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Autore: Jyushi    24/03/2018    3 recensioni
Sasuke è un ricercatore in Letteratura Giapponese Contemporanea all'Università di Tokyo, con un'indole piuttosto insofferente nei confronti, beh, nei confronti del genere umano! Si annoia facilmente e non ha interessi se non per la lettura. Fino a quando non si trova a dover recensire un libro e per la prima volta prova interesse per un altro essere umano, di cui però non riesce a scoprire nulla!
Genere: Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Yaoi | Personaggi: Itachi, Kakashi Hatake, Naruto Uzumaki, Sasuke Uchiha, Shikamaru Nara | Coppie: Naruto/Sasuke
Note: AU, Lime | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Nessun contesto
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4. Questa è la mia vita che va avanti, oltre tutto , oltre la gente

Alle 8 in punto il telefono azionò la sveglia che partì con la canzone dei Queen “Don’t stop me now” ad un volume decisamente indecente per quell’ora. Nonostante il volume la sveglia continuò a suonare per un bel po’ finché nella stanza, perennemente in disordine, non irruppe un uomo di mezza età, con dei folti e scarmigliati capelli bianchi lunghi fino alla schiena e con indosso un kimono blu,  assolutamente troppo corto per il pudore di qualsiasi essere vivente sulla terra. «Allora ragazzo vuoi spegnere quell’aggeggio infernale o ci devo pensare io come l’ultima volta?» sbraitò l’uomo. Avvertendo l’aura di pericolo che aveva  iniziato ad aleggiare nella stanza e in particolare intorno al suo prezioso telefono, Naruto scattò seduto sul letto e pose, finalmente, fine a quella discoteca mattutina. Jiraya se ne andò borbottando contro il ragazzo il quale d’altro canto si mise a ridere. Questa scena si ripeteva ormai quasi tutte le mattine da 5 anni e nonostante ora rappresentasse la normale quotidianità della sua “famiglia”, ancora non si era abituato al clima familiare e non militaresco. Quindi mentre il buon Jiraya ogni mattina si svegliava innervosito dal frastuono, Naruto non solo non ci faceva caso, ma rideva bonariamente dei picchi isterici del suo tutore. Tutto quello, per lui, sapeva di reale, sapeva di casa, sapeva di famiglia e non si sarebbe mai abituato, probabilmente per la paura di perderlo, ma non smetteva mai ogni giorno di ringraziare per quella seconda  opportunità di vita.

Naruto aveva appena 20 anni e diceva di essere venuto al mondo due volte. La prima ovviamente il giorno della sua nascita, avvenuta il 10 ottobre di 20 anni prima. La seconda quando Jiraya si assunse l’onere di crescerlo, di dargli una casa, di dargli il cibo, di toglierlo dall’orfanotrofio e soprattutto di dargli affetto e di credere in lui. In seguito ad un incidente stradale i genitori di Naruto erano morti quando lui aveva appena 3 anni. Lui era sopravvissuto, per così dire, e come unico segno dell’incidente si portava delle buffe cicatrici sulle guance. Da piccolo aveva odiato tantissimo quelle cicatrici, lo facevano sentire diverso, più di quanto non lo fosse (d’altronde era un bambino biondo con gli occhi azzurri, decisamente insolito per il Giappone), e ogni volta che le guardava un dolore al petto gli toglieva il respiro. Erano un monito sempre presente della morte dei suoi genitori. Gli altri bambini spesso lo chiamavano volpacchiotto per via della sua pelle ambrata e di queste bianche cicatrici che sembravano proprio dei baffi di una volpe. La sua infanzia non fu propriamente felice, la trascorse in un orfanotrofio dove a prendersi cura degli orfani c’erano delle suore, ma più che suore sembravano arpie. Non avevano mai parole gentili o sorrisi, ogni scusa era buona per sgridarli o metterli in punizione. Ovviamente Naruto aveva trascorso più tempo in punizione che in camera sua. L’unica persona che ricordava con affetto era il Maestro Sarutobi che gestiva l’orfanotrofio. Era stato lui a raccontargli la storia del tragico incidente dei suoi genitori, era stato lui a consolarlo, era stato lui ad asciugargli le lacrime. Crescendo Naruto non riusciva a metabolizzare il dolore per la morte dei suoi genitori, né riusciva ad afferrare il perché fosse condannato a quella vita così infelice, dove nessuno sembrava provare un po’ di affetto per lui. E allora la tristezza lasciò il posto alla rabbia. A ripensarci ora Naruto non andava molto fiero, effettivamente durante quegli anni si era comportato come un vero e proprio teppista. Non aveva alcun rispetto delle autorità né all’orfanotrofio né a scuola, si cacciava spesso nei guai ad esempio scrivendo sui muri della scuola con bombolette a spray o rubando documenti importanti agli insegnanti. Ciò ovviamente influiva con la sua media scolastica che era vergognosamente bassa. L’unica materia in cui eccelleva era educazione fisica, grazie ad essa si sentiva libero, si sfogava, riusciva a non pensare e alla fine era troppo stanco pure per organizzare il suo scherzo successivo. Purtroppo educazione fisica da sola non bastava e più volte aveva rischiato di perdere l’anno scolastico recuperando in calcio d’angolo solo grazie alle pazienti ripetizioni del maestro Sarutobi. Come c’è da immaginare le suore dicevano peste e corna di Naruto, mentre gli altri orfani avevano preso ad evitarlo intimoriti dal suo comportamento tumultuoso. Il buon Sarutobi cercava sempre di coprire le birbanterie, come le chiamava lui, di Naruto e cercava di spiegare alle suore che Naruto si comportava come un delinquentello semplicemente perché si sentiva solo al mondo. Nessuno gli dava affetto, anzi tutti lo evitavano e quello era l’unico modo che conosceva per imporre la sua presenza, per dare un segno della sua esistenza e per sfogare tutta la sua rabbia e tutta la sua tristezza. In qualche modo Naruto si trovò alle medie, la sua rabbia aumentava e i suoi scherzi non erano più innocue marachelle. Non c’era nulla di innocente quando si ritrovò a pestare un ragazzino solo perché aveva battuto il suo record di corsa e, non c’era decisamente nulla di innocuo quando nel bagno della scuola iniziò a tagliarsi. Il dolore fisico che provava tagliandosi non era nulla paragonato a quello che aveva dentro da ben 10 anni. Anzi quel dolore era la giusta punizione per un rifiuto della società come era diventato lui. Lo sapeva benissimo che tutto ciò che faceva era incredibilmente sbagliato, eppure non poteva farne a meno. Il mondo gli aveva causato dolore e lui voleva causarne al mondo. Che diritto aveva quell’idiota ad usurpargli il suo record di corsa? Aveva una casa, dei genitori, dei fratelli, un cane e degli ottimi voti. Perché gli aveva rubato l’unica cosa che aveva lui? Quel pugno sul naso se l’era proprio meritato. Che diritto aveva di essere felice e perché lui sembrava condannato all’infelicità? E allora un po’ della sua infelicità la voleva spargere e voleva contaminare tutto ciò che c’era di ingiusto, secondo lui, nel mondo. E quando realizzava che stava perdendo il controllo si puniva e desiderava di avere il coraggio di incidere più in fondo, così, almeno una volta per tutta quella storia avrebbe avuto fine. Un giorno si trovava nel solito cubicolo nel bagno, quando, d’improvviso si aprì la porta. Era stato così stupido da dimenticarsi di chiudere a chiave. Di fronte a lui si trovava un ragazzino minuto, con dei capelli rosso acceso e la matita per occhi di colore nero che gli contornava uno sguardo a dir poco glaciale. Nonostante il suo aspetto singolare Naruto non lo aveva mai notato a scuola. Si squadrarono per un secondo, fino a quando non vide lo sguardo del rosso indugiare sul sangue che colava dal suo braccio. Naruto indurì lo sguardo, non voleva essere giudicato o compatito da nessuno ed era pronto a dimostrarglielo a suon di pugni. Il ragazzo, invece, lo prese dal braccio e iniziò a trascinarlo fuori dal bagno « Ma che fai? Sei impazzito? Lasciami immediatamente andare!» cominciò a urlare Naruto, ma a nulla valsero le sua urla perché il ragazzo non si fermò. Lo portò in un’aula vuota e avvicinandosi ad un banco cominciò a rovistare in uno zaino dal quale cacciò un mini kit di pronto soccorso. In silenzio gli medicò tutte le ferite, con calma e delicatezza. Naruto era paralizzato, non sapeva cosa significasse tutta quella premura e si sentì decisamente male al pensiero che fino a cinque minuti prima aveva pensato di picchiarlo. Finite le medicazioni, il misterioso ragazzo rimise tutto apposto, poi si girò verso di lui, indurì lo sguardo e improvvisamente gli diede uno schiaffo!  Con la mano ancora sulla sua guancia gli disse « Non ti permettere mai più a deturpare il corpo che ti hanno donato i tuoi genitori. Il corpo è come un tempio, è un luogo sacro e tu lo devi rispettare e amare. Non penso che i tuoi sarebbero contenti a sapere come tratti il tuo tempio.» «Beh i miei sono morti quindi non credo gliene freghi qualcosa di quello che faccio» «Allora sei doppiamente una testa quadra. I tuoi sono morti e tu pensi bene di accanirti sull’eredità fisica che loro hanno lasciato su questa terra? » «Eredità fisica?» «Tu, usuratonkachi! Medica quelle ferite due volte al giorno e tornerai come nuovo. Per le ferite del tuo cuore invece..» «Le ferite del mio cuore?» « Sì, quelle ferite che sono invisibili ma che hanno un effetto  ancora più doloroso e sconvolgente . C’è solo una medicina che funzioni. Potremmo lavorarci insieme e sono sicuro che con il tempo il tuo tempio risorgerà più bello di prima.». Detto questo con la mano che aveva ancora poggiata sulla guancia di Naruto, gli accarezzò le cicatrici e se ne andò silenziosamente come era venuto.  Quello fu il primo incontro con Gaara, il suo migliore amico. Gaara quel giorno non mise del disinfettante solo sulle sue ferite fisiche, ma anche su quelle della sua anima. E’ vero all’inizio brucia un po’, ma poi quando la ferita comincia a rimarginarsi ti senti più forte di prima. Poi se insieme al disinfettante hai anche delle bende sei a cavallo. E se il disinfettante glielo aveva fornito Gaara, le bende gliele aveva decisamente date Jiraya.

Un giorno mentre Naruto era chiuso in camera sua nell’orfanotrofio, con le cuffie nelle orecchie a scrivere distrattamente qualche pagina del suo diario, quel vecchio pazzo entrò come una furia rischiando di scardinare la porta. Appena lo vide gridò il suo nome e prese ad abbracciarlo convulsamente. Qualche minuto dopo quando si fu calmato, entrambi furono accompagnati nello studio del Maestro Sarutobi e lì Naruto scoprì un altro pezzo del puzzle della sua vita. Quel folle altro non era che il migliore amico dei suoi genitori, nonché suo padrino, mancato per anni dal Giappone perché era impegnato a svolgere il suo lavoro di scrittore in giro per il mondo. Era un tipo eccentrico, spesso si assentava per anni e poi ricompariva come se nulla fosse, raccontando aneddoti e storie incredibili da ogni parte del mondo. Era appena rientrato in Giappone quando venne a conoscenza della tragica fine di Minato e Kushina, ma dopo lo shock iniziale fece il possibile e anche l’impossibile pur di trovare Naruto e cercare di dargli un futuro sereno. Naruto non poteva crederci, per anni aveva sperato che qualcuno lo adottasse per poter avere finalmente una vita normale, e ora, quando non ci sperava più arrivava il suo padrino dal nulla. Sembrava quasi di stare dentro Harry Potter. Ovviamente accettò di buon grado il cambio di vita e superate le difficoltà logistiche iniziali, Naruto sentì finalmente di aver trovato il suo posto nel mondo. Sentì, finalmente, di essere a casa.

Jiraya e Gaara erano la sua famiglia, e anche se non incarnavano lo stereotipo della famiglia tradizionale, quei due negli anni gli avevano somministrato alte dosi di quella medicina speciale che Gaara aveva nominato durante il loro primo incontro. Quella medicina era miracolosa, ed era stata in grado di guarire, lentamente, tutte le ferite del cuore del giovane Naruto. Il suo tempio era finalmente restaurato. Grazie a Gaara. Grazie a Jiraya. Grazie al loro amore.

Naruto si stiracchiò felice e sorrise alla giornata che stava per iniziare. Controllò i messaggi e ne trovò uno di Gaara che molto gentilmente gli intimava di alzarsi “Alzati testa quadra o farai tardi agli allenamenti anche oggi! Ti passo a prendere alle 8.45. Muoviti.”. Strabuzzò gli occhi, erano già le 8.30. Gaara lo avrebbe ucciso, ma cosa ancor peggiore rischiava di perdere il posto che si era guadagnato nella squadra locale di basket. Non era andato all’università, perché al di là della sua infanzia turbolenta, di studiare non aveva decisamente voglia. Era invece molto bravo nel basket e considerando che si trovava in Giappone i suoi 180 cm lo collocavano tra i giganti e tra i favoriti di questo sport. Suo padre aveva origini australiane e da lui aveva decisamente ereditato i colori e l’altezza. Era riuscito ad ottenere un posto da professionista nella squadra di basket di Tokyo solo da qualche mese, ma visti i suoi continui ritardi agli allenamenti il coach aveva iniziato a minacciarlo di cacciarlo dalla squadra. Quindi si preparò il più velocemente possibile e quando scese sotto casa trovò già Gaara ad aspettarlo. Salito in macchina gli porse una busta di carta senza dire nulla come suo solito. Dentro ci trovò un cornetto al cioccolato. Gaara lo conosceva troppo bene e cominciando ad addentare il cornetto gli regalò un sorriso a trentadue denti. Sorriso che Gaara si era faticosamente conquistato negli anni.

Naruto Uzumaki aveva 20 anni ed era nato due volte. Naruto Uzumaki aveva una casa e una famiglia da 5 anni. Naruto Uzumaki aveva una lavoro che gli piaceva. Naruto Uzumaki stava finalmente bene.

NOTE DELL’AUTRICE:
Buonasera a tutti carissimi e perdonate la mia scomparsa. Potrei dirvi che ho avuto tantissimi impegni e pochissimo tempo per continuare la storia, ma anche se ciò è vero corrisponde parzialmente alla verità. Poco tempo a parte, vorrei che questa fosse una bella storia e per essere veramente una storia ci deve essere qualcosa da raccontare o almeno ci deve essere quell’urgenza di voler tirar fuori un universo, qualunque esso sia. E io in questi mesi non sapevo di quale universo scrivere e non ne avevo proprio la voglia. Ma la mia urgenza di raccontarvi una storia è tornata e mi ci sono buttata. Ho fatto del mio meglio e spero davvero che vi piaccia. Buona lettura!

 - Il titolo riprendere il ritornello della canzone interpretata a Sanremo da Ermal Meta e Fabrizio Moro. Riadattandola alla situazione di Naruto lo interpreto così: nonostante tutte le avversità che la vita ci può porre di fronte, essa non smette di scorrere e siamo noi a dover decidere se sopravvivere o se vivere. E Naruto dopo un percorso travagliato ha scelto di vivere.
 - Il kimono blu troppo corto di Jiraya è un riferimento al kimono blu troppo corto di Schimdt di New Girl. Ovviamente non è importante, ma per chi segue New Girl può facilmente immaginarsi la scena come l’ho immaginata io :’)

 Grazie dell’attenzione e alla prossima! Un bacio 
   
 
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