Giochi di Ruolo > Vampiri: la masquerade
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Autore: Kodoma    25/03/2018    2 recensioni
Questo è un breve racconto basato una una recente campagna di Vampiri: la Masquerade ambinetata a Miami. La Contessa Bathory, principe di Miami, e sua figlia Valschenka incaricano un gruppo di vampiri molto eccentrici per svolgere due missioni a Tampa. Questo racconto narra delle loro avventure e disavventure. Le storia si svolgerà dal punti di vista dei personaggi, i quali saranno introdotti mano a mano nel corso della storia.
Genere: Azione, Introspettivo, Sovrannaturale | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: Violenza
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San Cristoforo Cinocefalo


San Cristoforo Cinocefalo

Cassiopea

Le luci delle lampade illuminano il locale di luce soffusa mentre sono al bancone a servire i pochi clienti presenti al momento. La notte è ancora giovane, troppo per

avere i primi veri clienti. Passo lo straccio sul bancone di marmo nero per pulirlo e mi volto verso Andrew per fare un po' di conversazione e tenermi occupata, il 

quale si volta abbozzando un sorriso. Andrew è un ragazzo sulla trentina, molto alto, con i capelli neri, gli occhi azzurri e la pelle diafana. Un sorriso malizioso gli 

orna costantemente il volto, quasi a volersi far beffe di tutto e di tutti. Una faccia da schiaffi, insomma. Oltre ad essere uno dei miei ghoul è anche personal trainer, 

e il suo ruolo è quello di aiutarmi dietro il bancone tre sere a settimana. Mi è molto utile avere qualcuno ad aiutarmi nelle sere in cui lavoro, che non si stupisca di 

ciò che avviene sotto gli occhi di tutti, ma che nessun umano comune riesce a notare. Avvenimenti inquietanti, che turberebbero la mente di qualsiasi persona la 

quale non abbia familiarità con il regno delle creature notturne. Io ed Andrew abbiamo un rapporto di complicità più che di ghoul-creatore, che si basa 

principalmente su strane confidenze fatte alle prime luci dell'alba, rispetto reciproco, e divertimento, in tutti i sensi. Sentii suonare  il τηλέφωνοv di Carlos (quella 

strana cosa di fossile cristallizzato che fa rumore e trasmette messaggi) alle mie spalle con una musichetta ripetitiva e neutra.  Carlos in genere nelle notti in cui 

servo al bancone sta seduto su una sedia dietro di me a fare come più gli aggrada, ma stando attento a non darmi fastidio. Sa cosa succederebbe nel malaugurato 

caso in cui lo facesse. Egli risponde al τηλέφωνοv, e dopo qualche parola pronunciata con voce affettata e qualche cenno di assenso chiude la "chiamata".

<< La Contessa ti ha convocata da lei a mezzanotte >>

<< Grazie Carlos >> rispondo cortesemente prima di rivolgermi ad Andrew << Andrew, caro, riesci a cavartela da solo stasera? Mi hanno appena convocata >>

<< Tranquilla, oggi non è un giorno di piena >> risponde lui con noncuranza prima di accogliere con un saluto un cliente che aveva appena varcato la porta di vetro

del locale.  Mi avvio quindi verso l'ascensore con Carlos alle mie spalle, il quale mi ha sempre seguito come la mia ombra dacché ci siamo conosciuti. Trovo la sua 

costante presenza fastidiosa ma allo stesso tempo rassicurante. Non so come farei a cavarmela senza di lui. E' sicuramente il più bel dono che  ἐμός  ἀδελφός mi 

abbia mai fatto, anche se trovo le sue espressioni praticamente indecifrabili. Un po' come quelle di tutti gli umani, del resto. Sono troppo emotivi. I vampiri riesco a

decifrarli più facilmente, i loro volti sono più statici, meno espressivi. Fra non morti ci si intende. Almeno spero. Entrata nell'ascensore salgo al terzo piano dove 

tengo le mie scorte di cibo per le emergenze e alcuni vestiti.  Va bene, diciamo molti vestiti. Mentre entro nella mia enorme cabina armadio e chiudo la porta, 

Carlos si posiziona affianco alla porta, aspettandomi. Fra la moltitudine di vesti e ornamenti scelgo un tubino nero, sobrio, senza scollature e lungo fino alle 

ginocchia.  Mai mostrare troppa pelle davanti alla Contessa, oppure vestirsi in maniera troppo vistosa o appariscente. Bisogna essere eleganti ma allo stesso tempo 

sobri, così mi ha detto mio fratello. E' una fervente cristiana cattolica e detesta i fronzoli addosso a chi le è inferiore di rango. Anche se è una delle mie più care 

amiche, è pur sempre il principe della città, la stella più brillante. Ma io non ho bisogno di mettermi in competizione con qualcuno per poter brillare. L'unico 

dettaglio che potrebbe attirare l'attenzione sono le spalline cadenti, che lasciano scoperte le spalle. Come scarpe scelgo un decolté nero a tacco basso. Infine mi 

pettino i capelli argentei ed esco dalla cabina. Non metto trucco, potrebbe essere considerato disdicevole. Inoltre dubito che questa sia una visita di piacere: la 

Contessa da sempre un certo margine di preavviso prima di invitarmi al suo maniero. Subito dopo scendo al piano interrato, dove trovo Hector ad aspettarmi. 

Evidentemente Carlos lo aveva già avvertito dell'invito. Saluto Hector e salgo in macchina con Carlos, dopodiché ci dirigiamo verso il castello della Contessa. La 

macchina è di un grigio- nero, di lusso. Più sportiva di una limousine, ma meno appariscente di una macchina da corsa. La notte è limpida, piena delle luci 

sfolgoranti della città, che la rendono un posto allegro ma leggermente decadente nell'insieme. Mi piace questa città. L'ho vista nascere, crescere e diventare ciò che

è adesso: una metropoli, intrigante e caotica allo stesso tempo. Ci avviamo verso la periferia e mentre stiamo per risalire con la macchina il viottolo di ghiaia che 

porta all'entrata del castello, noto un uomo alto e vestito di nero, visibilmente assorto nei suoi pensieri. È alto e veste con un cappotto grigio scuro di taglio 

impeccabile, i vestiti eleganti in netto contrasto con la sacca sportiva che porta appesa a una spalla. Suppongo che anche egli sia stato convocato dalla Contessa e 

che sia egli stesso un cainita. Sull'attaccatura della cravatta vedo scintillare alla luce delle poche lampade della periferia una croce d'argento. I capelli sono neri come

le ali dei corvi in un cimitero, e gli occhi esprimono la stessa tristezza che trapela da quei macabri luoghi. Conosco bene quell'espressione. L'ho vista tante volte 

negli occhi di Hector, soprattutto nei primi anni in cui ha incominciato a lavorare per me. Nonostante ciò, abbasso il finestrino della macchina e cerco di distrarre 

quello sconosciuto dai suoi brutti pensieri.

<< Salve, serve un passaggio?>> chiedo cordialmente, abbozzando un sorriso. Appena finita la frase lo vedo scattare con un balzo felino su per il vialetto di ghiaia 

senza neanche salutare. Che modi. Che maleducazione. Insomma, poteva almeno rispondere no? Rialzo il finestrino e sbuffo vistosamente, innervosita. Cerco di 

calmarmi, pensando che forse non avrà sentito le mie parole. Nel frattempo Carlos mi osserva, con uno dei suoi soliti sguardi indecifrabili.          

***

Irwin

Appoggio la lettera sul comodino.  Questa nottata non fa che peggiorare.

«Mi serve un passaggio» dico a Jesse, e lo vedo irrigidirsi sulla porta, le chiavi già pronte nella mano.

Il ragazzo sospira, un abitudine che è riuscito a conservare, poi si passa una mano tra i corti capelli castani. «Fino al teatro?» chiede.

«Fuori città. La Contessa».

«Mh. Farò tardi al lavoro. Dai, sbrigati» dice.

Jesse è probabilmente l'unico vampiro di Miami ancora meno interessato di me a frequentare i nostri fratelli. La differenza è che, per sua fortuna, gli altri immortali 

sembrano ben lieti di accontentarlo.

Annuisco, andando in camera sua ad aprire l'armadio. La mia roba occupa poco spazio, due cambi da “lavoro”, uno di quelli che ho indosso al momento, e due completi 

eleganti che la mia sire ha provveduto a comprarmi. Tutti scuri, non si sa mai quando può servire nascondersi tra le ombre.

Mi tolgo la maglietta nera e gli anfibi da combattimento, afferrando un completo grigio scuro senza neanche guardarlo. Mi vesto in bagno, sciacquandomi via una goccia 

rossa dall'angolo della bocca e cercando di pettinare all'indietro i capelli neri. Una piccola piuma grigia era rimasta tra due ciocche. Devo stare più attento, Jesse ha lavorato 

molto per integrarsi con i suoi vicini, e l'ultima cosa che gli serve è che questi si facciano altre domande sulle abitudini del suo strano coinquilino. Oggi, purtroppo, avevo la 

testa altrove.

Mi serve che tu riferisca un messaggio...

Il tonfo della lama sulla mano mi risuona nelle orecchie e qualcosa dentro di me freme, ripensando allo schizzo di sangue. Vorrei vomitare, ma la nausea è un'altra cosa che 

appartiene al passato.

Mi sforzo di allontanare il ricordo della notte prima. Aggiusto la croce sulla cravatta e prendo la borsa con la spada, poi io e Jesse usciamo nel caos che sono diventate le 

notti moderne.

La terra è nascosta da questa strana pietra nera che copre ogni cosa. Torri e case si innalzano ovunque strangolandosi a vicenda, mentre lampade senza fiamma e scritte 

tanto luminose da ferirmi gli occhi cercano di scacciare le tenebre lontano dal regno degli uomini.

Non avrei mai pensato che il buio e le stelle potessero mancarmi fino a tal punto.

La Contessa sembra condividere la mia opinione su quello che gli uomini hanno fatto al loro mondo, e quando scendo dal taxi di Jesse non posso fare a meno di sentirmi 

sollevato.

Mura in pietra, un cancello metallico, e oltre il parco sconfinato delle mura che, sebbene ad occhio e croce costruite secoli dopo la mia morte, somigliano di più al mondo che

conosco.

Saluto Jesse con un cenno mentre il ragazzo riparte. Subito, però, noto le luci di un altro veicolo avvicinarsi, una di quelle auto più lunghe che i ricchi e potenti usano per 

distinguersi.

La Contessa ha convocato qualcuno alla stessa ora. È improbabile che abbia richiesto la mia presenza solo per compagnia, ma mi aggrappo lo stesso a quella speranza 

mentre premo il pulsante accanto al cancello. Aprono, e poco prima che l’auto mi raggiunga realizzo che arriverò in ritardo. Il parco è troppo grande per attraversarlo 

rapidamente a piedi.

Stringo i denti, dovrò nutrirmi di nuovo ma la cortesia, tra i mostri, è tutto. Le mie gambe cominciano a correre sul viale, poi prendo velocità. Le fronde degli alberi mosse 

dal vento rallentano e in pochi istanti non sento più il rumore dell'auto, ormai molto dietro di me.

Poco dopo raggiungo l'ingresso. Un servitore sembra sorpreso di vedermi così presto. Mi fa entrare nell'atrio, andando ad annunciarmi. Do ad un altro la borsa con la spada 

e aspetto.

Gli occupanti dell'auto mi raggiungono, una donna con indosso una di quelle cose oscene che oggi chiamano vestiti, e un uomo che la segue ovunque. Lei è attraente, occhi 

neri e un volto che non sembra esattamente europeo. I capelli sono grigi nonostante l’aspetto giovane. Potrebbe averli tinti, per qualche motivo è una cosa che va di moda 

negli ultimi mesi. L'espressione di lui è strana, sembra aspettarsi che il mondo stia per crollargli addosso da un momento all'altro.

Una cainita e il suo ghoul, decido.

***

Cassiopea

Arrivati all'ingresso della magione della Contessa, Hector scende e mi apre la portiera. Scendo dall'auto con passo elegante e felpato, mentre un servo mi apre la 

porta e si affretta ad annunciarmi al cospetto del principe. Devono avermi vista arrivare, ma con l'auto con cui sono arrivata sarebbe difficile non notarmi. Entro 

dentro il castello, sorridendo lievemente come si confà ad una del mio rango, seguita dall'immancabile Carlos. Arrivata nell'atrio, scorgo la figura che avevo visto ai 

piedi del vialetto. Ora che mi è più vicino, riesco a riconoscerlo: Irwin Maxwell, il bravo della primogenita dei Bruja, da poco trasferitasi a Miami da Londra. Il 

Sanguinario. Anche se nell'atteggiamento e nel modo di aspettare pazientemente che la segretaria della ci apra la porta e ci porti al cospetto della Contessa, schiena 

dritta, espressione incurante di ciò che gli sta attorno, senza esalare fiato, non lo sembra più di tanto. Lo avevo già visto ad alcuni eventi organizzati dalla Contessa, 

ma mai da vicino. Per quanto io sia convinta che debba essere lui a presentarsi per primo, cerco di fare uno sforzo, se non altro per una civile convivenza. Mi 

avvicino a lui con aria incuriosita << Ci siamo già visti da qualche parte...? >>

<< Immagino di si >> mi risponde, inarcando lievemente un sopracciglio. Ho la vaga impressione che non mi stia guardando particolarmente bene. Per la precisione, che mi 

stia squadrando dall'alto in basso, giudicandomi.  Reprimo un'espressione stizzita << Ma non abbiamo avuto l'occasione di presentarci formalmente. Cassiopea di Delfi, 

molto lieta >> gli dico, porgendogli la mano e cercando di essere gioviale.

<< Irwin Maxwell >> mi risponde, stringendomi la mano con un freddo inchino di cortesia.

<< Di che cosa si occupa? >>

<< Varie cose. >>

Non faccio in tempo a continuare la conversazione che miss Van De Rohe , la segretaria della Contessa, apre la porta del salotto e ci fa accomodare all'interno. Carlos 

attende fuori mentre Io ed Irwin entriamo, e dopo un breve inchino, quando la Contessa ci invita ad accomodarci, ci sediamo in maniera composta sul divanetto in stile 

ottocentesco. Dopo i primi convenevoli su come era andato il viaggio, averci chiesto se ci siamo presentati e altri inutili dettagli, ella esordisce  << Miei cari ospiti, per quanto

io apprezzi la vostra compagnia, non è solo questo il motivo per cui vi ho mandati a chiamare oggi. Ho sentito recentemente di un'asta di beneficenza a Tampa, dove 

saranno venduti gli oggetti del museo di storia, il quale, ahimè, non ha più i fondi necessari per continuare ad esistere. Per quanto mi duole che un tale luogo di cultura cessi 

la sua esistenza, verranno venduti molti oggetti rilevanti, tra i quali un' icona di San Cristoforo Cinocefalo, in stile bizantino, che mi servirebbe per la mia collezione 

privata>> .Lancio un'occhiata fugace ad Irwin. Non ho la più pallida idea di che cosa stia parlando la Contessa. So cos'è un'icona, so cos'è (all'incirca?) un Santo, ma perché

esso debba essere Cinocefalo sfugge da ogni mia comprensione. Insomma, un Santo non dovrebbe essere una persona tenuta in ottima considerazione dal Dio cristiano, tipo 

un semi-dio? Ma se è così, perché dovrebbe avere una testa da cane? L'hanno forse punito per la sua ὕβρις ? Era forse il figlio di una divinità che aveva la testa da cane, 

come una di quelle egizie? Non sono un'esperta per quanto riguarda il Pantheon cristiano. Mentre la mia testa  percorre tutte queste strane macchinazioni, Irwin invece 

sembra aver capito all'incirca di che cosa ella stia parlando. Dissimulo quindi la mia espressione perplessa e cerco di non essere da meno. Inoltre, visto che ci ha convocati 

insieme, suppongo che la mia strada e quella di Irwin si incroceranno di nuovo. Magari quando lo faranno mi potrò far spiegare il perché esiste un santo cinocefalo. Cristiani,

gente strana. Ma finché stanno tranquilli e rispettano le regole di una società civile, possono credere in ciò che vogliono. Anche nel dio Spaghetti Monster, una divinità che 

sembra andare molto in voga in questo periodo storico e che per la precisione sarebbe un enorme piatto di pasta volante con pomodoro e polpette che avrebbe creato il 

mondo. Uomini moderni. Gente strana anche loro, eh. Febo Apollo aiutami tu.

<< Cassiopea, cara >> Mi volto verso la Contessa cercando di non farlo di scatto, considerando che ormai mi ero persa nelle mie elucubrazioni. << Potresti andare 

gentilmente a recuperarla per me a Tampa? Irwin sarà incaricato di proteggerti, in caso dovessero succedere degli incidenti >>

<< Sarà un onore per me, mia Signora >> rispondo cortesemente. Irwin annuisce in risposta.

<< Per quanto riguarda il pagamento, potrete usare la mia... Com'è che si chiamava, miss Van De Rohe? >>

<< Carta di credito, mia Signora >> risponde pacatamente la segretaria nonché curatrice della sua collezione privata. La Contessa ha sempre avuto un debole per le arti, in 

particolare per l'arte sacra. E' piuttosto consueto che lei compri questo genere di quadri.

<< Grazie miss Van De Rohe, ecco come si chiamava >> dice la Contessa << La mia carta di credito >>. Io ed Irwin ci guardiamo con un'aria mista tra il preoccupato ed il 

perplesso. E' più che evidente che nessuno dei tre in quella stanza ha la minima idea di che cosa sia una carta di credito. Solo che la Contessa lascia trasparire il fatto che 

non vede come questa conoscenza debba essere di sua competenza. Roba da servi starà pensando, probabilmente. Problema di cui dovremo occuparci io ed Irwin, sempre 

che questo poco di buono abbia abbastanza intelligenza per capirlo. Mai fidarsi di uno che usa la violenza, soprattutto se per mestiere. Miss Van De Rohe mi allunga una 

busta di carta, nella quale si può sentire un piccolo rettangolo rigido che suppongo essere questa misteriosa carta di credito. Mi chiedo se sia fatta di quel materiale chiamato 

"plastica". Carlos una volta mi aveva spiegato che questo materiale era formato da fossili cristallizzati e plasmati in varie forme e colori con sostanze alchemiche. Deve 

essere sicuramente una qualche forma di magia donata da Efesto, penso io. Infine la Contessa ci invita ad uscire, in quanto ormai sono già passate le due della notte e si è 

fatto tardi. Appena fuori dalla porta, allungo la busta contenente la carta di credito a Carlos, il quale saprà sicuramente cos'è e come funziona. Meno ho a che fare con quella

cosa meglio è. Gli dico anche che è la carta di credito della Contessa. Egli impallidisce e si affretta a infilare la busta di carta in una tasca della sua borsa, al sicuro. E' bello 

sapere che almeno lui sa come gira il mondo.

<< Direi di partire il prima possibile. Stanotte? >> Mi chiede Irwin

<< Stanotte è troppo tardi, rischieremmo di essere travolti dalla luce del Carro Solare. Partiremo domani, presentati allo Xenia alle otto in punto. Volendo possiamo passarci 

ora, posso offrirle la cena se vuole. Non  sembra essere particolarmente in forma. >> Gli rispondo. Dopo uno sguardo di disgusto, egli risponde freddamente << La ringrazio

per l'invito, ma penso passerò per stasera >>. Faccio spallucce.

<< Come preferisce. A domani. >> Lo saluto salendo in macchina. Per quanto sia troppo tardi per partire per Tampa, ho ancora il tempo di fare un salto al locale e di dare 

una mano ad Andrew con le ordinazioni.

 ***

Irwin 

La dama di compagnia della Contessa mi salva dai tentativi della vampira di fare conversazione.

Veniamo portati in presenza della nobile. Cortesie di rito, poi lascio che siano le due donne a portare avanti la conversazione, per quanto sia possibile senza rompere 

l’etichetta.

Arrivano al punto, e l’incarico non mi piace. Un icona sacra, sebbene di fede ortodossa, venduta come oggetto da collezione. Quest’epoca è irrimediabilmente marcia, 

almeno i mercanti nel tempio non avevano provato a venderne le stesse pietre.

L’idea di doverla consegnare ad un mostro mi piace ancora di meno, ma un occhiata alla croce che ho sul petto mi ricorda la mia ipocrisia. Ancora non riesco a capacitarmi 

di come sia per noi possibile toccarle. Molti vampiri sostengono che sia perché Dio non esiste. A volte cerco di convincermi che sia perché non siamo ancora del tutto 

dannati.

Usciamo.

Il ghoul della vampira Cassiopea sembra sapere come funziona la carta della Contessa, una specie di nota da banco se ricordo bene, quindi decido di non curarmi della cosa. 

Organizzo la partenza con Cassiopea, poi mi offre di andare a nutrirci. Più di tutto, è il modo tranquillo e gioviale con cui ne parla a disturbarmi. Ne ho incontrati molti come

lei, mostri determinati a fingere che la propria non-vita sia solo un’eterna festa elegante. Rifiuto, e finalmente ci separiamo.

Torno a casa a piedi, il tragitto è lungo ma non voglio disturbare Jesse mentre sta lavorando.

Raggiungo la periferia, e noto una nicchia formata da dei mattoni rotti sul muro di una fabbrica da cui sporgono alcune piume, mosse dal vento della sera. È a circa quattro 

metri da terra. Mi guardo attorno e non vedo nessuno. Faccio un primo balzo, poggio il piede in una sporgenza e spicco il secondo, aggrappandomi al bordo del tetto con una

mano. Avrei potuto raggiungerlo con un singolo salto, ma ho preferito non rischiare. Le città moderne hanno occhi meccanici ovunque. Sono sicuro che il Principe abbia 

modi per controllare la cosa, ma dar l’idea di non prendere la mascherata sul serio non porterebbe a nulla di buono.

Il piccione mi ha sentito, svegliandosi dal sonno, ma prima che riesca a prendere il volo lo afferro con una mano, chiudendogli le ali.

Mi lascio cadere a terra, ed entro in un vicolo.

La bestia tuba spaventata. Sto attento a non stringere troppo la presa, per non causargli dolori inutili. Poi lo porto alla bocca e le mie zanne bucano la pelle.

Serve meno di un secondo, è poco più di un sorso. Il piccione non si muove più.

Mi pulisco le labbra dal sangue e dallo sporco con la mano, poi esamino il corpo, per vedere se qualcuno potrebbe trovare il segno del morso strano. La mia lingua può 

chiudere i buchi delle zanne, ma preferirei evitare di portarlo di nuovo alla bocca se non è indispensabile. Alla fine lo gettò a terra e me ne vado.

Jesse trova la cosa disgustosa. Tra il suo lavoro e le sue abilità ipnotiche è uno dei vampiri di Miami che può procurarsi il cibo più facilmente, e le sue vittime sono libere di 

proseguire per la loro strada, senza un ricordo di quanto sia accaduto. Mi ha già offerto di provvedere anche per me, dicendo che così non avrei neanche dovuto uccidere 

animali.

Ma, a differenza degli altri dannati, il mio bacio non porta ai mortali nessun piacere. Le urla, il terrore della vittima che si dibatte nella mia stretta. Già quello sarebbe 

sufficiente a farmi preferire portare alle labbra un topo di fogna.

E Jesse non era su quella nave.

Jesse non ha mai perso il controllo per la fame.

Credo sia un errore che facciano in molti. Terrorizzati dalla loro natura, cercano di nutrirsi il meno possibile, finché una notte è la fame a prendere il controllo. E quando la 

loro mente torna, non c’è più modo di rimediare, di rimettere insieme i pezzi.

Quindi mi nutro spesso, al minimo accenno di fame, non importa quanto sia disgustosa la preda, quanti piccioni e topi devo uccidere, qualunque cosa pur di star lontano 

dagli umani.

Qualunque cosa pur di non ritrovarmi ancora su quella nave.

Arrivo a casa e il telefono sta squillando. Non capita spesso.

Dò una rapida occhiata al foglietto con le istruzioni che ha lasciato Jesse, giusto per essere sicuro. Prendi la cornetta, non premere nessun pulsante. Se hanno un messaggio 

per lui scrivere tutto parola per parola. Quando la telefonata è finita rimettere la cornetta al suo posto. Facile.

Rispondo.

«Ciao». Dice Jesse. «Devo venire a Tampa con te, pare».




Nota di uno degli autori

 Salve a tutti! Ecco qui il nuovo capitolo della storia, la parte di Irwin è stata scritta dal personaggio che lo ruola. Cercherò di aggiornare ogni domenica per quanto possibile. 

Ringrazio Fenrir per la recensione che, a mio parere, ho trovato incoraggiante. Sperando vi sia piaciuto, buona domenica!

Kodoma


  
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