite le peripezie della GIOVANE SPERANZA DEL PUGILATO GIAPPONESE!! Vale a dire che tra poco, solo per voi e SOLTANTO PER VOI, il GRANDE JOE YABUKI eseguirà una delle sue tecniche speciali che tanto lo hanno reso famoso!! Una tecnica che verrà scelta proprio da UNO DEL PUBBLICO, PESCATO TOTALMENTE A CASO!! Avanti!! Fatevi avanti, Amici!! Coraggio!! non siate timidi…

 

 

“YABUKI!! FAMMI VEDERE UN BEL TRIPLO COLPO INCROCIATO!!”

 

La voce di Wolf.

Quella che aveva appena udito sembrava proprio LA VOCE DI WOLF.

 

 

Aggiudicato, signori!! Vince il signore seduto al settore F, posto DUECENTONOVANTASETTE!! EEEE….PPRRONTI CON UN TRIPLO COLPO INCROCIATO AL VOLO PER IL SIGNOR KANAGUSHI!! SERVITO!! E VAI!!

 

 

 

 

KKEEHH – RRRAAAACCCKKHH!!

 

 

 

 

 

 

 

Questa volta il suono era stato bello acuto. Acuto, limpido e scintillante.

Come il canto di un cigno. IL SUO LACERANTE, FUNEREO, STRAZIANTE ULTIMO CANTO. PRIMA DI STRAPPARSI LE CORDE VOCALI E BRUCIARSI L’UGOLA.

L’ULTIMO CANTO DELLA SUA GOLA E DI TUTTA QUANTA LA SUA VITA.

Ancora con queste fissazioni, cazzo…

Aveva di nuovo fatto passare il suo destro sopra al suo jab. Ma contro un asso della boxe del calibro di Mendoza la stessa tecnica non poteva certo funzionare per due volte di fila. Aveva già attuato la contromossa. L’unica da poter utilizzare per rendere inefficace quel colpo e ritorcerlo contro al suo esecutore. L’unica che si poteva usare se uno cercava di contrastarlo direttamente.

All’ultimo istante il messicano, tramite un secco scatto dell’avambraccio, aveva deviato il suo guantone verso l’alto ed era partito a sua volta col destro, verso la sua faccia completamente esposta e priva di qualsiasi difesa.

UN DOPPIO COLPO INCROCIATO. Eseguito a regola d’arte, per giunta.

Fortunatamente, sapeva benissimo cosa fare in casi come questo.

Il suo sinistro era partito nella medesima frazione di secondo, passando sopra al cross del campione e centrandolo dritto in bocca, in un fantastico TRIPLO DIRETTO INCROCIATO D’INCONTRO.

Da manuale. E da annali del pugilato. Da fotografare, immortalare e tramandare ai posteri.

Questa E’ ARTE, GENTE. ARTE PURA.

E per un attimo erano rimasti perfettamente immobili in quella posa statica, proprio come due modelli pronti per essere ritratti da un’artista. Van STRA – CAZZO Gogh o chi per esso. Magari il suo amico e collega francese gran frequentatore di bordelli. Come cazzo é che si chiamava? GOGAN? GOGEN? GIGEN? Mah.

Poi, non appena aveva scaricato il peso del corpo in avanti, una saetta era scesa dal cielo.

Un fulmine, che dal centro della tettoia si era schiantato sopra di lui ed aveva disperso la sua energia tutt’intorno. Senza tuono ad accompagnarlo, e completamente invisibile. Ma tutti lo avevano sentito. Lo avevano sentito gli spettatori, che erano balzati in piedi come se una scossa elettrica di qualche migliaio di volt fosse passata sotto ai loro sedili fulminandogli i sederi.

E l’aveva sentita anche Mendoza. CAZZO, SE L’AVEVA SENTITA.

Lo aveva buttato almeno mezzo metro più avanti, facendolo decollare a gambe all’insù come se un proiettile sparato da un esperto cecchino lo avesse preso in piena fronte.

Non appena era atterrato di schiena, il paradenti gli era schizzato fuori dalle labbra. INSIEME ALLE CORONE DEI DUE INCISIVI SUPERIORI CENTRALI.

Non c’era affatto da stupirsi. L’ultima volta che aveva usato questa tecnica aveva letteralmente SPACCATO LA FACCIA, a quel poveretto. Gli aveva distrutto LA MASCELLA, LA VITA E LA CARRIERA.

E se davvero era stato lui a parlare, beh...ora aveva finalmente SALDATO IL SUO DEBITO. UNA PICCOLA PARTE, ALMENO. Era pur vero che AL MALE FATTO NON C’ERA MAI RIMEDIO, ma...gli era sembrato il minimo, accontentare un suo desiderio.

Ma per Mendoza non sarebbe stato sufficiente, vero?

Non bastava mica per uno così, vogliamo scherzare?

LUI E’ FATTO DI UN’ALTRA PASTA, NON E’ FORSE COSI’?

Ma certo, che era così. Senza alcun dubbio. Ma, in caso contrario...aveva deciso di verificare di persona. DANDOGLI UNA MANO.

 

 

Avanti, José...NON MI CROLLI PER COSI’ POCO, VERO?

NON MI VORRAI CROLLARE COSI’!!

ANDIAMO AVANTI ANCORA UN ALTRO PO’, CORAGGIO...CERCA DI CAPIRE.

IL MIO MATCH E’ COMINCIATO DA SOLI TRE ROUND…

IO HO APPENA INIZIATO A SCALDARMI!!

 

 

Gli si era avvicinato e aveva preso ad inveirgli contro e ad insultarlo sotto lo sguardo impietrito dell’arbitro, che si era rialzato e aveva smesso di contare.

 

 

“IN PIEDI, MENDOZA!! NON MI HAI SENTITO?! TI HO DETTO DI RIALZARTI!!”

“YA...YABUKI! M – MA...MA SEI IMPAZZITO, PER CASO?! VA’ ALL’ANGOLO NEUTRO! SUBITO!!”

“SEI SORDO?! IN PIEDI, BRUTTO PEZZO DI MERDA!! NON HO ANCORA FINITO, CON TE!! ADESSO ME LE PAGHI TUTTE, CAPITO?! TUTTE!! STA PER TORNARTI TUTTO INDIETRO, E CON GLI INTERESSI!!”

“YABUKI, BASTA!! FILA ALL’ANGOLO NEUTRO, HO DETTO!!

 

 

Il direttore di gara aveva provato a spintonarlo via, ma lui non si era mosso di un solo passo. Anzi...voleva RAGGIUNGERE IL CAMPIONE. PER DARGLI IL RESTO. ANCHE SE ERA ANCORA A TERRA.

 

 

“ADESSO DOV’E’ LA TUA TECNICA PERFETTA, EH?! RISPONDIMI!! NON VALI UN CAZZO!! SONO IL TUO PADRONE, JOSE’!! NON VALI PIU’ UN CAZZO DI NIENTE!! SONO IL PIU’ FORTE!! SONO IO IL PIU’ FORTE!!”

“VA’ VIA, YABUKI!! VIAAAA!! O GIURO CHE TI SQUALIFICO!!”

 

 

A fronte di quella minaccia aveva deciso di seguire il consiglio. Non prima di esibirsi in un ultima sparata.

 

 

“VOGLIO GODERMELA CON TE, MI HAI CAPITO?! VOGLIO GODERMELA, FINO IN FONDO!! FINO ALL’ULTIMO MINUTO!! SEI MORTO, MENDOZA!! CAPITO?! MORTO!! TU NON ESCI INTERO DA QUA, E’ CHIARO?! MI HAI SENTITO?! NON NE USCIRAI INTERO!! METTITI L’ANIMO IN PACE!!””

 

 

Non c’era nulla da temere. Non avrebbe mai potuto veramente espellerlo. Non ora che l’incontro stava forse per volgere a suo favore. Non ora che era AD UN PASSO DAL CONQUISTARE IL TITOLO.

C’era troppo in gioco. Per la federazione e per la patria.

La sua strategia aveva funzionato alla perfezione. E aveva dato i suoi frutti. Con quella scenata da baraccone aveva fatto perdere tempo e aveva permesso al messicano di recuperare un poco. Quest’ultimo, nel frattempo, si era rimesso in piedi. Seppur a fatica, e aggrappandosi all’arbitro come un naufrago ad una boa luminosa e solitaria nel cuore della notte e nel bel mezzo di un oceano in tempesta. Non sai se ne uscirai vivo e per quanto resisterai, ma é sempre meglio che lasciarsi andare a fondo subito e annegare, immerso nel buio più totale.

Magnifico. La penitenza sarebbe proseguita. Era pronto. PIU’ CHE PRONTO. Poteva...no, VOLEVA andare avanti a torturarlo, ancora per un po'. SOLO UN ALTRO PO’. Proprio come aveva torturato lui fino a prima, senza battere ciglio.

Per ripagarlo con la stessa moneta. Per fargli capire cosa PROVA CHI STA DALL’ALTRA PARTE DEI SUOI GUANTONI..

PER FARGLI PROVARE IL BRIVIDO DELLA MORTE. PER LA PRIMA VOLTA NELLA SUA VITA.

 

 

E’ così che io ESISTO, José.

E non conosco nessun altro cazzo di modo. Né di esistere, né di spiegartelo.

E ora lascia che te lo rispieghi.

 

 

Dargli un ultimo, estremo assaggio della sua essenza più genuina ed autentica.

 

 

Che cos’é IL PUGILATO per te, José?

Uno sport? Una disciplina? UN PASSATEMPO, forse?

Oppure la tua RAGION D’ESSERE?

Per il sottoscritto é LA LAMA DI UN PUGNALE PUNTATA AL CENTRO DELLA GOLA, ECCO COS’E’.

Una lama. Una lama donata da un orco.

HO IMPARATO LA BOXE ALL’INFERNO GRAZIE AD UN VECCHIO ORCO CON UN OCCHIO SOLO DI NOME DANPEI TANGE.

 

 

Mendoza era stravolto. Dalla paura, dal dolore e dalla stanchezza. Ma poteva resistere ancora.

Ma se si rilassava erano guai. La sfida non era ancora terminata.

 

 

Vero che puoi resistere ancora? Che mi dici, José?

Ce la fai, a farmi divertire ancora per un po'?

 

 

Tra pugili non c’é bisogno di tante parole inutili. Si esprimono nella maniera che é a loro più consona e congeniale, con le armi naturali di cui dispongono.

Ma, più di ogni altra cosa, CONTANO I GESTI. E LE INTENZIONI. PIU’ DI TANTI DISCORSI.

E, quasi a voler dimostrare che le cose stavano proprio così, il campione gli si era scagliato ancora contro. Nonostante si stava reggendo in piedi a malapena.

Come lui, del resto.

 

 

Così mi piaci, José.

Non mi cedere proprio adesso.

Io e te. INSIEME, FINO AL TERMINE. OK?

 

 

Gli si era lanciato addosso a sua volta, per l’ennesima e forse ULTIMA VOLTA.

Per L’ASSALTO FINALE. Con un sorriso sulle labbra ed il cuore ricolmo di gioia per aver incrociato la sua strada con un uomo così dotato.

Non poteva scegliere avversario migliore, per ciò che lo attendeva.

Non poteva esistere COMPAGNO MIGLIORE DI LUI, PER IL LUNGO VIAGGIO CHE SI ACCINGEVANO AD INTRAPRENDERE.

E dagli con questi discorsi PORTA – JELLA, cazzo.

Avevano ripreso a colpirsi a vicenda. Sempre più forte. Sempre più veloce. Erano in preda ad una tale foga da sembrare in grado di andare avanti IN ETERNO. E forse potevano davvero farlo, giunti a quel punto. Era davvero impressionante il numero di pugni che riuscivano a scambiarsi. Non avevano più limiti. Per il semplice fatto che anche l’ultimo di essi lo avevano superato da un bel pezzo.

Sembravano due fuoriserie, due BOLIDI DI FORMULA UNO che gareggiavano testa a testa durante il gran premio che valeva l’intera stagione.

LO AVEVA RAGGIUNTO, FINALMENTE. E ora procedevano di pari passo. Perfettamente allineati.

E poi, come spesso succede in questi casi…

Proprio all’ULTIMO GIRO…

Proprio all’ULTIMA CURVA, quella che di solito precede il traguardo…

ERA SUCCESSO.

STAVA SUCCEDENDO DAVVERO. E LA COSA NON GLI ERA AFFATTO SFUGGITA.

La sua forza e la sua velocità non accennavano a diminuire. Ma Mendoza…

Era strano. Era come se di colpo fosse diventato PIU’ LENTO.

E i suoi colpi non facevano più così tanto male. I suoi genitori o meglio, LO STRONZO O LA STRONZA CHE DI VOLTA IN VOLTA NE AVEVANO FATTO INDEGNAMENTE LE VECI quando era moccioso gliene avevano date sicuramente di più forti. Ma su questo non ci avrebbe potuto mettere la mano sul fuoco. Magari era diventato INSENSIBILE a furia di prenderle, tutto qui.

O forse era che…

Meglio non dirlo. Magari era la volta buona che avrebbe iniziato a crederci per davvero.

 

 

NON DIRLO, CAZZO.

 

 

Ma si, invece.

‘FANCULO.

DILLO.

La verità era che…

LO STAVA PER SUPERARE.

STAVA VINCENDO.

 

 

Sto vincendo, cazzo.

 

STO VINCENDO.

 

STO VINCENDO!!

 

 

Mendoza gli aveva sferrato un ampio swing di destro talmente telefonato e al rallentatore che avrebbe potuto scendere da lì, andare al bancone del bar del palazzetto, farsi una bella birra ghiacciata e tornare lì giusto in tempo per schivarlo. Non lo aveva fatto perché aveva più fifa di UNA CONGESTIONE IMPROVVISA che degli effetti di quell’attacco.

Era scattato in avanti con una rapida flessione del torso prima verso il basso e poi verso l’alto, con un movimento a onda. Gli era passato sotto al braccio teso e, una volta entrato nel corpo a corpo gli aveva sparato un corto montante di sinistro a distanza ravvicinata, centrandolo vicino al fegato e facendolo piegare in due. Aveva quindi sfruttato l’impatto per caricare di nuovo lo stesso pugno e doppiarlo. Il guantone gli era come rimbalzato all’indietro ed il gomito era schizzato vicino al fianco ed oltre la schiena, come una molla in torsione.

Il secondo montante era passato oltre il busto del messicano, diretto verso l’alto. Giusto un attimo prima che quest’ultimo riuscisse a chiudersi incrociando gli arti superiori e mettendoli in modo da formare una X.

Era la difesa ideale contro gli uppercut e i colpi scagliati con traiettoria ascendente. Ma bisognava essere estremamente rapidi. E LUI NON LO ERA PIU’.

NON PIU’ COME PRIMA, ALMENO.

Lo aveva centrato nella parte inferiore del mento, tra collo e mandibola, e lo aveva buttato verso l’angolo. Gli era poi andato dietro. Non doveva concedergli nulla.

NON VOLEVA CONCEDERGLI PIU’ NULLA. NEMMENO UN ATTIMO DI RESPIRO.

NIENTE DA FARE.

NOSSIGNORE.

 

 

Allora, José…

Vediamo un po' cosa posso mostrarti di bello, ora.

Che so...potrei attirati verso il bordo e tirarti un altro bel colpo incrociato, magari sfruttando la spinta delle corde...proprio come avevo fatto con Carlos, ai tempi. Almeno te ne restituisco uno anche da parte sua, già che ci sono. Oppure potrei lasciarmi scivolare verso il basso e verso l’ultima corda, rimbalzarci sopra col sedere e farti volare per aria con un altro bell’upeercut.

Decidi tu.

DECIDI TU COME VUOI CHE TI STENDA, LA PROSSIMA VOLTA.

A TE LA SCELTA, JOSE’.

 

 

Ed invece non aveva potuto mettere in pratica né uno, né l’altro. Né rimbalzi, ne altri colpi d’incontro e nemmeno spinte sulle corde. Perché contro quest’ultime, nel frattempo, c’era finito proprio Mendoza. Occorreva levarlo di lì e mettersi al suo posto, prima di mettere in pratica qualunque piano.

Gli si era avvicinato proprio con quell’intenzione. Ma non appena era entrato nel suo raggio d’azione aveva avuto una pessima sorpresa. Il campione aveva intuito il pericolo e si era inaspettatamente ripreso. Era come se delle energie misteriose lo avessero rianimato di colpo, e ora lo stava tenendo a distanza con una sequela di diretti.

E dire che fino ad un attimo prima il suo spirito sembrava proprio sul punto di abbandonare il corpo...doveva averlo costretto ad arrestare la sua ascesa verso il regno dei cieli e a rientrare con un colpo di reni.

Un tuffo carpiato per tornare nel mondo dei vivi.

In questa valle di lacrime.

Davvero pazzesco. Quell’uomo aveva davvero mille risorse. O forse era lui che si era solo distratto, perso ed inebriato dal nettare dei dolci pensieri di vittoria.

Doveva smetterla, con quella roba. Stare concentrato sui colpi e nient’altro. Altrimenti non sarebbe più riuscito a vederli.

Si era chiuso in difesa, assorbendoli col corpo e le braccia. Non erano potenti, e nemmeno precisi. Ma erano tanti. E fitti. Non riusciva a farsi sotto. Ma l’occasione si sarebbe ripresentata, prima o poi. Doveva solo attendere. ATTENDERE IL VARCO GIUSTO.

Aveva cercato il primo, possibile appiglio tra quella pioggia di pugni e, finalmente…

Finalmente un cazzo.

UN PEZZO DI CAZZO.

Era stata tutta una recita. Una farsa per attirarlo in trappola. Si era calato alla perfezione nei panni della vittima, con la maestria di un attore consumato.

Lo aveva fregato. INCULATO ALLA GRANDE.

Mendoza gli aveva fregato l’idea. Aveva preso lui lo slancio sulle corde e gli aveva sparato un destro d’incontro dritto in faccia, dopo aver eseguito un breve saltello in avanti.

Un KANGAROO PUNCH. Una delle tecniche più complesse e più spettacolari. E devastanti.

Che però non aveva sortito ALCUN EFFETTO.

Non lo aveva spostato di un millimetro. Se avesse colpito UN BLOCCO DI MARMO O DI GRANITO avrebbe ottenuto forse un risultato migliore.

Aveva sentito qualcosa di caldo e viscoso scendergli dalla narice e dall’angolo sinistro della bocca. E sapore di ferro e ruggine speziati sulle labbra, tra le gengive e sulla lingua.

Ma anche qualcos’altro. Da parte dell’orecchio.

Un suono. Un suono davvero MOLTO, MOLTO INTERESSANTE.

A cui non poté fare a meno di reagire mettendosi a RIDACCHIARE.

 

 

“UH, UH, UH...”

 

 

Un suono chiaro, limpido ed inconfondibile.

IL SUONO DELLE PRIME DUE FALANGI CHE ANDAVANO IN FRANTUMI.

IN MILLE PEZZI.

E CHE ADESSO TINTINNAVANO SOTTO L’EPIDERMIDE COME GETTONI O SASSOLINI DENTRO AD UN CALZINO.

Stavolta gliel’aveva SPEZZATA DAVVERO, UN’ALA. E non solo in senso metaforico.

Una delle sue armi era ormai inservibile.

Si era girato a guardare Mendoza, senza smettere di ridere.

 

 

“UH UH UH UH UH UH UH UH…”

 

 

Il messicano era in preda al terrore più nero. Stava tremando ed era rannicchiato contro le corde, come a voler trovare una disperata via d’uscita. Ma era un’ipotesi impossibile. COMPLETAMENTE IRREALIZZABILE.

Non aveva scampo. Non poteva andare da nessuna parte. Poteva solo sperare, PREGARE che arrivasse la campana a trarlo in salvo da quel supplizio.

La sua mano rotta oscillava verso il basso, priva di qualunque vigore.

E stava mormorando qualcosa. Ma non era una preghiera. Era piuttosto un curioso guazzabuglio di termini stranieri mescolati alla sua lingua madre.

 

 

“NO...NO...IT’S A NIGHTMARE...E – ESTO ES...ES UN...ES UN INCUBO!! TUTTO QUESTO E’ UN INCUBO!! T – TU...TU NO...T – TU NO ES REAL...TU NON...NON SEI...NON PUOI ESSERE REALE...NON PUOI ESSERE ANCORA VIVO!! T – TU ES...T – TU SEI...TU ES MUERTO!! TU SEI MORTO!! DOVRESTI ESSERE GIA’ MORTO!!”

“...”

“I – INDIETRO...INDIETRO!! S – STA LONTANO...STA LONTANO DA ME!! N – NON...NON TE AVVICINARE, MI HAI CAPITO?!”

“….”

“M – MALDITO...C – CHI SEI, TU? C – CHI SEI VERAMENTE, MALEDETTO?!”

“…..”

“EL DIABLO...SEI...SEI IL DIAVOLO, FORSE? SEI VENUTO PER PORTARMI ALL’INFERNO? O TI HA MANDATO PER...PER PORTARMI D – DA LUI? RISPONDI!!”

 

 

Aveva sentito bene?

Morto, diceva?

MORTO ?!

LUI?!

Quelle parole sconclusionate avevano avuto l’effetto di un drappo rosso agitato davanti ad un toro nel bel mezzo di un’arena.

 

 

E così io non sarei REALE, eh?

Vediamo se i prossimi CAZZOTTI che ti tiro non sono reali, RAZZA DI FOTTUTO POMPINARO.

TE LO FACCIO VEDERE IO SE SONO GIA’ MORTO, BRUTTO ROTTO IN CULO DI UN SUCCHIACAZZI.

 

 

Aveva allargato completamente le braccia verso l’esterno, portando quello destro fin oltre la nuca. Sembrava stesse brandendo una gigantesca ascia sul punto di vibrare un colpo mortale.

 

 

“SI PUO’ SAPERE CHE CAZZO FARFUGLI, EH? CHE CAZZO VAI BLATERANDO, PEZZO DI COGLIONE?!”

 

 

Lo aveva colpito in pieno volto con qualcosa che non sembrava nemmeno un diretto. E nemmeno un pugno, a dirla tutta. Era una mazzata.

UNA ROZZA, AUTENTICA MAZZATA TRIBALE.

IL COLPO D’ARTIGLIO DI UNA PANTERA.

DI UNA PANTERA NERA NATA E CRESCIUTA NEL PROFONDO DEL VENEZUELA.

 

 

“STA’ ZITTO!! CHIUDI QUELLA CAZZO DI BOCCA, CAPITO?!”

 

 

Aveva scostato il guantone e fatto scattare il gomito in avanti, centrandolo nello stesso punto.

IL COLPO PROIBITO DI CARLOS.

La testa di José si era ritorta all’indietro, mentre un altro pezzo di calcare e di avorio finiva in regalo alle prime file del pubblico.

UN PREMOLARE SUPERIORE SINISTRO, questa volta.

Una ferita gli si era aperta all’altezza dello zigomo sinistro. Era piccola ma profonda, ed aveva iniziato a buttare sangue peggio di una fontana.

Aveva saldato il conto di coscienza anche con Rivera, a quanto pareva.

Il medesimo braccio aveva quindi continuato ad infierire su quella ferita fino a farla allargare sempre di più, mentre l’altro rimasto libero era ben piantato tra il collo ed il petto del contendente per impedirgli di allontanarsi. La testa di quest’ultimo seguitava a dondolare a destra e a sinistra per effetto dei ripetuti colpi, quasi che fosse composta di gomma o di cartapesta.

E poi era partito con una serie di ganci ad angolo retto, bersagliandolo in ogni punto scoperto del suo corpo.

Il messicano era inerme. Non reagiva più. Nemmeno alle percosse.

NON REAGIVA PIU’ A NULLA.

Le sue membra sembravano essersi fatte di botto più pesanti. Si stavano rilasciando, abbandonando. Stavano cedendo alla forza di gravità.

Era davvero possibile che…

Aveva interrotto il cruento pestaggio per un solo istante, una frazione di decimo di secondo. Giusto per vedere se era vero.

E infatti.

Mendoza gli stava letteralmente FRANANDO ADDOSSO. SI STAVA DISFACENDO DI FRONTE A LUI, SOTTO AI SUOI STESSI OCCHI.

Eh, no.

Troppo facile.

Così era davvero troppo, troppo facile.

Doveva soffrire ancora. E ancora. E ANCORA.

Aveva scagliato un colpo col sinistro dal basso verso l’alto. Come se stesse sollevando una grossa zolla di terra O DI LETAME con un unico, secco COLPO DI BADILE per poi lanciarla in aria. E lo aveva rimesso in piedi e ributtato con la schiena contro le tre corde.

Aveva appena rinunciato ad un altro KO, forse QUELLO DEFINITIVO, a giudicare da come stava messo.

Ma se gli fosse finito a terra ora, si portava dietro anche tutto il divertimento. Gli avrebbe ROVINATO OGNI COSA.

Doveva tenerlo in piedi.

Doveva rimanere in piedi. E continuare a BALLARE, al ritmo dei suoi fendenti.

 

 

Balla per me, José.

Continua a danzare. E non smettere fino a che non lo decido io.

Balla, José.

Balla.

BALLA.

CHOM CHOM.

 

 

L’unica cosa utile che aveva appreso da quel fottuto bastardo psicotico d’un coreano parricida e di sicuro pure MANGIA – CANI.

La sola eredità valida che gli aveva lasciato. Ma almeno aveva sistemato le cose anche con lui.

Meglio non avere debiti né faccende in sospeso con anima viva. Specie se si sta per…

E BASTA, CAZZO.

Aoyama, Rikiishi, Wolf, Rivera, Kim...per ognuno di loro aveva un ricordo impresso. E ora li stava usando per narrare una storia. LA SUA STORIA. Gliela stava incidendo nelle carni, una tecnica dopo l’altra.

 

Proprio così, Mendoza.

Ti sto raccontando una storia. LA MIA STORIA.

La storia di un ragazzo che neanche doveva esser nato,

e che all’inizio nemmeno tanto era piaciuto.

Ma che ha sempre fatto quel che aveva voluto,

e guarda un po' fin dove cazzo é arrivato.

Un ragazzo che la boxe ha conquistato,

ma che mai fino in fondo ai suoi voleri ha veramente piegato.

 

 

Gustatela tutta, mi raccomando.

GUSTATELA TUTTA, FINO IN FONDO.

 

 

‘Azzo. Hai visto che gli si era risvegliata pure la vena di POESIA ERMETICA?

Era davvero il giorno DEI MIRACOLI, quello.

Mancava solo HARIMAO, a completare l’appello. Ma per saltare sulle corde elastiche come faceva lui, o per eseguire uno dei suoi PUGNI IN ROVESCIATA senza fracassarsi il cranio occorreva una certa dose di predisposizione naturale. Ed aver vissuto come un selvaggio in mezzo ai selvaggi cacciando tigri ed altre bestie feroci aveva avuto certamente il suo peso. Meglio limitarsi a fare ciò che si é capaci di fare, và.

Poi, all’improvviso, dei passi alle sue spalle.

 

 

“STOP, YABUKI! E’ D...”

 

 

Aveva già capito di chi si trattava ancor prima che avesse aperto bocca. E si era slanciato all’indietro colpendolo con una spallata prima per metterlo fuori combattimento prima che avesse potuto concludere la frase. Infine si era girato per scoprire se aveva avuto ragione.

Indovinato in pieno. Era proprio l’arbitro, che adesso giaceva nei pressi dell’angolo alla loro destra leggermente intontito.

Si era quindi voltato verso Mendoza, di nuovo. E aveva notato una cosa.

Un liquido dal vago color paglierino gli stava colando dai pantaloncini lungo le cosce, dopo averli inzuppati per benino.

E poi quell’odore che lo accompagnava.

Quel puzzo inconfondibile.

PUZZO DI PISCIO.

GLI AVEVA CEDUTO LA VESCICA.

C’era da augurarsi almeno che avesse preso la consueta dose di SALI GLAUBER poco prima del match altrimenti, di quel passo, avrebbe corso pure il rischio di CACARSI ADDOSSO, e non sarebbe stato un gran bel vedere.

Chi se ne frega. Non voleva smettere. NON RIUSCIVA PIU’ A SMETTERE DI INFIERIRGLI CONTRO. Non voleva il KO al suolo. E nemmeno quello in piedi. Non bastavano ad accontentarlo, giunti a quel punto. Avrebbe smesso solo quando GLI AVREBBE STACCATO DI NETTO LA TESTA DAL COLLO PER FARLA ROTOLARE IN MEZZO AGLI SPALTI, come minimo.

Magari aveva detto quelle parole perché era in pieno delirio, o per scaricarsi un peso dalla coscienza. E doveva avercene molti, ma…

Ma forse José aveva avuto ragione.

Aveva avuto ragione a dargli del DIAVOLO.

Forse era davvero IL DIAVOLO. E lo stava scaraventando all’inferno. Un pezzo alla volta. Brandello dopo brandello.

Ma, d’altra parte…

 

Forse é davvero come dici tu.

Beh...sai che ti dico?

NESSUN RANCORE, AMICO.

In fin dei conti, fino a poco fa...VOLEVI FARMI LA STESSA COSA, NO?

Quindi...non ti dispiacerà certo se ora voglio RENDERTI LA PARIGLIA.

NON VOLERMENE, CAMPIONE.

E AFFRONTA LA COSA DA UOMO, PROPRIO COME HO FATTO IO.

PREPARATI A MORIRE, COME ME.

 

 

Questo era quanto. A parte la solita menata sullo schiattare.

Sarebbe andato fino in fondo, senza ripensamenti. A meno che…

A MENO CHE.

Il MANGIATORTILLAS aveva biascicato qualcosa. Qualcosa di confuso, ma sufficientemente chiaro e comprensibile da coprire un altro rumore in sottofondo di non ben precisata natura.

 

 

“MAS...NO MAS...BASTA...BASTA...MI ARRENDO...POR PIETA’...MI ARRENDO...”

 

 

FERMI TUTTI, GENTE.

FERMI TUTTI. CHE NESSUNO MUOVA UN DANNATO MUSCOLO!!

Che cosa aveva detto?!

CHE...CHE COSA CAZZO AVEVA APPENA DETTO?!

Si...si era arreso?!

SI ERA ARRESO?!

Ma questo voleva dire che…

 

 

Ho vinto, cazzo.

HO VINTO!

HO VINTO!

HO VINTO!!

 

 

“BASTA, JOE!! E’ FINITA, HAI CAPITO?! E’ FINITA, FINALMENTE!! BASTA COSI’!!”

 

 

La voce del vecchio. Lo aveva afferrato per il braccio sinistro, tirandolo via da lì.

 

 

“NISHI, ACCIDENTI A TE!! VUOI DARMI UNA MANO, DANNAZIONE?!”

“O...OK.”

 

Un’altra sensazione di presa d’acciaio, questa volta sul versante opposto. Il buon Kanichi aveva eseguito l’ordine seduta stante, docile come un agnellino nonostante la mole da orso. O meglio, DA MAMMUTH.

Ecco cos’era stato quel suono. Era il gong che annunciava la fine del round. E DELL’INCONTRO. Al suo suono i secondi si erano precipitati sul ring per ricondurre i loro pugili ai rispettivi angoli, vista la parziale indisponibilità del giudice di gara. E visto che i due contendenti la campanella non l’avevano nemmeno udita. Specie lui, che non aveva avuto alcuna intenzione di volerla piantare lì.

STOP. FINISH. EINDE. FIN. FINIS. GAME OVER. Non riamneva altro da fare che tornarsene buoni buoni al proprio sgabello ed affidare la questione ai cartellini dei giudici.

In ogni caso, a lui non gliene avrebbe più importato UN FICO SECCO. Aveva già ottenuto il responso che voleva. L’unico, che gli interessava davvero.

AVEVA COSTRETTO MENDOZA ALLA RESA.

AVEVA VINTO.

Aveva fatto appena in tempo, e poco prima che sopraggiungesse il termine delle ostilità. Ed ora non rimaneva il tempo per fare nient’altro, purtroppo.

O forse no. NON ANCORA.

Forse c’era ancora qualcosa che avrebbe potuto ancora fare. Una piccola aggiunta giusto per soddisfazione personale.

Non poteva imitare lo stile di combattimento del malese. Troppo personale. Ma una tecnica poteva di sicuro usarla. Quella con cui aveva steso quel cazzo di TROGLODITA.

Con un improvviso strattone si era liberato dalla morsa dei suoi due assistenti, e poi aveva spiccato un deciso balzo in avanti e verso l’alto, con il destro bello carico ed in rampa di lancio.

Gli era parso quasi di volare sopra alle teste dei componenti del team messicano, e sopra i loro volti e sguardi esterrefatti…

 

 

“YYYAAARRGGHHH!! MUORI, PER DIO!! MUORIIIHHHHH!!”

 

 

Un ultimo colpo. Un ultimo, devastante colpo in piena faccia a Mendoza che era ancora in piedi, nonostante le uniche cose che ancora lo mantenevano in quella precaria posizione erano le braccia annodate attorno alla prima corda, all’altezza dell’interno dei gomiti.

Il corpo del messicano si era inarcato violentemente all’indietro,come a schizzare fuori dal ring. Poi, come un pendolo, una volta giunto alla massima escursione possibile aveva oscillato nella direzione contraria per poi schiantarsi di botto sul quadrato carponi e col culo per aria. Sembrava un neonato che se la stava ronfando della grossa. O un invertito Che offriva docilmente le terga pronto a prenderlo in quel posto.

Gli era venuto da ridere, a vedere IL RE DEI RE ridotto in un tale stato.

Forse aveva ragione quello psicologo della stazione di polizia. Aveva davvero UN DESERTO al posto del cuore, dopotutto. Un deserto arido ed assetato dove non poteva crescere nemmeno un misero stelo d’erba.

MORTE ED INVERTITITI.

Negli ultimi minuti per qualche strana ed ignota ragione non gli riusciva di pensare ad altro. Chissà perché. Era arrivato persino a cercare di comprendere se ci fosse qualche assurdo nesso tra le due cose.

Proprio dei bei pensieri DEL CAZZO che ti vengono, giusto un attimo prima di CREP…

Niente, eh? Proprio UN DANNATO CHIODO FISSO, quella sera.

Il manager di Mendoza lo aveva spinto all’indietro intimandogli di levarsi di torno, mentre il resto del gruppetto aveva fato quadrato attorno al campione ancora a terra.

Il pubblico non aveva gradito per nulla quel gesto, e aveva reagito di nuovo con rabbia.

Il lancio di oggetti e vettovaglie all’indirizzo del ring era ricominciato.

Lui intanto, giusto un istante prima di cadere era finito di nuovo tra le braccia dei suoi due secondi che ora lo tenevano ben stretto impedendogli qualsiasi mossa. E ne avevano ben ragione: era proprio DA COGLIONI rovinare tutto proprio adesso con una ssurdo colpo di testa. Proprio adesso che le cose sembravano mettersi così bene…

 

 

“LASCIAMI, VECCHIO! E ANCHE TU, NISHI! VI HO DETTO DI LASCIARMI!!”

 

 

Era arrivato anche l’arbitro, che nel frattempo si era completamente ristabilito, ed aveva iniziato a cercare di ricondurre tutti quanti alla calma, sia atleti che spettatori, invitandoli a smetterla con un atteggiamento così sconsiderato e non degno di una simile occasione, coadiuvato dall’imperiosa voce dello speaker che dall’altoparlante ordinava di rimettersi a sedere.

Ed era allora che lo aveva sentito.

Un altro sono aveva iniziato, lentamente e quasi con pudore, a sostituirsi a fischi e alle urla. Un suono flebile ma che aveva iniziato a prendere sempre più forza, col passare dei minuti. Un suono che proveniva da un minuscolo punticino del palazzetto, ma che lui aveva saputo ben riconoscere. Perché era lì che si trovava la sua gente.

UN APPLAUSO.

 

 

“LI SENTI, JOE?! SONO I NOSTRI!! CI STANNO RINGRAZIANDO!! SI STANNO CONGRATULANDO CON NOI!! SI STANNO CONGRATULANDO CON TE, RAZZA DI TESTONE!!”

 

 

Il vecchio aveva la voce rotta dal pianto. Ora sapeva cosa doveva fare.

 

 

“TI HO DETTO DI LASCIARMI, VECCHIO!! NON MI HAI SENTITO?! SEI SORDO, PER CASO?! LASCIAMI!!”

 

 

Con un ultima combinazione di spinte e strattoni era riuscito di nuovo a divincolarsi e a sganciarsi. Non amava le catene. Non le aveva mai amate, di alcun genere, e ci teneva a ribadirlo. SEMPRE. Poi si era piegato leggermente in avanti e, dopo aver preso una consistente dose d’aria mediante due profondi respiri…

 

 

“AAAARRRRRGGGGGHHHHH!!”

 

 

Un urlo selvaggio, primordiale. Un urlo alzato contro il cielo al di là del soffitto. Un urlo che non aveva nulla. Né di CIVILE, né di UMANO.

Era il grido di vittoria di un guerriero scampato ad una sanguinosa battaglia campale ed intento a brindare alla vita con il sangue caldo degli avversari uccisi. Oppure…l’ululato famelico e soddisfatto di un GROSSO E NERO LUPO con entrambe le zampe davanti poggiate sulla carcassa della preda appena catturata ed uccisa, che ringraziava sorella luna per avergli concesso di scorgere una preda così grassa e succulenta con cui riempire la sua pancia perennemente vuota.

Dopo quel grido si era sentito come svuotato. Ma non era affatto una brutta sensazione. Anzi...l’aveva trovata persino BENEFICA. Come se avesse sputato fuori dalla bocca un nefasto e potentissimo VELENO, mentre aveva emesso il suo RUGGITO.

L’ULTIMO, molto probabilmente. Sia NELLA BOXE che NELLA VITA.

Le membra gli si era come rilasciate, tutte in colpo. Le spalle abbassate, il ventre molle. E non era sgradevole come aveva sempre pensato. Aveva percepito quasi una specie di CALORE irradiarsi da essi. Unito ad un leggero AUMENTO DI PESO. Il calore ed il peso del sangue che scorreva fluido.

IL SUO CALORE. IL CALORE DI LUI CHE VIVEVA. CHE ERA ANCORA VIVO.

MALCONCIO. SCASSATO. MA ANCORA VIVO.

Si sentiva calmo, ora. Tranquillo. Di una calma e di una tranquillità persino INNATURALI, per uno come lui. Ma solo perché non era abituato a simili percezioni. Aveva sempre vissuto COL VOLUME AL MASSIMO, con i nervi ed i muscoli sempre tirati e tesi fino allo spasimo, e non era avvezzo alle FREQUENZE PIU’ BASSE, tutto qui. Avrebbe dovuto abituarcisi, da ora in poi. A RALLENTARE. Ma avrebbe avuto tutto il tempo. Ma adesso…

 

A tuo modo sei diventato un IDOLO per loro, ragazzo.

Fà qualcosa per mostrare la tua gratitudine.

 

 

Aveva alzato la mano destra in segno di saluto. Dapprima con fare incerto ed esitante poi sempre più convinto, man mano che il battimani aumentava. Quando il braccio raggiunse la massima estensione consentita l’ovazione esplose incontrollabile, e l’intero palazzetto era sembrato crollare per su sé stesso per gli applausi.

Si stavano congratulando con lui per aver resistito ben quindici assalti contro il detentore del titolo, ovviamente. Ma non solo. Si stavano complimentando anche con Mendoza. Stavano glorificando entrambi per lo splendido spettacolo che gli avevano offerto, nonostante quel gran finale estremamente violento e al di fuori di qualunque regolamento sportivo. E comunque...era stato il messicano a cominciare, e lui gli aveva soltanto reso quanto dovuto. Non un’oncia di più.

In ogni caso…tutto quanto era valso il prezzo del COSTOSO biglietto.

Non si poteva chiedere proprio di più. E nemmeno di meglio, per uno che fatica a tirare la ine del mese o che si era letteralmente LEVATO IL PANE DI BOCCA per poter essere lì, mentre si scriveva la storia del pugilato.

Tutto era tornato alla normalità, intanto. Ed in men che non si dica i componenti dei due entourages avevano smesso di fare da scudi umani ed avevano iniziato a prendersi cura dei due SUPERSTITI, e a prestar loro le prime cure.

Si, avete capito benissimo. SUPERSTITI. Perché quello erano, in un certo senso.

Sembravano veramente due REDUCI, due SOPRAVVISSUTI a qualche sanguinosissimo ASSEDIO DI FRONTIERA, intenti a vagare tra i corpi falciati, smembrati e dilaniati dalle granate, dalle mitragliatrici e dai bombardamenti a tappeto alla ricerca di un nemico ormai in rotta e fuggito e di eventuali commilitoni scampati come loro. Immersi nelle interiora, nei liquami organici, nei pezzi umani e nel sangue che, mischiato col fango, diventava una spessa poltiglia rossastra che gli arrivava alle ginocchia e gli artigliava gola e stomaco col suo tanfo di marcio e di morte, facendogli chiedere perché non erano morti anche loro, e perché l’avevano scampato solo per dovere essere costretti ad assistere a quell’orrore indicibile, a quella VISIONE D’INFERNO.

Ciò valeva soprattutto per Mendoza, in quel momento. Si era voltato a guardarlo mentre i suoi lo stavano tenendo a braccia subito dopo averlo rimesso in posizione eretta, e mentre lo zietto Danpei e Nishi gli stavano avvolgendo l’accappatoio attorno alla schiena.

Era una visione veramente sconfortante. Sembrava invecchiato di almeno dieci, no...VENT’ANNI in un colpo solo. I suoi capelli erano BIANCHI, INCANUTITI. E pareva averne persino PERSI. Si poteva persino avere l’impressione di vederne ancora SCENDERE A CIOCCHE.

Il suo sguardo era basso, perso nel vuoto. I suoi occhi, spenti. Due orbite vuote prive di qualsiasi scintilla.

Filamenti di bava rossastra gli stavano colando dalla sua cavità orale ormai sdentata. E stava boccheggiando, muovendo le labbra molto lentamente ma a ritmo convulso e scomposto. Faceva delle lunghe esalazioni, buttando fuori più aria di quanta ne inspirasse. Dava proprio l’impressione di stare TIRANDO GLI ULTIMI. Come quei pesci appena pescati e sbattuti sul pontile di legno che può costeggiare un lago, un fiume o il mare, con le branchie segnate e tagliate dal fil di ferro delle reti e dei retini e la vescica natatoria esplosa a causa del tremendo e repentino sbalzo di pressione.

Gli aveva fatto davvero vedere LA MORTE IN FACCIA. E doveva essere veramente USCITO DI SENNO. Sul serio. Del resto…

Del resto L’INFERNO LO SI PUO’ ATTRAVERSARE ANCHE SULLA TERRA, DA VIVI. E la mente, per non impazzire del tutto, FINISCE CON L’ANNULLARSI. Si SPAZZA VIA DA SOLA, PER NON ESSER SPAZZATA VIA. E a chi subisce questa sorte non rimane altro che trascorrere il resto dei propri giorni contando su quel poco che ne rimane.

UNA MORTE COSCIENTE, ecco cos’é. SI MUORE MENTRE SI E’ ANCORA IN VITA. Un destino identico a quello della morte stessa. SE NON ADDIRITTURA PEGGIORE.

Come accidenti si può fare ad andare avanti se CI SI PERDE? SE SI PERDE SE’ STESSI?

Se la sorte dev’essere quella, allora...meglio tagliarla corta e MORIRE PR…

E dagli.

Eppure, nonostante quelle considerazioni, si era accorto di non provare la benché minima PIETA’ o COMPASSIONE di sorta per quel tizio. E nemmeno per le sue condizioni. Ormai, dopo una simile esperienza, era andato OLTRE quelle cose. Tutto ciò che stava provando era solo...solamente una sorta di GELIDO, CINICO E DISTACCATO FATALISMO.

 

 

Mi rincresce, campione. Scusa se te lo dico, ma...mi sa tanto che qui, se c’é qualcuno ad aver commesso l’errore di prender sottogamba qualcun’altro, beh...quel qualcuno SEI STATO TU.

Mi sa che mi hai sottovalutato, José. E DI PARECCHIO, anche.

Avevo cercato di metterti in guardia. Io ero disposto a farmi UCCIDERE, pur di non finire al tappeto.

A MORIRE, PUR DI NON MORIRE.

MORIRE PUR DI NON MORIRE...ma senti un po' con che cazzo di discorsi me ne salto fuori.

E comunque, se anche tu non eri disposto a fare altrettanto...FACEVI MEGLIO A NON SALIRCI QUI CON ME, STASERA.

TE LA SEI CERCATA, MENDOZA.

TE LA SEI PROPRIO CERCATA.

TANTO PEGGIO PER TE.

 

 

Aveva avuto il vago sentore che i suoi guantoni non sarebbero stati gli unici a finire appesi ad un chiodo e ad un bel muro, al termine di quella notte.

Ormai per quello si prospettava un futuro come LUNGODEGENTE IN UNA BELLA CLINICA PSICHIATRICA.

SEMPRE SE RIUSCIVA A VENIR FUORI VIVO DA QUI. E vedendolo, non c’era da giurarci troppo. E neanche da scommetterci.

Ma ormai la cosa non lo riguardava più. E a proposito di cose che ormai non lo riguardavano più…

 

 

“E’ FINITO, FINALMENTE. E’...E’ TUTTO QUANTO FINITO...”

“CHE...CHE COSA DICI, JOE?!”

“STO DICENDO CHE E’ TUTTO FINITO, ZIO. ALLA FINE...ALLA FINE HO BRUCIATO TUTTO QUANTO, FINO IN FONDO...”

“JOE...”

“SI...TUTTO QUANTO. E, ALLA FINE...NON E’ RIMASTA CHE CENERE. CENERE BIANCA...NON E’ RIMASTA CHE DELLA CENERE BIANCA...”

 

 

Si era girato di scatto su sé stesso, e si era diretto verso il suo angolo. Senza degnare più nessuno di uno sguardo. Nemmeno ciò che era rimasto del suo sfidante.

 

 

“JOE...JOE!! MA DOVE STAI ANDANDO?!”

“SONO STANCO, ZIO. HO VOGLIA DI SEDERMI.”

“MA JOE...”

“HO DETTO CHE SONO STANCO! BASTA!! VOGLIO SEDERMI, CAPITO?!

 

 

Si era allontanato un passo dopo l’altro. Tallonato a ruota dal vecchio zietto che a momenti era sul punto di iniziare a prostrasi e a genuflettersi davanti a tutti i presenti, sciorinando scuse e giustificazioni a più non posso.

 

 

“SCUSATE...SCUSATE, VI...VI CHIEDONO PERDONO DA PARTE SUA PER IL SUO...PER IL SUO COMPORTAMENTO...ANCHE A LEI, SIGNOR ARBITRO...SA COM’E’...ALLE VOLTE, L’ADRENALINA GIOCA DEI BRUTTI SCHERZI...”

 

 

Aveva raggiunto lo sgabello e ci si era stravaccato sopra, con le braccia ben stese lungo le corde centrali ed il dorso poggiato contro la copertura di plastica che foderava il sostegno centrale. Proprio nel punto dove le due corde si univano, da sotto.

Aveva quindi sistemato contro anche la nuca e si era completamente adagiato anche con il busto, mettendosi bello comodo. Ma mancava ancora qualcosa…

Ah, già. I GUANTONI.

 

 

“EHI...EHI, NISHI.”

“EH?!”

“I GUANTONI...SFILAMELI, PER FAVORE. TANTO NON MI SERVONO PIU’.”

 

 

Il bestione, a quel richiamo, si era subito voltato ed avvicinato. E subito aveva obbedito. Aveva preso un bel paio di lunghe forbici e, dopo aver tagliato i legacci, glieli aveva estratti entrambi ed in simultanea con uno strattone secco e deciso.

 

 

“ECCO...ECCO FATTO, JOE.”

“GRAZIE. E ORA DAMMELI.”

 

 

Aveva guardato dietro alle proprie spalle e l’aveva vista.

ERA ANCORA LA’.

BELLISSIMA.

I suoi occhi si erano posati su quelli di lei, ancora in lacrime.

L’aveva chiamata, anche se non ce n’era il bisogno.

Ma voleva sentirla, prima di ogni altra cosa.

VOLEVA SENTIRE LA SUA VOCE, AD OGNI COSTO.

 

 

“EHI, YOKO...CI SEI ANCORA?”

“S – SONO...SONO QUI, JOE...”

“TIENILI.”

“C – COME?”

“HAI SENTITO. TIENILI. VOGLIO CHE LI TENGA TU.”

“S – SI...”

 

 

Aveva teso la coppia di guantoni verso di lei. Le stava offrendo le sue ARMI. Ammaccate nelle zone in cui erano andate a segno e nei punti in cui avevano intercettato i colpi nemici. Nonché sporche ed incrostate di sangue, saliva e sudore ormai rappresi. Sia suoi che di Mendoza.

Yoko, dopo un breve attimo di titubanza, li aveva afferrati senza più la minima ombra di esitazione e se li era portati al proprio petto come il più prezioso dei tesori, macchiando la sua camicetta di seta pura ed immacolata.

Rosso su bianco. Come il lenzuolo testimone di una deflorazione appena avvenuta esposto alla pubblica piazza, per l’orgoglio virile e per la solerte fedeltà dei due artefici.

Non aveva potuto fare a meno di vederci qualcosa di profondamente simbolico, in tutto ciò.

 

 

Prendili.

Te li dono INSIEME ALLA MIA ANIMA E A TUTTO IL MIO AMORE.

IL MIO RICORDO VIVRA’ PER SEMPRE CON TE.

 

 

Oh, cazzo. Ancora con questi pensieri. E stavolta la stava pure buttando sullo SDOLCINATO, per giunta.

Ma perché continuava ad andare avanti con questa SOLFA, accidenti a lui?

Che se andasse al diavolo la morte! A lui interessava LA VITA! LA VITA, CAPITO?!

Voleva VIVERE. E adesso aveva davanti TUTTA QUANTA LA SUA VITA INTERA, per poterlo fare.

Aveva alzato lo sguardo in alto, verso i riflettori. Quella luce lo stava accecando e friggendo al tempo stesso, ora che stava fermo ed immobile. Chissà in quale dei due intenti sarebbe riuscita per prima. Però...per pur fastidiose che erano, in quel momenti le trovava così calde ed invitanti…

Irresistibili. Davvero irresistibili.

Gli era sembrato di alzarsi, di fluttuare in volo verso esse. Forse era proprio cosi ciò di cui aveva letto sin da bambino. Per quel poco che gli era riuscito di leggere.

IL FULGORE DEL PARADISO...FORSE ERA DAVVERO COSI’.

Forse era davvero sul punto di rendere l’anim…

Eh, no. No, no. Niente da fare. Non scherziamo, belli. La sua anima poteva rimanersene tranquilla dentro al suo corpo. Stava bene lì dov’era. Aveva da usarla ancora per tutta una vita intera. Una vita intera da farle trascorrere, in sua compagnia.

Si riteneva PIU’ CHE SODDISFATTO. Ed aveva tutti i motivi per esserlo. Aveva fatto tutto ciò che voleva. Aveva dato fondo a tutte quante le sue risorse, bruciandole in un’unica, intensa, ardente fiammata, fino a lasciare LE BIANCHE CENERI. Proprio come desiderava. Non aveva più rimpianti.

Era talmente contento che non gliene fregava più nulla, nemmeno di stare a sentire l’esito emesso dai commissari. L’unico esito che davvero contava lo aveva ricevuto direttamente PER BOCCA STESSA DI MENDOZA.

AVEVA RICONOSCIUTO LA SCONFITTA. LO AVEVA DISTRUTTO, PIEGATO. NEL CORPO, NELLA MENTE E NELLO SPIRITO.

AVEVANO LOTTATO PER LA SUPREMAZIA. SENZA RISERVE E SENZA RISPARMIARSI. E, ALLA FINE...

LO AVEVA DETRONIZZATO.

IL GIOVANE LEONE AVEVA SCALZATO QUELLO PIU’ ANZIANO DALLA RUPE DEI SOVRANI.

E’ MORTO IL VECCHIO RE, VIVA IL NUOVO RE. E ONORE E GLORIA AL SUO NUOVO REGNO.

Lo sapevano solo lui e José, e tanto gli bastava.

Non avrebbe combattuto MAI PIU’. Aveva definitivamente chiuso quella pagina del suo GRANDE LIBRO. Ed era pronto per aprirne un’altra. O meglio, a riaprire quelle che non si era mai degnato di guardare e sfogliare perché le aveva sempre giudicate TROPPO PALLOSE. Noiose, scontate e prevedibili.

Erano solo pagine di esistenza NORMALE E QUOTIDIANA, tutto qui. Ma che adesso riusciva a scorgere sotto una luce ed una freschezza tutte nuove.

Era libero di aprirne quante e qualunque ne desiderava. Libero di fare qualunque cosa voleva. Non aveva né sentiva più alcun LIMITE.

Avrebbe trovato qualcos’altro di cui occuparsi. Magari si sarebbe trovato UN LAVORO. Non gli faceva più così senso quella parola, adesso. Magari avrebbe chiesto aiuto a Yoko. O magari glielo avrebbe offerto lei, senza nemmeno bisogno di chiedere. Un posto da impiegato...no, meglio da FATTORINO. Non era nemmeno laureato o diplomato e sapeva a malapena leggere e scrivere. Almeno avrebbe potuto farsi dei bei giri per Tokyo e dintorni. Ma solo a piedi o in bici però, visto che non aveva manco la patente.

Avrebbe accettato il suo aiuto, questa volta. Di cuore. E anche la sua amicizia. Così l’avrebbero piantata di fare come cane e gatto, una buona volta. E magari avrebbe accettato anche di più.

Inutile girarci attorno: un uomo non é fatto per stare da solo. Glielo aveva sempre detto e ripetuto il vecchio pugilomane, quando lo aveva esortato a più riprese ad accettare gli inviti di Noriko.

Già, Noriko...sembrava davvero che CE NE FOSSE, tra loro due. Almeno all’inizio.

Ma no. Lei no. L’aveva sempre vista come una specie di sorellina appena più grande di Sachi. Buona per parlare, confidarsi e chiacchierare del più e del meno e farsi qualche scherzo o qualche battuta maliziosa. Non riusciva proprio a vederla come donna. Figurarsi a BACIARLA o ad immaginarla NUDA, sdraiata al suo fianco ed avvinghiata lui a notte fonda, a sussurrarsi dolci paroline e tenere promesse dopo aver fatto ALL’AMORE…

No, no. Per una come lei Nishi andava più che bene. GARANTITO.

Yoko, invece, la vedeva più sulla sua stessa lunghezza d’onda. Perché a lui non serviva una sorella ma UNA DOMINATRICE. Che però avrebbe dovuto accettare di NON POTERLO DOMINARE. MAI. Perché puoi riuscire ad ammansire il LUPO FEROCE, con il tuo affetto. Ma non potrai riuscire ad ADDOMESTICARLO. Ti dovrai accontentare della fedeltà che lui deciderà di concederti, QUANDO SE LA SENTIRA’ E QUANDO NE AVRA’ VOGLIA.

Così avrebbero potuto instaurare un rapporto schietto, limpido, sincero. TRA ADULTI. E NON TRA MADRE E FIGLIO come molti altri. Litigare ferocemente e prendersi a schiaffi per poi fare pace un attimo dopo, strappandosi i vestiti di dosso e sciogliendosi in un intimo abbraccio per saziare la reciproca fame e sete che avevano l’uno dell’altra…

Era una cosa nuova. Era TUTTO NUOVO per lui, in quell’istante. E quel tutto non era certo privo di INCOGNITE ed INCERTEZZE. Soprattutto per ciò che concerneva I SENTIMENTI.

CHI AMA VENDE LA PROPRIA LIBERTA’, diceva il saggio.

Ma NON AMARE E’ UN LUNGO MORIRE, diceva anche.

Doveva essere veramente stato una GRAN FACCIA DI MERDA, quel saggio. QUASI QUANTO LO ERA LUI. Anche se non lo aveva mai conosciuto.

Quindi...NON AMARE YOKO ERA UN LUNGO MORIRE.

E dagli, con questa storia. Proprio un autentico CHIODO FISSO, EH?

Ma lui non voleva morire. Lui AVEVA VINTO, ed ora voleva VIVERE.

VIVERE E VINCERE. Voleva entrambi.

VOLEVA LA VITA.

Aveva dato tutto, fino in fondo. E ANCHE DI PIU’.

E ora ne voleva ANCORA. Non gli bastava. Sentiva che non gli sarebbe bastata MAI.

Solo che era...era STANCO. TANTO STANCO. COSI’ STANCO…

E quei riflettori lo stavano davvero tormentando.

Voleva chiudere gli occhi. Solo per un poco.

SOLO UN POCHINO. PER RIPOSARE. PRIMA DI FARE OGNI ALTRA COSA.

Aveva deciso di accontentarsi. E di concedersi il suo desiderio.

Era una cosa così INNOCUA, in fondo…

CHE DIAMINE SAREBBE MAI POTUTO SUCCEDERE?

Così aveva fatto quindi. Aveva iniziato a socchiudere lentamente le palpebre, con quella luce abbagliante che sfocava poco a poco fino a svanire. E…

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

E l’attimo dopo, quando li aveva riaperti, si era ritrovato all’interno dello spogliatoio, completamente immerso nel buio.

Non ci si era proprio raccapezzato. Non riusciva a trovare una spiegazione plausibile, a tutto ciò.

Possibile che era stato tutto quanto un sogno? SOLAMENTE UN SOGNO?

Possibile che si era IMMAGINATO tutto quanto?

Era davvero possibile che non era accaduto NIENTE?

O magari...CHE NON ERA ACCADUTO ANCORA NIENTE?

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Salve a tutti, rieccomi qua!!

Alla fine ce l’ho fatta!!

Reduce da due settimane letteralmente INFERNALI, dove mi é accaduto veramente di TUTTO.

Beghe lavorative, personali, e persino problemi di salute.

Ma alla fine mi sono lasciato tutto quanto alle spalle. E sono riuscito a concludere questo benedetto (o MALEDETTO, meglio ancora) capitolo.

Un capitolo che, a rileggerlo, mi ha lasciato alquanto frastornato.

Mi sento come se ci fossi stato anch’io sul ring, insieme a Joe e a Mendoza. Anzi...di più.

E’ come se mi fossi trovato IN MEZZO a quei due scalmanati, a prenderle sul muso al posto loro.

Ve lo confesso: mi sembra tutto UN DELIRIO, questo episodio. Spero solo che non sia venuto fuori un inestricabile pasticcio che abbia finito per rovinare totalmente quanto di buono visto fino ad ora.

E’ che ho cercato di mostrare ciò che stava provando Joe in quegli istanti. In quegli ULTIMI, DANNATI ISTANTI…

Ho cercato di mettermi nei panni di una persona che é in procinto di LASCIARE QUESTO MONDO. Per andare dove non si é ancora scoperto (sempre che lo abbia lasciato...ma ne riparliamo tra poco), ma di una cosa sono sicuro...volevo dare l’impressione che la persona in questione stesse, poco a poco ma sempre più progressivamente, PERDENDO LA PROPRIA PRESENZA E LUCIDITA’ MENTALE.

E vi garantisco che non é stato PER NIENTE FACILE.

Ho la fissa dell’introspezione psicologica, e quando ho a che fare con un personaggio indosso un bell’elmetto da speleologo ed inizio a scavare, scavare…

Ma nel caso di Joe...i risultati sono stati a dir poco SCONCERTANTI.

Certe volte non capisco nemmeno io cosa ho scritto. E nemmeno come ho fatto a tirare fuori una roba simile. Da dove sia potuta VENIRE FUORI, soprattutto.

Ma ora vi propongo un piccolo gioco: immaginate per un attimo di non sapere nulla di questa storia, e nemmeno di come é andata a finire.

Fatto? Bene.

E ora vi faccio una domanda semplice semplice:

CHI HA VINTO, SECONDO VOI?

Se rispondete anche voi JOE, ebbene...vuol dire che ce l’ho fatta.

Come fare a raccontare in modo nuovo, inedito, una storia che ormai conoscono anche i sassi?

Ho provato una via diversa. E ne é scaturita una cosa totalmente imprevista.

Osservato sotto questa luce, il finale di quest’opera assume un significato totalmente imprevisto.

Ho solo due parole per descrivere questa puntata, come dicevo prima.

Una é senza dubbio DELIRIO. L’altra é...TRIONFO.

Si, avete letto bene. TRIONFO. E il nostro caro Joe se lo meritava, almeno una volta.

Viene fuori un crescendo a dir poco esaltante, nonostante la violenza e la crudezza. Quasi dal sapore HEMINGWAYANO (ora mi direte che mi sono montato la testa. E non avete torto. Scusate, é la convalescenza).

L’epopea dell’uomo che riesce ad essere VINCITORE MORALE nonostante la sconfitta.

Come ne IL VECCHIO E IL MARE. L’anziano Santiago torna al villaggio con attaccato alla piroga lo scheletro del gigantesco marlin che aveva catturato, divorato dagli squali. Eppure...ha pescato il pesce più grosso mai visto da quelle parti. E ha spezzato la maledizione, visto che non pescava nulla da mesi. E’ contento anche così.

Cosa sono LA VITTORIA E LA SCONFITTA in fin dei conti, se non PERCEZIONI PERSONALI, magari della stessa cosa?

Se tu pensi di AVER VINTO, ALLORA PUO’ DARSI CHE LE COSE STIANO VERAMENTE COSI’. DIPENDE SOLO DA COSA CONTAVA VERAMENTE PER TE. COSA CONTAVA PER VINCERE.

La Boxe non é un massacro, una guerra o un combattimento all’ultimo sangue. E’ uno sport con un regolamento e dei limiti di tempo, per salvaguardare gli atleti. Ed é indubbio che visto in quest’ottica il vincitore sia Mendoza, dato che ha dominato per gran parte dell’incontro. Ma...se guardiamo il loro duello come una battaglia tra ANIMALE UOMO CONTRO ANIMALE UOMO, allora...IL VINCITORE E’ JOE.

Il loro é stato UN DUELLO DI ANIME. LE ANIME DI DUE BESTIE FEROCI PRONTE AD AMMAZZARSI L’UN L’ALTRA. E alla fine...JOE E’ STATA LA BELVA PIU’ FEROCE.

E’ LUI QUELLO CHE E’ RIMASTO IN PIEDI, ALLA FINE.

All’ultimo round si é scatenato. Ma per davvero. E lo ha FATTO A PEZZI. Lo ha ridotto ad un’autentica LARVA UMANA.

So di aver ESTREMIZZATO LE COSE. E DI PARECCHIO, ANCHE. Ma...ritengo che fosse L’UNICA SCELTA, L’UNICA POSSIBILITA’ che miraneva per poter CAMBIARE LE CARTE IN TAVOLA. SPINGERE L’ACCELERATORE AL MASSIMO E PORTARE IL TUTTO AL LIMITE ESTREMO. AD UN PASSO DALL’OMICIDIO.

E poi...non so voi ma nell’ultima parte, dopo tanta furia, ho potuto quasi notare una sensazione di...SERENITA’. DI TRANQUILLITA’. DI PACE.

Joe ha davvero buttato fuori tutto il suo VELENO, e ora é finalmente FELICE.

Spero vi possa piacere ugualmente.

Sono curioso di sapere cosa ne pensate.

Direi che é anche ora di iniziare a tirare un po' le somme, a proposito di fine. Siamo quasi giunti ai saluti: ancora DUE EPISODI, e poi la storia giungerà al termine.

Una piccola nota sui SALI GLAUBER: che cosa sono?

Semplice: UNA PURGA.

Erano usati sopratutto agli inizi del secolo scorso (ma credo che quando Joe combattesse, venissero ancora largamente utilizzati). Qui sono uno stratagemma per evitare “imbarazzanti” inconvenienti in caso di KO (tipo l’urinarsi o il defecarsi addosso), ma in realtà venivano somministrati a ripetizione ad un’atleta non appena lo si avviava alla carriera di pugile. Il “trattamento” prevedeva una RIPULITURA TOTALE dell’individuo, persino a livello di viscere e di organi interni. Si distruggeva letteralmente il corpo di una persona per costruirci sopra quello di UN PUGILE.

Una volta purificato, l’atleta seguiva una dieta rigida e scrupolosa, prevalentemente proteica.

Non credo che oggi vengano usati, visto che lo si considera un metodo alquanto BARBARO.

BARBARO E SBRIGATIVO, MA SENZA DUBBIO EFFICACE.

La cosa più simile che vi possa capitare (se ci tenete a farlo) é se casomai doveste venire sottoposti a COLONOSCOPIA o a qualche altro esame di tipo ENDOSCOPICO.

Potrebbe darsi che vi venga fornito un prodotto molto simile (io ho provato, avendo fato tali esami): IL SALE INGLESE.

Da cacciare giù tutto d’un fiato in un bel bicchierone d’acqua, beh...E’ SENZA DUBBIO LA ROBA PIU’ SCHIFOSA CHE VI CAPITERA’ DI BERE IN VITA VOSTRA. PEGGIO DEL BICARBONATO.

E meno male che va giù subito dall’altra parte (non so se mi spiego) perché sennò...LA VOMITERESTE NON APPENA ARRIVA ALLO STOMACO.

Chissà quante nausee e rivoltamenti di budella, ai tempi…

L’angolo della colonna sonora: per un finale così epico serviva qualcosa di veramente trascinante. E potente. Vi consiglio due pezzi di un celebre gruppo rock, molto energico: i NICHELBACK. I due brani in questione sono HERO e SONG ON FIRE. Provate sia l’uno che l’altro, se vi va. Meritano davvero.

Ringrazio i sempre presenti Devilangel476, innominetuo e kyashan_luna per le recensioni allo scorso capitolo. E la new entry Maniac Queen per la recensione al primo episodio.

E come sempre, un grazie a chiunque leggerà la mia storia e vorrà lasciare un parere.

Grazie ancora a tutti e alla prossima!

 

 

See ya!!

 

 

 

 

 

 

 

Roberto

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

   
 
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