4.
Questa è la mia vita che va avanti, oltre tutto , oltre la
gente
Alle 8 in punto
il telefono azionò la sveglia che partì con
la canzone dei Queen “Don’t stop me now”
ad un volume decisamente indecente per
quell’ora. Nonostante il volume la sveglia
continuò a suonare per un bel po’
finché nella stanza, perennemente in disordine, non irruppe
un uomo di mezza
età, con dei folti e scarmigliati capelli bianchi lunghi
fino alla schiena e con
indosso un kimono blu, assolutamente
troppo corto per il pudore di qualsiasi essere vivente sulla terra.
«Allora
ragazzo vuoi spegnere quell’aggeggio infernale o ci devo
pensare io come
l’ultima volta?» sbraitò
l’uomo. Avvertendo l’aura di pericolo che aveva iniziato ad aleggiare
nella stanza e in
particolare intorno al suo prezioso telefono, Naruto scattò
seduto sul letto e
pose, finalmente, fine a quella discoteca mattutina. Jiraya se ne
andò borbottando
contro il ragazzo il quale d’altro canto si mise a ridere.
Questa scena si
ripeteva ormai quasi tutte le mattine da 5 anni e nonostante ora
rappresentasse
la normale quotidianità della sua
“famiglia”, ancora non si era abituato al
clima familiare e non militaresco. Quindi mentre il buon Jiraya ogni
mattina si
svegliava innervosito dal frastuono, Naruto non solo non ci faceva
caso, ma
rideva bonariamente dei picchi isterici del suo tutore. Tutto quello,
per lui,
sapeva di reale, sapeva di casa, sapeva di famiglia e non si sarebbe
mai abituato,
probabilmente per la paura di perderlo, ma non smetteva mai ogni giorno
di
ringraziare per quella seconda
opportunità di vita.
Naruto aveva
appena 20
anni e diceva di essere venuto al mondo due volte. La prima ovviamente
il
giorno della sua nascita, avvenuta il 10 ottobre di 20 anni prima. La
seconda
quando Jiraya si assunse l’onere di crescerlo, di dargli una
casa, di dargli il
cibo, di toglierlo dall’orfanotrofio e soprattutto di dargli
affetto e di
credere in lui. In seguito ad un incidente stradale i genitori di
Naruto erano
morti quando lui aveva appena 3 anni. Lui era sopravvissuto, per
così dire, e
come unico segno dell’incidente si portava delle buffe
cicatrici sulle guance.
Da piccolo aveva odiato tantissimo quelle cicatrici, lo facevano
sentire
diverso, più di quanto non lo fosse (d’altronde
era un bambino biondo con gli
occhi azzurri, decisamente insolito per il Giappone), e ogni volta che
le
guardava un dolore al petto gli toglieva il respiro. Erano un monito
sempre
presente della morte dei suoi genitori. Gli altri bambini spesso lo
chiamavano
volpacchiotto per via della sua pelle ambrata e di queste bianche
cicatrici che
sembravano proprio dei baffi di una volpe. La sua infanzia non fu
propriamente
felice, la trascorse in un orfanotrofio dove a prendersi cura degli
orfani
c’erano delle suore, ma più che suore sembravano
arpie. Non avevano mai parole
gentili o sorrisi, ogni scusa era buona per sgridarli o metterli in
punizione.
Ovviamente Naruto aveva trascorso più tempo in punizione che
in camera sua.
L’unica persona che ricordava con affetto era il Maestro
Sarutobi che gestiva
l’orfanotrofio. Era stato lui a raccontargli la storia del
tragico incidente
dei suoi genitori, era stato lui a consolarlo, era stato lui ad
asciugargli le
lacrime. Crescendo Naruto non riusciva a metabolizzare il dolore per la
morte
dei suoi genitori, né riusciva ad afferrare il
perché fosse condannato a quella
vita così infelice, dove nessuno sembrava provare un
po’ di affetto per lui. E
allora la tristezza lasciò il posto alla rabbia. A
ripensarci ora Naruto non
andava molto fiero, effettivamente durante quegli anni si era
comportato come
un vero e proprio teppista. Non aveva alcun rispetto delle
autorità né
all’orfanotrofio né a scuola, si cacciava spesso
nei guai ad esempio scrivendo
sui muri della scuola con bombolette a spray o rubando documenti
importanti
agli insegnanti. Ciò ovviamente influiva con la sua media
scolastica che era
vergognosamente bassa. L’unica materia in cui eccelleva era
educazione fisica,
grazie ad essa si sentiva libero, si sfogava, riusciva a non pensare e
alla
fine era troppo stanco pure per organizzare il suo scherzo successivo.
Purtroppo educazione fisica da sola non bastava e più volte
aveva rischiato di
perdere l’anno scolastico recuperando in calcio
d’angolo solo grazie alle
pazienti ripetizioni del maestro Sarutobi. Come
c’è da immaginare le suore
dicevano peste e corna di Naruto, mentre gli altri orfani avevano preso
ad
evitarlo intimoriti dal suo comportamento tumultuoso. Il buon Sarutobi
cercava
sempre di coprire le birbanterie, come le chiamava lui, di Naruto e
cercava di
spiegare alle suore che Naruto si comportava come un delinquentello
semplicemente perché si sentiva solo al mondo. Nessuno gli
dava affetto, anzi
tutti lo evitavano e quello era l’unico modo che conosceva
per imporre la sua
presenza, per dare un segno della sua esistenza e per sfogare tutta la
sua
rabbia e tutta la sua tristezza. In qualche modo Naruto si
trovò alle medie, la
sua rabbia aumentava e i suoi scherzi non erano più innocue
marachelle. Non
c’era nulla di innocente quando si ritrovò a
pestare un ragazzino solo perché
aveva battuto il suo record di corsa e, non c’era decisamente
nulla di innocuo
quando nel bagno della scuola iniziò a tagliarsi. Il dolore
fisico che provava
tagliandosi non era nulla paragonato a quello che aveva dentro da ben
10 anni.
Anzi quel dolore era la giusta punizione per un rifiuto della
società come era
diventato lui. Lo sapeva benissimo che tutto ciò che faceva
era incredibilmente
sbagliato, eppure non poteva farne a meno. Il mondo gli aveva causato
dolore e
lui voleva causarne al mondo. Che diritto aveva quell’idiota
ad usurpargli il
suo record di corsa? Aveva una casa, dei genitori, dei fratelli, un
cane e
degli ottimi voti. Perché gli aveva rubato l’unica
cosa che aveva lui? Quel
pugno sul naso se l’era proprio meritato. Che diritto aveva
di essere felice e
perché lui sembrava condannato
all’infelicità? E allora un po’ della
sua
infelicità la voleva spargere e voleva contaminare tutto
ciò che c’era di
ingiusto, secondo lui, nel mondo. E quando realizzava che stava
perdendo il
controllo si puniva e desiderava di avere il coraggio di incidere
più in fondo,
così, almeno una volta per tutta quella storia avrebbe avuto
fine. Un giorno si
trovava nel solito cubicolo nel bagno, quando, d’improvviso
si aprì la porta.
Era stato così stupido da dimenticarsi di chiudere a chiave.
Di fronte a lui si
trovava un ragazzino minuto, con dei capelli rosso acceso e la matita
per occhi
di colore nero che gli contornava uno sguardo a dir poco glaciale.
Nonostante
il suo aspetto singolare Naruto non lo aveva mai notato a scuola. Si
squadrarono per un secondo, fino a quando non vide lo sguardo del rosso
indugiare sul sangue che colava dal suo braccio. Naruto
indurì lo sguardo, non
voleva essere giudicato o compatito da nessuno ed era pronto a
dimostrarglielo
a suon di pugni. Il ragazzo, invece, lo prese dal braccio e
iniziò a
trascinarlo fuori dal bagno « Ma che fai? Sei impazzito?
Lasciami
immediatamente andare!» cominciò a urlare Naruto,
ma a nulla valsero le sua
urla perché il ragazzo non si fermò. Lo
portò in un’aula vuota e avvicinandosi
ad un banco cominciò a rovistare in uno zaino dal quale
cacciò un mini kit di
pronto soccorso. In silenzio gli medicò tutte le ferite, con
calma e
delicatezza. Naruto era paralizzato, non sapeva cosa significasse tutta
quella
premura e si sentì decisamente male al pensiero che fino a
cinque minuti prima
aveva pensato di picchiarlo. Finite le medicazioni, il misterioso
ragazzo
rimise tutto apposto, poi si girò verso di lui,
indurì lo sguardo e
improvvisamente gli diede uno schiaffo!
Con la mano ancora sulla sua guancia gli disse «
Non ti permettere mai
più a deturpare il corpo che ti hanno donato i tuoi
genitori. Il corpo è come
un tempio, è un luogo sacro e tu lo devi rispettare e amare.
Non penso che i
tuoi sarebbero contenti a sapere come tratti il tuo tempio.»
«Beh i miei sono
morti quindi non credo gliene freghi qualcosa di quello che
faccio» «Allora sei
doppiamente una testa quadra. I tuoi sono morti e tu pensi bene di
accanirti
sull’eredità fisica che loro hanno lasciato su
questa terra? » «Eredità
fisica?» «Tu, usuratonkachi! Medica quelle ferite
due volte al giorno e
tornerai come nuovo. Per le ferite del tuo cuore invece..»
«Le ferite del mio
cuore?» « Sì, quelle ferite che sono
invisibili ma che hanno un effetto
ancora più doloroso e sconvolgente .
C’è solo
una medicina che funzioni. Potremmo lavorarci insieme e sono sicuro che
con il
tempo il tuo tempio risorgerà più bello di
prima.». Detto questo con la mano
che aveva ancora poggiata sulla guancia di Naruto, gli
accarezzò le cicatrici e
se ne andò silenziosamente come era venuto. Quello fu il primo incontro
con Gaara, il suo
migliore amico. Gaara quel giorno non mise del disinfettante solo sulle
sue
ferite fisiche, ma anche su quelle della sua anima. E’ vero
all’inizio brucia
un po’, ma poi quando la ferita comincia a rimarginarsi ti
senti più forte di
prima. Poi se insieme al disinfettante hai anche delle bende sei a
cavallo. E se
il disinfettante glielo aveva fornito Gaara, le bende gliele aveva
decisamente
date Jiraya.
Un giorno mentre
Naruto era chiuso in camera sua nell’orfanotrofio, con le
cuffie nelle orecchie
a scrivere distrattamente qualche pagina del suo diario, quel vecchio
pazzo
entrò come una furia rischiando di scardinare la porta.
Appena lo vide gridò il
suo nome e prese ad abbracciarlo convulsamente. Qualche minuto dopo
quando si
fu calmato, entrambi furono accompagnati nello studio del Maestro
Sarutobi e lì
Naruto scoprì un altro pezzo del puzzle della sua vita. Quel
folle altro non
era che il migliore amico dei suoi genitori, nonché suo
padrino, mancato per
anni dal Giappone perché era impegnato a svolgere il suo
lavoro di scrittore in
giro per il mondo. Era un tipo eccentrico, spesso si assentava per anni
e poi
ricompariva come se nulla fosse, raccontando aneddoti e storie
incredibili da
ogni parte del mondo. Era appena rientrato in Giappone quando venne a
conoscenza della tragica fine di Minato e Kushina, ma dopo lo shock
iniziale fece
il possibile e anche l’impossibile pur di trovare Naruto e
cercare di dargli un
futuro sereno. Naruto non poteva crederci, per anni aveva sperato che
qualcuno
lo adottasse per poter avere finalmente una vita normale, e ora, quando
non ci
sperava più arrivava il suo padrino dal nulla. Sembrava
quasi di stare dentro
Harry Potter. Ovviamente accettò di buon grado il cambio di
vita e superate le
difficoltà logistiche iniziali, Naruto sentì
finalmente di aver trovato il suo
posto nel mondo. Sentì, finalmente, di essere a casa.
Jiraya e Gaara
erano la sua famiglia, e anche se non
incarnavano lo stereotipo della famiglia tradizionale, quei due negli
anni gli
avevano somministrato alte dosi di quella medicina speciale che Gaara
aveva
nominato durante il loro primo incontro. Quella medicina era
miracolosa, ed era
stata in grado di guarire, lentamente, tutte le ferite del cuore del
giovane
Naruto. Il suo tempio era finalmente restaurato. Grazie a Gaara. Grazie
a
Jiraya. Grazie al loro amore.
Naruto si
stiracchiò felice e sorrise alla giornata che stava
per iniziare. Controllò i messaggi e ne trovò uno
di Gaara che molto
gentilmente gli intimava di alzarsi “Alzati testa quadra o
farai tardi agli
allenamenti anche oggi! Ti passo a prendere alle 8.45.
Muoviti.”. Strabuzzò gli
occhi, erano già le 8.30. Gaara lo avrebbe ucciso, ma cosa
ancor peggiore
rischiava di perdere il posto che si era guadagnato nella squadra
locale di
basket. Non era andato all’università,
perché al di là della sua infanzia
turbolenta, di studiare non aveva decisamente voglia. Era invece molto
bravo
nel basket e considerando che si trovava in Giappone i suoi 180 cm lo
collocavano
tra i giganti e tra i favoriti di questo sport. Suo padre aveva origini
australiane e da lui aveva decisamente ereditato i colori e
l’altezza. Era
riuscito ad ottenere un posto da professionista nella squadra di basket
di
Tokyo solo da qualche mese, ma visti i suoi continui ritardi agli
allenamenti
il coach aveva iniziato a minacciarlo di cacciarlo dalla squadra.
Quindi si
preparò il più velocemente possibile e quando
scese sotto casa trovò già Gaara
ad aspettarlo. Salito in macchina gli porse una busta di carta senza
dire nulla
come suo solito. Dentro ci trovò un cornetto al cioccolato.
Gaara lo conosceva
troppo bene e cominciando ad addentare il cornetto gli
regalò un sorriso a
trentadue denti. Sorriso che Gaara si era faticosamente conquistato
negli anni.
Naruto Uzumaki
aveva 20 anni ed era nato due volte. Naruto
Uzumaki aveva una casa e una famiglia da 5 anni. Naruto Uzumaki aveva
una
lavoro che gli piaceva. Naruto Uzumaki stava finalmente bene.
Buonasera a tutti carissimi e perdonate la mia scomparsa. Potrei dirvi che ho avuto tantissimi impegni e pochissimo tempo per continuare la storia, ma anche se ciò è vero corrisponde parzialmente alla verità. Poco tempo a parte, vorrei che questa fosse una bella storia e per essere veramente una storia ci deve essere qualcosa da raccontare o almeno ci deve essere quell’urgenza di voler tirar fuori un universo, qualunque esso sia. E io in questi mesi non sapevo di quale universo scrivere e non ne avevo proprio la voglia. Ma la mia urgenza di raccontarvi una storia è tornata e mi ci sono buttata. Ho fatto del mio meglio e spero davvero che vi piaccia. Buona lettura!
- Il titolo riprendere il ritornello della canzone interpretata a Sanremo da Ermal Meta e Fabrizio Moro. Riadattandola alla situazione di Naruto lo interpreto così: nonostante tutte le avversità che la vita ci può porre di fronte, essa non smette di scorrere e siamo noi a dover decidere se sopravvivere o se vivere. E Naruto dopo un percorso travagliato ha scelto di vivere.
- Il kimono blu troppo corto di Jiraya è un riferimento al kimono blu troppo corto di Schimdt di New Girl. Ovviamente non è importante, ma per chi segue New Girl può facilmente immaginarsi la scena come l’ho immaginata io :’)
Grazie dell’attenzione e alla prossima! Un bacio