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Autore: Il Brigante    22/03/2018    1 recensioni
Questa breve storia racconta di una ragazza che scrive di un lutto. Lutto che ancora non ha affrontato ella stessa. Spero vi piaccia.
Genere: Azione, Sentimentale, Storico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het, FemSlash
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Pamela muove la matita tra le labbra con la lingua e spinge gli occhiali all’indietro per la stanghetta in mezzo, le canzoni prescelte per questo racconto continuano a suonare nell’mp3. Lo sguardo le cade sulla lettera del nonno, cui s’è ispirata per la storia di Giampiero. La piccola busta da lettere è ancora chiusa lì; alla sua sinistra. Tra la pianta e la sua vecchia macchina per scrivere. La tiene sospesa lì. Leggerla guasterebbe l’idea che ha in mente del racconto, che sarebbe diversa se l’avesse letta. Il sorriso che l’era affiorato sulle labbra, però, sparisce lo stesso. Avvicina le lunghe dita affusolate alla tastiera, dimentica del verde attorno a lei e, concentrata sullo strano amalgama di ricordi e fantasia che sta usando per scrivere, riprende a digitare sulla tastiera che le ha regalato la nonna per l’ultimo compleanno.
È bastato odorare la carta da lettere a Giampiero, per ricordare la voce della nonna. Il forte odore di malva che lei usava mettere nei panni dopo averli stirati, riempie adesso le sue narici e il suo ricordo. Giampiero ricorda l’ultimo discorso fatto, le parole astiose che le aveva rivolto. Adesso è sul fronte irakeno, anche lui rischia la vita come lei, un partigiano oltre sessant’anni fa. Avvicina la lettera al naso, d’istinto. Poi trattiene le lacrime perché sta passando un gruppo di commilitoni su un carro armato; la nonna è morta sabato scorso e lui non ha potuto prendere una licenza neanche per andare al funerale. Lui deve combattere per portare la Democrazia in questo deserto sperduto dove la gente si ammazza per la religione. Trattiene ancora le lacrime e l’amarezza che si mescolano alla rabbia. Non ha mai creduto nel paradiso, ma di una cosa è certo: ormai tutto è finito per lui e sua nonna. Non la vedrà mai più. E anche se il paradiso esistesse, secondo la morale cattolica, nessuno dei due ci sarebbe andato perché gravato da tutti i peccati che porta con sé. Riprende a leggere la lettera. Le parole del testo sono scritte rigorosamente a mano; è la scrittura chiara e decisa di chi ha frequentato le scuole nel primo novecento. La scrittura della nonna Margherita.
Caro Giampiero.
Spero tu stia bene perché qui prosegue. Come sai. Adesso non piangere. So che l’odore di malva ti farà piangere. Non farlo però; non sta bene che un rude guerriero pianga! Ripenso tutti i giorni a come ci siamo lasciati. Mi opponevo strenuamente alla tua decisione di partire per l’Iraq. Forse ti rimarrà solo questo se dovessi morire e sentendomi un po’ in colpa, ti dirò finalmente com’è morto il nonno. Forse capirai perché ho agito in quel modo con te. L’aria era fresca, come dopo un’abbondante pioggia e i lecci svettavano verso il cielo intorno a noi; un piccolo gruppo di cittadini e cittadine, partigiani, che imbracciavano fucili senza un minimo d’allenamento, ma con tanta rabbia. Sembrava una scampagnata, non un trasferimento da un nascondiglio all’altro con la paura che i Tedeschi potessero arrivare d’improvviso su di noi. Ci trovarono comunque e iniziò la carneficina. Non so come riuscii a salvarmi. Probabilmente è stato il nonno. Lo so, anche se non me l’ha mai detto, nascondendo i propri pensieri con il suo sorriso storto e corrugando la fronte, come faceva sempre. Ricordo ancora le linee strane che apparivano sul suo viso; una via di mezzo tra un sorriso e una smorfia, ma riusciva sempre a farmi ridere. Sì, esattamente come quel quadro ad olio in salotto. L’ho fatto basandomi sui ricordi di quando eravamo nella macchia a fare la guerra. Stava piovendo forte quando mi svegliai. Ero dentro un pagliaio. Aperti gli occhi, ho visto il suo viso che ho amato da subito. Mi sorrise e disse: “E’ un bellissimo modo quello in cui il buon Dio ha deciso di farci incontrare. Io sono Carmelo e tu?” Si accese una sigaretta dopo che io l’avevo rifiutata. Mi misi a sedere, improvvisamente conscia di essere spettinata e sudata. E altre cose che impensieriscono noi donne davanti ad un uomo che ci piace. Domandai: “Gli altri si sono salvati?” Sorrise quando non gli dissi il nome, ma alla seconda domanda voltò la testa senza guardarmi e aggiunse che non lo sapeva, ma non era vero. Non ha mai saputo mentire.  Mi guardò d’improvviso serio e disse che non potevamo stare lì. Avremmo dovuto raggiungere il posto di raduno al paese prima di notte, altrimenti ci avrebbero dati per dispersi. Mi accostai a lui e lo ringraziai arrossendo. Lui alzò le sopracciglia, disse che era stato un piacere, mi fece una carezza che ebbe l’effetto di farmi diventare rossa come un peperone e afferrò il fucile. Aprì la porta leggermente e guardò fuori. Tutto era silenzioso, tranne i rumori degli animali. Raccolsi il mio fucile e lo seguì fuori e poi nel bosco. Scelse una strada che non conoscevo e che non era battuta, ma prendere quella larga e spazzata di prima ci aveva causato l’agguato ed era meglio essere sicuri. La prima cosa e forse la più preziosa che ci avevano insegnato i capi. Camminavamo da ore quando arrivammo. Il campo era vuoto dei soliti schiamazzi a bassa voce e le risate tipiche dei luoghi di raduno. Ci bastò fare pochi passi per sentire le voci acute, rauche e dure dei nostri nemici. E vedere gli spari. Non dimenticherò mai quegli spari. Tanti spari all’unisono. Spari di fucile che tagliavano l’aria e prendevano in petto i nostri compagni di lotta e i nostri capi. Carmelo si avvicinò lentamente, occhi stretti, mano destra a cacciare il sudore e parolaccia tra i denti. Prese la mia mano nella sua e mi guardò negli occhi sussurrando:“Non devi parlare, altrimenti ci scopriranno”. Aggiunse lentamente: ”Capito?” Io annuii muovendo la testa su e giù, spaventata e arrabbiata insieme. Niente di nuovo, ma stavolta non riuscivo a dire neanche una parola tanto era asciutta la mia bocca, tanto era forte il nodo alla gola per aver visto morire tutti quei ragazzi. E per la paura che potesse presto toccare a noi. Lentamente ci avvicinammo...
Pamela allontana le mani dalla tastiera e si passa le dita sugli occhi. Si leva le cuffie, sbadiglia e si accende la sigaretta che aveva risparmiato tutta la mattina. Da quando la nonna è morta, ha dormito poco e niente, ma almeno adesso non piange più. Tenendo la sigaretta tra le labbra si rifà il nodo ai capelli, stringe il laccio più in alto e fa un tiro. Rimette le cuffie e le dita riprendono a battere sui tasti.
La bomba cade lontano, alla destra di Giampiero. Il militare si lancia di lato d’istinto, ma finisce comunque lontano. La lettera gli sfugge di mano all’ultimo momento. Lui però ha già imbracciato il suo fucile e si mette carponi dietro il fuoristrada hammer. D’improvviso si accorge che la lettera è rimasta in un punto allo scoperto del campo. Maledizione. Pensa. Oggi dovevamo ritirarci. Assassini morti di fame! Scuote la testa e si mette a terra per strisciare verso la lettera. Le ultime parole di sua nonna. Non le lascerà a loro. Il suo amico Franco è al suo lato e tenta di dirgli qualcosa, ma lui non lo sente. Lentamente raggiunge la lettera e la stringe tra la mano e l’impugnatura del fucile. Attorno a lui le bombe colpiscono senza pietà e le raffiche dei mitra, lasciati agli Iracheni dai Russi, spazzano l’aria. Qualcosa lo colpisce di striscio alla gamba sinistra, ma è tanta l’adrenalina che raggiunge l’hammer e il suo amico senza accorgersene quasi. Si rilassa un secondo e ripone la lettera in una tasca della mimetica. “Franco.” L’amico è voltato verso l’altro lato, Giampiero gli mette la mano sulla spalla e l’amico di Cagliari cade semplicemente avanti e a terra, senza vita. Una serie di colpi gli ha distrutto il viso. Giampiero trattiene un urlo, poi si volta e spara alla sua destra all’avvicinarsi di un arabo vestito come un civile. L’ha anticipato di poco. Avverte improvvisamente un dolore lancinante alla coscia sinistra. Il colpo di prima? Scemenze. Dice tra sé, mentre prende un tovagliolo e lo avvolge attorno alla ferita per non farla sanguinare ancora. Si avvicina alla tenda di Alberto, l’addetto alle comunicazioni. È morto anche lui, con una raffica alle spalle. Stavolta lancia una sedia contro i macchinari che esplodono ed esce per ammazzare qualcuno. Qualche tempo dopo raggiunge, guardingo e zoppicante, il posto in cui trova decine di suoi colleghi. C’è anche il Capitano Baldassarri. Si avvicina all’ufficiale, che lo accoglie con un leggero sorriso. “Neddu e Franceschini?” Giampiero scuote la testa, l’altro sputa a terra.
È sera quando raggiungono la base inglese a Basra. Salgono su un aereo per tornare a casa, ma sono stati decimati. Da centocinquanta elementi dello scaglione con cui era arrivato sei mesi fa, adesso sono soltanto una cinquantina. Giampiero riprende a leggere, trattenendo la rabbia dentro la gola.
Sopravvivemmo. Mancava ancora un anno alla fine della guerra e da allora rimanemmo sempre vicini. Fu in una notte fredda che concepimmo tuo padre; una notte d’amore per noi, l’ultima della guerra. La mattina dopo, tornando da un bagno al lago vidi i crucchi fuori del casolare. Tanti, troppi. Lui stava ancora dormendo dentro. E, non so cosa mi prese, ma fuggii nel fitto del bosco, senza neanche avvertirlo. Dopo qualche ora tornai, come una ladra. Lo trovai dentro il casolare, ancora coperto solo dalla camicia. Due colpi in petto rovinavano i suoi peli ricci e biondi. Mi avvicinai a lui e lo abbracciai, ma per quanto piangessi, singhiozzassi e lo prendessi a pugni, ormai non poteva rispondermi. Fu allora che persi la fede: non quella comunista, ma quella cattolica chiaramente. Maledii Dio, mi tolsi la croce e la lanciai nelle fiamme con cui bruciai il casolare. Carmelo lo lasciai dentro; non potevo portarlo con me se volevo vivere, capisci? Non se volevo ammazzare ancora quei bastardi. Non dimenticherò mai quel casolare bruciare, la rabbia che da allora arse in me e quella che mi prese quando tu mi dicesti che volevi andare in Iraq per combattere, come tuo nonno sul Carso. Che si va a fare in un altro paese con le armi? Gli eroi? No, si va perché piace il rischio di poter morire. Tutti i soldi del mondo però non servono a riportarti indietro dalla morte.

Sposta la tastiera con un gesto di stizza: la stessa rabbia della donna nella lettera ha preso lei al pensiero che la sua Clara sta ancora a combattere in quella caldaia. La tastiera ha colpito il bicchiere di tè che cade dal tavolino. E si fa a mille pezzi sul pavimento di pietra del cortile. Si morde le labbra per non mettersi a dire parolacce al vuoto. Spegne definitivamente l’mp3 e si toglie le cuffie. Fa un ultimo tiro nervoso dalla sigaretta e la spegne nel posacenere. Poi si alza per asciugare il tè caduto sul tavolino. Lo sguardo le cade sulla lettera del nonno. Le lacrime iniziano a scorrerle sul viso, mentre prende la lettera. La convinzione che ignorarla l’avrebbe ispirata, era una scemenza. Aveva paura che leggerla le avrebbe fatto ancora più male perché si erano lasciati solo con delle parolacce. O perlomeno, lei l’aveva preso a parolacce. Nonno e nonna paterni sono morti a distanza di pochi mesi. E lui, il materno, è morto prima, circa un anno fa. Si costringe a leggere la lettera, vecchia quanto il tempo che lei l’ha ignorato.
Cara Pamela.
Non ci vediamo da quel giorno e ti rifiuti di parlarmi. Capisco perché, ma devo dirti che la malattia avanza e tu non puoi farci nulla. È inutile andare contro il destino, non serve recriminare con Dio. Siamo esseri di carne e sangue e la morte fa parte della vita, che tu lo voglia o no. Io ho fatto la guerra come partigiano, so cos’è la morte. Ho visto amici morire di freddo, di fame e per una pallottola e ti assicuro che non avrei potuto far nulla. Neanche so come mi sono salvato. Di certo mi sono convinto che, come la guerra, la morte fa parte della vita e non possiamo farci niente. Vivi la tua vita ragazza mia e non rifiutarti mai d’amare solo perché temi di perdere le persone o perché ti ho detto che il tuo amore per Clara è contro natura. So che sembra retorica quando hai appena perso i nonni e sei nel mezzo di altre vicissitudini con i tuoi. Sì, non è il migliore momento per dirtelo, ma sappi che com’al solito parla il mio cuore, sì esattamente quello dello stronzo fascista e pazzo, com’hai detto tu. Sostengo ancora che la guerra all’Iraq è giusta e Clara è un’eroina. Sono però sempre il tuo nonnuzzo.
Ti voglio bene.”
Giuseppe.
Le lacrime invadono le guance di Pamela e i singhiozzi la scuotono. Parolaccia. Abbraccia la lettera come se fosse un tesoro. Poi la riprende e la odora. Il fumo di sigaretta del nonno ancora affumica quelle pagine e non può evitare che un ricordo del suo sorriso la scuota e la faccia infreddolire. Piange a lungo, in silenzio e poi si alza. Parolaccia mentre inciampa nel bicchiere che intanto è scivolato a lato del tavolo. E lei è scalza e si è punta con una scheggia. Altra parolaccia trattenuta a stento. Si mette a sedere, di nuovo, mandando a quel paese il bicchiere ad alta voce e riprendendo a scrivere, la Lettera del Partigiano.

Giampiero si morde il medio della mano sinistra per non urlare. Le ultime parole della nonna gli rimarranno sempre impresse nella mente: A volte ci chiediamo cosa voglia dire amare. Perché chiaramente è alla base di tutti i rapporti umani. Ricordo sempre una frase che diceva tuo nonno. “Margherita cara appena usciamo da questa guerra bugiarda, ci sposiamo perché quando si trova una persona che ti corrisponde, come tra noi, sprecare la vita senza stare insieme è un peccato.” Mi domando spesso perché mi sono salvata. Ancor’oggi non lo so. Quello che so è che la guerra per me non è parte normale della vita, ma una sua anomalia. Scusa se ti ho parlato in quel modo l’ultima volta, ma avevo paura di perderti. Vivi la tua vita come credi e non aver mai paura di amare, ne vale la pena. Io lo so bene, devi crederci. Se non ci vedremo al tuo ritorno, sarà altrove?
Margherita.

 
 
   
 
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