Crossover
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Autore: Registe    26/03/2018    4 recensioni
Tredici guardiani. Tredici custodi del sapere.
Da sempre lo scopo dell'Organizzazione è proteggere e difendere il Castello dell'Oblio ed i suoi segreti dalle minacce di chi vorrebbe impadronirsene. Ma il Superiore ignora che il pericolo più grande si annida proprio tra quelle mura immacolate.
Questa storia può essere letta come un racconto autonomo o come prologo della serie "Il Ramingo e lo Stregone".
[fandom principale Kingdom Hearts; nelle storie successive lo spettro si allargherà notevolmente]
Genere: Fantasy, Introspettivo, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Anime/Manga, Videogiochi
Note: AU, OOC | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Il Ramingo e lo Stregone'
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Capitolo 15 - Zexion





La vetrata nella stanza di Saïx





Zexion si immerse nei vapori caldi della tazza di tè. Il profumo di zenzero, lievemente frizzante, riuscì a placare la violenta sensazione di rimettere.
“Stai meglio?”
Suo zio lo osservava preoccupato dall’altra parte del tavolo, e Zexion si limitò ad annuire. Vexen detestava avvicinarsi a qualsiasi oggetto rovente eppure, una volta tornati nel loro laboratorio, aveva preparato per lui la bevanda senza battere ciglio.
“Sì. Ti ringrazio”.
Zexion riusciva a percepire gli odori sin da quando era in grado di ricordare. Gli ci era voluto tempo per comprendere che le sue “percezioni” erano ben diverse dall’olfatto degli altri esseri umani, superiori anche a quelle dei sensi affilati di creature come Saïx.
Gli esseri viventi producono secrezioni diverse a seconda del proprio stato d’animo, quando mentono, quando gioiscono, anche solo quando sono infastiditi da qualcuno o qualcosa: per Zexion era sempre stato palese anche più di un libro aperto, e questo suo “potere” causava disagio a tutti coloro con cui entrava in contatto.
Si sentivano letti nel pensiero, scrutati.
“Durante la riunione eri pallido” disse il n. IV. “Credo che l’odore di quel demone sia stato troppo. Non oso immaginare come tu possa esserti sentito”.
Suo zio era l’unico che non scappasse da lui.
Aveva avuto anche lui un momento di disagio, ma Zexion si era reso conto di quanto fosse stata normale la reazione dello scienziato. Ma, a differenza degli altri abitanti del Castello, lo scienziato freddo ed imperscrutabile aveva capito. E, a modo suo, accettato. Anche il Superiore aveva superato con gli anni quella barriera invisibile, ma con il n. IV si era creato con gli anni un rapporto insostituibile.
Era un uomo dalla sete di conoscenza insaziabile, da un ingegno diverso da quello di chiunque altro. Se fosse nato altrove, Zexion sospettava, sarebbe stato considerato come minimo un genio. Qualsiasi cosa, il più stupido dettaglio, lo pungolava a saperne di più; studiava, dissezionava, compilava infiniti plichi per appuntare le sue conoscenze e non trovava pace finché ogni suo quesito non era stato ampiamente soddisfatto, documentato ed archiviato. Eppure, davanti a quel suo potere, a quel suo olfatto unico sconvolgente, il più grande scienziato ed alchimista del mondo aveva abbandonato ogni tentativo di ricerca.
E, per quello, Zexion non aveva mai trovato una giusta forma di gratitudine.
Bevve il tè a piccoli sorsi, assaporando il calore fino allo stomaco. Con calma le mani smisero di tremare. “Ammetto … ammetto che sia stato forte. Molto più forte di Saïx nelle sere di luna piena, per farti un paragone. Era … era davvero terribile”.
“Vorrei poterti aiutare. Vuoi qualche medicina?”
Se questa sua peculiarità si fosse limitata a sentire soltanto le emozioni degli altri, il n.VI era certo che il tutto sarebbe stato piuttosto sopportabile. Il problema era che tutti quegli odori non si limitavano al suo naso: i sentimenti violenti, la rabbia, l’energia, l’esplosione magica di creature come Mistobaan avevano sul suo corpo risvolti devastanti. La furia del Braccio Destro del Grande Satana aveva avuto più o meno l’effetto di un violento pugno nello stomaco ed anche in quel momento, con l’emissario lontano, parte del suo ventre sembrava ancora scosso. “Sto bene, zio, non preoccuparti. Hai già abbastanza pensieri”.
“Ammetto di non avere idea di come abbia trovato il coraggio di avanzare una simile proposta”.
“Forse perché è quello che hai sempre voluto?”
Il n. IV si alzò dal tavolo, muovendosi con passo lento verso la libreria. Zexion lo vide scegliere un volume piccolo, dalle pagine gialline e rumorose, per poi sedersi sulla poltrona, l’unico oggetto confortabile del loro laboratorio che, almeno da quando il giovane n. VI avesse memoria, era stata la loro unica casa. L’uomo aprì una pagina, iniziando a farvi scivolare lo sguardo.
Non che stesse leggendo, ovviamente.
Per Zexion i gesti dello scienziato erano, qualche volta, persino più rivelatori degli odori. Una persona dalla mente simile aveva bisogno comunque di fare qualcosa anche in preda ai pensieri più disparati, e non bastò l’aroma al mandarino per scacciare il bagaglio di preoccupazioni ed incertezze che suo zio si trascinava da poche ore a quella parte. “Zexion … il Superiore ha chiesto di vederti una volta che ti sarai ripreso”.
“Immagino abbia a che fare con la votazione. Non credo che parleremo d’altro per i prossimi giorni”.
“Ecco, a proposito di questa storia …” sospirò l’altro, sollevando il capo dal testo.
Molti si trovavano a disagio davanti allo sguardo indagatore si suo zio quasi quanto i suoi poteri, ma le sue iridi verdi non avevano nulla di minaccioso, né di preoccupante. Solo curiosità e dubbi, ma quelle erano emozioni che avvolgevano il n. IV dell’Organizzazione come un manto. “… non avrò i tuoi poteri, Zexion, ma qualcosa di te mi permetto di saperla. E so quanto l’idea di uno scontro diretto con il Grande Satana ed il suo esercito non ti appassioni. Anche se riuscissimo a portare la battaglia lontano dal Castello so per certo che molti odori, molte percezioni qui dentro potrebbero cambiare, e non mi aspetto che cambino per il meglio”.
Si fermò, osservandolo, ma Zexion rimase in silenzio.
“Perché hai optato per lo scontro?”
Il ragazzo sospirò.
Aveva portato l’Organizzazione in stallo e costretto Xemnas a decidere. Aveva aspettato il voto di tutti prima di parlare, ma probabilmente solo suo zio si era accorto di questa sua piccola strategia.
O, più probabile, nessuno si sarebbe mai aspettato che lo sparuto n. VI fosse in grado anche solo di pensare.
Vexen, l’osservatore, aveva ragione su tutti i punti.
Lui non era un guerriero. Forse, un giorno, sarebbe diventato uno studioso, ma per Zexion la guerra contro la famiglia demoniaca non era altro che un pericolo pronto a cadere sulle teste di tutti loro. Aveva paura, quella sana paura che nel cuore del suo interlocutore al momento era stata messa a tacere dall’eccitazione di poter uscire, liberarsi, sperimentare davanti agli occhi di tutti.
Zexion si era ripromesso di avere un po’ di paura per tutti e due. “Davvero non ci arrivi?”
Il n. IV era un uomo dal genio senza limiti, ma a volte gli sfuggivano le cose più evidenti.
Appoggiò la tazza ormai vuota e gli venne vicino, appoggiando la propria fronte alla sua. “Perché era quello che volevi tu”.
 



Trovò il Superiore in uno dei corridoi del terzo piano del Castello; si sarebbe immaginato di incontrarlo nella galleria dei quadri di famiglia o nelle sue stanze, ma il n. I stava camminando lentamente tra i corridoi bianchi e lo accolse con un sorriso carico di flemma. Il suo odore, che a Zexion ricordava quello di erbe esotiche, raccontava un’altra storia.
“Forse non avrei dovuto far partecipare te ed il n. XIII alla riunione. Non è stata una bella esperienza” disse. “Te ne chiedo scusa”.
“Non è lei a doversi scusare, n. I. Desiderava vedermi?”
“Sì, figlio mio. È mio dovere decidere del futuro della nostra famiglia, ma non posso farlo senza sapere se il terreno su cui stiamo per incamminarci sia solido o rischi di farci affondare. E per farlo ho bisogno del tuo dono, n. VI”.
Il ragazzo allungò il passo, cercando di rimanere al tempo delle ampie, seppur involontarie, falcate del Radigata.
L’uomo dai capelli argentati si era spesso riferito al suo olfatto come ad un “dono”. Zexion, invece, avrebbe parlato di “maledizione”. Con il passare degli anni aveva persino smesso di chiedersi l’origine di quella sua capacità.
“Credi che quel Mistobaan possa o voglia davvero mettere in atto la sua minaccia?”
“Mi sta chiedendo se stesse bluffando? Se stesse minacciando a vuoto solo per intimidirci?”
L’uomo dai capelli chiari annuì.
Zexion non aveva mai visto un demone da vicino prima dell’incontro con il Braccio Destro, nemmeno durante i viaggi all’esterno del Castello con suo zio, e tutto ciò che sapeva di quella specie era che fossero troppo orgogliosi per mentire. Forse non ne erano nemmeno capaci.
Era chiaro che il Superiore volesse di più.
“La sua rabbia … era sincera, n. I. Non ci attacca perché lo abbiamo disturbato, minacciato e semplicemente perché ci considera delle creature diverse da noi, ci attacca perché ci odia. Credo che, se non fosse stato in veste diplomatica, ci avrebbe uccisi tutti. Ma non posso conoscere l’origine di questo sentimento. Posso leggere le emozioni, Superiore, non la mente” disse a bassa voce. Il Superiore conosceva ogni recesso della sua maledizione quasi quanto suo zio, ma era chiaro che il Radigata fosse così disperato da aggrapparsi a qualsiasi ancora in vista, fosse stato anche un ragazzo di quattordici anni con un olfatto misterioso. “E non esagerava quando ha affermato di voler punire il n. VII”.
“È soprattutto questo ciò che mi preoccupa”.
Preso dal ricordo dell’odore aggressivo dell’ambasciatore, Zexion non si era accorto di dove li avessero condotti i passi del signore del Castello. Un misto di odori lo aggredì da oltre la massiccia porta bianca, quasi come una bestia feroce rinchiusa nella propria tana in attesa di una preda.
Sussultò, guardandosi intorno, ma il corridoio candido era deserto. Il n. I bussò tre colpi secchi, e dopo una manciata di istanti la porta si aprì.
Zexion aveva visto il mare numerose volte. Aveva accompagnato suo zio in perlustrazioni su spiagge di ogni mondo, aiutandolo a raccogliere, classificare ed organizzare reperti di ogni genere, dai sassi color acquamarina del pianeta Achillea fino a dei molluschi dall’icore fortemente elettromagnetico di Panna. I mari e gli oceani che aveva visitato avevano odori diversi, ovviamente, ma tutti emanavano una traccia inconfondibile e forte, un odore tipico dei sali disciolti che persino la gente con un olfatto “normale” riusciva a percepire. Una sensazione che il n. VI per molto tempo aveva trovato piacevole.
Questo finché Saïx non era entrato nell’Organizzazione.
“Lei non dovrebbe bussare per entrare, Superiore” ringhiò il n. VII aprendo i battenti. “Potrebbe teleportarsi senza chiedere il permesso”.
“Cionondimeno, Saïx, io preferisco bussare”.
Il n. I entrò, e Zexion lo seguì in tutta fretta, conscio che il padrone della stanza lo stesse osservando con incertezza.
Non riusciva a comprendere come una creatura come il n. VII, un licantropo che non aveva mai visto il mare in tutta la sua lunghissima vita, potesse portarne addosso l’odore. La sensazione salmastra della bestia, unita a quella che permeava l’intera stanza, si convertì subito il un dolore alla gola intenso, accompagnato dal bisogno di bere. Il primo istinto fu quello di aprire un portale per il laboratorio e correre alla caraffa dell’acqua, ma si convinse a mordersi il labbro e rimanere accanto al n. I.
Era entrato nelle stanze degli altri membri dell’Organizzazione XIII solo di rado: si era soffermato spesso solo in quella del n. III per completare qualche esercitazione sull’uso della magia del vento, e la stanza della guardia personale del Superiore era l’estensione della palestra, piena di strumenti per allenarsi trafugati da qualche altro mondo e con tuniche nere sparse in ogni angolo possibile, compreso il lampadario. Ogni tanto era andato a trovare Demyx –uno dei pochi lì dentro ad avere un aroma davvero piacevole- ed in conformità con il suo elemento vi era un gigantesco materasso ad acqua che il più delle volte finiva per bucarsi. Se gli avessero chiesto di immaginare la stanza del n. VII si sarebbe aspettato una tana piuttosto angusta, dall’odore di mare in tempesta, piena di oggetti distrutti, un letto simile ad un ammasso di stracci e qualche macchia di sangue per completare il quadro. Probabilmente, se lo avesse chiesto a tutti gli altri membri, avrebbero risposto più o meno come lui.
 
Narratore: “Avete presente l’Ala Ovest della Bella e la Bestia? Ecco, una cosa simile. Ma senza ritratto. E senza rosa. Quella, secondo me, la ritroviamo nella toilette privata di Marluxia”
 
La quantità di libri presenti in quella stanza non aveva nulla da invidiare ad un settore della biblioteca del Castello. Due pareti intere erano occupate da una libreria bianca che arrivava fino al soffitto, con volumi che sembravano ordinati per grandezza e colore, nessuno che sopravanzava l’altro nemmeno di un dito. L’unico tomo fuori posto era quello che il n. VII teneva sotto un braccio e che si affrettò a riporre nell’unico spazio libero non appena lui ed il Superiore ebbero varcato la soglia della sua stanza. “Ho bisogno della tua saggezza, figlio mio. Della tua e di quella del nostro n. VI”.
“Con tutto il rispetto, n. I, avrebbe dovuto portare con sé il n. IV” disse il licantropo.
Zexion si fece ancora più piccolo dietro la schiena del suo capo. Saïx non aveva alcuna stima nei suoi confronti. Rispettava il suo rango, ma oltre a quello il suo odore parlava solo in maniera aggressiva, forte. Uno dei motivi per cui ne detestava anche la sola vicinanza. “Il parere di un cucciolo mi sembra poco utile per questo tipo di questioni”.
“Vi è differenza tra cognizione e saggezza, Saïx” rispose pacato il Superiore. “Tu e Zexion rappresentate giudizi opposti in merito al confronto con la famiglia demoniaca, e tra tutti i miei figli vi giudico i più assennati ed oggettivi. Ho bisogno del vostro aiuto”.
“Superiore, non ho nulla da aggiungere. Seguirò qualunque sua decisione, e questo lei già lo sa, ma se sceglierà di scendere in guerra contro la famiglia demoniaca non potrò difendere la sua famiglia in uno scontro diretto. Non a lungo, almeno”.
“Sposteremo comunque il Castello” argomentò Zexion. Il malessere aumentò non appena la bestia lo udì aprire bocca per controbattere. “Se si potesse fare …”
“Non ha senso!”
Il n. VII scosse la mano in aria, con un gesto di furia. Si allontanò da loro di qualche passo, fissando il cielo che traspariva dall’enorme vetrata che occupava un’intera parete della sua stanza quasi come se tutto quel luogo potesse essere proiettato verso l’esterno. Solo in quel momento gli occhi di Zexion si accorsero di uno scrittoio di legno massiccio, privo di sedie, e di quella che sembrava una mappa del cielo redatta in runico, la scrittura demoniaca. Si avvicinò per guardarla meglio, incuriosito, ma il licantropo si voltò ed il suo sguardo giallo, furibondo, lo inchiodò sul posto. “Superiore, ho presto servizio nel corpo d’armata dello Hyakujumadan del generale Crocodyne per più di una vita degli umani. Ho guidato il mio branco ad uccidere centinaia di villaggi, solo la Madre Drago sa di quanti di voi io mi sia nutrito. So come funzionano certe cose”.
Per un attimo Zexion ebbe l’impressione che la bestia potesse davvero saltargli addosso. Il profumo del n. I non tradiva la più piccola forma di paura, ma questo non lo rassicurò nemmeno un po’. L’immagine di Axel nel loro laboratorio, con una frattura del cranio causata dall’attacco d’ira di quella bestia, gli si affacciò alla mente. Dalla vetrata la luce della luna rimbalzò sugli occhi del n. VII illuminando le sue iridi gialle. “Non rischieranno la vita dei loro demoni. Mistobaan manderà contro di noi il corpo dei licantropi dello Hyakujumadan per lavare l’onta che IO ho causato. I branchi non sono numerosi, ma oltre mille guerrieri dei branchi nobili risponderanno alla sua chiamata. Non ci cancellerà con il fuoco dei draghi, Superiore” ringhiò “Ci farà sbranare da coloro che dividono il mio stesso sangue. Trascineranno le interiora del n. IX per ogni corridoio, daranno la caccia anche a te, n. VI, se la loro ferocia non ti avrà già bloccato il cuore. Porteranno via il giovane n. XIII per far mangiare i cuccioli. È questo quello che volete?”
Non avrebbe mai immaginato di sentire un odore simile dal n. VII.
Non avrebbe mai immaginato che fosse in grado di provare paura.
E, di riflesso, l’aroma del n. I si approfondì. “Cosa proponi, Saïx?”
“La soluzione più logica, n. I. Mi consegni al generale Mistobaan stasera stessa. Mi offra come segno della buona volontà dell’Organizzazione e della devozione al Grande Satana. Sarà incline ad offrirvi un altro giorno o due prima della resa”.
Zexion tremò.
Se i pensieri degli abitanti del Castello erano carichi di curiosità su quale scelta avrebbe intrapreso il loro capo, essi erano anche concordi su un unico argomento: consegnare l’odiato n. VII alla famiglia demoniaca il prima possibile, preferibilmente con un bel fiocco intorno al collo ed un bigliettino di profonde scuse al signore dei demoni. Tutti, dal n. II al n. XIII, non avrebbero esitato a disfarsi di quell’odioso membro della famiglia che si trovava lì dentro per l’ennesimo capriccio del Superiore. Egli stesso, se gli fosse stato chiesto fino a qualche istante prima, sarebbe stato più che felice di allontanare quella bestia il cui odore lo trafiggeva ogni volta che lo incontrava, un carico di frustrazione per l’essere considerato al di sotto di un “cucciolo” come lui nella gerarchia. Di mandare via quel mostro che maltrattava tutti coloro che lo contraddicevano.
Eppure, dietro le iridi della bestia, Zexion si accorse che vi era qualcosa di così tristemente umano. “Usi tutto quel tempo per performare il rito di teletrasporto, Superiore, e porti la famiglia via da qui. Che io sappia i demoni non dispongono di magie di teletrasporto, quindi se rimarrete lontani da questo mondo dovreste essere al sicuro”.
“Sai benissimo cosa ne penso di questa parte del piano”.
“E lei sa benissimo cosa ne pensi io” rispose il n. VII. Si avvicinò al loro capo in maniera greve, con la testa bassa e le spalle molto più curve della loro normale postura “Mi permetta di offrire la mia vita per questa famiglia”.
Le sensazioni si intrecciarono tra l’uomo dai capelli argentati ed il licantropo dalla cicatrice sulla fronte, uno scambio di sguardi che lo fece sentire un intruso.
Lui, suo zio ed in fondo tutti gli altri Membri dell’Organizzazione avevano considerato Saïx un becero capriccio del loro capo. Nessuno si era mai chiesto cosa avesse spinto quel predatore di uomini ad accettare.
Nessuno si era mai domandato del perché Mistobaan lo avesse accusato di tradimento.
Il n. I si staccò da lui e si avvicinò al n. VII, appoggiandogli una mano sulla spalla. “Ho sempre ammirato il tuo punto di vista, figlio mio. Ma non sacrificherò un membro della mia famiglia per salvare tutti gli altri” disse “O almeno, non quando posso salvare ognuno di voi. Il rituale richiede tempo, ma ci faremo bastare quello che il generale ci ha concesso. Sono convinto che ce la faremo. Il Castello dell’Oblio non ha mai tradito la mia famiglia. Non lo farà adesso”.
Zexion si sentì di nuovo chiamato in causa prima ancora che l’uomo aprisse bocca. Lo fissò, per un attimo incantato dal riflesso di loro tre nell’immensa vetrata illuminata dalla luna. “Zexion, se non fosse stato per la posizione del n. IV … avresti seriamente scelto la via della guerra?”
Si ritrovò a sorridere, seppur in modo triste.
Il Superiore, pur non avendo alcun potere, aveva capito.
Non provava per quell’uomo capriccioso l’amore assoluto che aveva per suo zio, ma non poteva nemmeno dichiarare di detestarlo. Lo aveva accolto nel suo Castello quando il suo destino era quello di un qualsiasi bambino abbandonato nella neve e per quello, nonché per la sua bizzarra comprensione, avrebbe sempre avuto il suo rispetto.
“Non posso dirle ciò che ha già compreso da sé, n. I”
“Delle tante cose grandiose fatte dal n. IV, la più lodevole è quella di averti cresciuto come una persona meravigliosa, figlio mio” rispose l’altro. “I vostri pareri mi sono chiari, e ringrazio sia te che il n. VII per avermi parlato col cuore in mano. Avevo già in mente una decisione, ma le vostre motivazioni mi hanno dato la conferma di cui avevo bisogno”.
Zexion sospirò.
Avrebbe dovuto difendere la causa di suo zio in maniera migliore, ma non vi era riuscito.
Osservò di nuovo la stanza dalla libreria ordinata, dal tavolino pieno di carte della volta celeste, dalla vetrata dove la luce lunare, l’elemento scelto dal n. VII, che con il loro odore salato carico di dolore erano riusciti a distrarlo. O forse, rifletté, erano riusciti a respingere da lui quella decisione che sapeva soltanto di sbagliato.
“Domani mattina comunicherò il mio volere a tutti. Sposteremo il Castello e non torneremo mai più in questo mondo. Che i miei antenati veglino su tutti noi”.
  
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