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Autore: ALoserLikeMe    30/03/2018    0 recensioni
Gothel è una ragazzina timida e insicura, passa la maggior parte delle sue giornate in casa con la propria famiglia. Il mondo esterno quasi la spaventa. Tutto cambia quando, per la festa dei quindici anni suoi e di sua sorella gemella, incontra una ragazza, Talitha.
Quest'ultima è dotata di poteri magici, argomento completamente evitato in famiglia. I genitori di Gothel, la quale a sua volta è dotata di tali capacità, credono che sia la causa di ogni male della figlia.
Incuriosita, la ragazza vuole approfondire la conoscenza con Talitha, la quale ne modifica completamente sia il carattere che il modo di vedere le cose.
Gothel non sarà più la timida ragazzina di cui tutti si approfittano e che trattano male, imparerà a farsi valere.
Ma questo porterà delle conseguenze, perché una volta assaggiato il potere non riuscirà a tirarsi indietro...
Genere: Dark, Fantasy, Introspettivo | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Capitolo 2

 
 
La mattina dopo si svegliò presto. Annabella e suo padre avevano programmato una giornata di caccia, in cui avrebbero ammazzato gufi, lepri, e tutti quegli animali che il suo vecchio non voleva comprare al mercato, in quanto fosse possibile trovarli gratis in natura. Gothel non avrebbe partecipato. Aveva provato una volta, giusto per far contento suo padre, e aveva constatato che non faceva per lei. La sua pazienza era oltremodo limitata, stare appostata dietro un cespuglio per ore in attesa di un miracolo l’aveva sfiancata. Preferiva avere tutto e subito.
Sua sorella invece adorava la caccia, aspettava con ansia i giorni in cui suo padre non doveva andare giù in paese a lavorare per accompagnarlo nel bosco. Non era lei a lanciare con la balestra, troppo piccola ancora per quel compito così importante. Si limitava a fare da assistente, e questo le bastava. La sera tornava a casa e mostrava alla gemella il bottino con sguardo fiero. Gothel osservava le carcasse con disgusto, le preferiva tutte belle pulite dal sangue, spelate e sulla tavola pronte per essere mangiate.
Così Bella si era svegliata all’alba, e con la grazia di un drago in un calice si era vestita ed era uscita. Gothel si arrabbiava sempre con lei, tutte le volte la svegliava e poi non riusciva più ad addormentarsi, eppure lei continuava involontariamente a fare un gran baccano. Non le restò quindi nient’altro da fare se non affacciarsi alla finestra per osservare padre e sorella allontanarsi dalla loro casa, con in groppa tutto l’occorrente.
Annabella e il Signor Gothel trascorrevano tantissimo tempo insieme, molto più di quanto non ne passasse con Gothel, ma a lei non dispiaceva affatto. Sua sorella si meritava tutte le attenzioni del mondo. Inoltre, la loro madre stravedeva per la gemella più chiusa in se stessa. Si era attaccata a lei come una cozza dopo essersi trasferiti a Camelot, non la perdeva mai di vista un attimo, ci si dedicava completamente. Ad aumentare la sua preferenza c’era il non approvare poi più di tanto i comportamenti di Annabella, le rimproverava di atteggiarsi a maschio, spesso le ricordava che determinate cose non si addicevano ad una ragazza. La discussione veniva sempre troncata sul nascere dal padre, il quale con una battutina smorzava la tensione. Rimaneva comunque il fatto che alla Signora Gothel non andava giù che sua figlia non fosse il fiore delicato che avrebbe voluto. Non che Gothel fosse femminile o una ragazza servizievole, guardava sempre la madre cucinare e pulire casa ma non alzava mai un dito per aiutarla. Il non preoccuparsi derivava dal fatto che sapeva che la ragazza non usciva mai, quindi nessuno la conosceva. I suoi comportamenti non erano sotto la luce di tutti come quelli di Annabella, Gothel sarebbe sempre rimasta nell’ombra qualsiasi cosa avesse fatto.
Così passo tutta la mattina a pensare alla ragazza conosciuta la sera prima. Aveva un forte desiderio di rivederla. Sapeva che quel pomeriggio si sarebbe trovata al mercato del pesce, il problema stava nel trovare la forza per andarci. Raramente usciva di casa, e quando lo faceva era sempre in compagnia di qualche suo familiare. Non si era mai addentrata in città da sola. Non aveva paura che qualcuno potesse derubarla o altro, temeva semplicemente il mondo esterno, specialmente se non con qualcuno vicino pronta a difenderla. Le persone, le loro parole, i loro gesti, la terrorizzavano. Gesti che all’apparenza possono sembrare molto innocenti, come qualcuno che nel passare ti spinge e ti urla di guardare dove vai, lei non aveva la forza per affrontarli, l’avrebbero demoralizzata più del dovuto. A casa nessuno l’avrebbe squadrata dalla testa ai piedi, nessuno l’avrebbe fatta sentire fuori posto.
Dentro di sé ad ogni modo sentiva che le cose dovevano cambiare, o che almeno lei voleva che cambiassero. Non poteva rimanere attaccata alla sottana della madre per il resto della sua vita. Voleva essere come tutti gli altri, nonostante le sembrasse un traguardo impossibile.
In tarda mattinata scese in cucina, trovando sua mamma a sedere su una sedia che rammendava la gonna del vestito. Aveva sempre una faccia rilassata, qualsiasi cosa facesse sembrava in pace con se stessa. << Oh, ciao tesoro. >>
Gothel fece qualche passo verso di lei, con le mani incrociate dietro la schiena, lo sguardo basso e strusciando i piedi. Si sedette su una sedia, vicino a lei. Voleva esternare il suo desiderio di uscire, ma non sapeva come fare. Non era brava con le parole, probabilmente non lo sarebbe mai stata. Ad un certo punto se ne esordì con: << Mi va del pesce. >>
La signora Gothel la guardò confusa, increspando la fronte. << Come scusa? >>
<< Sì beh… mi va di mangiare del pesce stasera. Magari potrei andare al mercato a prenderlo. >>
<< Ma tua sorella e t-… >> La donna si interruppe, e i suoi occhi si spalancarono dallo stupore. In cuor suo aveva smesso di sperare che quel giorno sarebbe arrivato, il giorno in cui la sua amata figlia avrebbe finalmente avuto il coraggio di affrontare il mondo da sola. Si era rassegnata al fatto che sarebbe rimasta chiusa in casa per il resto dei suoi giorni.
Vedere tutto quell’entusiasmo metteva a disagio la ragazza. << Non lo so, forse non è vero che mi va così tanto. >>
Sentì una forte presa sulle mani, sua madre le stava stringendo fortissimo. Il suo sguardo era orgoglioso, la voce tremolante. << Tesoro, ti posso assicurare che il mondo è pieno di cose bellissime da offrirti. Chiuderti per sempre in quattro mura non può solo che danneggiarti. >>
Lo sapeva, Gothel l’aveva sempre saputo che la reclusione non l’avrebbe portata a niente di buono. Più i giorni passavano e più sentiva la sua mente appassirsi. Non aveva stimoli di nessun tipo, niente che la motivasse ad andare avanti. Viveva in un circolo monotono ed infinito, ogni giorno si ripeteva a quello precedente. Sentiva di voler qualcosa di più dalla sua vita.
Guardò oltre la finestra. << Ho tanta paura, mamma. >>
Si sentì avvolta in un caldo abbraccio. << Se vuoi posso accompagnarti un pezzettino >> propose la donna.
<< No, è una cosa che devo fare da sola, altrimenti non migliorerò mai. >> Migliorare, perché il suo rifiuto verso il mondo esterno era un suo enorme problema che andava affrontato e risolto.
Si alzò in piedi, e con le gambe tremolanti si avvicinò alla porta di casa. Una volta aperta una forte brezza le investì il viso, arrossandole le guance. Era una bellissima giornata, pur essendo autunno pieno. Il sole splendeva in cielo, nemmeno una nuvola all’orizzonte. Era sulla soglia di casa, un piccolo passo e sarebbe stata fuori, in balia del mondo. Si voltò verso sua madre, la quale le mostrò un sorriso di incoraggiamento.
E se avesse incontrato un cane randagio per strada? E se un mendicante le fosse andato incontro chiedendole dei soldi? E se semplicemente qualche ragazzino avesse deciso di prenderla di mira?
<< Un passetto alla volta >> si disse, e poggiò un piede sul prato, poi l’altro.
Era ancora viva, nessun’aquila si era buttata in picchiata contro di lei. La terra non le si era aperta sotto i piedi. Tutto sembrava esattamente come prima. Era a cinque centimetri da casa sua, eppure le sembrava di aver fatto un passo lungo tre miglia.
Si voltò verso sua madre. << Allora io vado. >>
In risposta ricevette un sorriso di incoraggiamento. << E mi raccomando, fa’ attenzione. >>
 
Ottomilatrentasette passi e ancora non le era successo niente di mortale, e nessuno aveva fatto caso ad una ragazzina tutta capelli che camminava gobbuta, stringendosi la bisaccia come se ne andasse della sua vita –dentro c’erano giusto giusto i soldi per comprare qualche etto di pesce, se l’avesse persa o gliel’avessero rubata la sua famiglia non sarebbe di certo andata in bancarotta, il suo attaccarsi così tanto era dovuto unicamente allo stress del momento. La strada per il mercato se la ricordava molto bene, aveva un ottimo senso dell’orientamento, nonostante non ci fosse andata molte volte, non si era mai persa durante il tragitto. Le persone sembravano normali, non si accorgevano nemmeno di lei, nessuno sembrava intento a rivolgerle la parola. Nessuno si accorgeva mai di lei, Gothel era dotata del dono dell’invisibilità; ovunque andasse passava inosservata, troppo insulsa perché gli altri la notassero. Ma la paura rimaneva, sapeva che avrebbe comunque trovato il modo di combinarne una delle sue e farsi notare dai passanti. Per questo camminava rasente le mura, quasi strusciandoci contro, e teneva le testa bassa. Sarebbe arrivato il giorno in cui avrebbe camminato a testa alta in mezzo alla folla, fregandosene degli sguardi che le venivano rivolti, per il momento si limitava a starsene in disparte. Aveva già fatto più di quanto avrebbe creduto, non vedeva l’ora che arrivasse sera per raccontare a Bella questa sua esperienza.


Ottomilacentoquindici passi. Occorrevano ottomilacentoquindici passi per arrivare al mercato del pesce, proprio davanti ad un bellissimo bancone con sopra le migliori trote di Camelot. Ma il pesce non era il motivo per cui era arrivata fin laggiù. Sapeva che “dietro il mercato del pesce” si sarebbero incontrati la ragazza e i suoi amici, dove si ubicasse con precisione questo “dietro” tuttavia non lo sapeva.
Ci mise un po’ di tempo per trovarla. Stavano tutti vicino ad un barroccio vuoto, chi c’era seduto sopra, chi intorno. Erano girati di spalle rispetto a Gothel, quindi non potevano vederla. Riconobbe subito la ragazza, era seduta al lato del barroccio, e stava facendo la treccia ad un’altra.
Voleva parlarle, tuttavia non voleva che gli altri la sentissero, che la guardassero. Avevano l’aria di essere persone sempre pronte a giudicare, a trovare un capo espiatorio con cui divertirsi per passare le giornate. Notò con tristezza che già ne avevano uno, un povero ragazzino qualche anno più piccolo di Gothel, un povero indifeso con la pelle bianca come il latte, le lentiggini sul volto e gli occhi di un azzurro talmente chiaro da sembrare cristallo. Tre ragazzi –tra cui Carson, il locandiere che la sera prima le aveva versato da bere- stavano “scherzando” con lui. Perché era quello il termine che li piaceva utilizzare, scherzare, come se far sentire una persona inferiore a te spingendola e facendole battutine fosse un gioco, fosse divertente. Forse per loro, magari per loro era proprio esilarante, ma per la vittima assolutamente no. Se fosse stata una persona completamente diversa sarebbe intervenuta e avrebbe difeso quel ragazzino, ma non aveva nemmeno la forza di difendere se stessa, figurarsi gli altri. In più, era meglio farsi notare il meno possibile.
Si avvicinò in punta di piedi alla ragazza, e quando fu abbastanza vicina le picchiettò l’indice e il medio sulla spalla. L’altra si voltò, e la squadrò dall’alto in basso con il sopracciglio inarcato e la bocca aperta. << Ti conosco? >> chiese, non sembrava affatto felice di vederla.
<< No, non proprio. In realtà volevo chieder… >>
Fu subito interrotta. << Puoi alzare la voce, per piacere? Non sei al cospetto del re. >> Si voltò, ed indicò che il ragazzino che stava venendo punzecchiato. << Lo vedi quello là? Lui è Roger, anche lui parla a voce bassa e non si capisce niente di quello che dice, per questo lo maltrattiamo. Vuoi essere come Roger? >>
Decisamente non voleva fare la fine di Roger, non era in grado di affrontare un’altra volta una compagnia di persone che la deridevano, la sua autostima era troppo fragile per reggere il colpo di una sola altra battutina su di lei. Si sentiva già in imbarazzo a stare là in mezzo a tutti, con gli occhi puntati su di lei, occhi tra l’altro per niente simpatici. Sentiva le loro, sebben silenziose, critiche, sapeva a cosa stavano pensando, seppure non lo stessero esprimendo ad alta voce. Era stata una sciocca ad andare fin laggiù, l’unica cosa che aveva ottenuto era ancora più ansia sociale di quanta già non ne avesse. Se fosse rimasta a casa tutti quei pensieri nebulosi e cupi su se stessa non si sarebbero ripresentati. Ma ormai la frittata era fatta, tanto valeva arrivare fino in fondo.
Le parole della ragazza avevano attirato l’attenzione di Carson, il quale perse completamente l’attenzione su Roger per guardare Gothel attentamente. Odiava essere osservata, non le piaceva quando qualcuno la guardava, anche se era un membro della sua famiglia. Non si piaceva, non si sarebbe mai piaciuta e il pensiero che altre persone la vedessero e notassero tutti i suoi difetti la faceva stare male. Istintivamente, quando qualcuno le rivolgeva uno sguardo, anche se amichevole, il suo cervello iniziava a fantasticare su cosa potesse pensare, e non erano mai fantasie felici.
<< Tu >> disse il ragazzo, puntandole il dito contro. << Ti ho vista ieri sera alla locanda, hai ordinato una birra, giusto? Talitha, non te la ricordi? >>
Talitha, allora era così che si chiamava, finalmente lo aveva scoperto.
Lei in tutta risposta guardò nuovamente Gothel, con il labbro sporto in avanti. << Ad essere onesti, no, ma mi fido di quello che dici. >> Scese dal barroccio e fece qualche passo verso l’altra ragazza, la quale, istintivamente guardò dietro di sé e cominciò ad arretrare.
Non le piaceva dove stava andando a parare la situazione, tutti ormai la stavano guardando, il suo peggiore incubo era diventato nuovamente realtà ed era pure tutta colpa sua. Se fosse rimasta a casa non avrebbe avuto di questi problemi. Se la sera prima, invece di festeggiare il suo compleanno lontano dalle mura domestiche, fosse rimasta con i suoi genitori, non avrebbe avuto la curiosità di conoscere una persona in grado di istruirla sui suoi poteri magici. Perché, per quanto l’idea di avere degli amici tutti suoi, e non solo persone che fanno finta di sopportarla per amore di sua sorella, l’allettasse parecchio, il motivo principale per cui si era diretta là era la magia. Non pensava, si era ripetuta per tutto quel tempo che l’unica cosa che voleva era conoscere Talitha. E voleva conoscerla, ad ogni modo se fosse stata una comune ragazza, non dotata di poteri magici, non si sarebbe mai sforzata così tanto per conoscerla, non si sarebbe messa in ridicolo davanti a tutti. Era la magia ad attirarla, il pensiero di conoscere quest’arte a lei completamente sconosciuta. Non si era resa conto di quanto in realtà desiderasse esplorare questo lato di se stessa, quanto volesse esercitarsi per diventare, se non brava, quantomeno decente. In famiglia era l’unica ad avere quelle capacità, capacità che, se non completamente soppresse, emarginate moltissimo. Non parlavano dei suoi poteri da più di due anni ormai, non sapeva nemmeno come le fossero venuti, perché a lei sì e a sua sorella gemella no. Era una parte di sé, una parte che non aveva coltivato e che aveva voglia di fare. Rivolgersi ad una ragazzina della sua stessa età e pretendere che le insegnasse la divina arte della magia era stato un po’ ambizioso, ma non avrebbe saputo a chi altro rivolgersi.
Talitha arricciò il naso. << Dunque, ieri sera ci vedi alla locanda, e oggi ti presenti qui. Che cosa sei, una stalker? >>
<< Certo che no! >>
<< E allora come facevi a sapere che saremmo stati qui? E, cosa più importante, si può sapere che cosa vuoi >>
Non voleva esporsi, parlare con tutti quegli occhietti malefici puntati addosso la infastidiva. << Possiamo parlare in privato? …Un pochino più lontano da qui. >>
<< Scordatelo, siamo tutti curiosi di sentire cosa hai da dire. >>
<< Ecco, io… è una scemenza, lo so. Però vedi, mi piacerebbe che tu mi insegnassi la magia. >> Quando in ricambio ricevette solo una faccia sconcertata si affrettò ad aggiungere: << Ce li ho i poteri magici, ce li ho tutti, credo, vorrei solo imparare ad usarli. >>
Per qualche istante rimasero tutti in silenzio, poi scoppiarono a ridere fragorosamente.
<< Per chi mi hai preso, per il tuo gran maestro? Nemmeno ti conosco, certo che non ti aiuto! >>


Non le restò altro che accettare questa piccola sconfitta personale. Se lo sarebbe dovuta aspettare, Talitha non le era mai sembrata una tipa tanto socievole o disponibile. Ad ogni modo non riteneva di aver buttato via quella giornata, era stata alquanto produttiva, nonostante non avesse raggiunto lo scopo finale. Per la prima volta in anni era uscita di casa da sola, aveva parlato con persone che non conosceva e non aveva voglia di rinchiudersi in casa per la prossima decade dopo la brutta figura che aveva fatto nel primo pomeriggio. Sicuramente se mai avesse incontrato nuovamente Talitha e la sua banda sarebbe corsa a nascondersi, ma non escludeva il pensiero di poter uscire nuovamente per fare qualche commissione per sua madre.
Si era quasi dimenticata di andare a prendere il pesce. Quando si avvicinò al banco notò subito che l’espressione del pescivendolo mutò in un sorriso sghembo. Stava infatti cercando di truffarla, di farle pagare più di quanto avrebbe dovuto. Gothel non era una scema, si era informata su quanto avrebbe dovuto pagare, e il prezzo che stava richiedendo l’uomo era decisamente esorbitante. Stava per rinunciare e tornare a casa a mani vuote -forse sarebbe arrivato il giorno in cui si sarebbe saputa imporre, ma decisamente non era quello il giorno- quando vide il volto dell’uomo incupirsi, quasi spaventato. In silenzio prese il pesce, lo avvolse in una stoffa sporca, e lo porse alla ragazzina chinando il capo.
<< Tenete, offriamo noi. >>
Incredula, Gothel prese in silenzio il pesce senza fiatare, non voleva tentare la buona stella e far cambiare idea al tizio. Si voltò e vide Talitha che la guardava, con le mani sopra i fianchi.
<< Fammi indovinare, senza l’aiuto di qualcuno non riusciresti nemmeno a mettere un piede dopo l’altro. >>
<< Ehm… >>
<< Lascia stare >> fece un gesto della mano per farle capire che non le interessava minimamente la sua risposta. << Ho cambiato idea, ti insegnerò tutto quello che so! >>
Stava sorridendo, e Gothel non riusciva a capire se la stesse prendendo in giro, se fosse seria, o se volesse portarla in un vicolo buio per tagliarle la gola.
<< Perché hai cambiato idea così dal niente? >>
<< Quando sarai più grande te lo spiegherò. >>
<< Scommetto che sono più grande di te. >>
Talitha alzò gli occhi al cielo scioccata. << Ma che spina nel fianco che sei! Vedi di presentarti qui fra due giorni all’alba o evita proprio di rivolgermi la parola in futuro. >>
Se ne andò senza nemmeno aspettare una risposta da parte di Gothel, la quale, si limitò semplicemente a stringere il cartoccio e sorridere.


 

 

   
 
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